Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4635 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 4635 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 07/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Vibo Valentia il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/06/2023 del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti e l’ordinanza impugnata; esaminati i motivi del ricorso;
udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME, sentita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; sentiti gli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME, difensori di NOME COGNOME, che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 22 giugno 2023 il Tribunale di Catanzaro, decidendo sulla richiesta di riesame, ha confermato la misura cautelare della custodia in carcere applicata a NOME COGNOME dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di Catanzaro, per il delitto di partecipazione ad associazione RAGIONE_SOCIALE nella ‘ndrina di Paravati (capo 1) ed altri reati-fine, eccetto quello di cui al c:apo 158.
Avverso detta ordinanza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, articolando sei motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari alla motivazione ex art. 173, comma 1, disp. att. coord. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo deduce violazione di legge in relazione all’ art. 292, comma 2, lett. c) cod. proc. pen. per omessa autonoma motivazione del Giudice per le indagini preliminari rispetto all’impostazione accusatoria contenuta nella richiesta cautelare, di cui costituisce esclusivamente una sintesi priva di valutazioni critiche rispetto alla posizione del singolo indagato.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 294 e 302 cod. proc. pen. per nullità dell’interrogatorio di garanzia, derivante dalla violazione del diritto di difesa, in ragione della intempestività della richiesta convalida del fermo, eseguito il 10 maggio 2023, formulata dal Pubblico ministero 1’11 maggio 2023 e notificata a mezzo pec al difensore alle ore 20:45, quando gli uffici della cancelleria del Gip erano chiusi, per l’udienza fissata il giorno successivo alle ore 8.
Peraltro, neanche a conclusione dell’udienza di convalida, nella quale l’eccezione di nullità veniva tempestivamente formulata e rigettata, la difesa otteneva gli atti e le contestazioni. Il mancato valido espletamento dell’interrogatorio ha reso inefficace anche la successiva misura cautelare alla luce dell’orientamento assunto dalla sentenza n. 29214 del 6 luglio 2021 della Corte di cassazione.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, in ordine alla partecipazione del ricorrente all’associazione RAGIONE_SOCIALE desunta da una mera congettura derivante dalle intercettazioni di un procedimento milanese del 2015, in cui NOME COGNOME, tramite il cognato, chiedeva all’odierno ricorrente il pagamento di una fornitura di cui era stata smarrita la documentazione fiscale, come risultante dall’intercettazione riportata a pag. 7 dell’ordinanza cautelare.
Ulteriore travisamento probatorio è ravvisabile nell’episodio del cosiddetto pestaggio ai danni di tale COGNOME, attesa l’assenza di COGNOME.
Inoltre, non vale a dimostrare la partecipazione associativa il ritenuto sostentamento dell’associato NOME COGNOME per l’invio di € 200 dal circolo ricreativo del paese, senza che i soci e NOME COGNOME risultino indagati.
Il Tribunale non ha considerato le prospettazioni difensive ed in particolare: a) che il ricorrente è stato ritenuto l’unico imprenditore contiguo all’associazione
ndranghetista, a differenza di altri; b) che COGNOME fosse mero dipendente della RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“, assoggettata a controlli pubblici; c) che le gare per l’affidamento dei servizi mensa erano pubbliche e non consentivano interferenze; d) che il decreto di incandidabilità, emesso a seguito dello scioglimento del consiglio comunale di Mileto il 10 aprile 2012, non menziona NOME COGNOME o la sua vicinanza ad alcun RAGIONE_SOCIALE criminale; e) che nessuno dei collaboratori di giustizia lo aveva menzionato.
2.4. Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al capo 3) relativo al delitto di estorsione aggravata ex art. 416-bis. l cod. pen. ai danni dell’imprenditore COGNOME per mancata descrizione della condotta partecipativa del ricorrente, per assenza di conversazioni e per l’esclusione dei gravi indizi a carico del coindagato NOME COGNOME da parte dell’ordinanza genetica.
