Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9551 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9551 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 17/01/2025
R.G.N. 38214/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME nato a Reggio Calabria il 29/05/1970 avverso l’ordinanza del 10/04/2024 del Tribunale del Riesame di Milano udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. udito il difensore:
L’avvocato COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 10 aprile 2024 il Tribunale del riesame di Milano, accogliendo l’appello proposto dal pubblico ministero contro l’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano in data 26 settembre 2023, ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere a NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 416bis , commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6 cod. pen., commesso dal 2019 e con permanenza attuale, per avere egli fatto parte, quale esponente della cosca COGNOME, sodalizio di ‘ndrangheta facente parte della Locale di Desio, collegata con la Locale di Melito Porto Salvo, di un’associazione mafiosa operante nei territori di Milano e Varese e delle rispettive province, costituita da soggetti appartenenti alle tre diverse organizzazioni di stampo mafioso denominate ‘Cosa nostra’, ”ndrangheta’ e ‘camorra’, che avrebbero così contribuito alla creazione di un ‘sistema mafioso lombardo’ avente lo scopo di commettere gravi delitti.
Il G.i.p. aveva escluso la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza quanto al delitto associativo contestato, al capo 1), anche al Suraci. Il Tribunale del riesame, ribaltando la decisione del G.i.p., ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza circa la sussistenza di tale delitto e della partecipazione ad esso del predetto indagato, in primo luogo criticando l’esame parcellizzato degli indizi compiuto dal G.i.p. Ha, quindi, ritenuto che costituissero indizi rilevanti, circa la sussistenza del delitto, gli accertati collegamenti di singoli indagati con le mafie storiche, essendo irrilevante la
eventuale risalenza nel tempo degli accertamenti giudiziari di tali collegamenti, stanti i pronunciamenti della giurisprudenza di legittimità in merito al c.d. ‘tempo silente’, e le conversazioni intercettate, dalle quali emergerebbe l’esistenza di una struttura associativa stabile, dotata di adeguati mezzi per la realizzazione dei propri scopi criminosi, ed autonoma rispetto alle compagini di riferimento dei singoli appartenenti ad essa, particolarmente evidente nell’attività legata allo sviluppo di società da impiegare per varie operazioni illecite.
L’ordinanza ha ricostruito sommariamente la centralità di alcuni indagati nell’ambito di tale associazione e la struttura del sodalizio, al fine di ribadire la natura di quest’ultima di associazione unitaria, distinta dalle singole compagini storiche, e finalizzata alla realizzazione di un programma comune e al soddisfacimento di interessi almeno in parte condivisi, come sarebbe evidenziato, in particolare, dalla costituzione e dalla gestione, sin dal 2018, di società con cui svolgere affari in commistione tra i vari partecipi. Tali operazioni risulterebbero compiute con modalità sempre analoghe ed applicando, quindi, regole e logiche condivise, e sarebbero dirette alla continua ricerca di nuove opportunità di profitto, nei settori piø disparati (ma principalmente nell’edilizia, accedendo ai benefici statali all’epoca istituiti), da conseguire con metodi illeciti, a cui potessero accedere tutti i vari partecipi. L’ordinanza ha dato rilievo agli incontri tra vari sodali sottolineando che, diversamente da quanto affermato dal G.i.p., per molti di tali incontri Ł stato accertato il contenuto, dimostrativo del loro essere finalizzati all’organizzazione delle attività del sodalizio, sia quella apparentemente lecite ma poi svolte con metodi illeciti, sia quelle sin dall’inizio di natura criminosa, come il traffico di stupefacenti, oppure finalizzati anche a dirimere le controversie interne. L’ordinanza, infine, ha dato rilievo alla provata esistenza di una cassa comune, destinata in particolare al sostentamento degli associati detenuti e delle loro famiglie, ma anche ad investimenti comuni in attività criminose, come l’acquisto di stupefacenti o l’acquisizione con metodi estorsivi di attività commerciali.
