Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33598 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33598 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nato a Messina il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 01/03/2024 del Tribunale di Messina visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Messina, quale giudice del riesame, confermava l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina del 14 febbraio 2024, che aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai reati di cui ai capi 1) (art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990) e 2) e 7) (art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990).
COGNOME è stato ritenuto gravemente indiziato della partecipazione ad un sodalizio, a composizione familiare, dedito al narcotraffico, nonché del concorso
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nella detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, nonché dell’acquisto e trasporto di grammi 5,40 di cocaina.
Da quanto emerge dai provvedimenti di merito, l’associazione ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 era composta dai tre fratelli COGNOME, tra i quali NOME, con il ruolo di reggente, nonché, tra gli altri, dalla compagna di questi, NOME COGNOME, dai familiari della donna, ovvero i genitori NOME e NOME COGNOME, érl 42LA10 fratello NOME COGNOME.
La strategia della associazione era di ramificare, attraverso la “famiglia allargata”, l’attività di narcotraffico, così da rendere più capillare e sicuro smercio, affidando in particolare ai COGNOME il compito di vendere e di rendicontare a NOME COGNOME gli esiti delle operazioni concluse.
In particolare, NOME COGNOME aveva manifestato la sua partecipazione al sodalizio svolgendo il ruolo sia di intermediario del padre NOMENOME NOME di addetto alla commercializzazione delle sostanze stupefacenti / sia di aiuto e di vedetta nei momenti di fibrillazione del sodalizio per i controlli subiti da parte delle for dell’ordine.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del COGNOME, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 273 cod. proc. pen., 74 d.P.R. n. 309 del 1990 (capo 1) e alla sussistenza di gravi indizi della partecipazione al sodalizio criminoso.
La motivazione sulla gravità indiziaria sul capo 1) è illogica in quanto basata su un quadro indiziario inidoneo.
Dalle captazioni – che si riferiscono a c.d. “droga parlata” e a contatti con · NOME COGNOME per quantità minime e scadentt di stupefacente – il Tribunale ha tratto il convincimento che il ricorrente fosse un pusher ue la longa manus del COGNOME.
Come può evincersi dalle captazioni non vi è alcuna conversazione dalla quale emerga alcun tipo di cointeressenza finalizzata ad un utile o profitto del ricorrente dalla attività del COGNOME. Anzi, era emerso che COGNOME si rifiutasse di fornire stupefacente al ricorrente per i debiti contratti dal padre.
La condotta del ricorrente poteva essere qualificata come concorso nelle cessioni di stupefacente programmate, difettando sinergie con gli associati, programmazione di attività di narcotraffico, utili o profitti del ricorrente.
Anche il riferimento alla disponibilità di armi da parte del gruppo non assume tu elemento indiziante in quanto relativo soltanto ai rapporti con il COGNOME e difetta una relazione con il narcotraffico.
La difesa richiama i principi in tema di partecipazione ad un sodalizio criminale e del ruolo di mero intermediario.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 273 cod. proc. pen., 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990 (capo 1) e 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 (capi 2 e 7) e alla qualificazione giuridica dei fatti.
Censurabile è l’ordinanza impugnata anche sotto il profilo della corretta qualificazione dei fatti.
L’associazione di cui al capo 1) è un gruppo a carattere familiare che ha movimentato quantitativi di stupefacenti assai modesti con un’organizzazione rudimentale. Occorre in ogni caso esaminare il momento genetico dell’associazione, non esseno sufficiente valutare i singoli episodi di cessione accertati in concreto, e la potenzialità offensiva dell’organizzazione.
NOME COGNOME risponde della cessione di 5,50 grammi di cocaina (capo 7).
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 273, 274 e 275 cod. proc. pen. e al criterio di proporzionalità della misura e della concretezza ed attualità delle esigenze cautelari.
Il Tribunale ha ritenuto proporzionata la massima misura cautelare, pur trattandosi di fatti risalenti a tre anni prima della emissione della misura cautelare (le condotte riferite al ricorrente si arrestano al luglio 2021).
Il Tribunale ha valorizzato la elevata caratura criminale e la circostanza del fermo del 12 maggio 2023, non considerando che il ricorrente è persona nata nel DATA_NASCITA ed incensurata e che in occasione del fermo veniva trovato in possesso di 0,95 grammi di marijuana ben compatibili con l’uso personale.
In modo illogico è stata invece ritenuta adeguata la misura domiciliare per la posizione della madre del ricorrente.
La difesa invoca l’applicazione dei principi di diritto in tema di incidenza del tempo trascorso ai fini dell’attualità del pericolo di recidiva anche in presenza di reati ex art. 275, comma 3 cod. proc. pen.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il AVV_NOTAIO generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente da rigettare.
Il primo motivo reitera una questione già adeguatamente affrontata dal Tribunale, anche invitando questa Corte ad una non consentita diretta valutazione del materiale captativo.
Non è inutile ribadire quali siano i limiti alla sindacabilità, in questa Sede, d provvedimenti adottati dal Tribunale del Riesame sulla libertà personale.
Secondo un consolidato principio in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di dirit che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (tra tante, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976).
