Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 9269 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 9269 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 19/02/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udite le richieste del difensore del ricorrente, avvocata NOME COGNOME che si è riportata ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1.NOME COGNOME impugna l’ordinanza indicata in epigrafe con la quale il Tribunale di Palermo ha respinto la richiesta di riesame avverso l’ordinanza del 7 ottobre 2024 con la quale il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo gli aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere per i reati di cui agli artt. 416-bis, cod. pen., 74, d.P.R. n. 309 del 1990 cod. pen., 629, commi 1 e 2, cod. pen.; 582, 585 in rel. all’art. 576 comma 1, n. 1 cod. pen.; 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, reati commessi anche con condotte permanenti e perduranti, quelli associativi, e tutti aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod
pen. sia per essersi avvalso del metodo mafioso che a vantaggio dell’associazione mafiosa di cui era partecipe, la famiglia mafiosa del mandamento di “Porta Nuova” di Palermo. Sono, infine contestate la recidiva e l’aggravante di avere commesso i fatti dopo lo sconto di pena.
Con i motivi di ricorso, sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. cod. proc. pen nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il ricorrente denuncia:
2.1. nullità dell’ordinanza di applicazione della custodia cautelare in carcere per violazione degli artt. 125 e 392, comma 2, cod. proc. pen, per mancanza di autonoma valutazione della richiesta cautelare da parte del giudice per le indagini preliminari. Analogo vizio inficia anche l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame;
2.2. violazione di legge (art 273 e 192 cod. proc. pen.) e vizi di motivazione in relazione ai reati di cui ai capi 1) e 2) della imputazione. L’ordinanza impugnata merita censura in merito alla contraddittorietà e lacunosità della motivazione con riferimento alla ritenuta configurabilità a carico del ricorrente della condotta partecipativa in relazione al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. Il Tribunale, disattendendo i motivi di censura proposti dalla difesa, ha valorizzato le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME sottoponendole ad una lettura parcellizzata e frazionata e non già valutandole nella loro interezza, procedimento che avrebbe consentito di rilevare la contraddittorietà dei dichiaranti in ordine alla partecipazione dello COGNOME per effetto della fidelizzazione, circostanza sconosciuta al COGNOME e malamente giustificata. Il Tribunale ha valorizzato le dichiarazioni di NOME COGNOME che tuttavia non sono confermate da quelle del COGNOME che avrebbe dovuto essere a conoscenza di tale precedente trattandosi di una condotta molto risalente. Erroneamente, perché carenti di riscontri, sono state valorizzate anche episodi di pestaggio compiuti dallo COGNOME in carcere e nell’interesse dell’associazione. Il ricorrente in realtà, e da qui un’ulteriore aspetto di travisamento delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME era uno spacciatore a disposizione di COGNOME NOME e non a disposizione di “Cosa Nostra”; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.3.erroneamente il Tribunale ha valorizzato per inferirne la partecipazione anche in relazione al reato di cui al capo 2), cioè reato associativo in materia di stupefacenti, la condotta di estorsione a scritta ricorrente al capo 3), in mancanza di contatti diretti con altri partecipi, aspetto questo che rileva anche ai fini dell condotta partecipativa del reato di cui al capo 1); della mancata precisazione del ruolo del ricorrente, se partecipe o organizzatore e soprattutto della valorizzazione di un unico isolato e occasionale episodio qual è quello riferito da COGNOME NOME di cui il Tribunale ha valorizzato le dichiarazioni sulla base delle
captazione ambientale del 6 maggio 2022 intercorsa tra la compagna del La Dolcetta e NOME COGNOME quindi di una conversazione alla quale, come quelle direttamente facenti capo al padre, il dichiarante non partecipa. Il Tribunale non ha esaminato la produzione difensiva in merito al licenziamento della sorella dello COGNOME da parte della suocera del dichiarante, che dimostra i contrasti con lo COGNOME stesso. L’ordinanza impugnata con riguardo al reato associativo contravviene alla giurisprudenza della Corte Cassazione in materia di rilevanza del contributo associativo;
2.4. violazione di legge (artt. 273 e 192 cod. proc. pen). e vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di cui all’articolo 629 cod. pen. in assenza di riscontri. Sono state valorizzate le dichiarazioni accusatorie di NOME COGNOME con argomentazioni generiche e lacunose con riferimento agli elementi costitutivi del reato di estorsione. Altro punto attiene alla mancata valutazione deve dichiarazioni rese dalla sorella dello COGNOME in merito al suo licenziamento;
2.5. violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta esistenza del reato del reato di cui all’articolo 73 nonché in relazione al capo 10) per quanto riguarda l’episodio di detenzioni a fini di cessione della droga si è in presenza di droga parlata e in assenza di alcun riscontro oggettivo;
2.6. violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari. La tecnica di redazione del provvedimento che si è limitato alla richiamare la doppia presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è illegittima in quanto priva di un effettivo aggancio con un giudizio sulla personalità e sulla attualità dell’inserimento dell’indagato nel contesto associativo. La motivazione al riguardo dell’ordinanza impugnata è apparente
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2.11 primo motivo di ricorso è indeducibile perché non proposto con la richiesta di riesame.
