Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2856 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2856 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato il 21/12/1967 a Cosenza avverso l’ordinanza del 13/06/2024 del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile; udito l’Avvocato NOME COGNOME il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro, giudicando in sede di riesame, confermava la custodia cautelare disposta nei confronti di NOME
Mazza in relazione all’ipotesi associativa di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capo 1) e ai reati fine di cui ai capi 393), 394), 395), 396) e 399).
Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso l’Avvocato NOME COGNOME nell’interesse dell’imputato, deducendo i seguenti motivi.
2.1. Violazione degli artt. 192, 273, 292 cod. proc. pen. e vizio di motivazione quanto all’ipotesi di partecipazione ad associazione dedita al narcotraffico; violazione del diritto di difesa per omessa valutazione della memoria difensiva depositata davanti al Tribunale del riesame e conseguente vizio di motivazione quanto al recepimento del contenuto delle intercettazioni.
Premesso che l’ordinanza si limita a riproporre pedissequamente le argomentazioni prospettate in relazione alla posizione di un coindagato (NOME COGNOME, dapprima, i Giudici hanno reputato affatto attendibili i collaboratori di giustizia (COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME); poi, hanno fondato l’ipotesi partecipativa sul divieto di effettuare attività d narcotraffico al di fuori del cosiddetto “sistema Cosenza” (implicante un ferreo monopolio presidiato da apposite regole e sanzioni).
La motivazione che ne deriva è, però, illogica e contraddittoria, ponendosi in contrasto con le dichiarazioni della collaboratrice NOME COGNOME secondo cui il mercato della droga leggera era, invece, libero.
Il Tribunale del riesame propone, inoltre, una lettura parcellizzata dei dati indiziari e non chiarisce in che cosa consista il contributo dell’indagato all’interno del gruppo che faceva parte dell’associazione.
Inoltre, non risponde o travisa le deduzioni difensive con cui erano valorizzati elementi in contrasto con l’ipotesi partecipativa, come quando si rilevava: che, a fronte di un periodo in contestazione particolarmente ampio («dal 15 luglio 2016 con attualità della condotta», vi era stato un solo incontro tra COGNOME e COGNOME (come desumibile dall’intercettazione in cui il secondo affermava di non vedere COGNOME «da una vita»); oppure che COGNOME non rispose alla richiesta formulata dalla coindagata COGNOME la quale cercava chi potesse prestare una somma di danaro a COGNOME; oppure, ancora, che COGNOME intratteneva rapporti con il solo COGNOME (evocativa essendo la surriferita frase pronunciata da COGNOME); oppure, ancora, che era impossibile che COGNOME facesse parte del gruppo, visto che, come emerge dalle intercettazioni, mentre discorreva con la citata COGNOME, pensò di proporsi a lui.
Le affermazioni della collaboratrice COGNOME sull’autonomia nello spaccio delle droghe leggere rilevano poi anche in rapporto alla contestata circostanza aggravante mafiosa, indebolendo, sino ad annullarla, la consapevolezza del singolo di partecipare alla realizzazione del programma criminoso dell’associazione dedita al narcotraffico. D’altronde, se il mercato delle droghe
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leggere è libero, non può configurarsi la volontà di assoggettarsi agli scopi dell’associazione.
Infine, i Giudici del riesame non motivano la circostanza aggravante dell’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 cit.
2.2. Mancanza di autonoma valutazione (e, quindi, motivazione apparente) sui gravi indizi dei reati fine; mancata qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 73 comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 cit.
L’ordinanza impugnata riprende in modo pedissequo il contenuto dell’ordinanza di custodia cautelare, venendo meno all’obbligo di confrontarsi con esso criticamente e comprimendo, quindi, il diritto di difesa.
Non spiega da quali elementi si desuma la gravità indiziaria delle contestazioni provvisorie n. 393), 396) e 399).
Fraintende le deduzioni difensive, cui non fornisce risposta, e parcellizza le risultanze intercettive, senza spiegare perché il fatto non avrebbe potuto essere riqualificato in lieve.