Ciò premesso, va rilevato che il Tribunale, in costante e lineare confronto con il materiale captativo, ha spiegato come il ricorrente fosse pienamente coinvolto nella struttura associativa, formata anche dai suoi parenti e non solo dai fratelli COGNOME, interfacciandosi con il capo NOME NOME come un mero pusher all’occasione incaricato delle vendite, ma in un rapporto di comunione di affari e interessi, nel quale il ricorrente concorreva, con i genitori, nella distribuzion capillare dello stupefacente, della quale rendicontava al reggente.
Tale coinvolgimento nel sodalizio era anche plasticamente dimostrato dalla premura con cui il ricorrente aveva allontanato dall’abitazione dei COGNOME, nella quale era in atto attività di spaccio ad opera di NOME COGNOME, gli avventori al momento della perquisizione dell’aprile 2021; come anche dalla messa a conoscenza del ricorrente da parte del COGNOME del nascondiglio delle armi (che venivano ben pulite ogni mese per essere efficienti all’uso) e dall’incarico datogli di andarle a prendere “se succede qualcosa”. Lo stesso ricorrente aveva riscontrato problemi per alcune armi, segnalandoli al COGNOME.
Quest’ultima circostanza rivelava infatti non solo il rapporto fiduciario che legava i due soggetti, ma anche il contributo prestato dal ricorrente all’organismo associativo.
Logicamente il Tribunale ha ritenuto che la costante messa a punto delle armi, ben occultate in un luogo di deposito, fosse correlata alla loro attività illecita (” succede qualche cosa…. le prendi”).
Inoltre, negli affari illeciti di smercio il ricorrente si era rivolto anche all fratello dei COGNOME, NOME, per chiedere un anticipo sui profitti dell’attività spaccio.
Non risulta infine distonica con il ragionamento giustificativo del Tribunale la captazione segnalata dal ricorrente con la quale egli si rapportava ad NOME COGNOME per le difficoltà del padre di onorare i debiti per l’acquisto di una fornitura.
Era infatti emerso come i COGNOME si occupassero della capillare distribuzione dello stupefacente, che veniva a loro fornito dai COGNOME che a loro volta dovevano rapportarsi al loro fornitore per l’acquisto (e pagamento) dello stupefacente: è proprio il ricorrente a suggerire al cognato COGNOME, nell’interesse del sodalizio, di farsi dare una fornitura più piccola che sarebbe stata venduta da loro più rapidamente così da garantire, con immediati ricavi, la catena degli approvvigionamenti.
Quanto alla qualificazione giuridica dei fatti, da quanto emerge dal provvedimento impugnato la questione non è stata posta al Tribunale. Né la difesa ha dedotto con il ricorso di aver avanzato tale profilo in sede di riesame.
Tanto premesso, va rammentato che la questione sulla qualificazione giuridica del fatto rientra tra quelle su cui la Corte di cassazione può decidere ex art. 609 cod. proc. pen. e, pertanto, può essere dedotta per la prima volta in sede di giudizio di legittimità purché l’impugnazione non sia inammissibile e per la sua soluzione non siano necessari accertamenti di fatto (tra tante, Sez. 2, n. 17235 del 17/01/2018, Rv. 272651).
Esaminata la questione posta dal ricorrente in questa prospettiva, va osservato che il ricorso non evidenzia aspetti dirimenti – già accertati in sede di merito – sui quali la Corte Suprema possa operare il controllo sulla corretta qualificazione giuridica dei fatti.
Infatti, il ricorso si limita a generiche argomentazioni sulla organizzazione dell’associazione e sui quantitativi che la stessa era in grado da, smerciare, operando un rinvio preliminare a questioni di fatto ostative alla deducibilità del motivo per la prima volta con il ricorso per cassazione.
Sotto altro verso, il Tribunale (cfr. pag. 2 dell’ordinanza impugnata) offre una ricostruzione di segno contrario, quanto alle potenzialità offensive del sodalizio, evidenziando la costante disponibilità di sostanze di varia tipologia e la ampia e ramificata platea di acquirenti. In questo contesto associativo si inserivano le cessioni descritte ai capi 2) e 7) i che pertanto non appaiono qualificabili in questa Sede come fatti di lieve entità, solo in considerazione del quantitativo trattato (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076).
Non può essere accolto l’ultimo motivo sulle esigenze cautelari.
Il Tribunale ha ritenuto che non vi fossero elementi in grado di scalfire la doppia presunzione relativa prevista per il delitto ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Né può dirsi censurabile l’ordinanza impugnata in ordine al fattore “tempo”.
Va rammentato che, anche per i reati ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen., il tempo trascorso dai fatti contestati deve essere espressamente considerato dal giudice della cautela, ove si tratti di un “rilevante arco temporale” privo di ulterio condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità (per tutte, Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, Rv. 286202).
Nel caso in esame, il rilevante arco temporale andava da un lato rapportato al giudizio espresso dal primo giudice, richiamato dal Tribunale, quanto alla “stabilità” dimostrata dal ricorrente nella dedizione al traffico organizzato – nell specie risalente al novembre 2020, e dall’altro ai fatti sintomatici, indicati da Tribunale, di epoca recentissima della permanenza dell’indagato nell’ambiente del traffico di stupefacenti.
Tale giudizio di fatto si presenta non manifestamente illogico e rispettoso del principio sopra indicato.
Sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 03/07/2024.