Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35830 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35830 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal:
COGNOME NOME, nato a TERRASINI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del Tribunale per il riesame di Palermo dell’08/03/2025 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
(
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
sentito il difensore;
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata dell’8 marzo 2025, il Tribunale per il riesame di Palermo ha rigettato l’impugnazione proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza del AVV_NOTAIO per le indagini preliminari del Tribunale in sede, con la quale è stata applicata all’indagato la misura cautelare della custodia in carcere in ordine al reato di cui all’art. 416-bis, commi primo, secondo, terzo, quarto e sesto cod. pen.
Avverso l’ordinanza indicata del Tribunale per il riesame di Palermo ha proposto ricorso l’indagato, con atto a firma del difensore, AVV_NOTAIO, affidando le proprie censure a quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge e vizio della motivazione in riferimento agli artt. 125 e 292 cod. proc. pen. per avere il Tribunale per il riesame rigettato l’eccezione di nullità del titolo genetico per difetto di motivazione.
Si assume, al riguardo, che il medesimo Tribunale si è limitato a richiamare l’ordinanza genetica che, a sua volta, rimanda al provvedimento del pubblico ministero, respingendo l’eccezione difensiva in violazione dei principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di legittimità quanto all’autonoma valutazione degli elementi indiziari, nella specie non ravvisabile per avere il AVV_NOTAIO per le indagini preliminari meramente recepito le argomentazioni rese nel decreto di fermo e lo stesso Tribunale richiamato, a sua volta, l’ordinanza impugnata, ignorando gli elementi introdotti dalla difesa tanto nella discussione orale, che nella memoria ritualmente versata in atti.
2.2. Con il secondo motivo, lamenta violazione di legge e vizio della motivazione in relazione agli artt. 416-bis cod. pen. e 273 cod. proc. pen. sia riguardo la valutazione di gravità degli indizi, che sul punto relativo alla preterizione delle prospettazioni difensive introdotte con la memoria, il memoriale a firma dell’indagato e le spontanee dichiarazioni dal medesimo rese in udienza.
Richiamate le vicende giudiziarie che hanno coinvolto l’indagato, sottoposto per ben tre volte a procedimento penale per il delitto di partecipazione all’associazione mafiosa cosa nostra e, precisamente, alla famiglia di COGNOME, e sempre assolto, tanto da beneficiare della riparazione per ingiusta detenzione e della riabilitazione dalla misura di prevenzione precedentemente applicata, deduce il ricorrente che l’odierna incolpazione di partecipazione associativa, con ruolo apicale, decorrente dall’ottobre 2022, sconterebbe un evidente pregiudizio, fondato sia sui precedenti procedimenti, che sui rapporti di parentela con soggetti ritenuti vicini a
cosa nostra, che avrebbe determinato una capziosa lettura tanto delle conversazioni intercettate – per lo più intercorse fra terzi soggetti – che dei servizi di osservazione
Al contrario, le precedenti assoluzioni avrebbero imposto ai giudici di merito un estremo rigore nella valutazione degli elementi indiziari, tenendo in debito conto che lo stesso coinvolgimento processuale dell’indagato ha potuto deformarne, nel contesto d’appartenenza, l’immagine, associandolo ad un ambiente criminale dal quale lo stesso è risultato, invece, estraneo.