2.5. Con il quinto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento della prova relativamente alla gravità indiziaria per il delitto di cu all’art 416-ter cod. pen. (154) e quello di cui agli artt. 318, 319, 321 e 416-bis.1 cod. pen. (155) in quanto il Tribunale del riesame ha escluso il concorso apparente di norme nonostante la sovrapponibilità delle condotte contestate e la loro identità.
Inoltre, non si è tenuto conto: che il contratto di fornitura tra “RAGIONE_SOCIALE” e la RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” fosse antecedente al primo contatto avvenuto tra il ricorrente e NOME COGNOME; che la RAGIONE_SOCIALE aveva subito verifiche dall’ASP di Vibo Valentia nello stesso periodo in cui risultano contestati i reati di cui ai capi 154 e 155; che NOME COGNOME era stato contattato da COGNOME, e non viceversa, per interrompere il rapporto di collaborazione; che il ricorrente non avesse appoggiato elettoralmente il figlio di NOME COGNOME per le elezioni regionali svoltesi in Calabria nel gennaio 2020; che COGNOME aveva avuto un trattamento diverso da altri coindagati.
2.6. Con il sesto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento dei fatti e della prova relativamente alla gravità indiziaria per i delit di cui agli artt. 353 e 416-bis.1 cod. pen. (159) e degli artt. 513-bis e 416-bis.1 cod. pen. (160) e con riferimento a detta ultima fattispecie, il Tribunale ha disatteso l’orientamento della sentenza delle Sezioni Unite numero 13178 del 2019 non considerando che il ricorrente non avesse partecipato ad alcuni bandi di gara temendo la criminalità organizzata e avesse rifiutato il subappalto propostogli da COGNOME, vicino a NOME COGNOME.
Il 30 novembre 2023 i difensori di COGNOME hanno depositato una memoria allegando: a) l’ordinanza cautelare del 09/06/2023 con la quale il Giudice per le indagini preliminari ha rigettato la richiesta del Pubblico ministero in relazione al
sostentamento del presunto associato NOME COGNOME (in relazione al terzo motivo di ricorso); b) il dispositivo della sentenza della Sesta sezione della Corte di cassazione, emessa il 29 novembre 2023 nei confronti di NOME COGNOME, che per identica posizione ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata per il reato associativo e per la presunta estorsione alla ditta RAGIONE_SOCIALE (in relazione al terzo e al quarto motivo di ricorso).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato limitatamente al terzo, al quarto e al quinto motivo, mentre è inammissibile per il resto.
2. Il primo motivo è generico.
Il Tribunale del riesame ha correttamente rigettato l’eccezione sull’assenza di un’autonoma valutazione dell’ordinanza genetica rispetto alla richiesta del Pubblico ministro, dando specifico atto degli elementi dimostrativi che il Giudice per le indagini preliminari aveva selezionato e rielaborato fra quelli offerti al suo esame (Sez. 6, n. 13864 del 16/03/2017, Marra, Rv. 269648).
D’altra parte, la sanzione che la legge pone a presidio del corretto adempimento del dovere giudiziale di valutazione critica degli atti di indagine non ha una dimensione formalistica e non può, quindi, essere dedotta facendo leva solo sul rilievo di particolari tecniche di redazione del provvedimento che, al più, costituiscono indici sintomatici, ma non sono ragioni del vizio (Sez. 1, n. 333 del 28/11/2018, COGNOME, Rv. 274760). Ricorre, infatti, il presupposto dell’autonoma valutazione anche quando, come nella specie, venga richiamato, in maniera più o meno estesa, l’atto di riferimento con la condivisione delle considerazioni in esso svolte, purché emerga una conoscenza degli atti che il ricorso non ha efficacemente contestato.
3. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
In caso di presentazione dell’indagato in stato di fermo, ex art. 384 cod. proc. pen., ai fini dell’eventuale convalida della misura precautelare sussistono stringenti tempi che il Giudice per le indagini preliminari deve osservare fissando l’udienza entro le quarantotto ore successive al fermo, dandone avviso, senza ritardo, al Pubblico ministero e al difensore ex art. 390, comma 2, cod. proc. pen. Si tratta di un termine invalicabile. L’indagato ed il suo difensore hanno il diritto d esaminare e di estrarre copia degli atti su cui si fonda la richiesta di convalida e di applicazione della misura cautelare e al riguardo le Sezioni unite hanno stabilito
che “il denegato accesso a tali atti determina una nullità di ordine AVV_NOTAIO a regime intermedio dell’interrogatorio del provvedimento di convalida, da ritenersi sanata se non eccepita nel corso dell’udienza di convalida” (Sez. U, n. 36212 del 30/09/2010, G., Rv. 247939).
Dagli atti esaminati dal Collegio, in ragione del vizio denunciato, risulta che il difensore del ricorrente ha eccepito la nullità dell’interrogatorio contestando proprio la ristrettezza dei tempi entro cui dover esaminare il ponderoso decreto di fermo e gli atti di indagine ad esso allegati posti dal Giudice per le indagini preliminari a sostegno dell’ordinanza cautelare, ma non ha richiesto, invece, il differimento dell’udienza di convalida del relativo interrogatorio, oltre che dell’interrogatorio di cui all’art. 294 cod. proc. pen.
Nel caso di specie, dunque, non è avvenuto un indebito diniego di accesso agli atti del fascicolo processuale – situazione che aveva dato origine alla pronuncia citata dal ricorrente (Sez. 6, n. 29214 del 06/07/2021, COGNOME, Rv. 281826) -, ma è stato il difensore a non avanzare esplicita richiesta di differire gli incombenti cui era tenuto, cosicchè il Giudice si è pronunciato sulla richiesta di convalida nei ristretti tempi di cui all’art. 390, comma 2, cod. proc. pen, e ha proceduto all’interrogatorio di garanzia nei termini stabiliti dall’art. 294, comma 1, cod. proc pen.
A ciò si aggiunga che, correttamente, il Tribunale del riesame ha rigettato l’eccezione di nullità dell’interrogatorio svolto nell’udienza di convalida del fermo, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale detta nullità impone l’impugnazione del provvedimento di convalida, non avvenuta, e non è proponibile nel giudizio di riesame il cui oggetto è costituito dall’ordinanza cautelare (Sez. U, n. 36212 del 30/09/2010, G., Rv. 247939; Sez. 1, n. 5675 del 08/01/2019, COGNOME, Rv. 274973).
Risultano, invece, fondati i motivi di ricorso che investono il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata con riguardo alla partecipazione all’associazione RAGIONE_SOCIALE (capo 1), all’estorsione aggravata (capo 3), allo scambio elettorale politico mafioso (154) e alla corruzione (capo 155).
4.1. Nel caso in esame, la pur corretta impostazione, in astratto, delle contestazioni che ricollegano COGNOME quale dominus occulto della RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” in rapporti stretti con la criminalità RAGIONE_SOCIALE locale, si scontra con la parziale completezza del quadro indiziario per come risultante dalle carenze della motivazione dell’ordinanza impugnata.
4.2. Il Tribunale ha fondato la gravità indiziaria della condotta partecipativa del ricorrente, quale imprenditore della ‘ndrina di Paravati, a disposizione del capo di questa, NOME COGNOME, (capo 1) in base essenzialmente ad intercettazioni
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ritenute sintomatiche dello spessore criminale del ricorrente sia per essere la RAGIONE_SOCIALE, da lui gestita di fatto, finanziata da ambienti mafiosi, sia per l commissione dei reati-fine.
4.2.1. In relazione al primo profilo, il provvedimento impugnato ha valorizzato un’indagine della DDA di Milano (NUMERO_DOCUMENTO) riguardante NOME COGNOME – titolare dell’omonima ditta e già condannato in via definitiva per associazione RAGIONE_SOCIALE e altri reati – da cui era emerso che questi, in più occasioni, avesse chiesto a NOME COGNOME, detto NOME, dal carcere, l’invio (non l’incasso) di somme di denaro, tramite il cognato NOME COGNOME, non riferibili ad attività imprenditoriali, ma ad un rapporto personale di debito-credito dissimulato in forniture edili.
