Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31700 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31700 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a Palermo il 02/10/1993
avverso l’ordinanza del 06/03/2025 del TRIB. DEL RIESAME di Palermo Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per il ricorrente, che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
L ‘ordinanza oggi al vaglio della Corte è stata deliberata il 6 marzo 2025 dal Tribunale del riesame di Palermo, che ha respinto la richiesta di riesame presentata nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo che gli aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere, ritenendolo gravemente indiziato di avere partecipato alla cosca di mafia detta Porta INDIRIZZO, con la funzione di responsabile del quartiere Danisinni.
Il ricorso principale presentato dal difensore dell’indagato si compone di due motivi, di seguito sintetizzati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria per il reato di associazione mafiosa.
Il ricorrente premette che l’ordinanza impugnata è riproduttiva di quella del Giudice per le indagini preliminari, che avrebbe svolto una valutazione errata del materiale investigativo. Non si comprenderebbe ⎯ prosegue il ricorrente ⎯ quale sia il ruolo attribuito al ricorrente all’intern o dell’associazione e sarebbero stati apoditticamente valorizzati contra reum i precedenti penali; anche il contrasto tra NOME COGNOME e COGNOME a militerebbe per l’esclusione dell’appartenenza associativa di quest’ultimo, così come il silenzio dei collaboratori di giustizia quanto al suo ruolo all’interno della compagine. La valorizzazione, quali elementi a carico, dei rapporti ⎯ di matrice sconosciuta ⎯ con NOME COGNOME e della conoscenza delle dinamiche interne della cosca non basterebbe a ritenere dimostrata l’appartenenza di COGNOME alla compagine. Le intercettazioni dei colloqui di COGNOME con NOME COGNOME e NOME COGNOME non sarebbero eloquenti in termini indiziari, perché riferite ad un momento in cui COGNOME era ancora sentimentalmente legato alla nipote di COGNOME. Il ricorrente aggiunge che non vi sarebbe traccia, né documentale né nelle intercettazioni, della conversazione tra COGNOME e COGNOME NOME, il che renderebbe congetturale la motivazione del provvedimento impugnato in ordine ai rapporti tra i due. Non vi sarebbero dati concreti cui ancorare la prova che il ruolo attribuito a COGNOME nel settore delle vendite immobiliari fosse funzionale agli interessi dell’associazione. Il motivo di ricorso si conclude con alcune riflessioni teoriche sulla nozione di appartenenza associativa.
2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge quanto al vaglio delle esigenze cautelari. In particolare la censura si rivolge all’enunciato del Tribunale del riesame circa il pericolo di fuga e di inquinamento probatorio, disancorato (sostiene il ricorrente) da qualsiasi elemento concreto, perché lo spettro di una condanna severa non può costituire indicatore del pericolo di sottrarsi al procedimento. Quanto al rischio di recidiva, il mero riferimento ai precedenti penali non esaurirebbe il vaglio da compiere, tanto più quando, come nel caso concreto, si tratta di precedenti risalenti. Né l’esigenza cautelare di cui alla lett. c) dell’art. 274 cod. proc. pen. può trarsi dai rapporti con altri soggetti, ancorché affiliati.
Il motivo aggiunto presentato nell’interesse dell’indagato ritorna sul tema della gravità indiziaria, sostenendo un difetto di dimostrazione circa l’integrazione del modello partecipativo ex art. 416bis cod. pen. La parte ricorda
che la fonte indiziaria nei confronti del ricorrente è data dalle conversazioni tra NOME COGNOME e i coniugi COGNOME mentre il collaboratore di giustizia COGNOME che sarebbe stata l’unica voce non mossa da un possibile rancore verso COGNOME aveva taciuto.
Le affermazioni malevole provenienti dai coniugi COGNOME ⎯ prosegue il ricorrente ⎯ sarebbero mere valutazioni disancorate da qualunque descrizione precisa in fatto e sarebbero state sopravvalutate.
L’ordinanza impugnata avrebbe replicato la descrizione degli elementi indiziari di cui all’ordinanza genetica ed avrebbe malamente valutato la conversazione circa il pagamento del compenso al difensore di COGNOME.