Al lume di siffatta chiave di lettura, il ricorrente scrutina gli esiti de intercettazioni, evidenziando:
quanto ai dialoghi tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, che sarebbe rimasta indimostrata l’identificazione nell’odierno indagato del soggetto che, a detta degli interlocutori, starebbe “nella sedia” a COGNOME, anche alla luce delle deduzioni difensive e tenuto conto della data del colloquio (15 novembre 2022) che, riferendosi ad una proposta risalente ad epoca imprecisata e non riscontrata dai servizi di osservazione, finisce per retrodatare i fatti rispetto all’arco temporale oggetto di contestazione (dal 13 ottobre 2022);
quanto alla cautela mostrata dall’indagato nell’uso del telefono, il ricorso ad un argomento contra reum, l’illogica interpretazione ed il travisamento della conversazione intercorsa tra il medesimo e tale COGNOME;
quanto alla ricostruzione dell’indizio di partecipazione al sodalizio mafioso costituito dal “controllo della microcriminalità e di recupero di refurtiva”, travisando i dialoghi tra l’indagato e tale COGNOME, espressivi del ricorso alla prudenza o, comunque, relativi al recupero di un furgone per interesse esclusivamente personale, come chiarito dall’indagato nel suo memoriale;
quanto alla ricostruzione dell’indizio di partecipazione al sodalizio mafioso costituito dall’ “intervento sulle operazioni immobiliari del territorio”, enfatizzando illogicamente il dictum dello stesso COGNOME, rimasto privo di riscontri, e la conversazione intercorsa con NOME COGNOME il 22 marzo 2024, che delinea un quadro coerente con la ricostruzione resa dall’indagato, ignorata dal Tribunale; in ogni caso, il Tribunale non ha tenuto conto dell’esito negativo delle iniziative dell’indagato, incompatibili con il ruolo ascrittogli, né ha considerato che i toni utilizzati si rivela giustificati alla luce dei conflittuali interessi delle parti interessate;
quanto alla ricostruzione dell’indizio di partecipazione al sodalizio mafioso costituito dal “potere di regolazione sul versante interno dell’organizzazione”, dal quale deriverebbe l’ossequioso rispetto delle regole mafiose da parte dei sodali, che li avrebbe condotti a richiedere o, quantomeno, ad informare, l’indagato anche per il perseguimento di iniziative personali, la lettura del Tribunale sarebbe stata
condizionata da pregiudizio laddove ha ricondotto i singoli episodi (programmato sequestro di NOME COGNOME; vicende relative al debito di NOME COGNOME verso NOME COGNOME) ad una pretesa sottomissione dei colloquianti all’indagato, ignorando le plausibili spiegazioni rese dal COGNOME anche in relazione alle conversazioni nel quale il medesimo risulta coinvolto;
– quanto alla ricostruzione dell’indizio di partecipazione al sodalizio mafioso costituito dalla “regolazione delle messe a posto degli appaltatori del territorio”, il Tribunale avrebbe rivelato il medesimo approccio, a fonte della alternativa lettura dei dialoghi intercorsi tra l’indagato e NOME COGNOME e senza considerare che il diritto al silenzio, esercitato dall’indagato nell’interrogatorio di garanzia, è sta motivato dalla mancata conoscenza degli esatti termini della contestazione ed è stato superato dalla redazione del memoriale e dalle spontanee dichiarazioni successivamente rese.
Conclude, quindi, evidenziando la tenuta della prospettazione alternativa resa e la conseguente censurabilità della svalutazione del Tribunale, in un contesto investigativo esclusivamente fondato su intercettazioni equivoche, che non ha ricostruito il fumus di alcun reato-fine e che ha, invece, restituito un profilo dell’indagato del tutto eccentrico rispetto al ruolo ascrittogli, con conseguente deficit della necessaria provvista indiziaria; in sintesi, l’impugnata ordinanza sarebbe viziata dal malgoverno dei principi e dei criteri, sanciti dalla giurisprudenza di legittimità, si in ordine ai requisiti della valutazione di gravità indiziaria, sia in ordine agli element costitutivi del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.
2.3. Con il terzo motivo, deduce analoga censura con riferimento all’art. 416bis, comma secondo, cod. pen. per essere stato attribuito all’indagato un ruolo apicale invece non rinvenibile in alcuno degli episodi scrutinati.
Il preteso esercizio dello ius corrigendi nei confronti degli affiliati ed il potere autorizzatorio di ogni loro intrapresa criminale non sarebbe ravvisabile nella vicenda relativa ai rapporti di NOME COGNOME con il fratello, meramente partecipata all’indagato; la messa a posto di imprese operanti a qualunque titolo sul territorio non rivela, in riferimento all’episodio inerente la ditta di NOME COGNOME, alcuna ingerenza dell’indagato; il controllo sistematico con metodo di intimidazione del mercato immobiliare e delle attività edilizie e di lottizzazione del territorio competenza mediante l’indicazione della vendita dei lotti alle imprese appaltatrici non esprime alcuna posizione sovraordinata del COGNOME; l’esercizio di una sorta di giurisdizione ripara tiva, rectius estorsiva, per il recupero dei mezzi rubati nel paese di COGNOME riposa su un solo intervento, a titolo di solidarietà personale.
