Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 24677 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 24677 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nata a Policoro 11 13/10/1989
avverso la ordinanza del 14/11/2024 del Tribunale di Potenza visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Potenza, in parziale accoglimento del riesame proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la ordinanza emessa il 22 ottobre 2024 dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale, ha annullato la decisione limitatamente al reato di cui al capo 79, confermandola – a seguito dei rilevati errori materiali di cui alla pg. 462 della ordinanza – in relazione ai reati di cui ai capi 1 (art. 416-bis cod. pen.), 49 (ar 633, 639-bis, 416-bis.1 cod. pen.), 51 (artt. 110, 629, commi 1 e 2 in relazione all’art. 628, comma 3, 416-bis.1 cod. pen.), 61 (artt. 110, 513-bis, 416-bis.1 cod. pen.), 64(artt. 110, 56, 629, commi 1 e 2 in relazione all’art. 628, comma 3, 416bis.1 cod. pen.), 66 (artt. 81, 110, 56-629 e 629, comma 1, 416-bis.1 cod. pen.), 67 (artt. 110, 56-629 e 629, comma 1, 416-bis.1 cod. pen.), 72 (artt. 110, 629, comma 1 e 2, 416-bis.1 cod. pen.), 73(artt. 110, 56-629 e 629, comma 1 e 2, 416-bis.1 cod. pen.), 76 (artt. 110, 56-629 e 629, comma 1 e 2, 416-bis.1 cod. pen.) e 78 (artt. 110, 56-629 e 629, comma 1 e 2, 416-b/s.1 cod. pen.) con i l’applicazione della misura degli arresti domiciliari con dispositivo elettronico e divieti di comunicazione.
Avverso la ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME deducendo con unico motivo vizio cumulativo della motivazione, violazione di legge e inutilizzabilità delle intercettazioni.
Non è provato il ruolo collaborativo della ricorrente con il padre NOME COGNOME e con il fratello NOME COGNOME rispetto alla gestione dei proventi illeciti del clan e le altre ipotesi ascrittele sono del tutto apoditticamente affermate, mancando – segnatamente per quelle estorsive – la dimostrazione di una condotta minacciosa e violenta, mentre per altre manca la condizione di procedibilità e gli elementi costitutivi.
Quanto alla esistenza e operatività del sodalizio criminoso nell’ambito delle località marinare della costa ionica-lucana, è meramente apodittica l’affermazione della esistenza di una confederazione tra i clan COGNOME e COGNOME attraverso la costituzione della cooperativa RAGIONE_SOCIALE, della quale manca la dimostrazione della natura illecita, e non tenendosi conto delle precedenti sentenze assolutorie.
Deve essere esclusa, alla stregua della lettura degli atti di indagine, anche la metodologia mafiosa, non potendosi ricondurre ad essa la mera richiesta del c.d. “obolo” da parte di chi intendesse operare l’attività di pesca.
Inoltre, l’assunto accusatorio non può trovare riscontro nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, prive dei necessari riscontri e senza che ne sia giustificat l’attendibilità.
Alla ricorrente non può essere ascritto il dolo di partecipazione alla associazione trattandosi della raccolta di somme di denaro provenienti da volontarie elargizioni determinate da ragioni di amicizia.
Quanto alle intercettazioni f se ne eccepisce l’inutilizzabilità in quanto nei provvedimenti autorizzativi, di convalida e di proroga non sono rispettate le disposizioni di cui all’art. 267 cod. proc. pen. mancando una congrua motivazione, riportando frasi generiche e apodittiche e il mero richiamo al contenuto delle richieste inoltrate dagli organi investigativi.
Quanto alle esigenze cautelari ( la motivazione è apparente, mancando il concreto e attuale pericolo di reiterazione della commissione dei reati, considerando le modalità e circostanze dei fatti e la incensuratezza della ricorrente e potendosi ritenere adeguata la minore misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
E’ pervenuta memoria del Procuratore generale a sostegno del rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Quanto al preliminare profilo della inutilizzabilità delle intercettazioni, non dedotto in sede di riesame, se ne deve censurare la generica proposizione riferita a non specificati decreti fdovendosi ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, grava sulla parte che deduce l’inutilizzabilità di un atto l’onere di indicar specificamente i documenti sui quali l’eccezione si fonda e altresì di allegarli, qualora essi non facciano parte del fascicolo trasmesso al giudice di legittimità (Sez. 5, n. 23015 del 19/04/2023, COGNOME, Rv. 284519).