L’ordinanza impugnata ha ipotizzato l’appartenenza RAGIONE_SOCIALE di COGNOME, partendo da questo collegamento di carattere economico, oltre che sulla base di conversazioni da cui risultava: a) un debito di C 150.000 con NOME COGNOME, da ripianare allatto della sua scarcerazione, e restituito in parte ma in assenza di documentazione che lo comprovasse (pag. 5 dell’ordinanza); b) la partecipazione all’aggressione di COGNOME e il sostentamento economico dell’associato NOME COGNOME che a sua volta, dal carcere, chiedeva “ai suoi” di proteggere COGNOME (pag 6); c) la gestione occulta della RAGIONE_SOCIALE della sorella, NOME COGNOME, “RAGIONE_SOCIALE“, che aveva assunto i familiari degli associati detenuti (il figlio d NOME COGNOME; la moglie di NOME COGNOME; la moglie di NOME COGNOME condannato per associazione RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME) tanto da temere l’interdittiva antimafia del Prefetto (pag. 7).
Si tratta di elementi dal sicuro rilievo che, però, anche in assenza di accertamenti bancari, impongono un ulteriore onere di motivazione proprio rispetto al ritenuto finanziamento con denaro della consorteria RAGIONE_SOCIALE, anziché all’esistenza di un mero rapporto debitorio tra COGNOME e COGNOME, entrambi imprenditori, per la cui assenza di documenti giustificativi è proprio l’intercettazione, riportata a pag. 5, a rendere ipotizzabile l’alternativa difensiv dello smarrimento.
Così come appare priva di valenza assorbente la ritenuta presenza di COGNOME nel corso dell’aggressione di NOME COGNOME, a pag. 6, in cui viene indicato come concorrente morale, sebbene poi non gli venga elevata alcuna contestazione e non sia individuabile la sua condotta.
In tale incerto quadro, ai fini della gravità indiziaria, non appaiono dirimenti: a) il richiamo all’invio di un contributo di complessivi C 200, con altri appartenenti al circolo del Paese rimasti non indagati, per il sostentamento del detenuto NOME COGNOME che gli aveva promesso protezione, senza una pur sintetica descrizione del rapporto di COGNOME con questi e con il tramite di cui il detenuto si
serviva per trasmettere i messaggi; b) la conversazione riportata a pag. 7 con la sorella, in cui COGNOME discute delle assunzioni dei parenti dei detenuti, mostrando anche di temere di farlo, consapevole che il Prefetto controllerà nominativi e collegamenti, pur prospettando l’idea di un progetto più articolato; c) la commissione dei reati-fine, per alcuni del quali è necessario un ulteriore incremento motivazionale (vedi infra).
In sostanza, il giudice di merito, in forza dei principi delineati in materia dall giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Sezioni Unite Mannino e Modafferi), è tenuto a dar conto dell’effettiva valenza indiziaria dei fatti stori selezionati come indicatori, anche logici, del concreto inserimento di COGNOME nel RAGIONE_SOCIALE criminale mafioso, descrivendone l’ambito e puntualizzandone, in modo organico, il contesto e il ruolo.
4.3. Alle stesse conclusioni di scarsa chiarezza del quadro cautelare in ordine ai gravi indizi di colpevolezza e al contributo causale fornito da NOME COGNOME si perviene in ordine al capo 4, avente ad oggetto l’estorsione perpetrata ai danni dell’imprenditore COGNOME, fondata su due intercettazioni riportate a pagina 8 del provvedimento.
