Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 38769 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 38769 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato in Pakistan il DATA_NASCITA NOME nato in Pakistan il DATA_NASCITA NOME nato in Pakistan il DATA_NASCITA NOME COGNOME nato in Pakistan il DATA_NASCITA
Avverso la sentenza del 15/12/2023 della Corte di appello di Ancona visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati
inammissibili;
lette le conclusioni del difensore di NOME e di NOME COGNOME, avvocato NOME COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi; lette le conclusioni del difensore di NOME, avvocato NOME
COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata è stata confermata la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Ancona che, con rito abbreviato, ha condannato:
NOME per il reato di associazione dedita al narcotraffico (capo a) e per tre reati fine contestati ai capi n. 234, n. 239 e n. 292, alla pena di anni sei e mesi quattro di reclusione, ordinandone l’espulsione dal territorio nazionale a pena espiata;
NOME per il reato di associazione dedita al narcotraffico (capo a) e per una serie di reati fine contestati ai capi n. 17-bis, n. 247, n. 249, n. 250, n. 252, n. 253, n. 255, n. 256, n. 261, n. 265, n. 266, n. 274, n. 276, n. 280, n. 282, n. 286, n. 287, n. 288, n. 289 e n. 290 alla pena di anni sei di reclusione, ordinandone l’espulsione dal territorio nazionale a pena espiata;
NOME per il reato di associazione dedita al narcotraffico (capo a), posto in continuazione con quello già giudicato dal Tribunale di Terni con sentenza del 09/10/2019, divenuta definitiva, alla pena complessiva di anni sei e mesi quattro di reclusione, ordinandone l’espulsione dal territorio nazionale a pena espiata;
NOME COGNOME per il reato di associazione dedita al narcotraffico (capo a) e per due reati fine contestati ai capi n. 17 e n. 244, alla pena di anni sei di reclusione, ordinandone l’espulsione dal territorio nazionale a pena espiata.
2 Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di NOME, NOME, NOME e NOME denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Ricorso di NOME
2.1.1. Con il primo motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge (art. 110 cod. pen., 73 e 74 d.P.R. n. 309/1990) e di difetto di motivazione in relazione alla partecipazione all’associazione.
Deduce il difensore che tale partecipazione, dal punto di vista oggettivo, non può desumersi né dalla mera commissione di taluni reati fine né dalla circostanza che siano state intercettate conversazioni con i fornitori, poiché si tratta di elementi indicativi del mero concorso nei suddetti reati.
Difetta, poi, la motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990, perché la sentenza impugnata non affronta il tema della piena consapevolezza dell’imputato di agire nell’interesse del sodalizio.
2.1.2. Con il secondo motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità dell’imputato per i delitto contestati ai capi n. 234 e n. 239.
Quanto al capo n. 234, si rileva che non è dato comprendere il percorso logico seguito per l’affermazione della responsabilità, in quanto la Corte si è limitata a un generico richiamo ai progressivi delle intercettazioni e all’esistenza di monitoraggi, senza ulteriori specificazioni.
Anche il relazione al capo n. 239 la motivazione è generica perché si riduce nel mero rinvio alle intercettazioni e alla chiamata in correità da parte di NOME COGNOME, senza riportare il contenuto delle une e dell’altra.
2.2. Ricorso di NOME
Con l’unico motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge processuale (art. 192, comma 2, cod. proc. pen.) e di difetto di motivazione in relazione alla partecipazione all’associazione. La Corte di appello ha fondato la responsabilità del ricorrente sul contenuto di intercettazioni telefoniche e su un sms, ma tali conversazioni hanno contenuto equivoco e si prestano a letture alternative. Oltre tutto il ricorrente non ha mai preso parte all’attività di trasporto non ha mai impiegato bagagli con il doppio fondo, non ha mai contribuito a immettere nel territorio nazionale stupefacente, stante il suo allontanamento, fin dal 2018, da ogni contesto criminale, tanto che non è possibile escludere che la richiesta di denaro, rivoltagli da COGNOME in una telefonata, si riferisse a un debito contratto in passato per stupefacente acquistato per uso personale. Del resto, la circostanza che il ricorrente fosse un assuntore di stupefacente è confermata da una conversazione del 09/08/2018, con cui egli chiede ad NOME un «pezzo per sé».
