Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 15505 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 15505 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Caso NOMECOGNOME nato il 09/08/1983 a Napoli avverso l’ordinanza del 03/01/2024 dal Tribunale di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Napoli, in qualità di giudice del riesame, confermava l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva applicato a NOME COGNOME COGNOME la custodia cautelare nell’ambito di un
procedimento per associazione per delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis cod. pen.).
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso l’avv. NOME COGNOME nell’interesse dell’indagato, deducendo, con un unico motivo, vizio di motivazione sulla gravità indiziaria.
L’intraneità di Caso all’associazione è stata riferita dal collaboratore di giustizia COGNOME basatosi sulle informazioni ricevute da persona con cui era detenuto, tale COGNOME il quale le avrebbe avute, a sua volta, da suo fratello NOMECOGNOME
È però inverosimile che COGNOME – il quale sosteneva di rivestire il ruolo di vicecapo nel contesto associativo e di avere la disponibilità di un cellulare con cui manteneva contatti con gli altri consociati – ricevesse notizie sull’adesione o sul rientro nella consorteria di soggetti non già dai consociati in libertà, ma da altro detenuto.
Oltre ai dubbi sulla valenza indiziaria di un relatum a sua volta proveniente da altro relatum, si sarebbe dovuto considerare che NOME decedette, vittima di un agguato, nel 2004, ma l’ordinanza liquida il dato sostenendo che la fonte della rivelazione non attinge il nucleo centrale della dichiarazione (quando invece ne mette in dubbio la veridicità).
Inoltre, i Giudici ritengono che il propalato di COGNOME è riscontrato da quello del collaboratore di giustizia NOME COGNOME e da una precedente condanna per fatti associativi a carico del Caso.
Le dichiarazioni di NOME risalgono però al 2013, e quindi non possono fungere da riscontro a dichiarazioni rese nel 2023 e relative a fatti del 2021; quanto alla sentenza di condanna per fatti pregressi – per i quali il ricorrente fu sottoposto a custodia sin dal 20 marzo 2013 ed integranti una partecipazione cessata, al più, con la sentenza di primo grado -, secondo la giurisprudenza di legittimità, il legame con la consorteria è rescisso da un periodo lungo di detenzione in assenza di contatti, nel caso di specie. Assenza di contatti protrattasi, nel caso di specie, per ben nove anni.
Né valgono a dimostrare la partecipazione le videoriprese e le intercettazioni indirette.
Infatti, le prime riguardano non già «plurimi» incontri, come riferito nell’ordinanza, bensì soltanto due incontri (del 24 marzo 2022 e del 28 dicembre 2022) che ben potrebbero essere stati casuali (nella documentazione messa a disposizione del Giudice per le indagini preliminari non vi è traccia dei controlli della polizia giudiziaria di cui parla l’ordinanza).
Le captazioni, dal canto loro, nonostante la mole, non concernono direttamente Caso. Inoltre, è inverosimile che i conversanti – come invece affermato dai Giudici – si riferissero a lui utilizzando nell’ambito della stessa conversazione vari alias. Comunque, dal contenuto di tali conversazioni non emerge alcun elemento con valenza indiziaria della partecipazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Per ragioni di chiarezza espositiva, è opportuno preliminarmente riepilogare i principi di diritto rilevanti nel caso di specie, per quanto noti.
Va innanzitutto ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nella fase delle indagini preliminari, i gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’applicazione di una misura cautelare, che devono essere tali da lasciar desumere la qualificata probabilità di attribuzione all’indagato del reato per cui si procede, ben possono fondarsi sulla dichiarazione precisa, coerente e circostanziata rilasciata anche da un solo collaboratore di giustizia. In tal caso, occorre, però che tale dichiarazione abbia trovato riscontro in elementi esterni, anche di natura logica, tali da renderne verosimile il contenuto (tra le altre, Sez. 2, n. 16183 del 01/02/2017, Fiore, Rv. 269987).
E che, comunque, là dove il compendio indiziario sufficientemente grave per l’adozione di una misura cautelare personale derivi dalla convergenza di plurime e attendibili dichiarazioni di collaboratori di giustizia in merito all’appartenenza di un soggetto ad un’associazione di stampo mafioso, a siffatta indicazione deve pur sempre accompagnarsi anche la descrizione di specifici fatti o comportamenti dell’accusato, significativi di un suo consapevole apporto al perseguimento degli interessi del sodalizio (Sez. 1, n. 4087 del 06/02/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275164). Il che significa che l’apporto conoscitivo dei collaboratori deve essere anche individualizzato, e cioè tarato sulla specifica posizione dell’indagato.
E’ pure opportuno chiarire, sotto un diverso profilo, che la condotta di partecipazione all’associazione mafiosa va provata con puntuale riferimento al periodo temporale considerato dall’imputazione, sicché l’esistenza di una sentenza di condanna passata in giudicato per lo stesso delitto in relazione ad un precedente periodo può rilevare solo quale elemento significativo di un più ampio compendio probatorio, da valutarsi nel nuovo procedimento unitamente ad altri elementi di prova dimostrativi della permanenza all’interno della associazione criminale (Sez. 1, n. 19703 del 14/11/2023, dep. 2024, Salto, Rv. 286395).
