Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 7795 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 7795 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME SebastianoCOGNOME nato a Patti (ME) il 03/02/1993
avverso la ordinanza del 28/03/2024 del Tribunale di Messina;
letti gli atti del procedimento, il ricorso ed il provvedimento impugnato; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso ed ha depositato un estratto della sentenza n. 1045/2024 della Corte di appello di Messina depositata il 3/12/2024.
RITENUTO IN FATTO
Con atto del proprio difensore, NOME COGNOME impugna l’ordinanza del Tribunale di Messina dello scorso 28 marzo, che gli ha applicato la custodia cautelare in carcere per il delitto di partecipazione ad associazione di tipo
mafioso, accogliendo l’appello proposto la norma dell’art. 310, cod. proc. pen., dal Pubblico ministero avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale del 12 gennaio precedente, che aveva respinto la relativa richiesta.
Il ricorso consta di due motivi,
2.1. Il primo denuncia la violazione della legge penale e processuale in punto di gravità indiziaria, lamentando che il Tribunale abbia valorizzato fatti attestanti l’esistenza della cosca ma eccessivamente risalenti nel tempo, senza tener conto dell’inesistenza di soggetti che, dopo le relative sentenze di condanna, abbiano potuto mantenere in vita la stessa, perciò mancando un adeguato riscontro della attuale operatività di quella. Per il resto, gli ulteriori risultati investi evidenziati dall’ordinanza sarebbero privi della necessaria concludenza indiziante, risultando così violata la regola di giudizio dell’art. 192, cod. proc. pen..
2.2. Gli stessi vizi vengono dedotti con riferimento al ritenuto pericolo di recidiva, che il Tribunale avrebbe tratto da elementi desunti da precedenti indagini, non indicati nella richiesta del Pubblico ministero e privi di riscontri, invece non considerando l’incensuratezza dell’indagato, l’assenza di precedenti giudiziari a suo carico e l’esercizio, da parte sua, di regolare attività lavorativa bracciantile dal 2011, che, se egli avesse vissuto di proventi illeciti, non avrebbe avuto necessità di svolgere; si segnala, in proposito, l’assenza di sequestri di conti correnti o di disponibilità liquide a suo carico.
Per l’udienza del 23 settembre scorso, alla quale era fissata la trattazione del procedimento, la difesa del ricorrente ha depositato memoria scritta, eccependo la nullità dell’ordinanza con la quale era stata dichiarata tardiva la sua richiesta di trattazione orale, nonché ribadendo gli argomenti del ricorso e rilevando che, nel separato processo convenzionalmente denominato “Nebrodi”, in corso nei confronti di altri imputati, ancorché non definito con sentenza irrevocabile, è stata esclusa l’esistenza dell’associazione mafiosa.
In accoglimento dell’eccezione difensiva, il processo è stato differito all’odierna udienza.
Il Procuratore generale ha depositato memoria scritta, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
Anche la difesa dell’indagato ha depositato ulteriore memoria, soffermandosi ancora sul giudizio di gravità indiziaria e ribadendo che l’ordinanza impugnata non si è confrontata con gli esiti del processo “Nebrodi”. In proposito,
ha sottolineato che, con sentenza n. 39679 del 12 luglio scorso, essenzialmente per tal ragione, questa stessa Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale del riesame confermativa della misura cautelare nei confronti di altro familiare e coindagato del ricorrente.
Inoltre, si deduce che, in contrasto con il principio fissato dalla “sentenza COGNOME” delle Sezioni unite di questa Corte, il giudizio di partecipazione del ricorrente all’associazione mafiosa è stato fondato sul solo legame familiare con alcuni esponenti della cosca e non su effettivi contributi da lui prestati all’operatività del sodalizio. In particolare, degli episodi valorizzati dall’ordinanza quello relativo alla partecipazione al summit con altri mafiosi, oltre ad essere risalente nel tempo, non sarebbe rilevante, poiché il ricorrente non avrebbe speso parola nell’occasione, limitandosi ad accompagnare altri partecipanti, tanto che il ritenuto capo-cosca NOME COGNOME nel corso di una sua conversazione intercettata e richiamata dal Tribunale, avrebbe mostrato di avere scarsa considerazione di lui. Quanto, poi, alle altre vicende poste in risalto dall’ordinanza (commenti intercettati tra gli indagati ed intervento del ricorrente per sanzionare alcune situazioni incresciose subite da tal COGNOME, che si qualificava suo “compare”), si tratterebbe di fatti privi di rilievo, poiché non sintomatici de necessario riconoscimento del ricorrente come “mafioso” anche all’esterno del sodalizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’impugnazione non è fondata e dev’essere, perciò, respinta.
In tema di gravità indiziaria, il ricorso non va oltre una manifestazione di dissenso dalle valutazioni del Tribunale, non specificamente calibrata sulle numerose e concludenti emergenze investigative dettagliatamente rassegnate dall’ordinanza impugnata (intercettazioni di conversazioni dell’indagato e tra terzi, dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME) e, comunque, consistente essenzialmente in una censura della valutazione di tali risultanze probatorie, piuttosto che nella denuncia di vizi logici della motivazione.
Maggiormente articolata si presenta la memoria integrativa, ma il riferimento agli esiti del procedimento “Nebrodi”, ivi contenuto, rimane comunque insufficiente, perché non accompagnato dall’indicazione delle ragioni di tale decisione (che il Tribunale ha dato atto di conoscere, e quindi di aver valutato, evidentemente reputandola non sufficiente a condurre ad un diverso giudizio), non consentendo, perciò, a questa Corte di apprezzarne l’eventuale ricaduta sulla
posizione del ricorrente e di cogliere possibili vizi logici della motivazione dell’ordinanza oggetto di ricorso.
Soltanto per inciso – trattandosi di atto evidentemente non noto al giudice d’appello, poiché successivo alla sua decisione, e quindi non valutabile ai fini del controllo sulla stessa, cui è chiamato il giudice di legittimità – può rilevarsi che nella sentenza di questa stessa Corte emessa nei confronti di altro indagato e citata dal ricorrente nella sua memoria integrativa, si dà atto, giust’appunto, della presentazione, in quel caso, di una memoria difensiva contenente riferimenti puntuali e precisi alla “sentenza Nebrodi”, alla quale il Tribunale non avrebbe risposto esaurientemente.
Nessun rilievo, infine, può assegnarsi alla sentenza della Corte d’appello di Messina depositata soltanto all’odierna udienza, ed evidentemente del tutto estranea al materiale valutato nel provvedimento impugnato, potendo quella esser fatta valere, semmai, soltanto con un nuovo incidente cautelare.
Egualmente infondata, se non addirittura manifestamente tale, è pure la seconda doglianza, in tema di esigenze cautelari e di scelta della misura.
La difesa omette nei suoi scritti un confronto critico con il rilievo correttamente operato dal Tribunale, dell’esistenza della presunzione legale di esigenze cautelari e di esclusiva adeguatezza della custodia in carcere, in ragione del reato oggetto d’incolpazione. Presunzione che è onere dell’indagato vincere, attraverso l’allegazione di specifici e concludenti elementi logicamente incompatibili con essa, mentre tali non possono ritenersi quelli da lui addotti (incensuratezza, svolgimento di attività bracciantile, mancato rinvenimento di disponibilità finanziarie sproporzionate), quanto meno per chi – come s’ipotizza nel suo caso – non rivesta posizioni di rilievo all’interno della compagine mafiosa.
Al rigetto del ricorso segue obbligatoriamente la condanna del proponente a sostenerne le spese (art. 616, cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen., e 28, reg. esec. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2024.