Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 37791 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 37791 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/09/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il P.G., in persona della sostituta NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Sono presenti gli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME del foro di Roma in difesa di COGNOME COGNOME NOME che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso e della memoria depositata.
Sono presenti gli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME del foro di REGGIO CALABRIA e NOME COGNOME del foro di ROMA in difesa di NOME che hanno insistito nei motivi di · ricorso.
E presente l’AVV_NOTAIO del foro di ROMA in difesa di NOME
(o
NOME che si è riportato ai motivi di ricorso.
E presente l’AVV_NOTAIO del foro di Roma in difesa di NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Roma, con sentenza emessa in esito al giudizio ordinario, in data 12 luglio 2023, ha ritenuto accertata l’esistenza di un sodalizio criminale dedito al narcotraffico operante in territorio di Roma, zona Tor Bella Monaca e in specie in INDIRIZZO e ha condannato NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 oltre numerosi delitti di detenzione a fini di spaccio e cessione di sostanze stupefacenti.
La Corte territoriale, in esito al giudizio di appello, ha ritenuto fondat solo le richieste di mitigazione del trattamento sanzionatorio e ha concesso le circostanze attenuanti generiche in termini di prevalenza sulle contestate aggravanti e sulla recidiva, agli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti dei quali è stata rideterminata la pena. La sentenza, invece, è stata confermata nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME NOME.
Avverso la sentenza di appello hanno presentato separati ricorsi gli imputati indicati in epigrafe, tramite i propri difensori, ponendo a fondamento i motivi il cui contenuto viene riassunto nei limiti necessari alla motivazione in riferimento al disposto dell’art. 173, co. 1, disp att. cod proc pen.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è affidato a quattro motivi.
4.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla valutazione della prova. Con l’atto di appello era stato evidenziato che la decisione di collaborare con la giustizia, presa dal COGNOME, era stata determinata da ragioni opportunistiche ed economiche e non d&un vero ravvedimento. Egli, infatti, ha ammesso di essersi determinato a collaborare poiché suo padre si era appropriato di ingenti somme di denaro riconducibili, a suo dire, all’attività illecita di NOME COGNOME, capo de associazione dedita al narcotraffico. COGNOME, così facendo, si è sottratto a eventuali richieste di restituzione di dette somme di denaro. Tale aspetto
non è stato valutato dalla Corte territoriale e a ciò si aggiunge che le dichiarazioni rese dal COGNOME, rispetto al COGNOME, sono tutt’altro che lineari lacunose non essendo stato, questi, in grado di fornire dettagli rispetto al ruolo ricoperto dal ricorrente né di indicare il periodo in cui avrebbe messo a disposizione la propria cantina per conservare lo stupefacente, per quanto tempo e per quale corrispettivo. La difesa ha evidenziato che COGNOME ha iniziato a collaborare il 10 ottobre 2018 e nell’occasione non ha fatto alcun riferimento al ricorrente, salvo, dopo un mese, effettuare un riconoscimento fotografico affermando che COGNOME avrebbe concesso in locazione una cantina a COGNOME che l’avrebbe usata per conservare la droga.
Ancora, nelle 4/5 telefonate evocate dalle sentenze di merito non si evince alcunché circa la partecipazione del COGNOME al sodalizio né la sua consapevolezza di farne parte. Al contrario, dai dialoghi si coglie la sua amarezza per la perquisizione ingiustamente subita il cui esito era negativo.
Lamenta ancora la difesa che la presenza di COGNOME insieme a NOME COGNOME, in INDIRIZZO costituisce fatto del tutto neutro, dato che i ricorrente abita in quella zona e, nell’occasione, si accingeva a fare rientro a casa.
4.2. Con il secondo motivo si deduce l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale quanto alla ritenuta sussistenza del reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 nonché vizio di motivazione oltre che il travisamento del fatto. Gli argomenti spesi a sostegno della consapevole partecipazione del COGNOME all’associazione sono privi di riscontro e le uniche condotte attenzionate si esauriscono in pochi mesi, come tali non sono apprezzabili in termini di stabilità.
4.3. Con il terzo motivo si deduce l’omessa pronuncia in relazione alla invocata riqualificazione del reato associativo nella fattispecie di concorso di persone nel reato non avendo mai, il ricorrente, assunto un ruolo funzionale alle dinamiche associative né fornito un concreto ausilio all’attuazione del programma delinquenziale, essendosi limitato ad affittare a COGNOME una cantina per quattro mesi.
4.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla omessa riqualificazione del reato contestato al capo a) nell’ipotesi di cui all’art. 74, co. 6, d.P.R. n. 309/1990. In te difensiva, l’attività criminosa avrebbe avuto ad oggetto la vendita al dettaglio di singole dosi, sarebbe stata realizzata in ambiente domestico e
non sarebbero state riscontrate condotte di maggiore gravità. Si tratterebbe di una associazione che non avrebbe assunto, sul territorio di riferimento, una posizione di controllo del mercato e l’attività sarebbe stata svolta “sotto casa degli imputati”, in un ambito ristretto, in concorrenza con spacciatori di altre piazze site nel medesimo agglomerato di case.
Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME COGNOME NOME COGNOME, affidato ad un unico motivo, deduce la erronea applicazione della legge penale e il vizio di motivazione. La difesa, premesso che il ricorrente è stato ritenuto associato con il ruolo qualificato di organizzatore, evidenzia che il collaboratore COGNOME non lo ha conosciuto e non ne ha mai parlato mentre COGNOME, lo ha visto per un limitatissimo periodo di tempo e non lo ha mai descritto come un organizzatore. Rimarca la difesa la circostanza che questa Corte di legittimità, nel parallelo giudizio definito con il r abbreviato, ha in parte escluso il ruolo di organizzatore per diversi imputati ai quali detta qualifica era stata contestata e, per altra parte, annullato con rinvio la sentenza.
La Corte territoriale, investita della richiesta di esclusione del dett ruolo qualificato si è limitata a riportare quanto dedotto nella sentenza di primo grado e, in particolare, quanto affermato dall’operante NOME COGNOME che, a ben vedere, si pone in contrasto con il fatto storico sancito dai provvedimenti adottati in esito al giudizio abbreviato. Anche a voler prescindere da un eventuale rapporto fiduciario con i gestori della piazza ) deve tenersi conto dell’elemento temporale. Al ricorrente sono stati contestati fatti avvenuti nell’arco di due settimane, dal 26 ottobre al 9 novembre 2018 con il ruolo di pusher e talvolta di vedetta. In una sola occasione il ricorrente ha avuto un incarico del tutto limitato e casuale di organizzare l’attività dei pusher ma sempre sotto le direttive di COGNOME e COGNOME per i quali la sentenza è definitiva. Mancando la prova della funzionalità del ruolo di NOME egli non può essere ritenuto un organizzatore della piazza di spaccio e la motivazione non dà atto dell’esercizio di alcun potere gestionale e autonomo in capo al prevenuto.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è articolato in sei motivi.
6.1. Con il primo si deduce la inutilizzabilità delle testimonianze del col. COGNOME, del m.11o COGNOME, delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME oltre che della perizia avente ad oggetto la trascrizione delle conversazioni intercettate, ai sensi dell’art. 191 co. 1, 526, co.1 in relazione agli artt. 190 e 498, co. 1, cod. proc. pen.
