Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 44355 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 44355 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato in Nigeria il 10/01/1980 COGNOME nato in Nigeria il 22/06/1994 NOME COGNOME nato in Nigeria l’1/01/1992 NOME COGNOME nato in Nigeria il 02W08/1992 avverso la sentenza della Corte di appello di Torino del 03/07/2023 udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale con cui si chiede che i ricorsi siano dichiarati inammissibili.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Torino, parzialmente riformando la sentenza emessa dal Tribunale di Torino, su concorde richiesta della parti, dichiarati inammissibili i motivi di appello oggetto di rinuncia, ha confermato la pena inflitta a Ojhe Monday per i capi 1 (art. 416-bis cod. pen.) e 29 (artt. 81, 110 cod. pen. e 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309), mentre ha ridotto le pene inflitte a Okafor Chuks – dichiarando non doversi procedere per mancanza di querela per il reato di cui al capo 9 e confermando la condanna per i capi 1 (art. 416-bis cod. pen.) 10 (artt. 582, 583, 585) 11 (artt. 110, 629 cod. pen.),
24 (artt. 110, 582-585 cod. pen.), 29 e 30 (artt. 81, 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309/1990) – a NOME Collins, ritenuta l’unicità del reato con riferimento alle condotte contestate nei capi 1 dei procedimenti R.G. 14149/18 e R.G. n. 8693/21, riqualificato ex art. 416-bis, comma primo, cod. pen., confermando le condanne per i capi 2 (artt. 612 e 339 cod. pen.), 3 e 4 e 6 (artt. 582-585 cod. pen.), 5 (artt. 110 e 628 cod. pen.) procedimento n. 8693/21 – a Osayande Aisha, riconoscendo la circostanza attenuante ex art. 114 cod. pen. e confermando le condanne per i reati oggetto dei capi 1 (art. 416-bis cod. pen.) e 17 (artt. 3 n. 8 e 4 n. 7 legge 20 febbraio 21958 n. 75 riuniti sotto il vincolo della continuazione.
Nei ricorsi presentati dai difensore degli imputati si chiede l’annullamento della sentenza.
2.1. I ricorsi congiunti di COGNOME e COGNOME si fondano su tre motivi.
2.1.1. Con il primo motivo, si deducono violazione di legge e vizio della motivazione nella valutazione delle dichiarazioni accusatorie del coimputato NOME COGNOME e del collaborante con l’Autorità giudiziaria NOME COGNOME le quali risultano prive di riscontri e delle quali non sono previamente valutate la reciproca autonomia e la valenza individualizzante.
Si argomenta, inoltre, che manca la prova del carattere mafioso della associazione criminale per la quale si procede, assumendo che: non è stato utilizzato un linguaggio criptico, ma un «linguaggio inglese di provenienza nordica, tipico della cultura nigeriana e dell’ispirazione scandinava»; l’organizzazione della attività è un carattere ordinario di ogni associazione, come anche l’esistenza di una cassa comune, e non ha di per sé una valenza illecita; non è dimostrato un collegamento con l’associazione operante in Nigeria; il programma delinquenziale è espresso nelle inattendibili dichiarazioni di COGNOME; l’esistenza di riti di affiliazio e della natura permanente del vincolo associativo non trova riscontri nei contenuti delle conversazioni intercettate; l’intimidazione interna non equivale alla esteriorizzazione del metodo mafioso necessaria per configurare i reato ex art. 416-bis cod. pen.; degli scontri con altri gruppi la sentenza impugnata non valuta le reali cause.
2.1.2. Con il secondo motivo, si deduce violazione della legge in relazione al reato ex art. 73 d.P.R. n. 309/1990 oggetto del capo 29, perché la sentenza impugnata non ha riqualificato il fatto come di lieve entità, considerando la vendita di quantità minime di droga a clienti occasionali.
2.1.3. Con il terzo motivo di ricorso, relativo soltanto a Monday Ojhe, si deduce che non è stato provato un ruolo attivo dell’imputato all’interno del gruppo dei Viking.
2.2. Nel ricorso di COGNOME si deduce vizio della motivazione nell’affermare la responsabilità dell’imputato quale organizzatore della associazione, nonostante il numero esiguo (rispetto alle 30 riunioni che l’imputato avrebbe organizzato), di telefonate nelle quali egli compare e che i contenuti delle conversazioni non forniscano inequivoci elementi per questa conclusione.
2.3. Nel ricorso di Osayande si deduce vizio della motivazione circa il «concreto adeguamento della pena alla effettiva gravità del fatto e alla personalità dell’imputato».
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi congiunti di COGNOME e COGNOME sono inammissibili.
1.1. Il primo e il terzo motivo sono inammissibili.
1.1.1. Come è stato è precisato nella sentenza impugnata, la difesa di COGNOME non ha contestato la partecipazione dell’imputato alla associazione per delinquere, né il suo ruolo (operativo) di executional (p. 127). La Corte di appello ha vagliato analiticamente i contenuti delle conversazioni intercettate e le convergenti dichiarazioni di COGNOME e COGNOME che forniscono dati, specificamente riferiti al ricorrente, che rendono manifesto il suo ruolo attivo nella organizzazione, tanto da portare alla sua ammissione al livello apicale (il RAGIONE_SOCIALE) della organizzazione (p. 128-131).