3.11 secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, possono essere esaminati congiuntamente e sono inficiati dalla genericità, per aspecificità, delle pur ampie prospettazioni difensive.
L’ordinanza esamina una serie di elementi che, sottoposti a revisione critica sulla socrta dei rilievi formulati dalla difesa con l’impugnazione cautelare7 -? j) integrano i gravi indizi di colpevolezza e, in particolare:
le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME quali gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di partecipazione al clan “Porta Nuova”, affiliato a Cosa Nostra Palermitana;
b) le dichiarazioni rese da NOME COGNOME persona offesa del reato di estorsione dichiarazioni, queste, sulla scorta delle quali l’indagato è stato, altresì, ritenuto partecipe di un’associazione a delinquere dedita al controllo di una piazza di spaccio sita nel centro cittadino di Palermo, in linea con la ricostruzione compiuta nella sentenza di condanna in primo grado per il reato di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990 a carico di NOME COGNOME e altri, individuati quali gestori della piazza di spaccio su incarico dei capi del mandamento mafioso di “INDIRIZZO” che gestiva e coordinava le attività di spaccio garantendo e imponendo le relative forniture, riscuotendo “il pizzo” sulle illecite attività svolte assenza di autorizzazione del clan.
Nell’ordinanza impugnata si evidenzia che il controllo sulla piazza di spaccio era gestito dal clan attraverso propri fiduciari, tra i quali l’odierno ricorrente che stato espressamente individuato dal NOME COGNOME, spacciatore di cocaina al centro di una lucrosa attività di spaccio come si evince, altresì, dalla conversazione intercorsa tra la convivente, NOME COGNOME e NOME COGNOME, collaboratore del La COGNOME che puntava a garantirsi un autonomo ruolo di spaccio.
Il Tribunale, infine, ha spiegato che le conversazioni intercettate presso l’abitazione del padre del La Dolcetta (NOME COGNOME) all’indomani dell’avvio della collaborazione di NOME e nel corso delle quali il padre prendeva le distanze dall’attività del figlio; le riprese video, con riferimento al reato di lesi in danno di NOME COGNOME; le risultanze dell’arresto in flagranza del coindagato del ricorrente in una alle conversazioni intercettate sono poste a fondamento non solo della contestazione di cui al capo di imputazione sub 7, ma avvalorano in generale anche le dichiarazioni di NOME COGNOME.
Premesso che, con riferimento al reato di cui all’articolo 416-bis cod. pen., le valutazioni in ordine all’esistenza del clan e delle sue modalità di organizzazione sono riferite dai collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME che rimandano anche alla condotta partecipativa dello COGNOME, risalente negli anni, il Tribunale ha dato una ragionevole motivazione della apparenti discrasie – sull’affiliazione dello COGNOME, non riferita dal COGNOME – spiegando che tale dichiarante, la cui collaborazione era iniziata in epoca risalente, poteva non averne avuto conoscenza avendo, invece, riferito i “compiti” che nel contesto associativo gli erano stati attirbuiti e che l’indagato aveva svolto: su tali condotte convergono i resoconti del COGNOME e del COGNOME che individuano lo COGNOME come impegnato anche in attività di “pestaggio” per conto dell’associazione.