Ne consegue – ad avviso del ricorrente – l’attribuzione di un ruolo dirigenziale in violazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
2.4. Con il quarto motivo, lamenta violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. riguardo sia la svalutazione delle dichiarazioni difensive, che dello status di incensuratezza dell’indagato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è, complessivamente, infondato.
Il primo motivo è, nella duplice declinazione articolata dal ricorrente, manifestamente infondato.
Si contesta, invero, violazione di legge e vizio della motivazione in riferimento agli artt. 125 e 292 cod. proc. pen. tanto per avere il Tribunale per il riesame rigettato l’eccezione di nullità del titolo genetico per inosservanza dell’obbligo di autonoma valutazione dei presupposti cautelari, che in relazione all’ordinanza impugnata, che sarebbe incorsa nella stessa violazione.
Trattasi di censure all’evidenza inconsistenti.
1.1. La giurisprudenza di questa Corte in tema di motivazione delle ordinanze cautelari, successivamente all’introduzione delle modifiche apportate dalla legge 16 aprile 2015, n. 47 all’art. 292, comma 1, lett. c) e all’art.309, comma 9, cod. proc. pen. ha affermato come la previsione dell’autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza non abbia carattere innovativo, né miri ad introdurre un mero formalismo, tale da imporre la riscrittura originale di ciascuna circostanza di fatto rilevante, bensì che il principio riafferma la necessità che, dall’ordinanza, emerga l’effettiva valutazione della vicenda da parte del giudice.
Il predicato dell’autonomia è, invero, specificamente riferito alla valutazione e non già all’esposizione dei presupposti di fatto del provvedimento, sicché, rispetto a quest’ultima, anche dopo la riforma, è consentito il rinvio «per relationem» o per incorporazione – alla richiesta del pubblico ministero, mentre, dall’atto, dovrà emergere la valutazione critica delle ragioni che giustificano l’applicazione della misura (tra le altre, Sez. 6, n. 30774 del 20/06/2018, P.m. in 4 proc. Vizzì, Rv. 273658 – 01; Sez. 2, n. 13838 del 16/12/2016, dep. 2017, Schetter, Rv. 269970 01; Sez. 1, n. 8323 del 15/12/2015, dep. 2016, Cosentino, Rv. 265951 – 01).
In altri termini, la necessità di autonoma valutazione da parte del giudice procedente è assolta attraverso il rinvio per relationem o per incorporazione della richiesta del Pubblico ministero che non si traduca in un mero recepimento del contenuto del provvedimento, privo dell’imprescindibile rielaborazione critica (Sez. 2, n. 3289 del 14/12/2015, dep. 2016, Astolfi, Rv. 265807 – 01).
Trattasi di postulato da reputarsi soddisfatto anche quando il giudice ripercorra, motivando per relationem, gli elementi oggettivi emersi nel corso delle indagini e segnalati dalla richiesta del pubblico ministero, purché dia conto del proprio esame critico dei predetti elementi e delle ragioni per cui egli li ritenga idonei a supportare l’applicazione della misura (tra le altre, Sez. 3, n. 35296 del 14/04/2016, Elezi, Rv. 268113 – 01).
1.2. A siffatti canoni ermeneutici si è conformata l’ordinanza impugnata che, nel respingere la deduzione di nullità del titolo genetico, ha analiticamente esplicato i passaggi critici del materiale indiziario, posto a fondamento del provvedimento di fermo ed esaminato dal AVV_NOTAIO le indagini preliminari nell’applicare la misura.
In particolare, il Tribunale ha evidenziato come il AVV_NOTAIO della cautela abbia valorizzato specifiche intercettazioni, eleggendole a chiave di lettura del cospicuo materiale indiziario ulteriore, comprensivo dei colloqui tra i coindagati anche appartenenti ad altra famiglia mafiosa, in tal modo offrendo una personale valutazione critica del poderoso corredo trascritto, riordinato in una scala dimostrativa elaborata dallo stesso decidente.
