Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2238 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2238 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME nato a Mussomeli il 29/3/1980
avverso l’ordinanza del 13/6/2024 del Tribunale di Caltanissetta visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Caltanissetta, con ordinanza del 13 giugno 2024, ha rigettato la richiesta di riesame e, per l’effetto, ha confermato il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città 1’8 maggio 2024 aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di
NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., per otto episodi di estorsione, tentata e consumata, e per due ipotesi di detenzione illegale di arma.
NOME COGNOME è stato sottoposto a indagini per avere partecipato, con il ruolo di reggente, all’associazione di tipo mafioso denominata “cosa nostra” operante nella provincia di Caltanissetta, nello specifico alla famiglia di Campofranco. Il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., ascrittogli provvisoriamente, è aggravato dall’essere l’associazione armata e dal fatto che gli associati avrebbero finanziato, in tutto o in parte, attività economiche con il prezzo, il prodotto, ovvero il profitto dei delitti.
Al ricorrente, inoltre, sono state ascritte otto estorsioni, tentate o consumate, specificamente descritte nei capi di imputazione provvisoria, aggravate ai sensi dell’art. 416 bis.1 cod. pen., e per due ipotesi di detenzione illegale di arma, sempre aggravate ai sensi dell’art. 416 bis.1 cod. pen.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’indagato che, a mezzo del difensore, ha dedotto i motivi di seguito indicati.
3.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 273 cod. proc. pen.:
capo 1) reato associativo.
La difesa ha lamentato la carenza di elementi quanto alla partecipazione del ricorrente al sodalizio operante nella provincia di Caltanissetta e, in particolare, nel territorio del cosiddetto Vallone. L’indagato, soggetto totalmente incensurato, sarebbe estraneo a tutte le precedenti indagini e non sarebbero emersi elementi tali da dimostrare che egli avesse mai fatto da intermediario con altri soggetti nell’interesse o per incarico dello zio. L’affermazione per cui dovrebbe succedere allo zio, in caso di detenzione di quest’ultimo, sarebbe una congettura. Gli elementi relativi alle estorsioni non sarebbero sufficienti e non sarebbero comunque decisivi. La sussistenza delle aggravanti sarebbe indimostrata.
Capi 2), 3), 4), 5), 6), 7), 8) e 9): estorsioni e tentate estorsioni.
Secondo il ricorrente, anche in merito ai reati fine la conclusione del Tribunale sarebbe errata. In particolare:
capo 2): dalle intercettazioni sarebbe emerso che la persona offesa aveva usato parole chiare, dimostrative del non sentirsi intimidita (pag. 7 del ricorso);
capi 3) e 4): gli elementi non sarebbero sufficienti (pagine 8, 9 e 10 del ricorso);
capo 5): il ricorrente sarebbe rimasto in disparte rispetto a una attività effettuata da COGNOME (pag. 10 e 11 del ricorso);
capo 7): non vi sarebbero elementi concreti (pag. 12);
capo 8): non vi sarebbero di elementi atti a ricondurre la richiesta estorsiva, formulata da NOME COGNOME e NOME COGNOME, ad NOME COGNOME e a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (pagine 12 e 13);
capo 9): le conversazioni non sarebbero chiare e pregnanti (pagina 14).
Reati in materia di armi.
Il Tribunale avrebbe omesso di motivare in ordine alla mancanza di funzionalità delle armi oggetto della contestazione (una pistola calibro 38 e una calibro 9).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Deve ribadirsi che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti oppure si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01; Sez. 6, n. 11194 dell’8/3/2012, COGNOME, Rv. 252178 – 01).
Correlativamente, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale, a questa Corte spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che a esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni del dedsum e di controllare la congruenza della motivazione rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Alla luce di siffatte coordinate ermeneutiche deve rilevarsi che il provvedimento impugnato è immune da vizi sindacabili in questa sede.
3.1. Quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione del ricorrente al sodalizio e ai delitti estorsivi, il Tribunale, dopo avere premesso che le indagini, svolte nell’attuale procedimento, si inserivano in un più ampio contesto di accertamenti relativi all’attività mafiosa delle famiglie del Vallone, ha rilevato che le conversazioni intercettate evidenziavano la volontà di rendere nuovamente operativa ed efficace l’attività della famiglia di Campofranco attraverso la perpetrazione di estorsioni; ciò anche al fine di creare una cassa comune, necessaria per il sostentamento degli associati, l’assistenza dei detenuti
e delle famiglie, oltre che per il pagamento dei difensori e l’approvvigionamento di armi.
Il Tribunale ha aggiunto che dall’esame complessivo del materiale indiziario risultava che l’indagato non solo aveva in quasi tutte le estorsioni, oggetto di contestazione, offerto il proprio contributo finalizzato certamente al raggiungimento degli scopi dell’associazione, essendosi dimostrato particolarmente attivo nell’agire in coordinamento con il coindagato NOME COGNOME COGNOME ma si era anche distinto quale soggetto centrale per il funzionamento della consorteria, avendo operato come elemento di raccordo con suo zio NOME COGNOME, reggente del sodalzio. Il Collegio del riesame ha altresì precisato che i delitti estorsivi venivano commessi in un’ottica prettamente associativa, come poteva evincersi dal modus operandi degli indagati, che agivano sotto la direzione di NOME COGNOME con la collaborazione di COGNOME e dello stesso ricorrente, il quale, in alcune estorsioni, era coinvolto quale protagonista nella fase deliberativa, in altre, quale esecutore materiale.