La prima riguarda un dialogo in cui l’assessore NOME COGNOME informa NOME COGNOME che il Commissario prefettizio del Comune di Mileto, NOME COGNOME, gli aveva informalmente anticipato che non risultassero collegamenti della ditta RAGIONE_SOCIALE – intestata alla moglie del titolare – con ambienti criminali e che NOME era stato convocato dai carabinieri per spiegare la procedura seguita per le assunzioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La seconda intercettazione, con NOME COGNOME, moglie del detenuto NOME COGNOME, esprime la critica del ricorrente circa il comportamento dell’assessore COGNOME «raccoglitore ufficiale delle somme versate dal COGNOME con il compito poi di ridistribuirle ai detenuti per il loro sostentamento. COGNOME riferisc che anche lui aspetta di ricevere C 2000 dal COGNOMECOGNOME.
Si tratta di due conversazioni dotate di valenza indiziaria, ma rimaste prive di un inquadramento nel contesto in cui leggerle, tanto da non consentire di comprendere, innanzitutto, come si fosse sostanziata la condotta estorsiva ai danni dell’impresa RAGIONE_SOCIALE (di cui non è indicato neanche di cosa si occupasse e dove); quale fosse stato il ruolo assunto dal ricorrente e se avesse offerto un proprio contributo causale nella condotta concorsuale.
A nulla rileva, invece, la richiamata sentenza di annullamento senza rinvio emessa nei confronti di NOME COGNOME da questa Sezione in data 29 novembre 2023, e menzionata nella memoria difensiva depositata il 30 novembre 2023, in quanto non attiene al capo di incolpazione ascritto a COGNOME.
4.4. Per i capi 154) e 155) il Tribunale del riesame si è limitato a condividere le conclusioni raggiunte dall’ordinanza cautelare generica, dando semplicemente atto che NOME (che dal capo di incolpazione provvisorio si desume essere il capo Dipartimento di prevenzione dell’RAGIONE_SOCIALE Vibo Valentia) si fosse “messo a disposizione” per evitare i controlli sanitari alla RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” di cui il ricorrente era titolare occulto.
A prescindere dalla questione affrontata dal provvedimento impugnato circa la mancata sovrapponibilità tra il delitto di cui all’art. 416-ter cod. pen. e quello corruzione propria, argomentata dal Tribunale in forza proprio della qualifica soggettiva di COGNOME quale partecipe all’associazione RAGIONE_SOCIALE su cui, come scritto al paragrafo 4.2., è necessario colmare il vizio di motivazione, non risulta che sia stato operato alcun vaglio delle allegazioni difensive (come, ad esempio, la mancata menzione di COGNOME nella Relazione della commissione di accesso prefettizia; i rapporti, anche temporali, tra “RAGIONE_SOCIALE” e la “RAGIONE_SOCIALE“; le verifiche dell’ASP di Vibo Valentia) e dei temi posti in sede di riesame, per come in questa sede reiterati.
Ne consegue l’annullamento con rinvio dell’ordinanza per un nuovo e più puntuale giudizio sulla gravità indiziaria.
I motivi di ricorso relativi ai capi 159) e 160) sono inammissibili in parte per manifesta infondatezza e, in parte, perché volti solo ad una rilettura degli elementi di fatto evincibili dalle conversazioni intercettate.
5.1. Con argomenti coerenti e logici, fondati sull’inequivoco contenuto delle captazioni riportate alle pagine 9-11, il Tribunale del riesame ha dimostrato l’esistenza di una valida base indiziaria a carico del ricorrente in ordine ai delitti cui agli artt. 353 e 416-bis.1. cod. pen. (capo 159) e artt. 513-bis e 416-bis.1. cod. pen. (capo 160).
In sostanza, l’ordinanza descrive COGNOME, amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“, come inserito in un «cartello di imprese» che, attraverso un diretto rapporto con esponenti egemoni della mafia locale, partecipava (astenendosi o beneficiandone) alla spartizione delle gare pubbliche per i servizi di ristorazione nelle scuole della zona di Vibo Valentia, così alterando il sistema della concorrenza. In particolare, è risultato come ciascuna impresa si aggiudicasse l’appalto ottenendo che le altre non vi si presentassero, previo placet del capo mafia di riferimento.