Va, altresì, precisato come il tessuto indiziario, costituito essenzialmente dagli esiti di attività captative, telefoniche ed ambientali, e dei correlati servizi osservazione e monitoraggio, sia stato integralmente trascritto e recepito proprio al fine di ostendere, nella massima latitudine, la piattaforma cognitiva, consentendo all’indagato di articolare – come effettivamente accaduto nel caso al vaglio – le proprie difese.
Non s’appalesa, pertanto, censurabile l’ordinanza impugnata nel punto in cui, valorizzando i passaggi argomentativi dell’ordinanza genetica che hanno espresso la valutazione critica della provvista indiziaria, ha respinto le deduzioni difensive mirate ad affermare il difetto di personale rielaborazione valutativa dei presupposti cautelari; deduzioni qui assertivamente riproposte senza, peraltro, confutare specificamente gli indicatori di autonoma valutazione, enfatizzando, invece, il mero dato documentale dell’incorporazione degli esiti delle indagini che – come premesso – s’appalesa metodo del tutto lecito ed anzi volto alla compiuta ostensione degli esiti investigativi.
1.3. La stessa censura è, vieppiù, manifestamente infondata nella parte in cui deduce lo stesso vulnus in relazione al contenuto valutativo dell’ordinanza qui impugnata.
Come si vedrà infra nell’esame dei successivi motivi di ricorso, il Tribunale del riesame si è posto in dialettico e serrato confronto con le allegazioni difensive, articolate nel memoriale a firma dell’indagato e nelle dichiarazioni spontanee dal medesimo rese, rivelando l’impiego di una tecnica argomentativa di tipo spiccatamente confutativo, che esprime, all’evidenza, la formulazione di una critica autonoma e personale, affatto conformata alle valutazioni rese nella fase genetica di applicazione della misura, ed anzi esplicativa della verifica funditus della tenuta degli indizi, pur a fronte delle difese dell’indagato.
Il primo motivo è, pertanto, inammissibilmente formulato.
Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
2.1. Nell’affrontare l’in se delle critiche del ricorrente – che deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione agli artt. 416-bis cod. pen. e 273 cod. proc. pen. sia riguardo la valutazione di gravità degli indizi, che sul punto relativo alla preterizione delle prospettazioni difensive introdotte con la memoria, il memoriale a firma dell’indagato e le spontanee dichiarazioni dal medesimo rese in udienza – non sembra superfluo richiamare le coordinate che delimitano il sindacato del giudice di legittimità in tema di controllo sulle decisioni in materia di misure cautelari.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure cautelari personali, avuto particolare riguardo alla gravità indiziaria, il ricorso pe cassazione è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828; Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628- 01; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884-01; Sez. 3, n. 20575 del 08/03/2016, COGNOME, Rv. 266939- 01; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400-01). Il controllo di logicità, dunque, «deve rimanere “all’interno” del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate» (Sez. 3, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460-01; in senso conforme cfr., ad es., Sez. 4, n. 18807 del 23/03/2017,
Cusmano, non mass. sul punto, nonché Sez.2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976-01). E come noto – per gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen., devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa che – contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non valgono, di per sé, a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando medio tempore una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. 2, n. 28865 del 14/06/2013, COGNOME, Rv. 256657).
In questa sede, dunque, è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella offerta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il contenuto sia stato indicato in modo difforme da quello reale e la difformità risulti incontestabile e così decisiva da demolire la tenuta logica del provvedimento (Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258164), e non quando il ricorrente ne prospetti una diversa ricostruzione, ragionatamente non condivisa dal giudicante.
2.2. È, altresì, consolidato il principio secondo cui gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni alle quali non abbia partecipato l’indagato costituiscono fonte di prova diretta, soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato, senza che sia necessario reperire dati di riscontro esterno, con l’avvertenza che, ove tali elementi abbiano natura indiziaria, essi dovranno essere gravi, precisi e concordanti, come disposto dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278611; Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 278314; Sez. 5, n. 4572 del 17/07/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265747; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260842; v. anche Sez. 2, n. 11985 del 10/01/2023, Patanè, non mass.).