Il presunto rapporto con il coindagato COGNOME non sarebbe assistito da alcuna base indiziante se non quella debole delle parole dei coniugi COGNOME e COGNOME, pur definendo COGNOME ‘una specie di nipote’, non aveva mostrato di essere posto al corrente di attività utili per l’associazione da parte del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato a va, pertanto, respinto.
Sono infondati e, per certi aspetti, inammissibili, il primo motivo di ricorso e il motivo aggiunto, che denunziano violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria circa la partecipazione di Fanara alla compagine mafiosa.
Il Collegio ritiene, infatti, che, a dispetto di quanto si sostiene nel ricorso, la trama motivazionale dell’ordinanza impugnata dia conto, in termini rispondenti alle direttrici ermeneutiche di questa Corte e con motivazione effettiva, univoca e non manifestamente illogica, delle ragioni giustificative del coinvolgimento associativo di Fanara.
1.1. A questa conclusione la Corte è giunta avendo presente, come preliminare coordinata esegetica, quella secondo cui, allorché il ricorso per cassazione lamenti vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, nell’ottica di un vaglio che riguardi una ‘qualificata
probabilità di colpevolezza’ (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 215828). Si è altresì precisato, a circoscrivere l’ambito dello scrutinio di questa Corte, che anche il vaglio di legittimità in materia di gravità indiziaria non può dare seguito a quelle censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 -01).
E poiché il quadro indiziario si compone essenzialmente di intercettazioni, sulla cui interpretazione il ricorrente cerca di stimolare lo scrutinio di questa Corte, il Collegio ricorda, altresì, l’ineludibile insegnamento di questa Corte secondo cui « In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità » (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 -01; in termini, ex multis , Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 -01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME e altri, Rv. 268389 -01).
1.2. Nel quadro teorico sopra delineato si colloca la conclusione del vaglio odierno, secondo la quale il quadro composito degli elementi emersi dalle indagini a carico di COGNOME restituisce -nei termini richiesti nel giudizio ex art. 311 cod. proc. pen. – l’immagine di un soggetto coinvolto attivamente nelle vicende associative.
Prima di ragionare più nel concreto, occorre però sgomberare il campo dal dubbio che il ricorrente cerca qua e là di insinuare circa l’insufficienza della risposta del Tribunale del riesame a proposito della carenza di autonoma valutazione da parte del Giudice per le indagini preliminari; ebbene, la censura è del tutto generica, perché manca della dovuta precisazione di quali sarebbero gli indicatori di questa presunta mancanza di autonomia decisionale in capo al primo Giudice della cautela e su quali aspetti quest’ultimo avrebbe replicato pedissequamente non solo il segmento descrittivo dei fatti e delle indagini del decreto di fermo, ma anche quello valutativo attuato dall’organo inquirente. Il ricorso, inoltre, omette di indicare perché la compiuta risposta che il Collegio della cautela ha fornito alla doglianza alle pagg. 3 e 4 del provvedimento impugnato non soddisfi il tema censorio.
Venendo al concreto, la motivazione del Collegio de libertate va riguardata nella sua interezza, senza una parcellizzazione dei singoli elementi indiziari, la cui forza dimostrativa deve essere verificata nel suo complesso, in quanto ciascun dato si salda con gli altri in una trama giustificativa unitaria.
Ed è in questo senso che va valutata la tenuta del provvedimento impugnato laddove ha valorizzato la conversazione tra NOME COGNOME e NOME COGNOME in cui si parla del predominio di COGNOME su COGNOME, con l’imposizione del suo controllo sulle compravendite immobiliari, e delle sue mire di potere; dato indiziario che il ricorrente ha affrontato proponendo una inammissibile esegesi alternativa della fonte, cercando assertivamente di relegarlo a mero, malevolo pettegolezzo, benché si tratti di un dialogo tra personaggi implicati nel sodalizio e benché esso faccia riferimento non già a generici atteggiamenti di prepotenza di Fanara, ma ad una specifica opera di controllo delle attività economiche tipica delle consorterie mafiose.
A questo dato va ad affiancarsi quello delle telefonate tra il detenuto NOME COGNOME e NOME COGNOME e tra il primo e la moglie, che testimoniano del canale di contatto con COGNOME voluto dal boss latitante COGNOME elemento non illogicamente reputato indicativo della rilevanza del ricorrente all’interno delle dinamiche associative, data la posizione di spicco del latitante che con lui teneva i contatti.