Il difensore, poi, ha fatto propri «i motivi di impugnazione comuni agli altri ricorrenti».
2.3. Ricorso di NOME
2.3.1. Con il primo motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge (art. 74 d.P.R. n. 309/1990) e di difetto di motivazione in relazione alla partecipazione all’associazione. La prova di tale partecipazione è basata: a) sugli esiti di intercettazione telefoniche e in particolare di quelle del 06/02/2019 e del 09/05/2019 da cui si desumerebbe che egli svolgeva il ruolo di “chimico”; b) sulla circostanza che in una occasione il ricorrente è stato sorpreso insieme alla moglie nel proprio appartamento con tre grossi frullatori utilizzabili per l’estrazione di eroina e con gr, 832,31 di questa sostanza (episodio per cui si è proceduto separatamente); c) sulla preoccupazione, manifestata nei colloqui intercettati, per la scomparsa del fratello NOME.
Rileva il difensore che, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, le conversazioni intervengono con pochissimi soggetti, tra cui NOME COGNOME e NOME
NOME, e hanno contenuto equivoco, sicché difetta la prova che gli interlocutori stiano parlando di stupefacenti. Inoltre, non risultano sequestri di sostanza stupefacente nei confronti del ricorrente oltre a quello per il quale è stato arrestato, né gli viene contestato alcun reato fine.
2.3.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce il vizio di difetto di motivazione in ordine alla quantificazione della pena, sia in relazione alla misura della riduzione per l’applicazione delle attenuanti generiche sia in relazione alla misura dell’aumento in continuazione con la sentenza del Tribunale di Terni. Sotto tale profilo si rileva che la sentenza impugnata non si confronta con le specifiche doglianze sollevate con l’atto di appello.
2.4. Ricorso di NOME COGNOME
2.4.1. Con il primo motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge (art. 74 d.P.R. n. 309/1990) e di difetto di motivazione in relazione alla partecipazione all’associazione. Manca la prova dell’esistenza del vincolo associativo, che non può essere dedotta dalla contestata commissione di due reati fine, unici elementi emergenti a carico del ricorrente in due anni di indagini, mentre le ulteriori circostanze richiamate nella sentenza impugnata sono prive del carattere di specificità (nelle intercettazioni non si parla di stupefacente, le conversazioni intervengono per lo più con soggetti nemmeno indagati, né risultano sequestri o servizi di osservazione, pedinamento e controllo a carico del ricorrente ad eccezione di quello per il quale è stato giudicato separatamente).
2.4.2. Con il secondo motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge (art. 73 d.P.R. n. 309/1990) e di difetto di motivazione in relazione al reato contestato al capo n. 17.
La sentenza impugnata ha fondato la responsabilità del ricorrente sulla circostanza che egli ha fornito i soldi per effettuare il viaggio, ma non è provato che conoscesse le motivazioni e il fine di tale viaggio.
2.4.3. Con il terzo motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge (art. 73 d.P.R. n. 309/1990) e di difetto di motivazione in relazione al reato contestato al capo n. 244.
La sentenza impugnata ha ritenuto il coinvolgimento del ricorrente nella detenzione di gr. 2.706,70 di eroina in un appartamento di Terni sulla base di intercettazioni telefoniche e su una foto in cui compare in compagnia di NOME COGNOME. Difetta, però, qualsiasi prova del suo contributo causale, morale o materiale, al reato.