2.3. Nel quadro così sommariamente delineato, già dalla formulazione delle censure emerge come il ricorrente non abbia tenuto conto dei limiti del sindacato di legittimità proponendo, nella sostanza, una lettura alternativa ed una personale rielaborazione del contenuto di varie conversazioni intercettate, in tal modo disattendendo il principio consolidato secondo il quale l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti che conversano, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta
logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, non può essere sindacata da questa Corte se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione che ne ha recepito i contenuti.
Letti alla luce dei principi richiamati, il secondo ed il terzo motivo rivelano la propria inconsistenza già nell’esposizione d’esordio della ratio argomentandi che, nel denunciare una sorta di pregiudizio ambientale che ammanterebbe la figura del COGNOME, rimasto invece indenne dalle conseguenze giudiziarie di decenni di investigazioni a suo carico, sconterebbe il carico di sospetti di intraneità mafiosa che avrebbero indirizzato la lettura della piattaforma investigativa posta a base della cautela. In altri termini, è facendosi scudo delle assoluzioni dall’imputazione di cui all’art. 416-bis cod. pen., che il COGNOME pretende di rileggere l’esito delle investigazioni e di proporne una lettura alternativa, in tal modo incorrendo nella stessa fallacia che ascrive a contrario ai giudici della cautela.
Epurati da siffatto credito di innocenza, i motivi rivelano, invero, il tentativo di accreditare una personale visione minimizzante della piattaforma indiziaria, protesa ad offrire, di ciascuna vicenda affiorata dalle intercettazioni, una rilettura che, tuttavia, non incrina – sotto il profilo della ragionevolezza che qui rileva – la tenu logica della motivazione avversata. E tanto, a maggior ragione, ove si evidenzi che il Tribunale del riesame non si è limitato a ribadire la tenuta dell’impianto accusatorio già valutato criticamente dal AVV_NOTAIO per le indagini preliminari, ma ha – come già anticipato – confutato punto per punto, secondo la scansione degli argomenti difensivi, l’opposta tesi del ricorrente, senza trascurarne i dettagli e sottoponendoli ad una argomentata prova di resistenza, in tal modo muovendosi entro la logica del contraddittorio tra tesi avverse ed enucleando una sintesi conclusiva che resta immune dalle censure riproposte con il ricorso di legittimità.
L’ordinanza impugnata si è, in particolare, fatta carico non solo della specifica posizione del ricorrente nel contesto delle pregresse vicende giudiziarie, ma ne ha sottolineato, in più punti, la cifra stilistica, alla quale sono rimasti estranei i caratteri di esibita violenza e prevaricazione, tipici della risalente tradizione di cosa nostra, e nondimeno espressivi di una contemporanea pervasività ambientale, tanto più penalmente rilevante nella misura in cui invera gli elementi tipici di fattispecie mediante il ricorso a forma di assoggettamento tanto consolidate da poter prescindere da grossolane manifestazioni di supremazia; e in tutti gli episodi scrutinati il Tribunale ne ha sottolineato la ricorrenza, respingendo le avverse deduzioni con motivazione tanto ragionevole e concludente, da sottrarsi a censure di manifesta illogicità.
La solida tenuta dell’impianto della motivazione si è, dunque, fondata sulla resistenza di plurimi, precisi e convergenti elementi indiziari, precipuamente desunti dal tenore intelleggibile di conversazioni telefoniche ed ambientali e dei servizi di monitoraggio, e che hanno restituito il ruolo di vertice svolto da NOME COGNOME unitamente al cugino NOME – nell’ambito della famiglia di COGNOME, facente parte del c.d. mandamento di NOME COGNOME-San Lorenzo, indiscussa emanazione di cosa nostra siciliana.