All’udienza del 28 febbraio 2022 il P.M. aveva chiesto l’ammissione dei mezzi di prova sopra elencati. Mutata la composizione del Collegio, all’udienza del 14 febbraio 2023, in sede di rinnovazione delle richieste istruttorie, le difese si riportavano alle richieste istruttorie già svolte men il P.M. si limitava a chiedere che venisse dichiarata l’irrilevanza dell questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa. Come dire che l’organo d’accusa non ha formulato richieste di prova né ha rinnovato alcuna richiesta di assunzione dei mezzi di prova. Nonostante ciò, il Tribunale dichiarava utilizzabili le prove acquisite.
Con l’atto di appello era stata impugnata oltre che la sentenza anche l’ordinanza dibattimentale resa il 14 febbraio 2023 rilevando che l’art. 190 bis cod. proc. pen. prevede modalità di assunzione di talune prove, a certe condizioni, derogatorie di quelle ordinarie ma non introduce alcuna eccezione al regime di ammissione disciplinato dagli artt. 190 e 493 cod. proc pen. In sostanza, secondo la difesa, con l’ordinanza impugnata erano state dichiarate utilizzabili prove rispetto alle quali non era stata formulat apposita richiesta della parte processuale interessata alla loro acquisizione. Le stesse, dunque, in quanto acquisite in violazione di legge non avrebbero potuto essere utilizzate ai fini della decisione.
La sentenza impugnata, pur dando atto che la parte pubblica non aveva richiesto la rinnovazione del dibattimento, ha argomentato che con il proprio comportamento processuale ha prestato acquiescenza alla lettura degli atti processuali assunti dal diverso Collegio. Secondo la difesa, l’atteggiamento acquiescente doveva essere inteso come implicito consenso alla sola “lettura dei verbali”, l’unica lettura prevista dalla legge e com tale sarebbe stato superfluo.
6.2. Con il secondo motivo si deduce la inutilizzabilità ex art. 191, co. 1, in relazione all’art. 195, co. 3, cod. proc. pen. delle dichiarazioni de collaboratore COGNOME, nella parte in cui aveva riferito di avere appreso da COGNOME NOME che il ricorrente sarebbe stato un “fornitore”. In proposito si evidenza che COGNOME ha riferito di avere assistito a due incontri tra COGNOME e “COGNOME“: in una prima occasione questi avrebbe consegnato a COGNOME una
scatola contenente un chilogrammo di eroina; nella seconda occasione COGNOME gli avrebbe consegnato una scatola contenente denaro. Delle pretese “altre” cessioni, COGNOME avrebbe avuto conoscenza solo attraverso le “confidenze” di COGNOME. Per tale motivo la difesa aveva lamentato di avere chiesto l’esame di COGNOME, ai sensi dell’art. 195, co. 1, cod. proc. pen. già dopo l’esame di COGNOME, richiesta ribadita in sede di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e che, in esito all’istruttoria dibattimenta aveva chiesto che venissero dichiarate inutilizzabili le dichiarazioni de relato del COGNOME. La Corte territoriale nel respingere la questione posta, si è limitata ad affermare che la difesa avrebbe omesso di reiterare la sua richiesta “in sede di discussione” benché fosse stata prodotta la trascriziane della discussione finale per dimostrare che, anche in tale sede, era stata rammentata al Tribunale la precedente richiesta tempestiva di citare COGNOME ei· GLYPH i rinaumbei= -· trètert-0. La Corte di appello, utilizzando la medesima sentenza di questa Corte di legittimità richiamata dal Tribunale (Sez. 2, n. 40256 del 11/05/2017) ha ritenuto che non integri testimonianza de relato la dichiarazione che il componente di un sodalizio rende su notizie che costituiscono patrimonio comune dell’associazione, con ciò travisando le dichiarazioni del COGNOME secondo cui i rapporti con COGNOME erano tenuti solo da COGNOMECOGNOME COGNOME
6.3. Con il terzo motivo si deduce la nullità della sentenza in relazione agli artt. 192, co. 3, 195, co. 3 e 530 con riferimento agli artt. 648 e ss cod. proc. pen. nonché violazione di legge e assoluto difetto di motivazione quanto alla affermazione della responsabilità dell’imputato per il delitto sub T) di cui agli artt. 73 e 80, co. 2, d.P.R. n. 309/1990.
6.3.1. Viene innanzitutto censurato il giudizio di attendibilità conferito al riconoscimento fotografico espresso dai giudici rinunciando a qualsivoglia verifica, così determinando una “patologia” che si comunica alla sentenza. I giudici dei due gradi di giudizio, infatti si sono limitati a validar riconoscimento operato dal COGNOME recependo acriticamente gli esiti dell’atto istruttorio.
6.3.2. Sotto altro profilo, la difesa evidenzia le implicazioni del giudicato formatosi sul capo T) quanto alla posizione di NOME COGNOME e NOME COGNOME. Era stato contestato a COGNOME di avere venduto partite di cocaina a COGNOME e COGNOME. I tre coimputati hanno operato scelte processuali diverse in quanto COGNOME e COGNOME hanno optato per
il rito abbreviato e la loro posizione è stata definita con sentenza del 19 maggio 2022 la cui motivazione è stata depositata il 28 luglio 2022, con la quale sono stati assolti dal reato sub T) perché il fatto non sussiste.
Il P.M. aveva proposto appello ma la Corte di Assise di appello con la sentenza n. 23 del 6 luglio 2023, depositata il 2 ottobre 2023, aveva confermato la loro assoluzione. Il P.G. aveva proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza della Corte di assise di appello ma non con riferimento al capo T) con la conseguenza che la 11fTi – assoluzione era già divenuta definitiva alla data del 4 ottobre 2023. All’atto della pronuncia della sentenza di primo grado era stata già prodotta la sentenza del nonché il dispositivo della sentenza pronunciata dalla Corte di assise di appello.
Le due sentenze di merito hanno affrontato il tema in maniera sbrigativa usando le medesime parole. Era stato rilevato che quantomeno, e salvo gli effetti del giudicato eventualmente intervenuto in relazione a una delle due pronunce, il giudice è tenuto, volendo assumere una tesi opposta, a confrontarsi con gli argomenti svolti “nell’altra sentenza”. Con memoria di sintesi era stata sollecitata la Corte di appello a prendere atto della sentenza assolutoria pronunciata dai correi evidenziando gli elementi ulteriori e diversi che sarebbero stati ritenuti idonei a pervenire a conclusioni diverse rispetto alla “insussistenza del fatto”.
Ciò che la Corte territoriale ha relegato a un inciso, “al di là della sopravvenuta irrevocabilità della decisione relativa ai coimputati” costituiva una imponente fondamentale novità rispetto al quadro valutato dal giudice di primo grado dalle enormi implicazioni processuali.
Ribadisce la difesa il travisamento delle dichiarazioni rese da COGNOME. Questi aveva riferito di avere assistito ad un solo episodio di consegna e da ciò i giudici di merito hanno inferito che il ricorrente fosse il “fornit abituale” di eroina del COGNOME.