Anche la partecipazione dell’imputato COGNOME alla associazione è stata motivata, senza incorrere in manifeste illogicità, sulla base della rapina subita dall’imputato per opera degli associati e a causa del fatto che egli si era rifiutato di versare la quote per il mantenimento dei sodali incarcerati: la Corte &appello ha evidenziato che tale rapina fu commessa come sanzione per il comportamento scorretto di COGNOME e che tutta la vicenda fu gestita dal gruppo secondo le sue regole di organizzazione interna, sino alla riconciliazione con gli altri associati tramite la mediazione del pilot Okosodo, sancita dalla dazione di una dose di stupefacente da parte del ricorrente e dalla organizzazione, proprio a casa sua, di una importante riunione organizzativa (p. 132-134).
1.1.2. La sentenza impugnata ha sviluppato una estesa argomentazione a sostegno della qualificazione come associazione per delinquere di stampo mafioso del gruppo in esame (p. 65-120): il ricorso a un linguaggio codificato secondo una terminologia segreta (p. 66-67); la rigida organizzazione sul territorio nazionale con una gerarchia piramidale, caratterizzata da una specifica individuazione dei ruoli (della quale la sentenza contiene una precisa cronistoria) e una correlata
peculiare nomenclatura, con diverse articolazioni territoriali (p. 67-72); il collegamento con la casa-madre (la Niger Catalína) in Nigeria, della quale ha mutuato le regole di organizzazione e il potere evocativo di capacità di sopraffazione e dalla quale riceve riconoscimento, come desunto dai contenuti delle conversazioni intercettate e dalle dichiarazioni di alcuni soggetti minacciati (p. 72-73); l’esistenza di un programma criminale concernente lo sfruttamento della prostituzione e il traffico di droga (p. 73-75); i peculiari (violenti) rit affiliazione degli associati di sesso maschile (p. 75-78) e femminile (p. 78-81) e il successivo pagamento della quota associativa; l’interesse collettivo ai profitti provenienti dalle attività illecite (p. 89-94); le riunioni organizzative periodiche (p. 94-97).
In particolare, la sentenza ha diffusamente analizzato i modi della intimidazione interna al gruppo con il ricorso alla violenza per imporre il rispetto delle regole, come desunto dai contenuti delle conversazioni intercettate, riguardanti, in particolare il contributo alle spese legali degli altri associati (p. 81 89).
Circa la forza di intimidazione esterna al gruppo, la sentenza impugnata ha evidenziato: gli scontri con appartenenti a organizzazioni nigeriane (cu/t) avversarie delle quali sentenze definitive hanno riconosciuto il carattere mafioso (p. 97-103). Inoltre, la Corte di appello ha rimarcato le gravi aggressioni e intimidazioni (capi 3-4 e 7) ai danni di NOME COGNOME – nigeriano che si oppose ai metodi usati dalla criminalità nigeriana (p. 103-105) e di NOME (p105106); le estorsioni e le rapine ai danni di connazionali nigeriani non affiliati (p. 106-107); la violenza contro donne nigeriane e le affiliazioni femminili forzate (p. 107-108); la condizione di assoggettamento e di omertà dei nigeriani di Torino (p. 109-115) espressasi con diversi episodi (p. 103-124): il tentato omicidio di COGNOME da parte di NOMECOGNOME capo del gruppo dei viking, l’aggressione a Edosa, la rapina e il pestaggi ai danni di NOME COGNOME, il ferimento di Eboseie, le aggressioni ai danni di NOME COGNOME e NOME COGNOME e le percosse a varie prostitute senza che qualche nigeriano intervenisse a soccorrere le vittime.
Il reato previsto dall’art. 416 bis cod. pen. è configurabile anche in relazione a associazioni a delinquere di origine straniera e a gruppi, composti da stranieri operanti nel territorio italiano e che, pur senza avere il controllo di tutti coloro che lavorano o vivono in un determinato territorio, mirano a assoggettare al proprio potere criminale un numero indeterminato di persone appartenenti a una determinata comunità, avvalendosi di metodi tipicamente mafiosi e della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo per realizzare la condizione di soggezione e omertà delle vittime (Sez. 6, n. 43898 del 08/06/2018, R., Rv. 274231; Sez. 6, n. 35914 del 30/05/2001, COGNOME, Rv. 221245) perché il
requisito implicito della fattispecie di associazione a delinquere di stampo mafioso, generalmente indicato, in modo sincopato, come “controllo del territorio”, va riferito non già al controllo di un’area geografica in quanto tale, ma al controllo della comunità o della aggregazione sociale individuabile mediante il suo insediamento nel territorio (Sez. 6, n. 24211 del 30/04/2019, COGNOME, non mass.; Sez. 5, n. 15595 del 13/03/2007, COGNOME, non mass.).