2.4.4. Con il quarto motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge (artt. 132 e 133 cod. pen.) e di difetto di motivazione in relazione alla mancata applicazione delle attenuanti generiche nella massima estensione. Sotto tale profilo il ricorrente rileva che la sentenza impugnata non si è confrontata con le
doglianze contenute nell’atto di appello, limitandosi a ritenere congrua la pena in relazione alla gravità del fatto.
2.4.5. Con il quinto motivo di ricorso si deducono i vizi di violazione di legge (art. 86 d.P.R. n. 309/1990) e di difetto di motivazione in relazione alla disposta espulsione dal territorio nazionale dopo l’espiazione della pena. Manca la valutazione in concreto della pericolosità, tenuto conto della risalenza nel tempo delle condotte delittuose e dell’inserimento del ricorrente nel contesto sociale e nel mondo lavorativo.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale e difensori hanno depositato le conclusioni scritte in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché diretti, con argomentazioni in parte generiche e in parte manifestamente infondate, a ottenere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un’effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970).
Tutti i ricorsi, in misura più o meno estesa, si basano su una richiesta di nuova valutazione del contenuto delle intercettazioni delle conversazioni intercorse tra i ricorrenti.
Sul punto va ribadito il condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui, in materia di intercettazioni, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione (ex plurimis, Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar Rv. 263715).
Il giudice di merito è libero di ritenere che l’espressione adoperata assuma, nel contesto della conversazione, un significato criptico, specie quando non ha alcun senso logico nel contesto espressivo in cui è utilizzata ovvero quando emerge, dalla valutazione di tutto il complesso probatorío, che un determinato termine viene utilizzato per indicare altro, anche tenuto conto del contesto in cui la conversazione avviene (Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650).
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Inoltre, va specificato che, nell’attribuire significato ai contenuti dell intercettazioni, il giudice del merito deve spiegare i criteri adottati per attribuir un significato piuttosto che un altro. Tale iter argomentativo è certamente censurabile in cassazione, ma soltanto nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione sopra indicati.
2. Va, poi, aggiunto che nel caso di specie si è in presenza di una cd. “doppia conforme” in quanto la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale.
Dalla sentenza di primo grado emerge che, basandosi sulle intercettazioni, prevalentemente di facile e chiara comprensione quanto al loro contenuto, sono stati effettuati una serie di arresti – oltre venti- anche di soggetti non imputati ne presente processo e giudicati separatamente. L’indagine, inoltre, ha permesso di individuare una fitta rete di contatti tra gli indagati e l’esistenza di un sodalizi criminoso operante in varie zone d’Italia che, nel corso delle indagini, è stato in grado di introdurre nel territorio nazionale ingenti quantitativi di sostanza stupefacente, oltre 40 chili, sequestrata dagli investigatori. La sostanza proveniva dal Pakistan, dove gli imputati avevano costanti contatti anche in ragione del fatto che taluni di essi sovente vi si recavano direttamente. È emersa, inoltre, l’esistenza di due cellule, operanti l’una in territorio umbro, prevalentemente a Terni, e l’altra tra le province di Ancona e Macerata.
L’organizzazione utilizzava una specifica modalità di trasporto e camuffamento dello stupefacente all’interno del materiale costituente l’imbottitura dei trolley da viaggio, modalità, questa, che presuppone una specifica preparazione e il ricorso a una particolare modalità di “estrazione” della droga.
La sentenza impugnata, rimandando a quella di primo grado, conferma la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990, costituiti dal vicolo permanente, o comunque stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati, l’indeterminatezza del programma, l’esistenza di una struttura organizzativa idonea a realizzare i singoli reati fine (p. 45-46).
3. Ricorso di NOME detto NOME
3.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché non si confronta con l’apparato argomentativo contenuto nella sentenza impugnata, sufficientemente analitico, preciso e congruo rispetto alle doglianze formulate con l’atto di appello.