5.2. Il provvedimento impugnato ricostruisce il contributo materiale di COGNOME e il contesto mafioso di riferimento in relazione al capo 159), per il delitto di turbata libertà degli incanti, richiamando le conversazioni relative all’appalto per la mensa scolastica nel Comune di Nicotera, vinto dalla RAGIONE_SOCIALE della moglie di NOME COGNOME,
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in forza delle quali era emerso che quest’ultimo, di Rosarno, gli aveva chiesto di non prendere parte alla gara pubblica per non rompere gli equilibri criminali e lui si era adeguato («no c’è quello! Non andiamo a rompergli le scatole… lui là… e quello adesso mi ha chiamato già per dirmelo… Altrimenti poi litighiamo con tutti… Non conviene…»).
Che la partecipazione o meno all’appalto fosse decisa a livello di consorterie mafiose e che COGNOME ne fosse parte diretta è confermato, secondo i Giudici di merito, dal fatto che il capo mafia, NOME COGNOME, parlando con NOME COGNOME avesse ripercorso le interferenze sulla gara pubblica del Comune di Nicotera rappresentando come COGNOME dovesse partecipare nel suo interesse («qua siamo insieme… Ho detto io “con questo ragazzo” … Siccome all’epoca c’era la gara a Nicotera») e invece NOME COGNOME gli aveva detto di non andare «perché interessava a lui», tanto da favorire il rosarnese NOME COGNOME, come poi accaduto.
5.3. Anche con riferimento al capo 160), in cui è contestato il delitto di cui all’art. 513-bis cod. pen., il provvedimento impugnato richiama le intercettazioni in cui COGNOME avvisa NOME COGNOMECOGNOME referente criminale nel 1:erritorio di Ricadi, della sua partecipazione all’appalto per la mensa scolastica nel comune di Ricadi attraverso l’azienda “RAGIONE_SOCIALE” e poi gli comunica, tramite NOME COGNOME, di esserselo aggiudicato e che provvederà a versargli la somma dovuta «in qualità di fiore».
5.4. L’intero sviluppo delle vicende criminali di cui ai capi 159) e 160) viene collocato dal Tribunale del riesame nella più ampia gestione degli appalti pubblici nel territorio di Vibo Valentia, fondata sulla soggezione diffusa alla caratura criminale delle diverse famiglie che controllano la zona, come confermato dagli ulteriori elementi immediatamente successivi all’indirizzamento delle gare di Nicotera e Ricadi: a) l’incontro tra NOME COGNOME e NOME COGNOME in cui i due, con un linguaggio esplicito, concordano la spartizione degli appalti nel settore delle mense scolastiche sul territorio di Vibo Valentia, trovando un accordo con l’azienda di NOME COGNOME in stretta sinergia con l’esponente della ndrangheta di San NOME d’Ippona, NOME COGNOME (pag. 10); b) il litigio tra COGNOME e il gestore del ristorante “RAGIONE_SOCIALE” di Ricadi, NOME COGNOME, vicino alla famiglia ndranghetista dei COGNOME, che come prezzo della vittoria dell’appalto da parte di COGNOME pretende l’assunzione del genero, fatto del quale il ricorrente si lamenta con NOME COGNOME (pag. 11).
Alla luce del complesso degli elementi sopra evidenziati, privi del dedotto travisamento censurato nel ricorso, deve ritenersi coerente e completa la conclusione raggiunta dal Tribunale del riesame che rende inammissibile, in questa sede, la lettura parcellizzata ed alternativa delle intercettazioni proposta dalla
difesa, volta ad ipotizzare che COGNOME non avesse partecipato ai bandi di gara perché intimorito dalla criminalità organizzata (capo 159) e, allo stesso tempo, avesse rifiutato le assunzioni propostegli (capo 160).
5.5. Sono manifestamente infondati anche i rilievi prospettati dal ricorso circa l’erroneità della qualificazione giuridica della condotta contestata sub capo 160) ai sensi dell’art. 513-bis cod. pen.
Costituisce orientamento consolidato di questa Corte che la condotta dell’imprenditore che acquisisca posizioni dominanti di mercato attraverso l’intervento dei “clan” che controllano le zone ove vengono svolte le gare pubbliche costituisca un’alterazione dell’equilibrio del mercato e del principio della libera concorrenza. Quest’ultima, infatti, non si traduce solo nella possibilità di svolgere l’attività di impresa in competizione con più soggetti operanti sul mercato, ma anche nella libertà da illecite interferenze proprio nel contesto di appalti indetti da istituzioni territoriali in cui deve essere garantito un servizio a favore dell collettività. In questa prospettiva, l’acquisizione di una posizione dominante e persino di monopolio, derivante proprio all’accordo tra “clan”, costituisce un comportamento anticoncorrenziale perché ottenuta non per capacità imprenditoriali nell’attività produttiva oggetto della gara pubblica, ma grazie alla preclusione ad altre aziende di operare nel settore, tanto da imporre anche al soggetto pubblico che indice l’appalto e, dunque, all’intera collel:tività, di accettare la prestazione scelta dai “clan” criminali per i propri interessi così forzando le regole non solo della concorrenza, ma anche della trasparenza, e inquinando il tessuto economico e la qualità dei servizi pubblici.
Come hanno puntualizzato le Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 13178 del 28 novembre 2019, COGNOME, citata dallo stesso ricorso, il concetto di concorrenza deve essere letto in chiave costituzionalmente e convenzionalmente orientata nel senso che la libertà di iniziativa economica privata può essere esercitata erga omnes come «eguale possibilità» di tutti i privati «di attivarsi materialmente e giuridicamente nello stesso settore» e, quindi, «di confrontarsi vicendevolmente, sottoponendo al giudizio del mercato la valutazione, e il conseguente successo, delle reciproche iniziative, necessariamente sempre nuove e diverse, in una competizione senza fine».
La repressione delle forme di concorrenza sleale si innesta proprio nel precetto costituzionale dell’art. 41, tutelando gli imprenditori da indebite posizioni di vantaggio lesive dell’economia nazionale e, soprattutto, dell’esercizio dell’altrui libertà di iniziativa economica rispetto alla quale la competizione costituisce un principio di sistema nella cornice sovranazionale (in questi termini Sez. 2, n. 34214 del 15/10/2020, Rv. 280237, par. 2.4.).
Ne consegue che costituisce una lettura non coerente con le note modalità esplicative dell’intimidazione RAGIONE_SOCIALE nel settore degli appalti pubblici in territor gravemente colpiti da questo tipo di criminalità quella proposta dal ricorrente secondo la quale meccanismi collaudati di sopraffazione e vessazione criminale richiederebbero manifestazioni esplicite.
In ordine alla minaccia costitutiva dell’intimidazione di cui al delitto di illeci concorrenza va proprio la giurisprudenza in materia di estorsione secondo cui questa non necessita di forme evidenti, ma può essere implicita purché idonea ad incutere timore, a coartare la volontà del soggetto passivo avuto riguardo alle circostanze concrete, alle sue condizioni soggettive e ai contesti in cui opera. Detta operazione ermeneutica deve tenere conto che le associazioni di tipo mafioso, ai sensi dell’art. 416-bis cod. pen., si avvalgono della forza di intimidazione proprio per ottenere il «controllo di attività economiche», così da meritare uno strutturato e riconosciuto radicannento sul territorio che conduce alla creazione di situazioni monopolistiche o di cartello proprio delle imprese tenute a vincere gli appalti pubblici, attraverso spartizioni tra i capi egemoni, a cui nessuno può derogare, a nulla rilevando che manchino atti di esplicita minaccia, costituendo un dato certo ed acquisito di subire gravi ritorsioni se non ci si adegua (Sez. 2, n. 34214 del 15/10/2020, Rv. 280237).
Sulla base delle su esposte considerazioni l’ordinanza impugnata deve essere annullata, limitatamente ai capi di incolpazione nn. 1), 3), 154) e 155), con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro che dovrà uniformarsi ai principi stabiliti in questa sede, colmando i rilevati vizi della motivazione.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell’art. 309, co.7, cod. proc. pen.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 7 dicembre 2023