Con riferimento alle singole estorsioni il Tribunale ha richiamato le conversazioni da cui si traeva il coinvolgimento del ricorrente e ha avuto cura di disattendere analiticamente le doglianze difensive relative alla commissione dei reati e alla sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso.
A fronte delle argomentazioni del Tribunale deve premettersi che, come affermato dalla sentenza delle Sezioni unite di questa Corte n. 36958 del 27/05/2021 (COGNOME, Rv. 281889), sulla scia della precedente sentenza sempre del Massimo Consesso n. 33748 del 12/7/2005 (COGNOME, Rv. 231670), la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza non per l’assunzione di uno “status” ma per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua messa a disposizione in favore del sodalizio, per il perseguimento dei comuni fini criminosi.
Al fine della valutazione dell’appartenenza, assume, quindi, assoluta decisività la possibilità di attribuire al soggetto la realizzazione di un qualsivoglia “apporto concreto”, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità e consapevolezza oggettiva.
Come hanno sottolineato le Sezioni Unite nel 2021, anche la commissione di delitti – scopo è uno dei sintomi, normalmente quello più evidente, anche se non l’unico, dell’inserimento nel sodalizio. Oltre a questo – definito come autoevidente dalla sentenza COGNOME, in quanto si distingue rispetto alla maggior problematicità della spia di intraneità costituita dall’affiliazione rituale – devono comunque essere considerate anche le ulteriori e diverse condotte, che risultano
essere il compimento di attività causalmente orientate a favore dell’associazione, dalle quali, sulla base degli elementi probatori acquisiti, emerga l’organicità del singolo che, reiterando condotte di semplice tenore esecutivo ovvero rafforzando e agevolando l’attività dell’associazione, ponga in essere comportamenti teleologicamente rivolti al perseguimento degli obiettivi dell’associazione stessa.
Tali principi sono stati osservati dal Collegio del riesame, che si è diffuso nell’indicare gli ambiti operativi del ricorrente con particolare riguardo al suo coinvolgimento nell’attività estorsiva, compiuta dal sodalizio proprio al fine di soddisfare interessi dell’associazione mafiosa.
Di contro, il ricorrente si è limitato a svilire il significato delle conversazion intercettate e a contestare in maniera assertiva il ragionamento articolato dai giudici del riesame, senza però evidenziare profili di effettiva illogicità.
3.2. Quanto alle censure sulle aggravanti, contestate in relazione al delitto associativo, deve rilevarsi che il Tribunale ha affermato che la compagine mafiosa aveva l’effettiva disponibilità delle armi e operava anche imponendo l’affidamento dei subappalti a specifiche ditte.
Riguardo alle aggravanti di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen., contestate in ordine agli episodi estorsivi, il Tribunale ha rilevato che esse dovevano ritenersi fondatamente contestate, attesi gli espliciti ed impliciti atti intimidatori tipicamente mafiosi perpetrati ed indicati in sentenza.
A fronte di tali argomentazioni il ricorrente ha di fatto contestato il significato delle conversazioni richiamate dal Tribunale ma ha trascurato di considerare che non è possibile operare una reinterpretazione del contenuto delle captazioni acquisite, sulla scorta di quanto prospettato dalla difesa del ricorrente, essendo tale operazione di ermeneutica processuale preclusa alla Corte di cassazione, conformemente al principio di diritto secondo cui, in materia di intercettazioni telefoniche, costituiscono questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato dal giudice di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784 – 01; Sez. 6, n. 11794 de1111/02/2013, Melfi, Rv. 254439 – 01). Profili, questi ultimi, non sussistenti nel caso in esame, non ravvisandosi nel provvedimento impugnato alcuna incongruità valutativa.
Quanto ai reati di cui ai capi 15) e 16) il ricorrente ha prospettato una tesi, relativa alla rilevanza del non funzionamento delle armi, manifestamente infondata.
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Posto che dalle intercettazioni risulta che le armi c’erano e che i sodali le volevano riparare, deve ricordarsi che questa Corte ha avuto modo di affermare che la natura di un’arma non viene meno per il solo fatto che lo strumento non sia attualmente funzionante, atteso che il pericolo per l’ordine pubblico sussiste anche in presenza di un guasto riparabile, a meno che non risulti obiettivamente la difficoltà della riparazione, per l’impossibilità di reperire pezzi di ricambio o comunque per la non sostituibilità (Sez. 1, n. 18218 del 6/03/2019, COGNOME, Rv. 275465 – 01).
5. La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
6. La Cancelleria è onerata degli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. attuaz. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 17 ottobre 2024