Va premesso che, secondo il condivisibile orientamento giurisprudenziale, integra la condotta di partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti la disponibilità all’acquisto costante della sostanza di cui il sodalizio fa commercio, ove, unitamente ad altri indici comprovanti l’inserimento organico nella associazione, determini uno stabile rapporto con questa (Sez. 4, Sentenza n. 3398 del 14/12/2023, COGNOME, Rv. 285702 – 01).
La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, dando rilievo, ai fini della prova dell’appartenenza all’associazione, alla costante disponibilità del ricorrente all’acquisto di ingenti carichi di eroina per conto del sodalizio (gr. 3323 il 15-17/04/2018, gr. 547 il 11-12/12/2018, gr. 1066 il 07-08702/2019, gr. 261,24 il 13/12/2019), ai frequenti e diretti contatti con i fornitori pakistani e co vari sodali, al ruolo svolto all’interno della cellula marchigiana, al coinvolgimento in una fornitura proveniente dal Pakistan di cui il ricorrente ha diretto le trattative e le operazioni di trasporto.
3.2. Il secondo motivo di impugnazione è inammissibile perché generico.
In riferimento al capo n. 234 (in cui è contestato all’imputato di essere destinatario della fornitura di gr. 547 lordi di eroina) la responsabilità del ricorrente è desunta dal contenuto delle intercettazioni telefoniche, non sindacabile in questa sede perché la relativa motivazione non è manifestamente illogica né irragionevole, e dal monitoraggio (positioning) del corriere, fermato a .Jesi con lo stupefacente.
In riferimento al capo n. 239 la Corte, pur dando atto della genericità dei motivi di appello sul punto, ha confermato la sentenza di primo grado, che ha fondato il giudizio di colpevolezza non solo sul contenuto delle intercettazioni telefoniche ma anche sulla chiamata in correità del corriere, arrestato con 1.066 gr. di eroina.
4. Ricorso di NOME detto NOME
L’unico motivo di ricorso è inammissibile perché postula una lettura alternativa del contenuto delle intercettazioni telefoniche, non ammessa in sede di legittimità, se non nei casi e nei limiti sopra ricordati, che nel caso di specie non ricorrono.
La Corte evidenzia che il ricorrente, detto NOME, è costantemente dedito alla cessione di stupefacente che si procurava da COGNOME impiegando due corrieri, poi arrestati il 14/08/2018 con ovuli di eroina nel loro corpo. Costoro, in sede di interrogatorio, hanno indicato nel ricorrente il mandante del viaggio e hanno dichiarato che da due anni era dedito allo spaccio di stupefacenti.
La miriade di cessioni di stupefacente poste in essere per un periodo prolungato (quanto meno marzo-luglio 2018 secondo le contestazioni) lo hanno fatto ritenere un punto di riferimento per i sodali. Dallo svolgimento di un’attività
sistematica e continuativa di cessione di sostanze droganti per un apprezzabile periodo di tempo, dalla omogeneità delle condotte e dalla loro continuità cronologica la Corte ha tratto la conclusione dell’appartenenza del ricorrente al gruppo marchigiano dell’associazione.
Tale motivazione, logica e immune da vizi, si sottrae a ogni censura in sede di legittimità.
Inammissibile, perché del tutto generico, è, poi, il richiamo ai “motivi di impugnazione comuni agli altri ricorrenti”.
5. Ricorso di NOME
5.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché, in parte, è versato in fatto e perché, per altra parte, postula una lettura alternativa del contenuto delle intercettazioni telefoniche, non ammessa in sede di legittimità, se non nei casi e nei limiti sopra ricordati, che nel caso di specie non ricorrono.