Ancora la difesa lamenta la mancata verifica dell’attendibilità estrinseca della chiamata in correità e in reità del COGNOME rilevando che le pretese forniture di eroina operate da COGNOME in favore del COGNOME sono state collocate tra ottobre 2017 e luglio 2018, senza mai chiarire la base fattuale di tale perimetro temporale. Certo è, in tesi difensiva, che detto lasso temporale non poteva essere individuato sulla scorta delle propalazioni del collaboratore dato che questi non ha fornito, in proposito,
alcun elemento, neppure facendo riferimento a un grave incidente occorsogli in data 11 febbraio 2018. Era stato, in proposito evidenziato nell’atto di appello che dallo stesso racconto di COGNOME si evinceva che questi sarebbe stato reclutato dal sodalizio dopo il matrimonio del COGNOME avvenuto il 31 ottobre 2018 e che, dopo un periodo di apprendistato di quindici giorni, aveva iniziato ad operare sulla piazza con il ruolo di supervisore dei pusher. Dopo la perquisizione subita I’ll aprile 2018 COGNOME avrebbe chiesto a COGNOME di interrompere la collaborazione ma la sua richiesta non era accolta e il collaboratore era costretto a rimanere nell’associazione, evitando guai peggiori solo grazie alla mediazione del fratello NOME. A luglio di detto anno si sarebbe verificata la sottrazione di parte della cassa del sodalizio ad opera del padre di COGNOME che determinava il precipitare degli eventi. Nel quadro delineato, il collaboratore non spiega quando avrebbe stretto rapporti con COGNOME tali da ricevere la confidenza relativa alla fonte di approvvigionamento dell’eroina. Le sentenze di merito hanno operato una “sanatoria generale” delle criticità evidenziate con il risultato che (tra l’altro)la prova, data solo dalle dichiarazioni rese dal COGNOME ldiviene circolare.
La difesa lamenta anche il travisamento delle dichiarazioni rese dal collaboratore COGNOME che il giudice di primo grado aveva considerato riscontro, sia pure diretto alle propalazioni di COGNOME quanto alla individuazione del “COGNOME” nel fornitore di eroina. Secondo la difesa, al contrario, le dichiarazioni dei collaboratori non sono convergenti dato che, tra l’altro, il gip ha affermato che COGNOME si riferiva ad un magrebino d Tor Pignattara, mentre COGNOME riferiva di un nero di Torre AVV_NOTAIO. Di ciò era stato dato atto nella memoria di sintesi ma la Corte, facendo proprio l’errore del Tribunale, ha ritenuto che le due chiamate si riscontrassero reciprocamente, in modo individualizzante.
Sotto ulteriore profilo si ribadisce che la contestazione di cui al capo T) è sostanzialmente circolare rispetto al reato contestato al capo A). Posto il ruolo di fornitore del ricorrente, al capo T) della rubrica sono sta contestati l’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 e l’art. 81 cod. pen. L’errore prospettico era stato denunciato con l’atto di appello ma la Corte territoriale, nel respingere la doglianza, ha ribadito che il tema delle cessioni di eroina di cui al capo T) si intreccia, inevitabilmente, con la qualità di “stabile fornitore del sodalizio”.
Ancora, si lamenta la violazione di legge e del vizio di motivazione quanto ai riscontri individuati e valorizzati rispetto alla chiamata in correit
e reità del COGNOME. Il reato associativo è stato ritenuto come consumato dalla fine del 2016 “e tutt’ora in atto” ossia ad aprile 2021. Tuttavia ciò che è stato utilizzato come riscontro è collocato tra febbraio e giugno 2019 senza soffermarsi sullo “sfasamento temporale” rispetto ai fatti da riscontrare.
Secondo la difesa la Corte territoriale non ha tenuto conto delle censure che erano state mosse rispetto a talune affermazioni contenute nella sentenza di primo grado. In specie, è stata trattata come verità assiomatica l’affermazione secondo cui il luogo delle consegne fosse il piazzale antistante il parco comunale Conti di Torre AVV_NOTAIO, solo sulla scorta delle dichiarazioni rese da COGNOME. Rileva la difesa che era stato chiesto di richiamare il col. COGNOME affinché chiarisse se sulle auto di COGNOME o di COGNOME fossero stati installati sistemi di rilevazione GPS per stabilire se fossero stati rilevati passaggi in quel sito ma l’affermazione è stata disattesa sulla mera affermazione del P.M. secondo cui su nessuna auto risultavano installati GPS, salvo scoprire che l’unica auto su cui il sistema di rilevamento risultava installato era quella di COGNOME. In mancanza di riscontri la circostanza non poteva essere ritenuta provata. Al contrario i giudici di merito hanno ritenuto riscontrato il passaggio in due occasioni dell’auto del COGNOME in INDIRIZZO, il 7 febbraio 2019 e il 6 marzo 2019. Al netto dello scarto temporale rispetto all’epoca riferita dal COGNOME e della diversità del luogo indicato, assume la difesa che entrambi i giudici di merito hanno dovuto riconoscere che nell’episodio del 7 aprile 2019 almeno una delle auto il cui passaggio era stato rilevato presso il parco INDIRIZZO era in uso a soggetto diverso dal COGNOME. Se così è non può escludersi che ciò sia avvenuto anche il 6 marzo 2019. In ogni caso, spettava ai giudici spiegare perché avevano ritenuto che le auto transitate in quelle date presso il parco INDIRIZZO fossero certamente in uso al ricorrente. Inoltre era stato dedotto che dalla visione delle immagini estrapolate dagli impianti di videosorveglianza del bar sito in INDIRIZZO, di cu all’annotazione di P.G. dell’8 aprile 2019, acquisita sull’accordo delle parti, nessuno degli occupanti auto sulle quali era installato il GPS, asseritannente in uso al ricorrente, era stato identificato, anzi, non erano stati neppure in grado di stabilire se si trattasse di un uomo o di una donna, limitandosi ad annotare che “verosimilmente” la persona scesa dall’auto poteva essere la moglie del ricorrente. Eppure quella che era una impressione, ossia il passaggio di una busta da un veicolo all’altro, avvenuto a distanza di mesi dalla pretesa cooperazione del COGNOME con il sodalizio è stata ritenuta un riscontro alla chiamata in correità del COGNOME. La Corte di Cassazione – copia non ufficiale
conclusione del Tribunale secondo cui la “busta” fosse del tipo shopper non era neppure suffragata dalla deposizione del col. COGNOME il quale aveva detto di non sapere cosa ci fosse al punto che il Tribunale affermava contenere “materiale illecito”. L’eventuale valore individualizzante dell’episodio avrebbe richiesto l’accertamento del coinvolgimento del ricorrente, rimasto, tuttavia, sfornito di prova. Il Tribunale si è affidato un argomento di tipo congetturale dato dalla circostanza che il 7 aprile 2019 sul posto si trovavano entrambe le auto in uso al COGNOME senza però che la sua presenza fosse dimostrata. Il rientro di una delle auto “ad operazione compiuta” in INDIRIZZO, luogo di residenza del ricorrente rimaneva un fatto neutro; in quella via abitava non solo il ricorrente ma anche la moglie che ben avrebbe potuto fare rientro a casa. Il fatto che a distanza di due anni il COGNOME fosse stato trovato nella disponibilità delle chiavi dell’auto non prova che quel giorno fosse alla guida e men che meno che si trattasse di forniture a favore del sodalizio capeggiato da COGNOME.