Accanto a questi elementi, il Tribunale del riesame ha collocato l’interessamento di Fanara verso il pagamento delle spese legali di un sodale arrestato, secondo la tipica rete solidaristica delle associazioni mafiose.
Vi è, poi, un dato riportato in motivazione con cui il ricorrente non si confronta -rendendo, quindi, in parte aspecifico il ricorso – e che il Collegio della cautela ha pure razionalmente esaltato quale dimostrazione di un inserimento organico di COGNOME nell’aggregato criminale: si tratta della conversazione tra COGNOME stesso e NOME COGNOME in cui il primo si lamentava che il reggente del clan NOME COGNOME facesse ‘fare soldi’ solo a NOME COGNOME e a lui facesse solo ‘tirare pugni’.
Quanto, infine, alla pretesa lacuna argomentativa del Tribunale del riesame rispetto alla mozione difensiva fondata sulla mancanza di dichiarazioni accusatorie di collaboratori di giustizia, effettivamente il Collegio del riesame non ha affrontato il tema; tuttavia, si tratta di una carenza motivazionale inidonea a scardinare la tenuta motivazionale della decisione avversata se raffrontata agli altri elementi emersi.
Giova, infatti, rievocare il principio di diritto secondo cui, quando viene dedotto vizio di motivazione, la presenza di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento del provvedimento, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni
elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M e altri, Rv. 271227 -01; Sez. 2, n. 9242 del 8/02/2013, Reggio, Rv. 254988).
In conclusione, il complesso degli elementi sopra ricordati comprova l’esistenza di un quadro di gravità indiziaria circa la partecipazione del ricorrente al sodalizio, intesa (come precisato da Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889 -01, in motivazione) quale « prestazione di un contributo di qualsivoglia genere, purché non occasionale e, in ogni caso, apprezzabile sotto il profilo della rilevanza causale, con riferimento all’esistenza o al rafforzamento dell’associazione ». Va ricordato, infatti, che la sentenza COGNOME, ribadendo gli insegnamenti di Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME Rv. 231670 – 01, ha sostenuto che « va considerato partecipe dell’organizzazione criminale l’affiliato che “prende parte” attiva al fenomeno associativo», intesa quale «un’attivazione fattiva a favore della consorteria che attribuisca dinamicità, concretezza e riconoscibilità alla condotta che si sostanzia nel “prendere parte”» fornendo un «contributo, anche in forme atipiche, ma effettivo, concreto e visibile reso dal partecipe alla vita dell’organizzazione criminosa: tale contributo, che può assumere carattere sia materiale che morale, ben potrà essere ricostruito anche in via indiziaria» valutando «un qualsivoglia “apporto concreto”, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità e consapevolezza oggettiva ».
2. Il secondo motivo di ricorso, che attiene al giudizio sull’esistenza delle esigenze cautelari, è infondato in quanto il ricorrente trascura di considerare che, nel caso di indiziato di associazione mafiosa, tutte le esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen. sono presunte (Sez. 3, n. 12485 del 28/01/2025, COGNOME, Rv. 287813 -03) e che spetta eventualmente all’indagato indicare gli elementi contrari che depongono per l’insussistenza certa dell’esigenza, operazione che il ricorrente non ha dimostrato di aver compiuto dinanzi al Tribunale del riesame; il quale, comunque, anche se avesse negativamente valutato la tenuta dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari quanto ad una o due delle esigenze di cui all’art. 274 cod. proc. pen., ben avrebbe potuto comunque confermarla per uno solo dei pericula libertatis (Sez. 3, n. 15980 del 16/04/2020, COGNOME, Rv. 278944 -02; Sez. 3, n. 35973 del 03/03/2015, COGNOME, Rv. 264811 -01). Ancora, la parte trascura di considerare che, quanto all’esigenza di cui all’art. 274 lett. C), cod. proc. pen., l’ordinanza impugnata non
si ferma alla presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e alla mancata allegazione di elementi contrari da parte dell’indagato, ma contiene una motivazione in positivo, esaltando in malam partem i precedenti per rapina, furto, estorsione e associazione per delinquere che gravano su Fanara.
Il ricorso deve essere, quindi, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Giacché dal presente provvedimento non discende la rimessione in libertà del detenuto, si dispone che la Cancelleria effettui gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
Così è deciso, 05/09/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente COGNOME