I colloqui intercettati, spesso intercorsi tra coindagati, evocano, invero, fatti, episodi e comportamenti congruamente ricondotti agli indici rivelatori di un’appartenenza costante e dinamica del ricorrente, con un ruolo di vertice, alla vita dell’associazione, in linea con le coordinate esegetiche tracciate dagli approdi del massimo consesso nomofilattico di questa Corte (Sez. U n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670; Sez. U n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889): in riferimento al ruolo direttivo svolto, unitamente al coindagato NOME COGNOME, il Tribunale ha enucleato – anche al netto del tenore della conversazione intercorsa tra i coindagati COGNOME e COGNOME, che hanno esplicitamente attributo ai cugini COGNOME il ruolo apicale della famiglia di riferimento – specifici elementi indizianti attua (direzione e coordinamento delle attività dei sodali; impartizione di ordini e direttive; controllo del territorio e delle attività economiche; gestione delle relazioni intra ed extra associative) rinvenienti nella intercettazioni ambientali e telefoniche, a partire dalla conversazione del 20 aprile 2023, nella quale il ricorrente esclude il coinvolgimento della famiglia di COGNOME nell’incendio del deposito dell’imprenditore NOME COGNOME, affermando come “COGNOME non ha dato il permesso”, e traendone la logica conclusione che siffatta affermazione dimostri, all’evidenza, la ripartizione di sfere di competenza mafiosa ed il mancato assenso, nell’occasione, all’attentato. COGNOME stesso compendio intercettivo (e, in particolare, dalle conversazioni intercorse con NOME COGNOME), il Tribunale ha ritratto gli indizi di reato in riferimento coinvolgimento del COGNOME nell’attività di recupero di beni rubati, con modalità estorsive, nonché l’esercizio di un potere di veto su operazioni immobiliari (dialogo con l’imprenditore NOME COGNOME, nel quale l’indagato impone cautela con la frase “digli che si sta accurag. Ulteriori elementi indizianti sono stati rinvenuti nei dialoghi con NOME COGNOME, letti non illogicamente come espressivi di dinamiche di regolazione estorsiva sugli appalti, con riferimento alla “messa a posto” dell’imprenditore COGNOME . Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Dalle conversazioni intercorse intra alios, il Tribunale ha ritratto l’indicatore del “controllo del mercato immobiliare” svolto dall’indagato, sotto forma di “bene stare” da richiedersi al medesimo per le transazioni nell’ambito di un settore in via di
espansione, anche giovandosi della collaborazione con lo studio tecnico RAGIONE_SOCIALE, descritto nell’ordinanza impugnata come “centrale di monitoraggio” delle iniziative volte alla compravendita di terreni edificabili, assoggettate al placet del ricorrente.
Quanto alla “potestà autorizzatoria” ed allo “ius corrigendi”, il Tribunale ha enucleato l’auctoritas dell’indagato dal suo coinvolgimento in attività criminali (tra le quali il pianificato sequestro di persona di NOME COGNOME), nel potere di reprimenda nei confronti di affiliati e nella attività di mediazione e risoluzione d conflitti tra sodali e terzi (come emerso nella vicenda relativa ai NOME ed alla lezione di rispetto impartita dal coindagato NOME COGNOME a tutela della autorevolezza del ricorrente).
Per ognuno dei predetti indicatori, il Tribunale ha dato conto delle contrarie deduzioni del ricorrente, reputandole tuttavia inidonee a compromettere la portata dimostrativa degli indizi di colpevolezza.
Ne discende che il giudizio predittivo di colpevolezza non risulta – come dedotto dal ricorrente – fuorviato da pregiudizio o ritratto acriticamente dall’ipotesi d’accusa, bensì argomentativamente fondato sulla dimostrazione della capacità di intimidazione mostrata all’interno della consorteria, espressione di spessore e caratura criminale, realizzata, per un verso, con l’imposizione di condizioni di sottomissione al placet e, per altro verso, con l’ingerenza nella composizione di conflitti; e il “prestigio” accumulato e la forza intimidatrice manifestata all’esterno de gruppo mafioso di riferimento, come nel caso dell’ingerenza nelle transazioni immobiliari e nel settore degli appalti.
Profili, tutti, riconsiderati alla luce del memoriale difensivo reputato, con analitica motivazione confutativa, inidoneo a comprometterne la portata dimostrativa, soprattutto alla luce di una lettura globale e complessiva dei plurimi indicatori.