Analogo vizio di motivazione si rileva con riferimento alla questione relativa agli esiti della perquisizione domiciliare. Il 19 giugno i carabinie perquisivano l’abitazione del ricorrente, della moglie e dei quattro figli adolescenti. Nell’occasione veniva sequestrata la somma di euro 11.915,00 in due mazzette tenute insieme con due elastici, sette telefoni cellulari, un foglio manoscritto con nomi e cifre riconducibili a un conto a scalare. Il denaro era trovato dentro una busta del negozio Fantasy al cui interno c’era uno scontrino datato 3 giugno 2019. I carabinieri appuravano che si trattava di un acquisto effettuato da NOME COGNOME, madre di COGNOME NOME e compagna di COGNOME NOME. Il Tribunale ha attribuito a tutto ciò natura di riscontro individualizzante senza considerare che erano trascorsi undici mesi tra la perquisizione e i fatti contestati. Tra l’al evidenzia che il denaro era stato trovato nella camera da letto condivisa con la moglie del ricorrente che, come spiegato dal Tribunale, a sua volta, era gravata da pregiudizi penali per stupefacenti, in detenzione domiciliare per reato dello stesso tipo, fino al dicembre 2019 quando veniva ammessa all’affidamento in prova, misura che terminava nel luglio 2019. Ben poteva, dunque, il denaro costituire provento dell’attività illecita della donna.
Il Tribunale si è limitato a rilevare che le banconote delle due mazzette sequestrate il 19 giugno 2019 fossero tenute insieme con degli elastici, richiamando una conversazione intercorsa mesi prima tra NOME COGNOME e la sua convivente nonché degli esiti della perquisizione a casa di
NOME COGNOME che attestavano che anche in quelle circostanze le banconote fossero tenute insieme con degli elastici. Secondo la difesa è esperienza comune che le banconote vengono tenute insieme con degli elastici senza che questo dimostri la provenienza di esse dal COGNOME. Né è stato verificato chi fossero gli utilizzatori dei sette telefonini rinvenuti presso l’abitazione COGNOME dove vivono sei persone (i genitori e quattro figli), come pure, il fatto di possedere più apparecchi telefonici non può essere considerato confermativo creir=to dello svolgimento di attività illecita e men che meno di quella contestata. Quanto al foglio manoscritto, non si è tenuto conto che il conto a scalare presentava una causale risalente a gennaio 2006 il che non prova nulla rispetto alla prospettazione accusatoria che vede i fatti contestati accaduti tra ottobre 2017 e luglio 2018.
6.4. Con il quarto motivo si deduce la nullità della sentenza in relazione alla ritenuta partecipazione al sodalizio. I giudici di merito hanno ritenuto provato dalla cessione riferita da COGNOME, la qualità di “stabi fornitore dell’associazione del RAGIONE_SOCIALE” e ciò senza considerare che ogni condotta attraverso la quale si concretiiza l’adesione al sodalizio deve costituire oggetto di autonomo accertamento Si rileva che COGNOME, all’esito del suo interrogatorio aveva steso un elenco di persone che avevano collaborato con COGNOME e tra costoro non figurava il COGNOME. Di ciò non si è tenuto conto trattando il reato associativo alla stregua di una responsabilità oggettiva, senza motivare in merito alla consapevolezza di operare a favore di una associazione per delinquere piuttosto che di un isolato cliente.
6.5. Con il quinto motivo si deduce il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche giustificato dal numero di cessioni di eroina, neppure determinato.
6.6. Con il sesto motivo si contesta l’omessa motivazione in ordine all’applicazione della misura di sicurezza patrimoniale.
Sono stati proposti ricorsi distinti nell’interesse di NOME COGNOME.
7.1. Con il ricorso proposto dall’AVV_NOTAIO lana si deduce la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. combinato disposto con l’art. 125 cod. proc. pen. e 74 d.P.R. 309/1990. Stando a quanto si legge nella sentenza di primo grado, il collaboratore COGNOME, avrebbe affermato di avere saputo che, in passato, NOME era stato uno dei fornitori dell’associazione, per un periodo di tempo sia pure
limitato. Secondo la difesa i giudici di merito non hanno spiegato come Pats-v”. Lott Q gr – buireAst… tu«qualche occasione» possa essersi trasformato in uno stabile affidamento del sodalizio rispetto all’acquisto di stupefacente tale da superare l’occasionale rapporto sinallagmatico Inoltre COGNOME avrebbe avuto solo contatti con COGNOME e con il suo fiduciario COGNOME. La mancanza di altri indici quali contatti con altri sodali, di viaggi per rifornirsi di droga oltre ch basi logistiche rende la motivazione carente quanto alla sussistenza, in capo al ricorrente, della affectio societatis.
La Corte di appello si è limitata a indicare il COGNOME quale “fornitore” senza collocare detta attività all’interno di un contesto organizzato tale da giustificare la contestazione del reato associativo essendo necessario, peraltro, che le attività illecite siano poste in essere con la coscienza e volontà di far parte dell’associazione, di contribuire al suo mantenimento e al fine comune di trarre profitto mediante ripetuti apporti.
La motivazione risulta inoltre carente laddove non valorizza, secondo quanto riferito dal collaboratore COGNOME, la volontà di chiudere i rapporti i conti con NOME per «quelle poche volte» per «iniziare» con tale COGNOME. Se è poi vero che il mutamento del rapporto tra fornitore ed acquirente da relazione di reciproco affidamento a vincolo stabile può desumersi,oltre che dalle modalità dell’approvvigionamento continuativo della sostanza ) anche dal contenuto economico delle transazioni, va detto che dette somme, seppure apparentemente alte (30 mila euro a fornitura) vanno contestualizzate e rapportate ai valori di guadagno ipotizzate dal ColCOGNOME (pari a 18/20.000 euro al giorno).
Secondo la difesa, se quanto all’imputato COGNOME la Corte territoriale ha inferito la prova della partecipazione con il ruolo di fornitore dall sussistenza di una serie di elementi quali le modalità di custodia di somme di denaro, assemblate con elastici, alla stregua di quanto faceva COGNOME, dal rinvenimento di sette telefoni cellulari e di un foglio manoscritto recante un conto a scalare, lo stesso non può dirsi per COGNOME dato che nessuno di detti indici è risultato a carico dello stesso.
Secondo la difesa la vicinanza del ricorrente al COGNOME e al suo più stretto collaboratore costituisce circostanza inidonea a desumere un ruolo attivo all’interno dell’ipotizzato sodalizio non emergendo elementi idonei ad attestare l’apporto di un contributo causale tanto che la Corte territoriale definisce detto apporto “temporaneo” e lo stesso COGNOME soggetto scarsamente considerato tant’è che le richieste di incontri da questi
avanzate sono state ricusate e insoluti sono risultati alcuni pagamenti da lui pretesi.
7.2. Il ricorso proposto dall’AVV_NOTAIO è affidato a quattro motivi.
7.2.1 Con il primo si censura la sentenza in relazione alla legittimità e utilizzabilità delle indagini relative alle acquisizioni investigative costit dalla attività di captazione di cui ai rit 5222/18, 5511/17, 238/18 nonché di pedinamento elettronico e di ogni altro atto investigativo per violazione dell’art. 405 cod. proc. pen. come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte e della modifica normativa introdotta dal d.lgs. 150/2022, violazione dell’art. 6 § 3 CEDU oltre che vizio di motivazione.