La sentenza impugnata ricostruisce puntualmente il ruolo del ricorrente all’interno dell’associazione, sulla base di conversazioni del tutto esplicite (prog. 1617 in cui, riferendosi a una prossima fornitura NOME dice «io estraggo la roba, mi pagano e prendono la roba.. la estraggo io, a me hanno insegnato come si fa»), della disponibilità a tenere in deposito eroina presso la propria abitazione (in occasione del suo arresto, per cui si è proceduto separatamente, è stata rinvenuta a casa sua eroina divisa in tre involucri per un peso totale di gr. 823,1, oltre a tre grossi frullatori; dalle conversazioni precedenti emerge che egli si sarebbe occupato dello stoccaggio e della trasformazione estraendola dal materiale in cui veniva occultata per il trasporto).
Inoltre, le indagini hanno dimostrato che egli si è prodigato per l’acquisto di un’autovettura intestata ad altro indagato e utilizzata per tutti gli spostamenti dei sodali e per il trasporto degli strumenti utilizzati per la trasformazione della droga; rilevante, infine, è stato considerato il ruolo avuto nell’importazione di eroina per cui è stato arrestato il fratello NOME (il ricorrente è stato in costante contatto via wapp con il fratello lungo il tragitto, subito dopo l’arresto ha effettuato una serie frenetica di chiamate per capire cosa fosse successo).
Tale motivazione è logica e resta esente da qualsivoglia censura di legittimità. 5.2. Il secondo motivo di impugnazione, relativo al trattamento sanzionatorio, é inammissibile perché generico.
In materia va rilevato che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione,
miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, Sentenza n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv. 259142 01).
Nel caso di specie, la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto sussistere il vincolo della continuazione tra il reato associativo reato e il reato fine per cui il ricorrente è stato arrestato e giudicato separatamente con sentenza divenuta definitiva. Pertanto, ritenuto più grave il reato associativo la pena è stata determinata nel seguente modo: pena base anni dieci di reclusione, ridotta per l’applicazione delle attenuanti generiche ad anni otto di reclusione, aumentata per il reato fine ad anni nove e mesi sei di reclusione, ridotta per il rito ad anni sei e mesi e mesi quattro di reclusione.
La Corte di appello, con valutazione logica e immune da vizi, ha confermato tale valutazione, ritenendo il trattamento sanzionatorio equo e proporzionato.
6. Ricorso di NOME COGNOME
6.1. Il primo motivo, con cui si contesta la sentenza impugnata nella parte relativa alla ritenuta partecipazione all’associazione finalizzata al narcotraffico è manifestamente infondato.
Dalla sentenza emerge che il ricorrente: a) ha organizzato dal Pakistan una importazione di 18.000 gr. di eroina, incontrando il fornitore, fornendo il denaro al corriere NOME COGNOME (prog. 158), poi fermato e arrestato all’arrivo a Malpensa con la droga occultata all’interno della gommapiuma del trolley con le consuete modalità in uso all’associazione – episodio contestato al capo n. 17-. Dalle conversazioni emerge che il ricorrente era seccato perché il corriere si era rifiutato di tenere “i borsoni” a casa sua e tardava a partire, tanto che, ad un certo punto, si è offerto di accompagnarlo; b) frequentava il luogo ove normalmente si trovavano gli associati della cellula umbra in Terni; c) dopo il sequestro di due valigie contenenti 2700 gr. di eroina e 280 gr. di cocaina in un appartamento in Terni (sequestro effettuato in seguito all’ascolto delle telefonate e a un servizio di osservazione, pedinamento e controllo, in assenza degli imputati, dopo che la polizia giudiziaria aveva ottenuto le chiavi dell’appartamento dalla proprietaria) si è incontrato con i correi, ha discusso con loro sul modo di recuperare la droga e ha espresso il convincimento che lo stupefacente fosse stato rubato da una persona interna al gruppo, arrivando a minacciare di “far sistemare la cosa” in Pakistan; c) beneficiava di una percentuale dei guadagni delle vendite dello stupefacente. In numerosi servizi di osservazione, pedinamento e controllo, poi, è stato visto unitamente ad altri soldali ed è stato arrestato ad Orvieto unitamente a NOME con 2.0779 gr. di eroina.