La sussistenza della forza di intimidazione che caratterizza il vincolo associativo può essere argomentata, con valutazioni di merito che, se congrue, non sono censurabili in sede di legittimità, sulla base di elementi atti a dimostrare il diffuso clima di sopraffazione e conseguente assoggettamento delle vittime (Sez. 6, n. 31461 del 07/06/2004, COGNOME, Rv. 230019) perché la violenza e la minaccia sono solo strumentali alla forza di intimidazione e ne costituiscono un accessorio eventuale, sotteso, diffuso e percepibile (Sez. 6, n. 28212 del 12/10/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 273537).
Non è necessario che l’impiego della forza di intimidazione della associazione sia penetrato in modo massiccio nel tessuto economico e sociale del territorio di elezione, basta la prova di tale impiego con i fini criminali indicati dall’art. 416 bis, terzo comma, cod. pen. (Sez. 2, n. 24851 del 04/04/2017, Garcea, Rv. 270442) accertati anche solo in un ambito territoriale o settoriale circoscritto (Sez. 6, n. 57896 del 26/10/2017, Fasciani, Rv. 271724; Sez. 2, n. 36111 del 09/06/2017, P., Rv. 271192).
Questo vale anche per gruppi criminali di matrice straniera che, pur senza avere il controllo di tutti coloro che lavorano o vivono in un determinato territorio, mirano a assoggettare al proprio potere criminale un numero indeterminato di persone appartenenti a una determinata comunità, avvalendosi di metodi tipicamente mafiosi e della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo (Sez. 6, n. 43898 del 08/06/2018, R., Rv. 274231), anche se la percezione della sua forza all’esterno non è generalizzata nel territorio di riferimento (Sez. 5, n. 26427 del 20/05/2019, COGNOME, Rv. 276894). Quel che occorre è che: il gruppo abbia conseguito fama criminale, autonoma e distinta da quelle personali dei singoli partecipi (così da conservarla anche nel caso in cui questi fossero resi innocui); abbia manifestato una concreta capacità di intimidazione effettivamente percepita come tale così producendo un assoggettamento omertoso nell’ambito oggettivo e soggettivo, pur eventualmente circoscritto, in cui opera (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555), anche fruendo della fama criminale della associazione originaria e adottandone i modelli di organizzazione e i rituali di adesione, con forme che non si consumino soltanto al suo interno (Sez. 6, n. 37081 del 19/11/2020, Anslem, Rv. 280552; Sez. 1, n. 51489 del 29/11/2019, Albanese, Rv. 277913).
In questo quadro, la finalità perseguita da una associazione di tipo mafioso, può consistere nella commissione di reati per realizzare “vantaggi ingiusti” anche di natura non economica, come nel caso di un gruppo che voglia apparire e affermarsi come gruppo egemone di una comunità etnica di cospicue dimensioni presente in una grande città italiana (Sez. 5, n. 46942 del 16/07/2019, non mass.; Sez. 1, n. 16353 del 01/10/2014, dep. 2015, Rv. 263310).
1.2. Il secondo motivo non si confronta con l’argomentazione della sentenza impugnata, nella quale si evidenzia che, sebbene le cessioni oggetto del capo 29 abbiano riguardato quantità generalmente modiche (ma non infime) di marijuana, cocaina e eroina, gli associati furono comunque i n più occasioni trovati in possesso di rilevanti quantità di droga. In particolare, COGNOME è stato arrestato mentre deteneva 592,5 grammi di marjuana e materiale per confezionare dosi per lo spaccio; COGNOME si era fornito di 987 grammi di marjuana a Roma
Il ricorso di COGNOME è inammissibile perchè non si confronta specificamente con i contenuti (p. 148-161) della sentenza impugnata, che riporta i brani delle conversazioni intercettate nelle quali l’imputato, che vi è partecipe, GLYPH è espressamente indicato come pilot (in esecuzione di ordini altrui) nazionale del gruppo e le altre nelle quali egli si interessa concretamente degli aspetti organizzativi (raccolta di somme per l’acquisito di droga, nomine di associati, organizzazione di riunioni alle quali egli personalmente partecipò). Inoltre, la sentenza ha adeguatamente argomentato circa la sostanziale coincidenza fra il livello dei Norsemen che si presenta pubblicamente come associazione riconosciuta e legale – e la RAGIONE_SOCIALE che persegue scopi illeciti (p. 156 ss.), richiamando brani di conversazioni intercettate e le dichiarazioni di alcun imputati.
L’imputata NOME COGNOME ha formulato proposta di concordato in appello rinunciando a tutti i motivi di appello concernenti la responsabilità penale e ha formulato una proposta di pena finale di 3 anni e mesi 2 di reclusione, (p. 63-64 della sentenza impugnata) che corrisponde a quella inflittagli dalla Corte di appello. Va ribadito che, nel caso in cui il giudice di appello abbia raccolto le richieste concordemente formulate dalle parti, queste non possono dedurre in sede di legittimità difetto di motivazione o altra questione relativa ai motivi rinunciati (Sez. 3, n. 51557 del 14/11/2023, COGNOME, Rv. 285628). Pertanto, il ricorso è inammissibile.
Dalla inammissibilità dei ricorsi inammissibilità deriva, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19/07/2024