Era stata contestata la mancata iscrizione del ricorrente e, dunque, l’illegittimità dell’attività captativa. Come emerge dall’imputazione l’ipotes di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990 risulta collocata dalla fine del 2016 a tutt’oggi; l’ipotesi di cui al capo S) era contestata in epoca precedente e prossima ad agosto 2017 e sino al successivo mese di ottobre. Come dire che COGNOME farebbe parte di un sodalizio che ha avuto una vita ultratriennale. Dopo avere passato in rassegna giurisprudenza interna e sovranazionale la difesa rileva che l’art. 14 del d. Igs. 34/2021 ha modificato l’art. 335 cod. proc. pen. introducendo due nuovi articoli il 335 ter e il 335 quater cod. proc. pen. volti a garantire la correttezza anche temporale dell’iscrizione e le modifiche si riflettono anche sui termini di durata delle indagini che decorrono dalla formale e corretta iscrizione. Secondo la difesa si tratta di norme di immediata applicabilità con riferimento al tempo della valutazione della prova e non al momento della sua acquisizione originaria. Una interpretazione che non intenda ancorare la inutilizzabilità alla mancata iscrizione sarebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, sintetizzato nella parità dei cittadini e con l’art. 1 CEDU oltr che con gli artt. 24, 27, 111 e 117 Cost. La difesa aveva già sollevato questione di legittimità costituzionale delle disposizioni di cui agli artt. 19 405 e 335 cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 2, 24, 111 e 117 Cost. nonché con l’art. 6 CEDU che è stata respinta con motivazione carente essendosi la Corte territoriale limitata a richiamare l’art. 88 bis del d.lgs. 159/2020, richiamando giurisprudenza risalente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
7.2.2. Con il secondo motivo la difesa deduce la violazione degli artt. 190, 192 e 238 bis cod. proc. pen. e vizio di motivazione quanto ai reati sub A) e S). A pag. 31 della sentenza si afferma che le fonti di prova sarebbero costituite dalle intercettazioni telefoniche e dalle chiamate in
reità di COGNOME e COGNOME, ritenuti genericamente credibili alla luce di pretes riscontri esterni. I giudici di merito hanno ritenuto di poter desumere la identificazione di NOME, egiziano e non tunisino come affermato dal collaboratore di giustizia, e di COGNOME dalle indicazioni risultanti d brogliacci . Inoltre, nei dialoghi si I·:let I. GLYPH I ·· parla di «somme di denaro» e mai di stupefacenti, eppure il Tribunale ha interpretato il dato assumendo che il denaro rappresenti il prezzo di transazioni illecite, reinterpretando il senso della deposizione di NOME che aveva riferito di uno scambio di macchine.
Quanto alla chiamata in correità la difesa eccepisce che le considerazioni svolte a pag. 129 sono state smentite dalle valutazioni espresse nella sentenza di primo e secondo grado del procedimento definito con giudizio abbreviato, così determinando un contrasto di giudicati. In dette sentenze si legge che le dichiarazioni rese dai collaboratori non sono dotate di affidabilità dimostrativa; in specie, quanto al capo S) si è affermato che le dichiarazioni di COGNOME che indicano COGNOME come il fornitore di cocaina, nel periodo agosto-ottobre 2017, sono prive di riscontri, pur emergendo contatti di natura illecita. Inoltre, le dichiarazion di COGNOME non sono confermate da COGNOME COGNOME ha escluso che COGNOME sia stato un abituale fornitore di cocaina del sodalizio, asserendo che questi andava spesso a ballare insieme ai fratelli COGNOME e, nel corso dell’interrogatorio reso il 7.12.2018, ha sconfessato COGNOME escludendo la sua partecipazione all’associazione e la avvenuta cessione di droga di cui «una volta aveva sentito parlare ma che non era andata a buon fine».
Con l’atto di gravame si era censurata la logicità della sentenza che ha desunto dal reato sub S) la partecipazione dell’imputato al reato associativo. Il giudizio irrevocabile espresso dal Gup del Tribunale di Roma, allegato all’atto di appello, di assoluzione del concorrente COGNOME “perché il fatto non sussiste”, giudizio fondato sulla inaffidabilità de chiamanti in correità, avrebbe dovuto condurre alla conclusione che nei rapporti tra il ricorrente e il COGNOME non si riscontrava una rilevanza illecit Analoga valutazione esprimeva la Corte di assise di appello a fronte dell’impugnazione del P.M.
Dalla irrevocabilità della sentenza con riferimento al reato sub S) discende che COGNOME sarebbe l’unico chiamato a rispondere della cessione di droga in favore di soggetti che sono stati invece assolti “perché il fatto non sussiste” e ciò sulla scorta di dichiarazioni di un collaboratore di giustizi
prive di riscontri individualizzanti, peraltro imprecise quanto al nome, all nazionalità e all’età del chiamato.
Tutto ciò, in violazione dell’art. 238 bis cod. proc. pen. dato che le sentenze irrevocabili devono essere valutate ai sensi dell’art. 192, co. 3, cod. proc. pen. dal che discende che il giudice di appello avrebbe dovuto indicare le ragioni per le quali non ha condiviso le ragioni addotte nella sentenza divenuta irrevocabile.
A questo si aggiunge che non risultano contatti telefonici tra il NOME e gli appartenenti alla presunta associazione e che sono state individuate due sole giornate di interesse investigativo, il 13 e il 21 ottobre.
Sotto altro profilo lamenta la difesa che sono stati disattesi i principi sanciti dalla giurisprudenza in tema di partecipazione all’associazione di un presunto fornitore, non essendosi soffermata la Corte di appello sulla esistenza di un vincolo durevole, tale da desumere l’adesione al sodalizio.
7.2.3. Con il terzo motivo si contesta il mancato inquadramento dell’ipotesi associativa nella previsione di cui all’art. 74, co. 6, d.P.R. 309/1990. La sentenza, richiamando quanto espresso dal primo giudice, ha ritenuto che l’unico parametro che giustificherebbe la riqualificazione è quello del valore ponderale delle cessioni degli spacciatori operativi sulla piazza di spaccio, singolarmente prese che, lungi dal rappresentare un indice di minore gravità della condotta ) costituisce un riflesso della pericolosità del sodalizio. In proposito la difesa evidenzia il ristretto ambit territoriale, l’assenza di una posizione di egemonia e di controllo del mercato, l’attività svolta in concorrenza con altri sodalizi che gestivano piazze di spaccio limitrofe; richiama giurisprudenza secondo la quale la reiterazione di episodi di cessioni non costituisce fatto idoneo a escludere l’ipotesi lieve e che la mera reiterazione degli episodi di spaccio, inquadrabili nell’alveo dell’art. 73, co. 5, d.P.R. 309/1990 è compatibile con l’ipotesi di cui all’art. 74, co. 6 dello stesso d.P.R. che proprio quel reiterazione presuppone. In tesi difensiva, nel caso in esame la rete di contatti non offre elementi atti ad escludere la lieve entità ove riferita dati ponderali dello stupefacente ceduto agli acquirenti e all’ammontare degli importi movimentati grazie al traffico illecito.
7.2.4. Con il quarto motivo si censura la sentenza con riferimento alla ritenuta qualificazione della recidiva e al trattamento sanzionatorio.
All’udienza, le parti hanno concluso come in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
GLYPH E’ manifestamente infondato il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
In proposito va premesso che, vertendosi in ipotesi di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi a vicenda, costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Tribunale, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sezione 2, n. 6560 del 8/10/2020, Rv. 280654 – 01).
Va ricordato che il presente procedimento ha quale oggetto la contestazione inerente alla sussistenza di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanza stupefacente e operante nell’ambito di una “piazza di spaccio”, creata in INDIRIZZO Roma. In proposito si rammenta che per la individuazione di una cosiddetta “piazza di spaccio” di sostanze stupefacenti non è sufficiente l’abitualità del luogo di smercio, noto ai clienti, o la compresenza di più soggetti che si occupano della cessione con specifica ripartizione dei ruoli, ma è necessaria anche la presenza di un’articolata organizzazione di vedette e controllo, posta a supporto e difesa della zona, nonché la turnazione dei soggetti dediti allo spaccio, così da garantire lo smercio senza soluzione di continuità (Sez. 6, n. 37077 del 30/06/2021, Rv. 282111). Nel caso di specie, i giudici di merito – con valutazione che non è stata fatto oggetto di censura nella presente sede – hanno ritenuto configurabile la contestata fattispecie, alla luce delle risultanze desumibili dall’attività di videoripresa operata sul posto, delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, degli esiti de attività di intercettazione telefonica oltre che dei servizi di osservazione culminati anche in arresti in flagranza e sequestri di sostanza stupefacente.
E’ stata, in conseguenza, ritenuta l’esistenza di una struttura organizzata operante con meccanismi collaudati, destinati a durare nel tempo, avente basi logistiche, previa distribuzione di ruoli (tra capo, organizzatori della piazza, pusher, soggetti impiegati con funzioni di vedetta, addetti al rifornimento dello stupefacente nonché incaricati del
prelievo del denaro). Il tutto con appositi turni predeterminati di presenze sulla piazza in modo da garantire che l’attività di spaccio si svolgesse senza soluzione di continuità.
Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME non contesta la sussistenza del sodalizio quanto la sua ritenuta partecipazione, con censure che attengono alla effettiva configurabilità dell’elemento oggettivo e soggettivo della condotta di partecipazione.
Sul punto va ricordato che eccede i limiti della cognizione di questa Corte di legittimità ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo dei giudici di merito dato che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, in virtù del disposto di cui all’art. 606, co. 1, e), cod. proc. pen. alla sola verifica delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità e, dunque, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della emersione di alcuni dei predetti vizi dal tes impugnato, ove espressamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile (Sez. 4, n. 17395 del 24/01/2023, Rv. 284556; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747).
Deve, inoltre, essere rammentato che non è consentita, in questa sede, una rivalutazione del merito delle risultanze processuali essendo preclusa, a questa Corte, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati da ricorrente come maggiormente plausibili e dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice di merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482) non essendo consentito a questa Corte di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio e men che meno di effettuare una diversa lettura degli stessi.
2.1. Gli argomenti difensivi proposti con i primi due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente in quanto meramente reiterativi delle censure mosse con l’atto di appello, adeguatamente vagliate dalla Corte territoriale, sono generici e aspecifici e non si confrontano con la motivazione posta dal giudice di secondo grado a fondamento della decisione. La Corte territoriale, da pag. 20 e ss. ha spiegato, in maniera
non manifestamente illogica e coerente con le emergenze acquisite, le ragioni per le quali COGNOME è stato ritenuto un sodale e non un mero concorrente. In particolare è stata valorizzata la messa a disposizione del sodalizio, da parte del ricorrente, di un garage nella sua disponibilità, al fine di rendere più agevole l’attività di spaccio sulla “INDIRIZZO .’ Qui, infatti, veniva custodito lo stupefacente che in maniera “rapida” veniva prelevato sotto forma di “pallette” allorquando i pusher esaurivano le dosi nella loro disponibilità. La motivazione si fonda non solo sulle dichiarazioni rese dal collaboratore COGNOME il quale ha riferito della cantina e della sua localizzazione oltre che del fatto che era COGNOME “che si occupava di andà cceukt. nella cantina di COGNOME” ma dell’intero compendio probatorio costituito dalle emergenze captative, ritenute “riscontro individualizzante alle dichiarazioni di COGNOME NOME” circa la partecipazione del ricorrente all’organismo criminale e alla specifica condotta realizzata all’interno della rete di spaccio del COGNOME, condotta questa che è stata ritenuta non solo funzionale ma agevolatrice dell’attività di smercio di stupefacenti evitando così l’accumulo di grosse quantità presso i pusher e garantendo così la continuità dei flussi di cocaina da immettere sulla piazza.
Il ricorso, inoltre, non si confronta con gli argomenti spesi a pag. 24 della sentenza impugnata, laddove, proprio con riferimento alla consapevolezza del ricorrente di far parte del sodalizio, sono stati riportati, per un verso, i commenti allarmati di COGNOME, COGNOME COGNOME, in esito alla perquisizione, sia pure con esito negativo, dei vari garage dei quali COGNOME aveva le chiavi ma ì soprattutto, =i la conversazione tra COGNOME e COGNOME nel corso della quale il primo, rassicurava il suo interlocutore dicendogli che le chiavi della cantina non le teneva lui personalmente e che, dunque, non potevano essere trovate.
Sotto altro profilo non coglie nel segno l’argomento secondo cui le condotte attenzionate e riferibili all’imputato, sarebbero circoscritte in un ristrettissimo lasso di tempo.
E’ noto, in proposito che, ai fini della verifica degli elementi costituti della partecipazione al sodalizio, e in particolare dell’affectio societatis di ciascun aderente, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato (Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021, Rv. 282122; Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, Rv. 278440 – 02). E’ noto, inoltre, che per la
configurabilità della condotta di partecipazione, izizzalizz, non è richiesto un atto di investitura formale, ma è necessario che il contributo dell’agente risulti funzionale per l’esistenza stessa dell’associazione in un dato momento storico (Sez. 4, n. 51716 del 16/10/2013, Rv. 257905; Sez. 3, n. 22124 del 29/04/2015, Rv. 263662).
2.2. E’ manifestamente infondato il terzo motivo con cui si lamenta un asserito “silenzio” motivazionale in ordine alla invocata richiesta di riqualificare la contestata condotta associativa in una ipotesi concorsuale nella attività illecita.
Sul punto va rammentato che, in sede di legittimità, non è censurabile una sentenza per il suo “silenzio” su una specifica deduzione prospettata con il gravame quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla sentenza complessivamente considerata (Sez. 5, n. 6747 del 13/12/2018, dep. 2019, Rv. 275500; Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, 256340).
Inoltre, sul punto, questa Corte ha avuto modo di precisare che «l’elemento differenziale tra la fattispecie associativa di cui all’art. d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 e quella del concorso di persone nel reato prevista agli artt. 110 cod. pen. e 73 del citato d.P.R. risiede nell’elemento organizzativo, consistendo la condotta associativa finalizzata al traffico di stupefacente in un quid pluris rispetto al mero accordo di volontà, sostanziantesi nella predisposizione di una struttura organizzata stabile che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso» (Sez. 4, n. 27517 del 12/04/2024, Rv. 286738 – 01).