2.4. A fronte della cospicua ed eloquente piattaforma indiziaria qui sinteticamente richiamata, la difesa del ricorrente ha, da un lato, opposto obiezioni frammentarie, inconsistenti e orientate a sollecitare il collegio di legittimità rivalutare gli elementi probatori per trarne conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito e, dunque, ad elaborare un giudizio di fatto precluso in questa sede; ha, dall’altro, articolato censure che hanno eluso l’indispensabile dialogo critico con gli snodi argomentativi che il Tribunale ha seguito nell’affrontare i singoli punti devoluti, così da incorrere, in più punti, nella patologia della genericità estrinseca (sez. U n. 8825 del 27/10/2016, COGNOME, Rv.268823).
In particolare, il Tribunale non ha ricostruito gli indicatori dimostrativi della posizione dell’indagato nell’associazione mafiosa sulla scorta di pregiudizi perduranti
all’esito dei pregressi trascorsi giudiziari, ma ha analizzato le nuove, plurime e convergenti emergenze investigative che ne hanno scolpito i comportamenti in tal senso univoci e concludenti, in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Sez.1, n. 19703 del 14/11/2023, Salto, Rv. 286395; Sez. 2, n. 1460 del 19/03/2019, COGNOME, Rv. 275586).
Del resto, nel giudizio di legittimità, l’accertamento del contenuto di una evidenza probatoria, come una conversazione intercettata, può essere oggetto di esame critico da parte del giudice solo nei limiti del c.d. travisamento della prova, che sussiste nel caso di assunzione di una prova inesistente o quando il risultato probatorio sia diverso da quello reale in termini di “evidente incontestabilità” (Sez.1, n. 47252 del 17/11/2011, Esposito, Rv. 251404); e, al riguardo, la difesa del ricorrente si è limitata a lamentare una sottovalutazione delle giustificazioni del ricorrente, ma non ha dedotto il travisamento nei termini indicati e neppure ha fatto cenno all’indispensabile efficacia demolitoria (in motivazione, sez. 5 n.26455 del 09/06/2022, COGNOME) che l’eventuale fondatezza della deduzione potrebbe produrre sulla complessiva ragionevolezza delle proposizioni dell’ordinanza impugnata.
Tanto esclude in radice la denunciata sottovalutazione degli argomenti difensivi che, letti alla luce del contraddittorio, non si rivelano decisivi e tali inficiare di illogicità la loro portata recessiva, ritenuta dal Tribunale distrettuale (ex multis, sez. 5, n. 11579 del 20/02/2022, Adiletta, Rv. 282972; Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267723).
Le generiche note di dissenso prospettate nei motivi di ricorso nulla puntualizzano in tale direzione e nemmeno consentono di cogliere l’assunta lacuna del corredo motivazionale dell’ordinanza, che ha replicato, correttamente sotto un profilo tecnico-giuridico, alle confutazioni mosse con il memoriale e volte a fornire un’interpretazione alternativa dei dialoghi captati.
Il secondo ed il terzo motivo sono, pertanto, complessivamente inconducenti.
3. Il quarto motivo, volto a censurare le esigenze cautelari, è inammissibile per genericità.
Con una argomentazione tanto succinta quanto assertiva, il ricorrente lamenta il ricorso a mere clausole di stile e la sottovalutazione di positivi indicatori (condotta di collaborazione processuale; stato di incensuratezza) omettendo di confutare – e dunque di superare – l’argomentata delibazione del Tribunale riguardo la doppia presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Per contro, con argomentazione rimasta immune da rilievi, il Tribunale ha specificamente motivato riguardo i caratteri di attualità e concretezza del pericolo di recidiva, nonostante la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. sia prevalente, in quanto speciale, rispetto alle disposizioni generali stabilite dall’art. 274 cod. proc. pen. e dispensi il giudice dalla relativa delibazion (Sez. 5, n. 4950 del 07/12/2021, dep. 2022, COGNOMEno, Rv. 282865 – 01).
Il motivo è, pertanto, inammissibilmente formulato.
Alla luce di quanto sin qui argomentato, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato ex art. 616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente