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Associazione narcotraffico: conferma Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere per un giovane accusato di partecipazione a un’associazione narcotraffico a conduzione familiare. Il ricorso, basato sulla presunta marginalità del suo ruolo e sull’inadeguatezza delle prove, è stato respinto. La Corte ha ritenuto che l’indagato fosse pienamente inserito nel sodalizio, con compiti che andavano oltre la semplice vendita di stupefacenti, includendo l’intermediazione, la vedetta e la custodia delle armi del gruppo. Questa profonda integrazione e la stabilità della sua dedizione al traffico illecito hanno giustificato la decisione, superando le obiezioni relative al tempo trascorso dai fatti contestati.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione Narcotraffico: Stabilità del Sodalizio e Ruolo Familiare

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33598/2024, si è pronunciata su un caso di associazione narcotraffico a base familiare, confermando l’importanza di una valutazione complessiva del ruolo dell’indagato all’interno del sodalizio ai fini dell’applicazione delle misure cautelari. La decisione sottolinea come la piena integrazione nel gruppo criminale, dimostrata da compiti fiduciari, possa superare la tesi difensiva di un coinvolgimento marginale.

I fatti del caso: Un’organizzazione a conduzione familiare

Il caso nasce dall’impugnazione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di un giovane, accusato di far parte di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 d.P.R. 309/1990) e di specifici episodi di spaccio. L’organizzazione criminale, secondo l’accusa, era strutturata come una “famiglia allargata”, composta da tre fratelli al vertice e dai familiari della compagna di uno di essi.

La strategia del gruppo era quella di ramificare l’attività di narcotraffico, affidando ai familiari il compito di vendita al dettaglio e di rendicontazione dei proventi. L’indagato, in particolare, svolgeva un ruolo poliedrico: agiva come intermediario per il padre, si occupava della commercializzazione delle sostanze e fungeva da vedetta e supporto logistico nei momenti di criticità, come in occasione di controlli da parte delle forze dell’ordine.

La difesa del ricorrente: Ruolo marginale e vizi di motivazione

La difesa ha contestato l’ordinanza del Tribunale del Riesame, sostenendo l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza per il reato associativo. Secondo il ricorrente, il suo ruolo era quello di un semplice ‘pusher’, senza alcuna cointeressenza negli utili dell’associazione. Si evidenziava, inoltre, come i rapporti con il capo del sodalizio fossero tesi a causa di debiti contratti dal padre.

Venivano inoltre sollevate censure sulla qualificazione giuridica dei fatti, ritenendo l’organizzazione rudimentale e i quantitativi di droga modesti, e sulla proporzionalità della misura cautelare, data la giovane età dell’indagato, lo stato di incensuratezza e il tempo trascorso dai fatti contestati (risalenti al 2021).

Le motivazioni della Cassazione sull’associazione narcotraffico

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo la motivazione del Tribunale del Riesame logica e giuridicamente corretta. I giudici di legittimità hanno chiarito che il ruolo del ricorrente non era affatto marginale, ma quello di un soggetto pienamente coinvolto nella struttura associativa.

La Corte ha valorizzato diversi elementi:
1. Integrazione organica: L’indagato non era un mero esecutore di ordini, ma partecipava attivamente alla distribuzione capillare dello stupefacente insieme ai suoi genitori, rendicontando direttamente al capo dell’organizzazione.
2. Rapporto fiduciario: Un elemento decisivo è stato il rapporto di fiducia che legava l’indagato al vertice del sodalizio. Egli era a conoscenza del nascondiglio delle armi del gruppo e aveva ricevuto l’incarico di recuperarle “se succede qualcosa”. Questo compito, secondo la Corte, dimostra un contributo fondamentale all’organismo associativo, ben oltre la semplice attività di spaccio.
3. Attualità delle esigenze cautelari: Riguardo al tempo trascorso, la Cassazione ha ribadito che esso deve essere bilanciato con la “stabilità” della dedizione dell’indagato al traffico organizzato e con fatti recenti che dimostrino la sua permanenza in quell’ambiente criminale, confermando così la sua attuale pericolosità sociale.

La Corte ha inoltre escluso la possibilità di riqualificare i reati di cessione come fatti di lieve entità, poiché inseriti in un contesto associativo caratterizzato da costante disponibilità di varie tipologie di droghe e una vasta platea di acquirenti.

Conclusioni: La valutazione complessiva del coinvolgimento nel sodalizio

La sentenza in esame offre un importante principio guida per i casi di associazione narcotraffico, specialmente quelle a carattere familiare. La partecipazione a un sodalizio criminoso non si misura solo sul numero di cessioni di droga effettuate, ma sulla qualità del contributo offerto all’organizzazione. Elementi come la gestione della logistica, la partecipazione alle strategie di vendita e, soprattutto, l’affidamento di compiti delicati come la custodia o il recupero di armi, sono indicatori inequivocabili di un’adesione piena e consapevole al patto criminale. La decisione ribadisce che, ai fini della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il giudice deve compiere una valutazione globale e non frammentaria delle prove, ricostruendo il ruolo effettivo dell’indagato all’interno della struttura illecita.

Quando un semplice spacciatore diventa un partecipe di un’associazione a delinquere?
La partecipazione a un’associazione si configura quando l’attività non è più un episodio isolato, ma si inserisce stabilmente nella struttura organizzativa del gruppo. Secondo la sentenza, elementi come l’agire da intermediario, fungere da vedetta e, in modo decisivo, essere a conoscenza e avere l’incarico di gestire le armi del sodalizio, dimostrano un’integrazione piena e consapevole che va oltre il ruolo di mero spacciatore.

Il tempo trascorso dai fatti contestati può far venir meno le esigenze cautelari?
Non automaticamente. La Corte di Cassazione ha specificato che il decorso del tempo deve essere valutato insieme ad altri fattori. Se emerge una “stabilità” nella dedizione dell’indagato al crimine e vi sono fatti recenti che indicano la sua permanenza nell’ambiente del traffico di stupefacenti, la pericolosità sociale può essere considerata ancora attuale e giustificare la misura cautelare.

In un’associazione narcotraffico familiare, il legame di parentela è sufficiente a provare la partecipazione?
No, il legame di parentela è solo il contesto in cui si sviluppa l’attività criminale, ma non è di per sé prova di partecipazione. La sentenza dimostra che è necessario provare il contributo concreto, volontario e consapevole dell’individuo agli scopi dell’associazione, attraverso azioni specifiche come la partecipazione alla distribuzione, la rendicontazione dei profitti al capo e l’assunzione di ruoli fiduciari all’interno del gruppo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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