Nel caso in esame, la Corte territoriale si è diffusa in maniera ampia e non manifestamente illogica in ordine alla piena partecipazione del ricorrente al sodalizio dedito al narcotraffico con argomenti che escludono la possibilità di configurare il concorso di persone nel reato.
2.3 Del pari manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso che attiene alla omessa riqualificazione del reato associativo contestato nell’alveo della previsione di cui al comma 6 dell’art. 74 d.P.R. cit. Sul punto il ricorso non si confronta con l’ampia motivazione resa dalle sentenze di merito, in conformità ai principi sanciti da questa Corte in subiecta materia. La Corte territoriale, invero, ha escluso la configurabilità dell’ipotesi invocata valorizzando la ripetitività e serialità dell’atti svolta, dietro la precisa regia del capo e dei sott’ordinati facendo sì che lo spaccio non si interrompesse mai, neppure dopo i controlli eseguiti dalle forze dell’ordine, così mettendo in luce la natura organizzata della condotta
di ciascuno dei partecipi i quali, con compiti ben definiti, contribuivano al funzionamento della piazza di spaccio dietro compenso standardizzato. E’ stato, altresì, posto l’accento sulla circostanza che l’organizzazione disponeva di basi logistiche all’interno delle quali teneva gli abbondanti quantitativi delle diverse sostanze destinate a confluire nella “piazza” con l’obiettivo di non rimanere mai sprovvisti di scorte, anche nel caso di interventi delle forze dell’ordine e di sequestri dello stupefacente.
3. E’ fondato l’unico motivo di ricorso proposto nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE relativamente al vizio di motivazione relativamente alla chiesta esclusione del ruolo di organizzatore attribuito al ricorrente in seno all’associazione di cui al capo A).
La Corte territoriale, a pag. 28, ha richiamato la sostanziale confessione dell’NOME in relazione ai reati fine a lui contestati asseritamente commessi per far fronte alle esigenze della propria famiglia, dopo la morte del padre, pur negando di aver fatto parte del sodalizio capeggiato da COGNOME e men che meno con il ruolo di organizzatore. La Corte di appello ha rilevato che NOME è stato compiutamente identificato il 21 gennaio 2018 in occasione del controllo eseguito nella piazza di spaccio sita in INDIRIZZO dell’Archeologia e successivamente identificato il 4 aprile 2019 in occasione del suo arresto in flagranza nella medesima piazza. Detti elementi sono stati ritenuti dal giudice del gravame, conferenti con le dichiarazioni di NOME COGNOME che lo aveva descritto con il ruolo di vedetta e pusher prima e poi delegato alla consegna di eroina ai venditori al dettaglio, sotto il controllo del venditore di turno.
A pag. 47 della sentenza di primo grado si legge del “pieno inserimento di RAGIONE_SOCIALE nella rete del narcotraffico onde condivide con altri associati turni di lavoro prestabiliti”; si legge, ancora, che NOME è “assunto” a tempo pieno nell’associazione, “tanto da dover chiedere l’autorizzazione al proprio superiore di assentarsi temporaneamente dal luogo di spaccio”; a pag. 78, ancora, si dà atto che il ricorrente funge da intermediario tra COGNOME e COGNOME e che riceve da COGNOME le “pallette” già confezionate.
Ad avviso di questo Collegio, la motivazione della sentenza impugnata non può dirsi idonea a giustificare l’attribuzione del ruolo di organizzatore nei confronti di RAGIONE_SOCIALE.
E’ stato affermato da questa Corte che «in tema di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, riveste la qualifica di organizzato anche colui che, pur coordinando l’attività di altri associati, ha il potere d
Ullo
determinare, in autonomia rispetto al “capo” del gruppo, sia le cessioni di droga alle quali quest’ultimo partecipi, sia la gestione di pagamenti e di controversie relative a forniture rilevanti per l’operatività del sodalizi (Sez. 3, n. 18370 del 19/01/2024, Rv. 286272 -02; Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Rv. 279476 – 02 che ha riconosciuto il ruolo di organizzatore a un imputato che dirigeva più piazze di spaccio operative in un’ampia zona territoriale di un grande centro urbano, effettuava acquisti attraverso i canali del gruppo criminale da destinare poi ai singoli incaricati della vendita al minuto, versava le somme realizzate al capo clan camorristico con il quale condivideva i guadagni, poteva contare su un organico di più soggetti a lui sottoposti in tale specifico settore).
La motivazione non appare idonea ad attribuire il ruolo di organizzatore di NOME, poiché in più passaggi evidenzia una posizione subalterna rispetto non solo a COGNOME e a COGNOME ma anche a COGNOME al quale, nell’unica occasione in cui erano assenti i “superiori” perché invitati alle nozze di COGNOME, rendeva conto dell’andamento della giornata. In altri termini la Corte territoriale non chiarisce quali sarebbero stati gli Spazi di autonomia che il diritto vivente richiede ai fini della configurabilità del ruo attribuito
Nella vicenda in esame la Corte di merito ha motivato il ruolo qualificato di NOME rilevando che, accanto alle funzioni di pusher e all’occorrenza di sentinella, l’imputato ha ricoperto funzioni di natura diversa che ha ritenuto indicative di una posizione di maggior rilievo rispetto ai meri compartecipi. A titolo esemplificativo ha evidenziato che «NOME coordina spacciatori e sentinelle e supervisiona le loro attività, funge da collettore degli incassi dei vari pusher e li trasferisce a COGNOME NOME …; servendosi della chiave fornitagli da COGNOME, preleva in più riprese la droga provvisoriamente depositata nell’auto Smart e la consegna al COGNOME ovvero la distribuisce lui stesso ai pusher presenti su piazza… sorveglia e sovraintende ai movimenti di COGNOME quando costui preleva la lavorata dagli addetti al confezionamento» e poi il giorno del matrimonio di COGNOME NOME è stato «designato alla gestione della piazza di spaccio in assenza dei superiori gerarchici invitati alla cerimonia e alla chiusura dell’attività, in qualità di soggetto responsabile», infine, che «relaziona a proprio referente COGNOME NOME sull’andamento del mercato, assicurando che la piazza ha lavorato regolarmente e che non sono insorte criticità». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Da quanto detto discende l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
E’ fondato il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME nei limiti che saranno esplicitati.
4.1. Va innanzitutto rilevato che la questione posta con il primo motivo è manifestamente infondata sia pure per motivi diversi rispetto agli argomenti eccentrici prospettati dalla Corte territoriale, la cui motivazione, sul punto, deve essere corretta. A fronte del motivo di appello con cui veniva dedotta la inutilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali dei soggett inseriti nella lista del P.M. perché non oggetto di alcuna specifica richiesta di prova, all’udienza del 14 febbraio 2023, allorquando mutava la composizione del Collegio, la Corte territoriale, rigettando la censura, ha affermato che il P.M. avrebbe prestato implicitamente acquiescenza alla sola lettura degli atti assunti dal diverso collegio in quanto «l’atteggiamento acquiescente assunto dalla parte pubblica era interpretabile come richiesta di non procedere alla rinnovazione (in senso stretto) del dibattimento ma di procedere alla sola lettura dei verbali delle prove già acquisite dal Collegio diversamente composto».
