Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 45847 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 45847 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il 24/10/1985 a Bari avverso la ordinanza del 18/03/2024 del Tribunale del riesame di Bari
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Bari ha confermato l’ordinanza emessa il 7 febbraio 2024 dal Giudice delle indagini preliminari dei Tribunale di Bari, che applicava a Lampugnani la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di partecipazione – dal marzo 2016 all’attualità – al clan COGNOME operante nel quartiere Japigia di Bari. In particolare, si contesta ai ricorrente di essere stato affiliato – con il ruolo di “quarta”- al gruppo
“Palermiti”, occupandosi prevalentemente di spaccio di sostanze stupefacenti e risultando a disposizione del clan anche per la custodia delle armi.
Al capo 22) sono, altresì, contestati a Lampugnani i reati di ricettazione e di detenzione di due pistole, di cui una con matricola abrasa, e di munizioni provento di furto.
Il compendio indiziario si fonda sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME tutti concordi nel qualificare il ricorrente intraneo al sodalizio, con un attivo ruolo nell’ambito del narcotraffico, nonché custode delle armi per conto del clan.
Il provvedimento impugnato evidenzia, inoltre, che due dei predetti collaboratori, oltre a confermare che il ricorrente aveva una piazza di spaccio per la quale si riforniva da Milella, gli attribuivano un ruolo speciale nella commissione di furti di autovetture e nell’avere procurato la macchina che servì per l’omicidio di COGNOME.
Il Collegio della cautela ha ritenuto le dichiarazioni dei collaboratori riscontrate dall’ordinanza cautelare con riferimento all’omicidio COGNOME e al correlato furto dell’auto che servì a commetterlo, dal rinvenimento di armi pacificamente riconducibili a Lampugnani e a disposizione dell’intero gruppo; dalle intercettazioni, nonché dai ripetuti controlli nel 2023 con altri appartenenti al sodalizio mafioso.
Avverso l’ordinanza ricorre per cassazione l’indagato, deducendo, come unico motivo, la violazione di legge con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, nonché il vizio di motivazione con riferimento alla partecipazione dell’indagato al sodalizio di stampo mafioso.
La motivazione sarebbe assertiva e contraddittoria, nonché resa in violazione delle regole poste dell’art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. a presidio della valutazione delle dichiarazioni rese da coimputati o da imputati in procedimenti connessi o collegati.
La difesa sottolinea più volte come, dalla lettura della sentenza delle Sezioni Unite n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889 – 02), emerge la totale irrilevanza del mero dato della affiliazione. Nel caso in esame all’indagato, in concreto, è contestata solo quest’ultima f posto che il collaboratore NOME ha dichiarato che COGNOME acquistava stupefacenti e li rivendeva «per i fatti suoi» e che se era arrestato «provvedeva da solo a se stesso».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è generico e, comunque, manifestamente infondato.
Occorre sottolineare che la sentenza citata dalla difesa non ha affatto accolto la concezione cd. “causale” della partecipazione ad associazione mafiosa che avrebbe trasformato la fattispecie in un reato di evento, in contrasto con l’espressa e contraria previsione di legge, al quale il giudice è sottoposto ai sensi dell’art.101 Cost. – ma si è limitata a richiedere, in ossequio al principio costituzionale di offensività, che la cc!: “affiliazione” abbia carattere di serietà ed effettività, così da poterla considerare espressione di un patto reciprocamente vincolante e di una offerta permanente di contribuzione al sodalizio. La serietà ed effettività dell’affiliazione non comporta necessariamente la partecipazione a specifici reati fine, posto che, altrimenti, se ne richiederebbe parimenti la presenza, ancora una volta in palese contrasto con l’espressa previsione della legge che la esclude. Tanto meno tale realizzazione di reati fine può richiedersi in sede di valutazione della gravità indiziaria della partecipazione associativa, che consiste invero in un giudizio di qualificata probabilità di attribuzione del delitto anche in base allo sviluppo prevedibile delle indagini. Ciò al di là di una narrativa dell’incolpazione provvisoria che, pur mancando di opportuna sinteticità, ha comunque consentito all’indagato di comprendere la specificità dell’accusa su cui, infatti, si è concretamente e ampiamente difeso senza nulla eccepire sul punto specifico.
Tanto premesso, deve rilevarsi che l’ordinanza ha dato conto della convergenza delle plurime dichiarazioni dei collaboratori di giustizia – autonome e tali da riflettere la diversa prospettiva dalla quale ciascuno ha tratto le conoscenze riferite – spiegando altresì, in modo non manifestamente illogico o contraddittorio e nemmeno frutto di travisamenti, l’inessenzialità delle discrasie rimarcate dalla c difesa, attesa attesa la progressione temporale in cui le dichiarazio ntervenute 1:11riflettono il percorso criminale del prevenuto. Proprio in stretta aderenza ai già ricordati requisiti di serietà ed effettività dell’affiliazione rituale, si è correttamente rimarcato come detti requisiti non siano stati tanto desunti dalla comunque sussistente attività di spaccio (almeno parzialmente inquadrata nell’operatività del sodalizio), ma anche da altre condotte di supporto quali il furto di auto e la custodia di armi, correttamente considerate espressivk della permanente messa a disposizione dell’indagato che, proprio per questo, non aveva bisogno di essere messo al corrente degli specifici reati fine, bastando la evidente consapevolezza di agire non nell’interesse proprio, ma dell’associazione mafiosa.
4.Per il resto il ricorso, specie in materia di custodia delle armi, offre una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella logicamente motivata in ordinanza, in coerenza e continuità con le ulteriori emergenze, con le quali i dati dovevano essere unitariamente e complessivamente valutati.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 15 ottobre 2024.