Quanto all’accusa associativa, sub specie della esistenza e operatività del gruppo mafioso contestato sub capo 1, e della partecipazione ad esso della ricorrente, il ricorso è genericamente versato in fatto.
3.1. Quanto alla esistenza e operatività della associazione mafiosa sub 1), la ordinanza individua la compagine criminale facente capo agli COGNOME, operante nella zona di Policoro, capeggiata da NOME COGNOME e NOME COGNOME – già condannati per analogo reato – dando ampia contezza della esistenza e operatività del gruppo mafioso, individuando – durante la detenzione di NOME COGNOME –
la temporanea reggenza di NOME COGNOME e successivamente / di NOME COGNOME (v. pg. 19 e SS. della ordinanza impugnata), la realizzazione di un summit dopo l’incontro dei due germani in data 4 dicembre 2020 volto alla definizione della distribuzione dei proventi dei loro traffici illeciti – stupefacenti ed estorsioni gestione della c.d. bacinella, secondo le indicazioni date da NOME COGNOME al fratello NOME, la riorganizzazione del gruppo ad opera di NOME COGNOME, improntata ad un più deciso uso della violenza. Si considerano, quindi, i settori di intervento del gruppo riguardanti il controllo nel settore della sicurezza nei locali notturni (v. pg. 34 e ss.), l’organizzazione delle feste di paese mediante il placet dato dal gruppo alla partecipazione degli interessati (v. pg. 87 e ss.), l’esercizio di una “azione para-statale” facente direttamente capo a NOME COGNOME espressione del controllo territoriale facente capo al suo gruppo, sia in relazione alla vicenda dei tombini che all’intervento in una gara pubblica indetta dal Tribunale di Matera (v. pg. 93 e ss.), l’infiltrazione nel tessuto economico e imprenditoriale esercitando pretese economiche o di assunzioni nei confronti delle nuove realtà commerciali (v. pg. 117 e ss.), la gestione impositiva dell’attività di pesca nella zona d’interesse, che rendeva necessario il placet del gruppo e il rilascio una sorta di obolo (v. pg. 165 e ss. nonché pg. 235 e ss.) e il monopolio imposto sulla rivendita dei prodotti ittici (v. pg. 182 e ss.), anche attraverso accordi con gli COGNOME (v. pg. 245 e ss.), di cui sono delineate le connotazioni mafiose e la confederazione con il clan COGNOME anche con riferimento alla costituzione della cooperativa Nereide (v. pg. 422 e ss.), le estorsioni ai danni degli imprenditori (v. pg. 257 e ss. richiama, poi, i colloqui in carcere dello COGNOME a sostegno delle incolpazioni dal capo 64 in poi (v. pg. 283 e ss.), considera le eclatanti manifestazioni di violenza pubblica, specie dopo la presa di comando da parte di NOME COGNOME e l’attività elusiva delle indagini a riguardo (v. pg. 376 e ss.). Infine, richiama le plurime dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia sul clan COGNOME, valutate qual conferma delle precedenti emergenze e senza le quali, annota la ordinanza, il precedente quadro indiziario manterrebbe la sua gravità (v. pg. 434 e ss.). In conclusione, l’ordinanza opera l’inquadramento giuridico della associazione mafiosa quale “gruppo mafioso a soggettività differente”, richiamando il recente orientamento espresso da Sez. 2, n. 24901 del 15/5/2024, De, RV. 286689)(v. pg. 456 e ss.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.2. Quanto alla partecipazione associativa della ricorrente (v. pg. 461 e ss.), viene individuata – in base ai dialoghi captati – la sua posizione, unitamente al fratello, di trait d’union con il padre detenuto e il gruppo rimasto libero, fidi depositari della precostituzione della strategia difensiva e assicuratori del pervenimento ai destinatari delle lettere inviate dal carcere dal padre, oltre che
attiva manovalanza estorsiva e detentori della cassa comune che gestivano secondo le indicazioni paterne.