A tal fine è sufficiente richiamare i principi sanciti da questa Corte, nel suo massimo consesso (Sez. U. n. 41736 del 10/10/2019), secondo cui:
«non è necessario che il giudice nella diversa composizione sopravvenuta rinnovi formalmente l’ordinanza ammissiva delle prove chieste dalle parti perché i provvedimenti in precedenza emessi dal Giudice diversamente composto e non espressamente revocati o modificati conservano efficacia»;
«la garanzia dell’immutabilità del giudice attribuisce alle parti il diri di non vedere inutilmente reiterati, pedissequamente e senza alcun beneficio processuale, attività già svolte e provvedimenti già emessi con immotivata dilazione dei tempi di definizione del processo cui la parte può in astratto avere di fatto un interesse che, tuttavia, l’ordinamento non legittima e non tutela, bensì di poter nuovamente esercitare a seguito del mutamento della composizione del giudice, le facoltà previste dalla predette disposizioni, ad esempio chiedendo di presentare nuove richieste di prova, che andranno ordinariamente valutate»;
«può ritenersi che la rinnovazione del dibattimento debba essere espressamente disposta poiché le parti, con l’insostituibile ausilio della difesa tecnica, sulla quale incombe il generale dovere di adempiere con diligenza il mandato professionale, sono certamente in grado, con quel minimum di diligenza che è legittimo richiedere, di rilevare il sopravvenuto mutamento della composizione del giudice ed attivarsi con la formulazione
delle eventuali, conseguenti richieste, se ne abbiano, chiedendo altresì, ove necessario la concessione di un breve termine »;
– «a seguito del mutamento della composizione del giudice le parti possono esercitare nuovamente le facoltà attribuite loro dagli artt. 468 e 493 cod. proc. pen. ovvero presentare nuove richieste di prova che andranno ordinariamente valutate dal nuovo giudice prima di procedere» con la precisazione che «la facoltà di chiedere la rinnovazione degli esami testimoniali può essere esercitata soltanto da chi aveva indicato il soggetto da riesaminare in lista ritualmente depositata ex art. 468 cod. proc. pen. valendo altrimenti la loro richiesta come mera sollecitazione all’esercizio dei poteri officiosi del giudice ex art. 507 cod. proc. pen.».
4.2. Valenza assorbente assume la doglianza difensiva afferente il vizio di motivazione in ordine all’approccio valutativo della sentenza emessa nei confronti dei coimputati apprezzata dal giudice di primo grado ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen. e quindi quale documento liberamente apprezzabile stante, all’epoca, la sua natura di sentenza non ancora definitiva e assurta poi, prima che il giudizio di appello si concludesse, come riconosciuto dalla stessa Corte territoriale a pag. 46, a provvedimento che fa piena prova dei fatti in essa affermati, ai sensi e nei limiti di cui all’art. 238 bis cod. proc. pen.
Se è vero che l’acquisizione agli atti del procedimento ai sensi dell’art. 238 bis cod. proc. pen. di sentenze irrevocabili non comporta per il giudice di detto procedimento alcun automatismo nel recepimento e nell’utilizzazione a fini decisori dei fatti e dei relativi giudizi contenut passaggi argomentativi della motivazione delle suddette sentenze, dovendosi al contrario ritenere che quel giudice conservi integra l’autonomia e la libertà delle operazioni logiche di accertamento e formulazione di giudizio a lui istituzionalmente riservate (Sez. 4, n. 10103 del 01/02/2023, Rv. 284130 – 01; Sez. 1, n. 11140 del 15/12/2015, dep. 2016, Rv.266338 -01) è pur vero che l’acquisizione di un provvedimento definitivo che si pronuncia sulla materialità del fatto negandone l’esistenza, imponeva alla Corte territoriale un più qualificato sforzo motivazionale che non è apprezzabile nel provvedimento impugnato.
Quest’ultimo, infatti, si limita ad esaltare la tenuta logica dell motivazione contenuta nel provvedimento di primo grado senza nemmeno dare conto delle motivazioni che hanno indotto quel Tribunale a pervenire ad una pronuncia assolutoria con la più ampia formula e senza conseguentemente aver dimostrato di aver dato corso a quel confronto
valutativo e critico con il percorso argomentativo valorizzato da quel giudice che era l’in sé della valutazione da compiere.
A fronte di un tale vizio di motivazione le ulteriori censure difensive rimangono assorbite restando impregiudicata ogni valutazione da rimettere alla Corte territoriale circa la necessità di procedere o meno, ex art. 195 cod. proc. pen. all’audizione di NOME COGNOME, indicato dal collaboratore quale fonte delle sue conoscenze, attesa la veste di testimone puro nella quale questi dovrebbe essere sentito avendo, come detto, beneficiato rispetto agli specifici fatti in contestazione di una sentenza assolutoria ormai irrevocabile.
Le medesime ragioni sopra spiegate impongono, anche qui con valenza assorbente, l’annullamento della sentenza nei confronti del COGNOME in relazione al motivo 2.2. dedotto nel ricorso proposto dall’AVV_NOTAIO. Il fatto da cui è stato desunto il contributo causale offerto da ricorrente all’associazione, e che costituiva oggetto di autonoma imputazione (capo S), è stato accertato in via definitiva come non sussistente a carico dei coimputati NOME COGNOME, NOME COGNOME che avevano scelto di essere giudicati con il rito abbreviato nonché di COGNOME NOME che era stato assolto già dal Gup del Tribunale di Roma.
Con l’atto di gravame si era censurata la logicità della sentenza di primo grado che aveva desunto, in maniera circolare, dal reato sub S) la partecipazione dell’imputato al reato associativo oltre che la mancata considerazione delle sentenze assolutorie emesse nei confronti dei coimputati.
La Corte territoriale sul punto si è limitata a ribadire che ciascun giudice può liberamente valutare le prove messe a disposizione omettendo di rilevare che proprio l’art. 238 bis cod. proc. pen. impone un onere valutativo e, dunque, motivazionale specificando che le sentenze divenute irrevocabili possono essere acquisite ai fini della prova del fatto in esse accertato e sono valutate a norma degli artt. 187 e 192, co. 3, cod. proc. pen. In altri termini, se è consentito al giudice di giungere a un risultato valutativo diverso da quello oggetto di una sentenza definitiva è, tuttavia, necessario che il giudice che dissente spieghi concretamente perché le ragioni dell’altro giudice non si ritengono corrette.
A detto onere motivazionale la Corte territoriale si è sottratta limitandosi ad affermare a pag. 39 della sentenza impugnata che “le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, nel più approfondito vaglio
dibattimentale, a. portato a una diversa decisione” senza operare alcuna valutazione critica volta a giustificare specificamente la conciliabilità de diverso esito (Sez. 3, n. 36907 del 15/10/2020, Rv. 280278 -01).
Quanto detto comporta che tutti gli altri motivi sono assorbiti.
Per quanto esposto la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di NOME NOME con riferimento alla ritenuta qualifica di cui all’art. 74, co. 1, d.P.R. n. 309/1990, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
La sentenza impugnata deve essere inoltre annullata nei confronti di NOME e NOME COGNOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
Alla inammissibilità del ricorso proposto da COGNOME segue la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa della inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME e di NOME COGNOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME NOME con riferimento alla ritenuta qualifica di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. n. 309/90, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad