Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8584 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8584 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a NAPOLI il 15/05/1968 COGNOME nato a NAPOLI il 25/09/1960 avverso l’ordinanza del 25/07/2024 del TRIB. LIBERTA’ di Napoli; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso presentato da COGNOME e per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato relativamente al ricorso presentato da COGNOME; udito il difensore dei ricorrenti, avvocato NOME COGNOME che si è riportato ai moti dei ricorsi e insiste per il loro accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei riguardi di COGNOME NOME e COGNOME per il delitto di cui all’articolo 416-bis cod. pen., e precisamente per aver fatto parte del clan camorristico “COGNOME“, quali affiliati al clan “COGNOME“, articolazione detto clan COGNOME operante nella zona delle “INDIRIZZO” a Napoli.
Per COGNOME NOME è stato ritenuto il ruolo di vertice nel sodalizio.
Hanno proposto ricorso per Cassazione gli indagati.
Con un unico motivo, il COGNOME impugna l’ordinanza del Tribunale del riesame, lamentando l’illogicità della motivazione e il travisamento dei dati processuali, in particolare evidenziando che non vi fossero elementi per attestare la sua perdurante condotta associativa dal 2017 all’attualità.
Ha evidenziato che:
-in modo illogico l’ordinanza impugnata aveva ritenuto sufficiente la prova dell’appartenenza dell’indagato al gruppo delle “Case Nuove”, per dedurne la sua adesione al clan COGNOME;
-le intercettazioni a suo carico riguardavano un arco temporale limitato, dal giugno ad ottobre 2019;
-il collaboratore di giustizia NOME COGNOME definito dal Tribunale del riesame il principale protagonista delle indagini, non aveva indicato, tra gli appartenenti al clan COGNOME, il ricorrente, che neppure aveva riconosciuto in foto;
-la giustificazione al riguardo fornita dal Tribunale del riesame – ovvero che il NOME non avesse incontrato il COGNOME essendo questi, sin dal 24/10/2019, in custodia cautelare, prima in carcere, poi domiciliare non poteva essere condivisa, considerato che era impensabile che il Giuliano non conoscesse uno dei membri apicali dell’organizzazione, tanto più che la misura degli arresti domiciliari veniva scontata presso la sua abitazione nel quartiere “INDIRIZZO“, sotto l’egida, secondo gli inquirenti, del clan COGNOME;
-riferite a periodi lontani, risalendo rispettivamente al 2005 e al 2013, erano le dichiarazioni dei collaboratori COGNOME NOME e COGNOME NOME, laddove il primo non aveva specificato alcuna particolare attività delittuosa del ricorrente, mentre il secondo lo aveva descritto come dedito al contrabbando di prodotti contraffatti ed al traffico di cocaina e marijuana, ruoli incompatibili con quello di capo;
-il collaboratore COGNOME aveva asserito che i giovani del clan COGNOME:non meglio indicati (laddove il ricorrente aveva all’epoca dei fatti oltre cinquant’anni), nel 2018 cercassero un accordo col clan COGNOME, evidentemente in quel momento non ancora in essere;
-collaboratore di giustizia COGNOME NOME aveva asserito di non conoscere i rapporti tra il clan COGNOME ed il clan COGNOME; il
-il collaboratore COGNOME COGNOME che in data 14/12/2018 aveva
indicato il ricorrente come colui che nel clan COGNOME si occupava di raccogliere i proventi dei delitti e distribuirli agli affiliati, non po ritenersi attendibile, in quanto non aveva effettuato alcun riconoscimento fotografico di COGNOME NOME;
-in ogni caso, nessun elemento, neppure indiziario, attestava la partecipazione al sodalizio da parte del ricorrente dopo il 24/10/2019;
-il collaboratore NOME, ritenuto attendibile da diverse sentenze irrevocabili, nel 2017, epoca coeva ai fatti di causa, aveva indicato in COGNOME NOME il reggente del clan COGNOME e menzionato altri partecipi, senza nominare il ricorrente e, pur avendo fatto parte del clan COGNOME e pur avendo poi creato un suo autonomo gruppo criminale, che condivideva i proventi illeciti nella zona delle “INDIRIZZO“, non aveva mai descritto l’esistenza di un consorzio gestito dai COGNOME;
–NOME COGNOME nel parlare di alcuni incontri tra membri di diversi clan camorristici, a cui avevano preso parte affiliati al clan COGNOME, non aveva mai indicato, tra i partecipi, il ricorrente;
-non erano stati indicati gli atti di direzione, necessari secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, da cui si desumesse il ruolo di capo del COGNOME, emergendo, al più, quello di mero “fiancheggiatore” del clan, come desumibile dalla sentenza della Corte d’appello di Napoli del 12/6/2024 che, in accoglimento del concordato proposto, aveva riqualificato in ricettazione l’originaria accusa a suo carico, di estorsione aggravata dal metodo mafioso, ritenendolo “dedito alla ricezione dei proventi dei delitti da altri commessi, e mai coinvolto direttamente nelle attività estorsive del sodalizio criminale” (p. 11 ricorso);
-l’intercettazione del 29/6/2019, progressivo 484, tra il ricorrente ed il cugino, COGNOME NOME, pur dimostrando la conoscenza, da parte del primo, delle dinamiche criminali e del contesto associativo, attestava la sua estraneità ad esso, nel momento in cui chiedeva al suo interlocutore di non essere coinvolto nei relativi problemi ad esso connessi.
Anche NOME COGNOME ha proposto ricorso eccependo, col primo motivo, vizi di motivazione e violazione degli artt. 416-bis cod. pen. e 273 e 292 cod. proc. pen., con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Ha dedotto che:
-il collaboratore di giustizia NOME COGNOME non aveva menzionato in alcun modo il COGNOME;
-gli altri collaboratori di giustizia avevano smentito il Giuliano in relazione all’esistenza, all’interno del clan COGNOME, di piccole articolazioni operanti nelle varie zone di Napoli, come il clan COGNOME per la zona delle “INDIRIZZO“;
-in ogni caso, gli altri collaboratori non avevano collegato il COGNOME al clan COGNOME, ma, al più (precisamente COGNOME Salvatore, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME) al clan COGNOME, con dichiarazioni, tuttavia, per lo più riferite a periodi risalenti nel tempo e prive di riferimenti a contributi specifici al sodalizio;
-le conversazioni intercettate erano neutre e di breve durata, nonché prive di riscontri ulteriori, e comunque non attestanti collegamenti chiari del ricorrente col clan COGNOME, ma piuttosto interazioni col clan COGNOME, senza che emergesse un chiaro programma criminoso associativo;
-secondo alcune intercettazioni il COGNOME avrebbe, peraltro, avuto rapporti anche con il clan COGNOME, in conflitto con quello COGNOME;
la vicinanza dello stesso clan COGNOME al clan COGNOME, narrata da NOME COGNOME, contraddiceva la sua affiliazione al clan COGNOME, in forte contrapposizione coi COGNOME, sicché doveva ritenersi che il clan COGNOME avesse subito richieste estorsive da parte del clan egemone, perché potesse continuare a svolgere attività illecite nella zona delle “INDIRIZZO“;
infine, i rapporti illeciti in cui era coinvolto il COGNOME, desumibili anch da alcune intercettazioni, avrebbero giustificato al più l’imputazione per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.
Con un secondo motivo di ricorso, la difesa del COGNOME lamenta la violazione degli artt. 273, 274 e 275 cod. proc. pen., nonché vizi di motivazione, in relazione· alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.
Il Tribunale si sarebbe limitato a valutare, al riguardo, la sola gravità dei fatti, senza considerare che occorrono esigenze cautelari concrete ed attuali e comunque non desumibili esclusivamente dal titolo di reato per cui si procede, dovendo guardarsi alla personalità dell’indagato ed al suo comportamento post delictum, idoneo a far luce sull’effettivo pericolo di reiterazione di ulteriori reati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, inammissibili laddove mirano ad una nuova valutazione delle risultanze istruttorie ed infondati sulle questioni di diritto sollevate, vanno rigettat
2. In tema di misure cautelari personali, il giudice di legittimità deve limitars a verificare se i giudici di merito abbiano dato adeguato conto, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, delle ragioni che hanno indotto ad affermare (o negare), a carico dell’indagatO ex art. 292 cod. proc. pen., la gravità del quadro indiziario – ovvero l’esistenza di una qualificata probabilità di colpevolezza, non l’accertamento della responsabilità – e la sussistenza delle esigenze cautelari in rapporto alla pericolosità dell’interessato e alla misura adeguata a fronteggiarla (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 215828-01; confronta, ex multis, Sez. 3, n. 7268 del 24/01/2019, Rv. 275851-01).
Ne consegue che è inammissibile il controllo su quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 215828-01; ex multis, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976-01), esulando dal controllo di legittimità il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi (Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Rv. 269438-01). Il controllo insomma va operato, in positivo, sulla sussistenza di ragioni giuridicamente significative a sostegno della decisione presa e, in negativo, sull’assenza di illogicità evidenti o contraddittorietà o carenze motivazionali (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976-01; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Rv. 248698-01).
3. Nel caso di specie, la gravità indiziaria, rispetto a quanto contestato, è stata desunta, dall’ordinanza impugnata, in base alle numerose dichiarazioni di collaboratori di giustizia ed alle risultanze di una prolungata attività intercettazioni telefoniche e ambientali.
Secondo l’ordinanza impugnata, oltre a non essere messa in dubbio, l’esistenza del clan COGNOME è provata dai numerosi provvedimenti giudiziari riportati nella parte iniziale dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari anche l’esistenza del clan COGNOME trova precise conferme in precedenti giudiziari e nelle dichiarazioni di una pluralità di collaboratori di giustizia.
L’ordinanza impugnata dà poi atto, anzitutto, della attendibilità del principale collaboratore di giustizia, NOME COGNOME ripercorrendone il curriculum criminale e l’appartenenza alla omonima nota famiglia camorristica, ed evidenziando come lo stesso, una volta uscito dal carcere, in data 15/04/2020, dopo una lunga detenzione per omicidio, avesse immediatamente ripreso il controllo del menzionato clan ed avesse preso logicamente contezza degli equilibri determinatisi in quel momento.
Tanto, secondo l’ordinanza in questione, si desume dalle intercettazioni a cui lo stesso NOME era stato sottoposto per circa un anno (ossia fino all’arresto per estorsione aggravata del 15/5/2021), da cui emergevano la ripresa della leadership del clan da parte del medesimo collaboratore e i suoi contatti con esponenti di altri gruppi malavitosi.
Il NOME è stato logicamente ritenuto persona ben addentro alle logiche criminali di cui parla. Tanto giustifica la tendenziale credibilità delle sue parol specie laddove parla dell’organigramma del clan COGNOME, con i vari responsabili delle zone di territorio controllate dallo stesso, dando atto dell’accordo raggiunto con COGNOME NOME, a capo del detto clan, e dell’incontro coi vertici di tutte l articolazioni per suggellare l’inclusione dei NOME nella federazione.
E tra i clan “federati” nel clan COGNOME, il Giuliano specifica vi fosse quell dei COGNOME operante nella zona delle “INDIRIZZO“, che anni prima aveva avuto dissidi con quello dei COGNOME, tanto da essersi avvicinati ai loro nemici del clan COGNOME, ma che successivamente avevano siglato – a dire del Giuliano – un accordo coi COGNOME, accettando la supervisione, per conto di costoro, di COGNOME NOME, detto “COGNOME“.
In modo che non appare viziato da alcuna illogicità, inoltre, l’ordinanza censurata evidenzia come l’emissione dei provvedimenti custodiali a carico degli odierni ricorrenti, in data 24/10/2019, spiegasse perché il NOME, che peraltro è stato definitivamente scarcerato solo il 15/04/2020, dopo una lunga detenzione durata oltre 16 anni (come pure ricorda la medesima ordinanza), non avesse avuto contatti recenti con costoro e quindi non li avesse indicati come membri del clan COGNOME.
Tuttavia, la stessa ordinanza rimarca non solo le dichiarazioni di altri collaboratori, che invece hanno specificato detto ruolo, ma soprattutto le intercettazioni, alcune davvero chiare sui proventi di natura illecita, che vedevano coinvolti i ricorrenti.
In particolare, COGNOME NOME è indicato da COGNOME NOME e COGNOME NOME quale membro del clan COGNOME, il secondo parlandone in tale veste in tempi recenti, nel 2019: laddove l’assenza di una ricognizione fotografica, da parte del COGNOME, non si vede per quale motivo ne inficerebbe le parole.
COGNOME COGNOME è indicato come appartenente al clan COGNOME da numerosissimi collaboratori di giustizia, e cioè COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME: e gli ultimi tre hanno reso dichiarazioni in tempi prossimi ai fatti in esame.
A riscontro ulteriore di tali dichiarazioni, come detto, l’ordinanza in questione cita numerose conversazioni da cui si evince chiaramente il coinvolgimento in
attività criminali dei due ricorrenti.
Solo per restare alle più significative, l’ordinanza in esame menziona:
alcune telefonate tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, che riscontravano le parole del Giuliano allorché aveva evidenziato che quest’ultimo avesse un ruolo di supervisore nei riguardi del clan COGNOME, imposto dal clan COGNOME dopo i pregressi dissapori tra i due clan;
la n. 484 di sabato 29/6/2019, nella quale il COGNOME rimprovera al COGNOME di esser stato disturbato da numerose telefonate sui pagamenti agli affiliati, ciò di cui lo stesso COGNOME afferma il COGNOME – avreb dovuto occuparsi senza farlo importunare, conversazione che – secondo il logico pensiero del Tribunale del riesame – confermava il coinvolgimento del COGNOME in tali vicende, non vedendosi altrimenti per quali ragioni avrebbe dovuto essere chiamato in relazione ad esse, ed il suo ruolo sovraordinato al COGNOME;
la n. 803 del 4/7/2019, nella quale il COGNOME redarguisce duramente NOME NOME per aver preso iniziative senza suoi ordini, telefonata che l’ordinanza pone logicamente a base dell’affermazione del suo ruolo apicale;
la n. 1722 del 17/7/2019 in cui COGNOME NOME chiede al cugino, COGNOME NOMECOGNOME se tale NOME avesse consegnato il denaro, invitando NOME ricordare al detto NOME di aver picchiato una persona, un falegname, perché lo aveva offeso;
la n. 1854 del 19/7/2019, nella quale COGNOME NOME racconta al cugino NOME di aver intimato un pagamento ad una terza persona;
la n. 2269 del 25/7/2019, in cui COGNOME NOME chiede al cugino NOME se avesse ricevuto il denaro, venendo rassicurato in tal senso;
-le n. 2347 e 2349 del 26/7/2019 in cui COGNOME NOME spiega a tale NOME che i soldi gli avrebbero dovuto esser consegnati necessariamente il giorno dopo, di sabato, poiché in quella data avrebbe dovuto pagare le settimane;
-le n. 2343 del 27/7/2019 e 2954 del 5/8/2019, in cui si parla sempre di somme di denaro che i due cugini COGNOME attendono di ricevere, ed in cui costoro si lamentano della scarsa affidabilità del COGNOME e soprattutto di COGNOME NOME, sospettati di trattenere parte del ricavato delle estorsioni;
la n. 3449 del 15/8/2019, in cui COGNOME si lamenta nei riguardi di COGNOME NOME sulla mancata consapevolezza delle entrate del clan e
sulle settimane pagate e da pagare;
la n. 3605 del 17/8/2019, nella quale COGNOME NOME fa un ampio resoconto sulle somme erogate in assenza di COGNOME NOME (2.500 euro) e sull’identità di chi le ha percepite, tra cui lo stesso COGNOME ed i menzionato COGNOME NOME, evidentemente pagato dai COGNOME, seppure agiva in rappresentanza del clan COGNOME;
la n. 5411 del 27/9/2019, nella quale COGNOME NOME avvisa il COGNOME che sta per raggiungerlo “o’ NOME“, e quindi il COGNOME, per consegnargli 500 euro, che poi il COGNOME a sua volta dovrà riversare a COGNOME NOME.
L’ordinanza impugnata, poi, richiama ancora ulteriori intercettazioni, addirittura in un periodo in cui a COGNOME NOME erano stati concessi gli arresti domiciliari, di analogo tenore, intercorse tra il 30/07/2020 ed il 22/09/2020, da cui in modo logico desume che, nonostante la condizione di detenuto agli arresti domiciliari, egli continuasse la sua militanza associativa imponendosi persino sul cugino NOME, sebbene questi fosse al vertice del clan, reclamando la corresponsione di somme di denaro e chiedendo di essere puntualmente informato circa le attività criminali da porre in essere e i rapporti con gli aderenti al grupp
E, quanto alla specifica posizione del COGNOME, sempre la medesima ordinanza del Tribunale del riesame ricorda, oltre quelle già dette e che lo chiamano in causa, ulteriori intercettazioni in cui si parla sempre di denaro che il COGNOME deve recuperare per conto del clan: come, ad esempio, nelle intercettazioni del 14/10/2019 e 15/10/2019, in cui COGNOME NOME chiede al COGNOME l’immediata consegna di 2.000,00 euro, che il COGNOME chiede a sua volta a COGNOME NOME, gestore di una piazza di spaccio, che gli dà risposta positiva il giorno dopo.
In modo del tutto logico, ancora, l’ordinanza in questione rimarca come in due conversazioni, del 26/10/2019 e del 25/11/2019, COGNOME NOME chiami la compagna del COGNOME, COGNOME NOME, per sapere se, dopo l’arresto del COGNOME, avesse ricevuto, in luogo dell’arrestato, il pagamento della “settimana”, cosa che la donna conferma nel corso della prima conversazione.
Tali dati – per nulla censurati e, anzi, del tutto pretermessi dai ricorrent che, come rimarcano i giudici di merito, non hanno spiegato in modo alternativo il contenuto delle intercettazioni – sono, dunque, stati correttamente posti dall’ordinanza in questione alla base di quella genetica, essendo stati ritenuti la prova dell’attuale organicità dei ricorrenti al clan COGNOME e, sulle base de dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ed in special modo di quelle del Giuliano della adesione degli appartenenti a tale clan al più potente clan COGNOME.
Così come s’è logicamente desunta, dai medesimi elementi, la figura di spicco in capo a COGNOME NOME: specie laddove si rapportava, dando disposizioni sul da farsi, col COGNOME, col COGNOME, col COGNOME e con lo stesso, cugino, COGNOME NOME.
Alla luce di tanto, pare evidente che i ricorsi mirino a sovvertire, in una sede impropria e, dunque, in modo inammissibile, le valutazioni sul materiale probatorio citato, operate in sede di merito senza manifeste illogicità o travisamenti.
Analogo discorso deve farsi anche per le esigenze cautelari, genericamente contestate dal solo COGNOME.
L’ordinanza censurata, infatti, richiama non solo il pesante quadro accusatorio e i gravi precedenti per reati in materia di stupefacenti e per estorsione aggravata dal metodo e dalla finalità mafiosi, ma anche il fatto che, proprio le telefonate ricevute dalla compagna del ricorrente dopo il suo arresto, circa il pagamento della “settimana” da parte del clan, dimostravano la permanenza all’interno dell’associazione del ricorrente, nonostante la sua detenzione.
Ancora una volta ci si trova dinanzi ad una motivazione assolutamente logica, in ogni caso certamente non apparente o basata su dati travisati, come tale incensurabile in questa sede.
4. Le conclusioni raggiunte in sede di merito sono, infine, conformi a diritto. I riscontri alla chiamata in correità possono essere costituiti da qualsiasi dato probatorio, sia rappresentativo che logico, indipendente da essa e anche da altre autonome chiamate, che abbiano valenza individualizzante, ovvero riguardino il fatto reato e la sua riferibilità all’imputato (Sez. 1, n. 1263 del 20/10/2006, dep 2007, Rv. 235800-01; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rv. 264380-01). Ne consegue che le non adeguatamente contrastate nella loro credibilità – inidonee essendo generiche contestazioni prive di indicazioni di gravi contraddizioni o aporie (Sez. 2, n. 18940 del 14/03/2017, Rv. 269659-01, in motivazione) – e comunque ritenute attendibili, con valutazione immune di manifeste illogicità, dal giudice del merito (sulla base dei noti parametri indicati, ad esempio, da Sez. 6, n. 40899 del 14/06/2018, Rv. 274149-02), convergenti affermazioni dei collaboratori di giustizia sono già in sé sufficienti a dar prova dei fatti da essi narrati.
Quanto ai reati associativi, posto che il thema decidendum riguarda la stabile partecipazione al sodalizio, le dichiarazioni dei collaboratori o l’elemento di riscontro individualizzante non devono necessariamente riguardare singole attività attribuite all’accusato, giacché il “fatto” da dimostrare non è il singo comportamento dell’associato bensì la sua appartenenza al sodalizio (così ancora Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rv. 264380-01).
A maggior ragione, riscontri esterni individualizzanti idonei, ai sensi dell’art 192, comma 3, cod. proc. pen., a conferire alla chiamata valore di prova del delitto di associazione mafiosa – che per sua natura si alimenta di relazioni tra gli associati finalizzate a realizzare il programma associativo – sono non solo, com’è ovvio, il concorso del singolo chiamato alla consumazione dei delitti fine dell’associazione, ma anche le reiterate frequentazioni con esponenti di spicco del gruppo criminale, da cui emerga la sua messa a disposizione per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. 6, n. 12554 del 01/03/2016, Rv. 267418-01): atteso che, attraverso tali condotte, non altrimenti giustificate, si manifesta il ruolo effettiv dinamico assunto dal singolo nel gruppo criminale, e, quindi, la sua adesione ad esso (Sez. 2, n. 18940 del 14/03/2017, Rv. 269659-01).
È stato chiarito in merito che la remota adesione al sodalizio, evidenziata da un collaboratore di giustizia, può essere logicamente attualizzata e riscontrata dalla prova della recente contiguità o partecipazione alle attività tipiche di questo desumibile, ad esempio, anche solo da una significativa conversazione (ancora Sez. 2, n. 18940 del 14/03/2017, Rv. 269659-01, in motivazione).
Infine, è stato altresì logicamente evidenziato come persino dalle intercettazioni fra terzi possano emergere prove dirette di colpevolezza, senza necessità di riscontri, sempre che siano interpretate secondo logica (Sez. 3, n. 10683 del 07/11/2023, dep. 2024, Rv. 286150-04).
Orbene, per quanto anzidetto, dalle plurime chiamate in correità e dalle numerose intercettazioni confermative ed attualizzanti prima il Giudice per le indagini preliminari, poi il Tribunale del riesame hanno logicamente desunto la conferma del quadro accusatorio, con valutazioni scevre da vizi di sorta o errori di diritto, anche in relazione al ruolo apicale di COGNOME NOMECOGNOME Al riguardo, è noto che «nel reato di associazione per delinquere “capo” è non solo il vertice dell’organizzazione, quando questo esista, ma anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidi in relazione ai propositi delinquenziali realizzati» (ex multis Sez. 2, n. 7839 del 12/02/2021, Rv. 280890-01; Sez. 2, n. 2036 del 19/12/2023, dep. 2024, non massimata; Sez. 4, n. 29628 del 21/06/2016, Rv. 267464-01; Sez. 2, n. 19917 del 15/01/2013, Rv. 255915-01).
Infine, l’affermata sussistenza delle esigenze cautelari è conforme ai principi di diritto desumibili dal comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen., quanto alla presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di natura assoluta con riguardo all’adeguatezza al loro contenimento della sola misura carceraria in caso di associazione di stampo mafioso (si veda, in tal senso, ad esempio, Sez. 2, n. 24515 del 19/01/2023, Rv. 284857-01).
Le censure in diritto prospettate in questa sede sono, in definitiva, infondate.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di rigetto segue l condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
Trattandosi di provvedimento da cui non consegue la rimessione in libertà dei detenuti, una sua copia va trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 -bis dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen. (ai sensi del comma 1 -ter del medesimo articolo).
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così è deciso, 06/12/2024