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Associazione mafiosa straniera: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione ha respinto i ricorsi di tre individui condannati per partecipazione a un’associazione mafiosa straniera di matrice nigeriana. La Corte ha confermato che il ‘metodo mafioso’ può sussistere anche quando la forza intimidatrice è esercitata prevalentemente all’interno di una specifica comunità etnica. Inoltre, ha stabilito che l’affiliazione rituale e il coinvolgimento in attività illecite, come il traffico di droga, costituiscono prove concrete di una partecipazione attiva e dinamica al sodalizio, superando il mero status di affiliato.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione Mafiosa Straniera: La Cassazione Definisce i Criteri di Prova

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi sul delicato tema dell’associazione mafiosa straniera, fornendo chiarimenti cruciali sui criteri necessari per provare l’esistenza del metodo mafioso e la partecipazione attiva dei suoi membri. La decisione analizza il caso di una confraternita di origine nigeriana, confermando le condanne emesse nei gradi di merito e delineando principi di diritto di fondamentale importanza pratica.

I Fatti: Una Confraternita Nigeriana sotto la Lente della Giustizia

Il caso riguarda tre cittadini di origine nigeriana, condannati per aver fatto parte di un’organizzazione criminale nota come “Vikings” o “Supreme Vikings Confraternity”. Questa struttura, radicata in Nigeria ma diffusa in Europa, operava sul territorio italiano con una struttura gerarchica e gruppi locali. L’accusa contestava il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, finalizzata a commettere una serie di delitti: contro la persona, in materia di stupefacenti e contro il patrimonio. Secondo l’impostazione accusatoria, il gruppo si avvaleva della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo per affermare il proprio predominio all’interno della comunità nigeriana, imponendo rispetto e obbedienza attraverso violenza e minacce.

I ricorrenti avevano impugnato la sentenza della Corte d’Appello, lamentando, tra le altre cose, l’errata valutazione dell’attendibilità di un collaboratore di giustizia, il travisamento delle prove e, soprattutto, l’insussistenza degli elementi tipici del metodo mafioso, come la forza di intimidazione e l’omertà.

La Decisione della Corte: Confermata la Natura Mafiosa dell’Associazione

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i ricorsi, ritenendoli infondati e in parte generici. I giudici hanno confermato la solidità dell’impianto accusatorio e la correttezza delle sentenze di primo e secondo grado, che insieme costituiscono un’unica e coerente “doppia conforme”. La Suprema Corte ha ribadito che i principi che definiscono l’associazione di tipo mafioso ai sensi dell’art. 416-bis c.p. sono applicabili anche alle organizzazioni criminali straniere che operano in Italia, sebbene con alcune specificità.

Le Motivazioni della Cassazione sull’Associazione Mafiosa Straniera

Le motivazioni della sentenza sono dense di spunti giuridici e si concentrano su tre aspetti fondamentali: la prova del metodo mafioso, la definizione della partecipazione individuale e la valutazione delle fonti di prova.

La Prova del “Metodo Mafioso” nelle Comunità Etniche

Uno dei punti centrali della difesa era l’assenza di una forza intimidatrice percepita dall’intera collettività sul territorio. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo un principio ormai consolidato: per una associazione mafiosa straniera a base etnica, la forza di intimidazione non deve necessariamente essere diretta all’assoggettamento della popolazione generale. È sufficiente che essa sia funzionale al controllo e alla sottomissione di un gruppo ristretto, come la comunità etnica di riferimento. Nel caso di specie, le violenze, le ritorsioni e le estorsioni erano dirette a membri della comunità nigeriana, creando quel clima di assoggettamento e omertà tipico del metodo mafioso.

La Partecipazione Attiva: Oltre lo “Status” di Affiliato

La Corte ha sottolineato che per essere considerati partecipi di un’associazione mafiosa non basta un mero “status” di appartenenza, ma è necessario un “contributo dinamico e funzionale”. Nel caso esaminato, tale contributo è stato ampiamente provato. Elementi come il ruolo attivo nei riti di affiliazione (paragonati alla “pungiuta” delle mafie tradizionali), il coinvolgimento nel traffico di stupefacenti per finanziare il sodalizio e la partecipazione a scontri violenti con gruppi rivali sono stati considerati indicatori inequivocabili di una compenetrazione stabile e organica nel tessuto organizzativo del gruppo. L’affiliazione rituale, in particolare, è stata valutata come un grave indizio, in quanto espressione di un patto vincolante e di un’offerta di contribuzione permanente all’associazione.

La Valutazione delle Prove e l’Attendibilità del Collaboratore

Infine, la Cassazione ha ritenuto corretto l’operato dei giudici di merito nella valutazione delle prove, incluse le dichiarazioni del collaboratore di giustizia. Le sue testimonianze sono state ritenute attendibili e riscontrate da numerosi altri elementi, come le dichiarazioni di altre vittime, le intercettazioni telefoniche e gli accertamenti della polizia giudiziaria. La Corte ha anche specificato che eventuali false dichiarazioni rese dal collaboratore in un altro contesto (nella fattispecie, per ottenere la protezione internazionale) non minano automaticamente la sua credibilità nel processo penale, se la motivazione del giudice sul punto è logica e congrua.

Le Conclusioni: Implicazioni della Sentenza

Questa sentenza consolida l’orientamento della giurisprudenza sull’applicabilità del reato di associazione mafiosa ai gruppi criminali stranieri. Stabilisce con chiarezza che la mafiosità non dipende dal controllo militare dell’intero territorio, ma dalla capacità di esercitare potere intimidatorio, anche se circoscritto a una specifica comunità. Inoltre, ribadisce l’importanza di analizzare il contributo concreto e funzionale del singolo affiliato, valorizzando elementi come i riti di iniziazione e la commissione di delitti-scopo quali prove decisive della sua partecipazione attiva al sodalizio criminale.

Come si prova l’esistenza di un’associazione mafiosa straniera anche se non controlla l’intero territorio?
La prova può essere fornita dimostrando che il gruppo esercita la sua forza di intimidazione, creando assoggettamento e omertà, anche solo all’interno di una specifica comunità etnica di riferimento. Non è necessario il controllo indiscriminato della popolazione generale.

Cosa è necessario per dimostrare la partecipazione di un individuo a un’associazione di tipo mafioso?
Non è sufficiente un mero status di affiliazione, ma occorre provare un ruolo ‘dinamico e funzionale’. La partecipazione a riti di affiliazione, la commissione di reati-scopo (come il traffico di droga) e un rapporto stabile e organico con il tessuto organizzativo del gruppo sono elementi che dimostrano tale partecipazione attiva.

Le false dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia in un altro procedimento minano la sua attendibilità nel processo penale?
Non necessariamente. I giudici possono ritenere il collaboratore attendibile nel processo penale se le sue dichiarazioni sono riscontrate da altri elementi di prova e se la motivazione che spiega perché le altre falsità (rese in contesti diversi e per finalità diverse, come ottenere la protezione internazionale) non inficiano la credibilità complessiva è logica e congrua.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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