4. Deve essere ribadito l’autorevole consolidato orientamento secondo il quale, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbi dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828); nel medesimo alveo di legittimità si pone il principio secondo il quale il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976).
4.1. Ritiene questo Collegio che, rispetto all’articolato ragionamento espresso dalla ordinanza impugnata – che si avvale di un amplissimo compendio indiziario esposto secondo la sua molteplicità e convergenza sul tema centrale sul quale si appunta il ricorso – le censure risultano genericamente proposte anche per inammissibili ragioni in fatto, secondo una valutazione parcellizzata e senza specifico confronto con le ragioni poste a base della ordinanza impugnata che – al di là della collocazione teorica – ha correttamente individuato lo stigma mafioso del gruppo facente capo a NOME COGNOME proveniente dalla condanna di questi e del fratello per associazione mafiosa ed espresso nel tempo, soprattutto attraverso il controllo territoriale e dei settori economici sopraindicati, facend valere una perdurante qualità criminale mafiosa, come documentato dai reati-fine oggetto di specifica contestazione l la cui realizzazione converge nel delineare -senza incorrere in vizi logici e giuridici – la qualità mafiosa della compagine del ricorrente.
Non coglie nel segno il rilievo difensivo in ordine alla mancanza di condotte violente a carico della ricorrente dovendosi ribadire, in ogni caso, che, ai fini dell
configurabilità del reato di associazione di tipo mafioso, è necessario che il sodalizio abbia conseguito, nel contesto di riferimento, una capacità intimidatrice effettiva e obiettivamente riscontrabile, che può esteriorizzarsi anche con atti non connotati da violenza o minaccia, essendo sufficienti comportamenti evocativi del prestigio criminale del gruppo (Sez. 6, n. 9001 del 02/07/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278617), come nel caso di specie, in cui risulta indiziariamente provato che l’organizzazione è stata in grado concretamente di porre in pericolo l’ordine pubblico e l’ordine economico, segnatamente con riguardo al libero esercizio dell’attività economica. Come pure generico è il richiamo di precedenti decisioni giudiziarie assolutorie.
In particolare, generiche risultano – rispetto alla complessiva valutazione espressa dalla ordinanza impugnata – le censure svolte in relazione al ruolo rivestito dalla cooperativa RAGIONE_SOCIALE, nella quale la ricorrente rivestiva il ruolo vicepresidente del consiglio di amministrazione. Invero, come annotato dalla ordinanza (v. pg. 463) i il suo rilievo non può essere limitato all’obolo, in considerazione del comprovato obiettivo perseguito dal gruppo, che si avvaleva anche dell’apporto del clan COGNOME, del monopolio della gestione dell’attività di pesca e di rivendita del pescato, oltreché della strumentale funzione, adottata da NOME COGNOME volta a precostituire una linea difensiva.
Quanto alle vicende estorsive sub 64, 66, 67, 71, 72, 73 e 76 alla disamina i priva di vizi logici, il ricorso oppone censure del tutto generiche, reiterando l versione dell’amicalità delle dazioni non illogicamente rigettata dalla ordinanza, senza incorrere in vizi logici e giuridici, dandosi non illogicamente conto non solo della fissazione da parte dello Scarcia degli importi e delle scadenze, e delle correlate sollecitazioni al pagamento, ma anche del peso indiziario della stessa mancanza di denunzie da parte delle parti offese nel contesto omertoso dato come risulta dalla analitica disamina delle vicende estorsive (v. pg. 466/470)..
4 .t Quanto alle esigenze cautelari e la adeguatezza della misura, la censura è palesemente generica, rispetto alla pur rilevata contraddittorietà da parte della ordinanza impugnata della motivata sussistenza di ragioni per la massima misura cautelare – vigente doppia presunzione cautelare e gravità dei fatti e delle condotte specificamente tenute dalla ricorrente (v. pg. 473 e sg.) – non disposta dalla ordinanza genetica.
5: Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo determinare in euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 07/05/2025.