A fronte di tali elementi valorizzati nella sentenza impugnata, il ricorrente, nell’atto di impugnazione, chiede una sostanziale rilettura degli elementi di fatto e una nuova valutazione delle conversazioni intercettate, inammissibile in questa sede.
6.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato perché non si confronta con la motivazione della sentenza di merito, limitandosi a riproporre le doglianze già espresse nell’atto di appello e puntualmente disattese dal giudice di secondo grado. Infatti, lungi dal fondare la responsabilità per il reato contestato al capo n. 17 (importazione dal Pakistan di 18.000 gr. di eroina) solo sulla circostanza che egli ha fornito il denaro per effettuare il viaggio, la Corte di appello ha ripercorso, con l’analisi delle conversazioni intercettate, le trattative e gli incontri avvenuti Pakistan, nei termini riportati al punto che precede.
6.3. Anche il terzo motivo non supera il vaglio di ammissibilità perché consiste in una mera riproposizione della doglianza fatta valere in appello e respinta con motivazione logica e immune da vizi della Corte di appello. La responsabilità del ricorrente per la detenzione dello stupefacente dell’appartamenti di Terni (capo n. 244) come sopra ricordato è desunta da una pluralità di elementi: il fatto che il ricorrente fosse presente a Terni, dove è stato fotografato durante un servizio di polizia giudiziaria, la circostanza che egli è stato immediatamente informato della “sparizione” dello stupefacente (in realtà sequestrato dalla p.g.), ancora, il fatto che abbia discusso con i correi su come recuperare la droga. ipotizzando che fosse stata sottratta da un appartenente al gruppo e minacciando di far sistemare la cosa in Pakistan.
6.4. Il quarto motivo, relativo al trattamento sanzionatorio, è inammissibile perché mira ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non è stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico ed è sorretta da sufficiente motivazione (la Corte di appello ha confermato la valutazione del Tribunale che aveva tenuto conto della gravità del fatto ma era partito dal minimo edittale, aveva applicato le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, trattandosi di fatti datati, e aveva aumentato di un anno la pena per il grave episodio di cui al capo 17 – importazione di gr. 18.000 di eroina-).
6.5. Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, richiamata anche nella sentenza impugnata, ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione dello straniero, ai sensi dell’art. 86 del d.P.R. n. 309 del 1990, per l’avvenuta commissione di reati in materia di stupefacenti, è necessario non solo il previo accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale del condannato, in conformità all’art. 8 CEDU in relazione all’art. 117 Cost., ma anche
l’esame comparativo della sua condizione familiare, ove ritualmente prospettata, con gli altri criteri di valutazione indicati dall’art. 133 cod. pen., in una prospetti di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza sociale e interesse del singolo alla vita familiare, pur nel caso in cui gli altri componenti del nucleo familiare del predetto non siano cittadini italiani (Sez. 3, Sentenza n. 10749 del 07/02/2023, Jahaj Artiol Rv. 284317 – 01).
Nel caso di specie la Corte di appello ha fatto corretta applicazione di questi principi, ritenendo che la gravità delle condotte, la loro reiterazione, l’inserimento non occasionale nell’ambito di una associazione particolarmente strutturata, capace di movimentare ingenti quantitativi di stupefacente con tecniche molto particolari, siano indici concreti di una elevata pericolosità, idonea a costituire il presupposto per l’espulsione. Non sono stati ritenuti ostativi a tale misura il regolare esercizio di una attività lavorativa in Italia, peraltro fonte di un modesto reddito, e la circostanza che il nucleo familiare «asseritamente» viva in Italia, atteso che l’allegazione è stata generica e nessuna particolare esigenza è stata prospettata.
I ricorsi vanno, dunque, dichiarati inammissibili. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue l’obbligo al pagamento delle spese processuali e della sanzione di euro tremila in favore della Cassa per le ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16/09/2024