2.3. Vizio di motivazione sulle esigenze cautelari e sull’adeguatezza della misura (art. 275 cod. proc. pen.).
Anche sul punto, l’ordinanza impugnata ripropone ampi stralci motivazionali già spesi in relazione alla posizione del coindagato NOME COGNOME
Ed anche in questo caso travisa le censure difensive, come quella sulla mancanza di rapporti con COGNOME, desumibile dal tenore dell’indicata intercettazione, senza darvi risposta, reputando che siano generiche deduzioni invece specifiche, come in merito alla mancata corroborazione del ritenuto rapporto sistematico e senza soluzione di continuità con il vertice del sottogruppo COGNOME nonché alla completa estraneità dell’ambiente domesticofamiliare dell’indagato a qualsivoglia attività di detenzione e spaccio di stupefacenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Preliminarmente, è opportuno ricordare che in sede di legittimità non è censurabile GLYPH un GLYPH provvedimento, GLYPH per GLYPH il GLYPH suo GLYPH silenzio GLYPH su GLYPH una specifica deduzione prospettata col gravame, quando questa risulta disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio previsto dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., che il provvedimento evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare
spazio ad una valida alternativa (Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Sirica, Rv. 276741).
Questo è quanto accade nel caso di specie in cui, al di là della teorizzazione del c.d. “sistema Cosenza” (che inferisce l’ipotesi partecipativa dalla mera operatività all’interno di un sistema, appunto, connotato da forti vincoli monopolistici nella gestione del mercato della droga), la sussistenza di gravi indizi di partecipazione all’associazione di narcotraffico in capo all’indagato è desunta dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia (i cui nomi sono riportati nel ricorso) e riscontrata in intercettazioni dal cui tenore i Giudici del riesame – con valutazione di merito, completa e non illogica (come tale, insindacabile in questa sede) – desumono la consapevolezza in Mazza di cooperare, oltre che con COGNOME, soggetto in stretto rapporto con COGNOME, direttamente con lo stesso COGNOME, che era un personaggio di spicco della consorteria, perché a capo di un sottogruppo del sistema e preposto alla soluzione delle questioni, anche personali, insorgenti in seno al medesimo gruppo.
Tale dato, insieme alla commissione di plurimi reati fine – che vedono COGNOME attivo nel ruolo della commercializzazione dello stupefacente – non immotivatamente è reputato idoneo a denotare, dunque, l’appartenenza a pieno titolo dell’indagato all’associazione, di cui peraltro COGNOME mostra di conoscere le regole, nonché la connessa affectio societatis, desumibile dalla volontà di stabilmente collaborare con il citato COGNOME, il cui ruolo era all’indagato ben noto.
Senza che, come anticipato, valga l’omessa risposta ad ogni singola deduzione difensiva, evidentemente ritenuta dai Giudici del riesame manifestamente infondata, e cioè tale da non incidere sulla ricostruzione dei fatti; senza che la suddetta conclusione sia messa in discussione dalle dichiarazioni della collaboratrice COGNOME (la quale rilevava la mera possibilità, e non certo la necessità, che le droghe leggere fossero commercializzate al di fuori del “sistema Cosenza”); senza, infine, che la somiglianza o addirittura la sovrapponibilità tra le argomentazioni svolte in relazione al ricorrente e quelle spese per altro coindagato possa rilevare, nulla escludendo – in presenza di deduzioni sul punto aspecifiche – che le posizioni dei due siano assimilabili.
Mentre, quanto alla configurabilità come “lieve” quantomeno di alcune ipotesi di spaccio, la deduzione è formulata in termini affatto generici, in aggiunta essendo il caso di ricordare che tale qualificazione è debitrice della valutazione complessiva degli elementi del fatto (Sez. 4, n. 50257 del 05/10/2023, Scorcia, Rv. 285706), al cui interno rileva – seppur, beninteso,
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in modo non esclusivo – il contesto criminale in cui le azioni sono state realizzate.
Prive di rilievo risultano inoltre le deduzioni riguardanti le aggravanti, riferite al delitto associativo, in quanto inidonee di per sé ad influire sullo status custodiae in relazione all’operatività della presunzione di cui all’art. 275 comma 3, cod. proc. pen. e al computo dei termini di durata della custodia cautelare (Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022, dep. 2023, Renna, Rv. 284489).
Parimenti infondato deve dirsi il terzo motivo di ricorso.
Le esigenze cautelari sono state, infatti, motivatamente argomentate nell’ordinanza impugnata sulla base dell’inserimento dell’indagato negli ambienti criminali e della sua propensione dell’indagato al crimine, desunta dalle intercettazioni – concernenti fatti anche recenti – oltre che dei numerosi precedenti e dai carichi pendenti dell’indagato che, oltretutto, pur nel quadro della sfera di operatività della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., risulta attualmente sottoposto alla meno grave misura degli arresti domiciliari.
Alla luce delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ex art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 11/12/2024