Significative, del resto, di tale militanza sono state ritenute le attività svolt dall’indagato a favore del latitante NOME COGNOME (pag. 13 dell’ordinanza impugnata), a propria volta indiziato di appartenenza all’associazione mafiosa, oltre che coinvolto nel reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 309 cit. valorizzando il dato che, proprio dopo avere seguito lo COGNOME ( e altro coindagato), sottoposti a intercettazione, si era pervenuti alla cattura del COGNOME il 18 luglio 2022. Nell’occasione lo COGNOME era impegnato in un’attività di pattugliamento del territorio, in vista dello spostamento del COGNOME, affatto isolata ma emersa anche nei giorni precedenti proprio sulla scorta delle conversazioni intercettate.
Di assoluto rilievo, l’ordinanza impugnata ha ritenuto il “ruolo” del ricorrente nel favoreggiamento della latitanza del COGNOME – che rivestiva il doppio ruolo di di partecipe sia del gruppo dedito al traffico di droga che del mandamento di “Porta Nuova” – alla stregua delle conversazioni intercettate a partire dal maggio 2022 e dalle quali, per viva voce dei sodali NOME e NOME COGNOME, si apprendeva che NOME COGNOME era stato individuato dal COGNOME come suo successore (i due commentano che COGNOME “stava lasciando tutte cose” allo COGNOME). L’ordinanza esamina anche l’aspetto delle critiche che i due muovevano allo COGNOME, ritenuto non idoneo a ricoprire il ruolo, ma che ritenevano tale incarico “necessitato” – in conseguenza di possibili arresti- e “a termine”, perché, quando i nuovi referenti apicali si fossero riorganizzati ne avrebbero ridimensionato i compiti, confidandone le attività nel quartiere “Noce”.
E su questo aspetto, le acquisizioni si saldano alle dichiarazioni rese da COGNOME NOME e al contenuto delle intercettazioni intercorse tra questi e il padre NOME, significative poiché nel corso delle conversazioni intercettate vengono ricostruite le richieste estorsive avanzate, proprio dall’indagato, ai COGNOME per vendere la droga, acquistandola dai canali del clan e pagando una tangente sullo smercio.
L’ordinanza descrive il contenuto di tali dichiarazioni pervenendo alla conclusione della “irrilevanza” della produzione documentale, relativa al licenziamento della sorella dello COGNOME e ai commenti che sui social l’avevano accompagnata, perché ininfluenti ai fini della ricostruzione dei fatti che emergevano con evidenza della conversazioni intercettate, anche successive all’avvio della collaborazione di NOME COGNOME (le conversazioni del 21 aprile 2023), in cui NOME COGNOME commentava che avrebbe fatto sapere, a chi di interesse, che prenderà le distanze dal figlio passando in rassegna le persone che il figlio potrebbe accusare e tra questi, proprio lo COGNOME
La ricostruzione compiuta nell’ordinanza impugnata, in linea con la contestazione, rinvia alla condotta partecipativa dell’indagato in relazione ad
entrambi i reati associativi non solo in ragione della “specularità” che si registrano nelle attività dei due gruppi, per cui il gruppo dedito allo spaccio ne costituiva una promanazione affatto coincidente con i componenti della prima, piuttosto che un ruolo direttivo o organizzativo.
Se è vero che anche la mera “reggenza” del gruppo associato dedito alla commissione di reati in materia di stupefacenti è riconducibile alla condotta di organizzazione, il descritto fluido contesto, non consente di ricostruire l’esercizio di funzioni direttive riconosciute, in proprio, allo COGNOME non essendone emerso un ruolo di preminenza anche rispetto alle attività dei correi.
Conclusivamente, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia; le dichiarazioni rese da NOME COGNOME e le risultanze delle intercettazioni, convergono univocamente – secondo la logica ricostruzione dell’ordinanza impugnata- nel delineare le condotte partecipative dell’indagato e la riferibilità delle minacce estorsive ad NOME COGNOME, a prescindere dalle apparentemente volontarie modalità con le quali, questi o il padre, si recavano agli incontri convenuti, per imporgli forniture di droga e pagamenti di tangenti per proseguire nella lucrosa attività di smercio che il RAGIONE_SOCIALE svolgeva nel centro della città di Palermo, dichiarazioni che trovano corrispondenza, sul punto del coordinamento dell’attività di spaccio riconducibile all’indagato, con la ricostruzione posta a base della contestazione del reato sub capo 10), commesso il 13 settembre 2023.
Per tale vicenda, a smentita della natura della prova (riferita, secondo il ricorso, a droga cd. parlata), l’ordinanza impugnata evidenzia che il coindagato NOME COGNOME veniva tratto in arresto dopo avere ricevuto dal ricorrente parte della droga detenuta (1,1 kg di hashish costituito da 11 panetti di 100 gr. ciascuno), droga che questi, a propria volta, aveva ricevuto da NOME COGNOME in un sacchetto bianco, poi sequestrato al Carollo, operazioni attraverso operazioni e passaggi caduti direttamente sotto l’osservazione degli inquirenti.
Anche il quinto motivo di ricorso proposto dallo COGNOME è, pertanto, generico e correttamente le risultanze di tale operazioni sono state ritenute convergenti con il descritto ruolo svolto dall’indagato nel gruppo associto dedito al controllo dello smercio di droga nel quartiere “Noce”, ove ricade la strada scenario delle operazioni.
5.11 difensore del ricorrente, dopo avere proposta una lettura alternativa del compendio indiziario sminuendo la valenza probatoria degli elementi raccolti, offre una lettura estremamente riduttiva e incompleta delle risultanze processuali al fine di contestare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sia con riferimento al reato associativo in materia di stupefacenti che di quello mafioso. Deve, pertanto, pervenirsi alla conclusione che, allo stato, in presenza di più organizzazioni e del
descritto contributo dell’indagato all’una e all’altra, risulta comprovata la partecipazione dell’indagato sia con riferimento al clan mafioso che al gruppo dedito al controllo dello spaccio, partecipazione funzionale al fine di agevolare il clan di “Porta Nuova” nel rispetto delle regole, di fornitura e del pagamento della tangente al clan stesso, partecipazione che, per quanto concerne il reato associativo mafioso, è avallata dalle risultanze che vedono il ricorrente fiancheggiatore della latitanza del COGNOME.
6.L’ordinanza impugnata si sottrae a censure, risultando motivata in modo lineare e conforme ai principi affermati da questa Corte in tema di reati associativi, assistiti, specie per le mafie storiche, come quella in esame, dalla doppia presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di idoneità esclusiva della misura della custodia in carcere, non superata da elementi indicativi della recisione del vincolo associativo.
In particolare, il Tribunale ha desunto la sussistenza e persistenza del pericolo di reiterazione dal contesto criminale in cui si collocano le condotte, dalla gravità e dalle allarmanti modalità di commissione dei reati e dalle finalità perseguite, squisitamente mafiose, e dalla partecipazione a vicende rilevanti per affermare con violenza il potere del sodalizio e il controllo territoriale, con condotte recenti e in assenza di elementi che denotino alcun distacco dal contesto associativo.
L’intraneità, la radicata adesione alle logiche associative e la propensione alla violenza del ricorrente risultano con evidenza dalle condotte contestategli in danno di NOME COGNOME ma anche in relazione al capo di imputazione 6, il pestaggio in danno di NOME COGNOME che non è stato oggetto di ricorso.
Incensurabili, pertanto, perché rigorosamente fondate sui criteri di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., le valutazioni espresse dal Tribunale nella parte in cui hanno ritenute sussistenti le esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura custodiale, valutazioni arricchite dai riferimenti alla “versatilità” del contribu associativo dello COGNOME che spazia dall’assicurazione alla connessione associativa passando attraverso una particolare prossimità al sodale COGNOME e confermata dalla recidiva e dall’esecuzione dei fatti pur dopo l’esecuzione di pesanti condanne, giudizio ribadito in termini negativi valorizzando altresì la propensione dell’indagato a commettere reati violenti in ragione della condotta ascrittagli al capo 6, documentata dal video che lo riproduce intento al pestaggio di tale COGNOME.
7.11 GLYPH ricorrente, in conseguenza della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, deve essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. Considerato che non vi è ragione di
ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende. La cancelleria è delegata agli adempimenti indicati in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui astiV artt. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 19 febbraio 2025
La Consigliera relatrice
Il Pre idente