Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28620 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28620 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME NOMECOGNOME nato a Catania il 01/06/1963
COGNOME GiovanniCOGNOME nato a Catania il 28/12/1968
COGNOME NOMECOGNOME nato a Catania il 19/10/1970
NOME NOMECOGNOME nato ad Acqui Terme il 15/12/1979 avverso la sentenza del 19/09/2024 della Corte di appello di Catania visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; letta la memoria con la quale l’Avv. NOME COGNOME ha rinunciato alla trattazione orale del ricorso di NOME COGNOME udito il difensore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Catania ha, per quanto di rilievo in questa sede, confermato la sentenza del 4 ottobre 2022 del
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania nella parte in cui, all’esito del giudizio abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di:
NOME COGNOME per i reati di cui all’art. 512-bis cod. pen. (capo 5) e all’art. 648-ter.1 cod. pen. (capo 6);
NOME COGNOME per il reato di partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata Cosa nostra ed in particolare alla cosca COGNOME-Ercolano dal gennaio 2000 al 27 maggio 2015 (capo 1);
NOME COGNOME per il reato di partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata Cosa nostra ed in particolare alla cosca COGNOME-Ercolano dal 2004 al 27 maggio 2015 (capo 1);
NOME COGNOME per concorso nel delitto di procurata inosservanza di pena in favore di NOME COGNOME
La sentenza del Tribunale aveva condannato i predetti alle pene ritenute di giustizia e al risarcimento del danno, da liquidarsi separatamente, in favore della parte civile Associazione Antimafia NOME COGNOME.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo lamenta la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per erronea valutazione della prova.
Sostiene che da nessun atto di indagine, comprese le conversazioni intercettate, può ricavarsi la prova del reato per il quale è stato condannato ed in particolare la prova della conoscenza da parte sua che NOME COGNOME fosse ricercato in virtù di un ordine di esecuzione di pena emesso nei suoi confronti.
L’affermazione che il ricorrente sapesse del ruolo apicale di NOME COGNOME in seno al sodalizio mafioso sarebbe apodittica. Né il ricorrente avrebbe fornito a NOME COGNOME alcun contributo a sottrarsi all’esecuzione della pena.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 133 e 62-bis cod. pen. affermando che la Corte di merito, nel determinare il trattamento sanzionatorio, avrebbe omesso di considerare la sua giovane età e che egli è gravato da un solo precedente ormai risalente a diversi anni fa, tanto che egli ha potuto usufruire dell’affidamento in prova ai servizi sociali; il suo ruolo è stato comunque marginale.
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso anche NOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo del loro comune difensore, chiedendone l’annullamento sulla base di un unico motivo con il quale lamentano la
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Sostengono che i fatti sono ormai risalenti a molti anni fa, poiché la loro partecipazione al sodalizio criminale si arresta al 27 maggio 2015 e che essi sono stati sottoposti a restrizione della libertà personale sino al 2012 per altri delit commessi in precedenza e da tale anno essi non sono stati più intercettati o osservati in atteggiamenti criminali, tanto che il Magistrato di sorveglianza in data 16 gennaio 2017 aveva dichiarato cessata la pericolosità sociale di NOME COGNOME e entrambi i ricorrenti, sebbene indagati nella c.d. «operazione Orfeo», avevano ottenuto l’archiviazione nei loro confronti.
Anche il Tribunale del riesame aveva ammesso che essi non erano stati monitorati insieme agli altri associati.
La circostanza che essi fossero stati visti intrattenersi, in sporadiche occasioni, con altri associati non dimostrerebbe la permanenza del vincolo associativo, non valendo essa ad integrare la condotta delittuosa situazioni di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale o di collatelarità che non arrechino un apporto individuabile alla vita del sodalizio mafioso (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271512).
Ha proposto ricorso anche NOME COGNOME a mezzo dei suoi difensori, chiedendo l’annullamento della sentenza ed articolando due motivi.
4.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, cod. proc. pen. e in relazione al reato di cui al capo 5), violazione di legge e vizio di motivazione, sostenendo che le prove acquisite non consentono l’affermazione della sua penale responsabilità per il delitto di trasferimento fraudolento di valori per avere egli fittiziamente attribuito la proprietà di u immobile alla RAGIONE_SOCIALE
Secondo la motivazione della sentenza qui impugnata la prova della penale responsabilità si ricaverebbe dalle conversazioni intercettate e dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME che nel verbale del 27 aprile 2018 aveva affermato che NOME COGNOME era titolare di un edificio sito in INDIRIZZO angolo con INDIRIZZO che il socio del COGNOME era un costruttore, che l’intenzione del Comis era quella di ristrutturare l’edificio per ricavarne pi appartamenti e che i lavori erano ancora in corso quando il COGNOME era stato arrestato. Sulla base delle indicazioni fornite dal COGNOME, l’immobile era stato individuato in quello sito in Catania, INDIRIZZO, che all’epoca delle dichiarazioni del collaborante era di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, riconducibile al costruttore NOME COGNOME. La circostanza che quest’ultimo fosse il socio del RAGIONE_SOCIALE troverebbe conferma in alcune conversazioni intercettate in data 7 e 8 agosto 2017.
Segnala, allora, il ricorrente che dal contenuto delle conversazioni intercettate non potrebbe trarsi la conferma dell’ipotesi accusatoria ed in particolare che il Concorso, approfittando della sopravvenuta carcerazione del Comis, intendesse appropriarsi dell’immobile in realtà appartenente a quest’ultimo. Il Concorso aveva, poco prima dell’arresto del Comis in data 31 gennaio 2017, provveduto a ristrutturare l’immobile ove era allocata la casa discografica riconducibile al figlio NOME COGNOME.
Anche la conversazione intercettata tra NOME COGNOME e NOME COGNOME avrebbe un contenuto ambiguo.
Quanto, poi, all’incontro tra NOME COGNOME e NOME COGNOME altro figlio dell’imputato, ricostruito tramite il racconto, oggetto di intercettazione, che COGNOME ne aveva fatto parlando con NOME COGNOME, emergerebbe che il Concorso era stato minacciato di morte da NOME COGNOME. Secondo l’ipotesi accusatoria il contrasto traeva origine dalla cattiva esecuzione dei lavori di ristruttu razione.
Sostiene, quindi, il ricorrente che sulla base di tali elementi le dichiarazioni del collaborante non possono ritenersi riscontrate, atteso anche che la fonte di conoscenza di quanto affermato dal COGNOME nelle conversazioni intercettate è rimasta ignota.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, cod. proc. pen. e in relazione al reato di cui al capo 6), violazione di legge e vizio di motivazione, sostenendo che le prove acquisite non consentono l’affermazione della sua penale responsabilità per il reato di cui all’art. 648-ter. cod. pen. in quanto, anche laddove fosse provato il delitto di cui al capo 5), non potrebbe ritenersi dimostrata la provenienza da delitto delle somme utilizzate per l’acquisto e la ristrutturazione dell’immobile.
L’intestazione fittizia non vale di per sé a dimostrare l’origine illecita de capitali, potendo essa trovare giustificazione nella mera esigenza di sottrarre il bene alla possibile applicazione delle misure di prevenzione ablative. Né può a tal fine essere sufficiente la sproporzione tra le spese e le entrate del nucleo familiare del Comis.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Deve preliminarmente osservarsi che la rinuncia, da parte del difensore di NOME COGNOME, alla richiesta di discussione orale non determina il mutamento del rito in quello cartolare.
La richiesta di trattazione orale deve considerarsi irretrattabile, atteso che in caso contrario non sarebbe possibile rispettare i termini previsti per la forma di
trattazione alternativa, caratterizzata dall’instaurazione di un contraddittorio meramente cartolare, con necessità di differire ulteriormente la trattazione, incidendo sulla durata del procedimento in pregiudizio del bene tutelato dall’art. 111, comma secondo, Cost. (Sez. 2, n. 42410 del 17/06/2021, Basile, Rv. 282207 – 01).
2. Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
2.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile poiché si limita a reiterare la censura già formulata con l’atto di appello, omettendo di confrontarsi con le ragioni poste a base della decisione dalla Corte di appello che ha evidenziato che la conoscenza in capo al ricorrente della latitanza di NOME COGNOME emerge chiaramente da due conversazioni intercettate, illustrandone il contenuto, cosicché la censura appare estremamente generica.
2.2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269).
In particolare, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899) e nel caso di specie la Corte di appello ha fatto riferimento ai precedenti penali a carico del ricorrente.
3. Anche i ricorsi di NOME e NOME COGNOME sono inammissibili.
Anch’essi si limitano a reiterare le censure già formulate con i loro atti di appello.
È ben vero che questa Corte di cassazione ha più volte affermato, in tema di associazione di tipo mafioso, che la mera «contiguità compiacente», anche caratterizzata da atteggiamenti di fascinazione verso un determinato apparato mafioso o di ammirazione verso i partecipi o i capi del gruppo, non costituisce comportamento sufficiente a integrare la condotta di partecipazione all’organizzazione, ove non sia dimostrato che la vicinanza a soggetti mafiosi si sia tradotta in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, alla conservazione o al rafforzamento della consorteria (Sez. 5, n. 12753 del 17/01/2024, Marino, Rv. 286120).
Tuttavia, nel caso di specie, la Corte di appello ha ben chiarito le ragioni per le quali, sulla base delle propalazioni di plurimi collaboratori di giustizia, i d ricorrenti non si sono limitati ad una mera «contiguità compiacente», ma hanno fornito un concreto contributo al sodalizio mafioso, partecipando a riunioni di associati, occupandosi NOME COGNOME di effettuare rapine, estorsioni, furti e traffici di sostanze stupefacenti nell’interesse della cosca, mentre il fratell NOME era dedito all’usura ed al traffico di stupefacenti e durante la sua detenzione aveva percepito lo «stipendio» dalla cosca.
Anche i ricorrenti, quindi, omettono di confrontarsi con la diffusa motivazione della sentenza di appello e le loro censure risultano inammissibili per genericità.
Neppure il ricorso di NOME COGNOME si sottrae alla sanzione dell’inammissibilità, atteso che, in relazione ad entrambi i reati per i quali ha riportato condanna, egli, sostenendo che le prove raccolte non consentono di affermare la sua responsabilità, invoca a questa Corte di cassazione una rivalutazione del materiale istruttorio non consentita in questa sede di legittimità.
Peraltro, omettendo egli di riportare gran parte del contenuto delle conversazioni intercettate, che invece si ricava dalla motivazione della sentenza qui impugnata, il primo motivo di ricorso risulta estremamente generico.
Quanto al secondo motivo di ricorso, la Corte di appello ha illustrato le ragioni che consentono di ritenere dimostrata la provenienza dal delitto associativo delle somme utilizzate per acquistare e poi ristrutturare l’immobile, evidenziando la notevole sproporzione tra queste e le fonti reddituali lecite del nucleo familiare del ricorrente e la mancata giustificazione, da parte del Comis, della provenienza lecita di tali somme.
L’inammissibilità del ricorso preclude a questa Corte di cassazione di sollevare d’ufficio eventuali questioni attinenti alla corretta qualificazion giuridica dei fatti per i quali è stata pronunciata condanna (vedi Sez. 2, n. 17235 del 17/01/2018, COGNOME, Rv. 272651).
All’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/06/2025.