Infine, è vero che – sempre secondo questa Corte – il sopravvenuto stato detentivo del soggetto determina la necessaria ed automatica cessazione della sua partecipazione al sodalizio, atteso che la relativa struttura – caratterizzata da complessità, forti legami tra gli aderenti e notevole spessore dei progetti delinquenziali a lungo termine – accetta il rischio di periodi di detenzione degli aderenti, soprattutto in ruoli apicali, alla stregua di eventualità che, da un lato, attraverso contatti possibili anche in pendenza di detenzione, non ne impediscono totalmente la partecipazione alle vicende del gruppo ed alla programmazione delle sue attività e, dall’altro, non ne fanno venir meno la disponibilità a riassumere un ruolo attivo alla cessazione del forzato impedimento (Sez. 2, n. 8461 del 24/01/2017, De Notaris, Rv. 269121, relativa a una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione con cui il tribunale del riesame aveva reputato sussistere la permanenza del vincolo associativo in capo all’indagato “braccio destro” del capoclan – nonostante la sofferta detenzione, sottolineando come i suoi contatti con il medesimo, e con l’intero gruppo, fossero nel frattempo continuati anche in ragione della periodica erogazione di somme di denaro da parte del sodalizio).
Tuttavia – specifica il medesimo insegnamento di legittimità – per poter valere, tale principio va contestualizzato attraverso il richiamo ad episodi specifici che ne indizino la permanenza del suddetto vincolo.
Ebbene, tali principi di diritto non risultano con evidenza rispettati dalla motivazione del provvedimento impugnato, che appare conseguentemente incompleta.
3.1. In particolare, la perdurante intraneità all’associazione di Caso è nell’ordinanza desunta dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME che – secondo i Giudici del riesame -, si riscontrerebbero reciprocamente.
Dall’ordinanza si evince, però, che le dichiarazioni di COGNOME furono rese nel corso di un interrogatorio che risale addirittura al 2013, quando il collaboratore identificò in foto l’indagato come uno degli affiliati del clan COGNOME–COGNOME.
Inoltre, a poco vale la circostanza che le dichiarazioni di COGNOME e COGNOME siano sovrapponibili «al di là delle varie forme in cui si estrinsecava la partecipazione di Caso», e cioè con riferimento alla struttura in genere dell’associazione: ai fini cautelari, interessando la posizione individuale dell’indagato, nel senso che – come in precedenza ricordato – le dichiarazioni devono convergere verso l’ipotesi della sua attuale partecipazione al consorzio criminale.
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3.2. Sempre secondo i Giudici del riesame, ancora, oltre a riscontrarsi, il propalato dei due collaboratori troverebbe conferma: in una sentenza di condanna per partecipazione dell’indagato all’associazione camorristica in parola e ad altra associazione di narcotraffico, divenuta irrevocabile a fine 2019, e riferita a fatti di molto antecedenti, nonché in un altro procedimento penale da cui emerse che l’indagato fu oggetto di un agguato camorristico, il 22 marzo 2004.
In entrambi i casi, si tratta di dati risalenti nel tempo, insuscettibili, come tali, di fungere da riscontro.
3.3. Non adeguata, poiché meramente assertiva, è poi la replica alla deduzione difensiva per cui il fratello di NOME, dal quale COGNOME avrebbe avuto notizia dell’appartenenza dell’indagato al consorzio criminale, era invero morto nel 2004: i Giudici reputano che la possibilità che NOME abbia “sbagliato fratello” è irrilevante, poiché non toccherebbe il nucleo del dato, quando, invece, revoca in dubbio l’attendibilità della fonte.
3.4. Nemmeno appare dirimente il richiamo agli incontri dell’indagato con membri del clan, desumibili dalle videoriprese, dal momento che i contenuti delle conversazioni, le loro modalità e la loro occasione restano nell’economia dell’ordinanza imprecisati e che, comunque, gli incontri, lungi dall’essere (come riferito dai Giudici) «plurimi», si riducono a due soltanto (il 28 dicembre 2022 e il 24 marzo 2022).
3.5. Quanto alle intercettazioni tra terzi, va precisato che l’identificazione dell’indagato è valutazione di fatto, svolta nell’ordinanza con motivazione completa e non manifestamente illogica, come tale insindacabile da questa Corte.
Mentre, quanto all’intraneità di Caso al gruppo, i Giudici del riesame citano intercettazioni tra sodali da cui si desumerebbe il «particolare legame personale e criminale tra COGNOME e NOME», esponente apicale dell’omonimo clan, e quindi l’ulteriore conseguenza che COGNOME svolga il ruolo di emissario e che presti assistenza legale agli affiliati.
Eppure, dal contenuto di tali intercettazioni emerge soltanto il disappunto di un conversante perché, da quando è uscito dal carcere, Caso è solito nominare la donna con molta disinvoltura e poca cautela. E la “prestazione di assistenza legale” è inferita dalla risposta che una persona dà a suo fratello, detenuto, il quale gli chiedeva di interessarsi alla sua difesa: risposta che si esaurisce in un poco significativo: «ce lo domando a o’ russ a ciaciona» (gli alias del ricorrente).
Si tratta di elementi inidonei a sostenere l’ipotesi di “messa a disposizione” dell’indagato in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi: requisito che, come si evince dalla motivazione di Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889 (richiamata nell’ordinanza impugnata), deve comunque possedere caratteristiche di concretezza.
4. Alla luce di quanto rilevato, si impone l’annullamento dell’ordinanza affinché il giudice del rinvio si adegui ai principi di diritto in precedenza enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Manda alla Cancelleria
1-ter, per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 02/04/2025