Il Tribunale, diversamente dal G.i.p., ha ritenuto sussistenti anche gravi indizi attestanti la sussistenza della necessaria affectio societatis , affermando che nelle associazioni mafiose essa Ł connotata dalla funzionalità delle condotte dei singoli al perseguimento di almeno uno degli scopi comuni dell’associazione, insieme all’interesse perseguito dal singolo partecipe, e non Ł quindi esclusa dalla presenza di controversie economiche tra i sodali, ritenute invece rilevanti, in senso negativo, dal G.i.p.. Secondo il Tribunale, le intercettazioni dimostrano che tra i partecipi vi Ł la consapevolezza di avere costituito un’associazione funzionale a perseguire interessi comuni e a realizzare profitti a vantaggio di tutti loro, destinata perciò a durare nel tempo. Tale associazione Ł caratterizzata, come tutte le associazioni di tipo mafioso, dall’uso del metodo mafioso e dalla esternazione della sua forza intimidatrice, che il Tribunale, diversamente dal G.i.p., ha ritenuto dimostrata dall’uso di minacce e violenze in molte delle operazioni compiute dall’associazione; il Tribunale, peraltro, ha ritenuto che tale associazione non avesse bisogno di gesti eclatanti, essendo composta da soggetti già noti come esponenti di criminalità organizzata e facenti ancora capo ai rispettivi sodalizi di origine, i quali perciò sfruttavano, per intimidire, anche la fama delle rispettive consorterie storiche.
Infine, in ordine alla posizione del COGNOME, il Tribunale del riesame ha ritenuto che sussistano gravi indizi della sua partecipazione all’associazione, quale esecutore delle direttive di NOME COGNOME e NOME COGNOME, esponenti di spicco della cosca COGNOME, operante a Melito di Porto Salvo e nel Nord Italia e specificamente in Lombardia, nonchØ soggetto collegato a NOME COGNOME, come risulta dalle molte intercettazioni ambientali. Dopo avere ampiamente valutato l’esistenza di una struttura autonoma della cosca COGNOME, facente capo ai predetti COGNOME, padre e figlio, ed operante in Lombardia, nonchØ il suo inserimento nella consorteria mafiosa trasversale contestata al capo 1) dell’imputazione, il Tribunale ha ritenuto erronea l’affermazione del G.i.p. circa la mancanza di autonomia dei soggetti indicati, le cui attività sarebbero perciò riconducibili alla cosca operante in
Calabria, ed ha ritenuto dimostrato che il COGNOME, spesso indicato come ‘l’avvocato’, ricopre in essa un ruolo «di non poco spessore», risultando essere persona di fiducia dei predetti COGNOME e COGNOME, incaricato in particolare di trasferire alla cosca calabrese le informazioni piø delicate, nonchØ persona a conoscenza delle dinamiche dell’associazione, ad esempio dei rapporti tra i COGNOME e alcuni esponenti della mafia romana, in particolare i coindagati COGNOME e COGNOME. Secondo il Tribunale egli si occupa, in particolare, del settore finanziario/commerciale, quale professionista che apporta all’associazione le sue conoscenze specifiche, essendo consapevole degli scopi criminali della stessa e delle modalità mafiose utilizzate per realizzarli, e partecipando attivamente a numerose operazioni così condotte, come risulta dalle intercettazioni, e comunque partecipando alla generale finalità di profitto, da realizzare mediante operazioni di riciclaggio e di intestazione fittizia di aziende, nonchØ estorsioni e traffico di stupefacenti. Il Tribunale, peraltro, ha ribadito che, come ritenuto dalla giurisprudenza, per la attribuzione di responsabilità per il delitto associativo non Ł necessario che tutti i sodali si occupino di tutte le tipologie di delitto in cui l’associazione stessa Ł impegnata.
Il Tribunale ha, perciò, ritenuto applicabile al Suraci la misura cautelare, sia in virtø della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, sia per il concreto pericolo di reiterazione dei reati e di inquinamento probatorio, dedotto dalla rilevanza della sua attività e dal suo grado di intraneità, da alcune conversazioni da cui risulta il possesso anche di telefoni criptati, non intercettati, ovvero di canali comunicativi riservati, nonchØ dedotto dalla carica intimidatoria del sodalizio, già dimostrata in danno di alcuni dichiaranti.
La custodia cautelare in carcere Ł stata disposta, invece, in applicazione della presunzione assoluta stabilita per il reato ritenuto sussistente.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME articolando cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Il pubblico ministero ha proposto un unico atto di appello, il quale Ł stato però deciso da due collegi in diversa composizione, i quali si sono divisi le posizioni dei singoli indagati, pur decidendole con argomentazioni sovrapponibili. Si tratta, pertanto, di decisioni di fatto assunte da un unico collegio, composto perciò da sei giudici, in violazione dell’art. 178, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. in merito alla composizione collegiale.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., quanto alla omessa declaratoria di inammissibilità dell’appello del pubblico ministero.
L’appello del pubblico ministero Ł privo della necessaria specificità, sia quanto alla sussistenza degli indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, sia quanto alla posizione del ricorrente, limitandosi a duplicare la richiesta di misura cautelare presentata al G.i.p. Il richiamo, per relationem , alla richiesta stessa deve ritenersi legittimo solo se si contestano le valutazioni del G.i.p. dicendo che ha trascurato o errato, con riferimento a specifiche parti di detta richiesta.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., quanto alla valutazione della gravità indiziaria del reato di cui all’art. 416bis cod. pen.
L’ordinanza afferma, analogamente a quanto sostenuto dal pubblico ministero appellante, che il ‘sistema mafioso lombardo’ costituirebbe non una nuova mafia, ma un consorzio di soggetti già appartenenti a mafie storiche, il quale, quindi, non necessita di esteriorizzare il metodo mafioso perchØ mutua la mafiosità dalle organizzazioni originarie di appartenenza. Tale affermazione non può riguardare il ricorrente, che Ł incensurato e mai indagato per reati di questo genere, e viene ritenuto un partecipe solo per il suo collegamento ai Crea. Secondo le Sezioni Unite COGNOME e COGNOME, per l’accusa di partecipazione ad un’associazione mafiosa Ł necessaria la messa a disposizione a favore del sodalizio, per perseguirne i fini illeciti. Nel caso del Suraci sono assenti gli
indizi di tale messa a disposizione, dal momento che egli Ł stato intercettato per un periodo molto breve, ed Ł risultato solo incaricato di ambasciate di cui, però, non si conosce il contenuto, così come si ignora se tali ambasciate siano state realmente eseguite e se vi sia stata risposta.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., quanto alla interpretazione dell’intercettazione del 05/06/2021.
Il Tribunale commenta tale telefonata affermando che il COGNOME, benchØ a conoscenza della pendenza di un ordine di esecuzione contro NOME COGNOME, si dichiara disponibile a procurargli rapidamente una casa in Belgio ove trasferire la residenza, mentre non c’Ł alcuna emergenza probatoria di una tale consapevolezza, ed anzi a quella data non vi era alcun ordine di esecuzione pendente a carico di NOME COGNOME. Questi Ł stato arrestato il 23/08/2023, ma in base ad un ordine di esecuzione emesso pochi giorni prima, ed Ł stato arrestato in Italia e non in Belgio, per cui Ł evidente il travisamento del dato indiziario.
2.5. Con il quinto motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari.
La motivazione sul punto Ł generica e priva di specificità quanto alla posizione del ricorrente, ed Ł in contrasto con le norme di legge, perchØ attribuisce il pericolo di recidiva e di inquinamento probatorio non al ricorrente, ma al sistema mafioso lombardo in generale. Il Tribunale del riesame non ha valutato che i contatti con i Crea, che costituiscono gli indizi della partecipazione del ricorrente al sodalizio, sono stati accertati per un periodo molto breve, cioŁ per tre mesi durante il solo anno 2021, e che NOME COGNOME Ł detenuto già dal 23/08/2023. Per tali ragioni e per le modalità e circostanze del fatto contestato, nonchØ per la personalità del ricorrente e la sua incensuratezza, deve escludersi il pericolo di reiterazione del reato da parte sua. La motivazione Ł modellata su quella di altri indagati, per cui manca una valutazione specifica della posizione del ricorrente.
In data 30/12/2024 il ricorrente ha depositato motivi nuovi.
3.1. In relazione al terzo motivo di ricorso, egli deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione alla sussistenza della gravità indiziaria del reato di cui all’art. 416bis cod. pen.
Il ricorrente ribadisce che i principi della corte di cassazione in merito alla partecipazione ad un’associazione criminosa, che richiedono un’attività fattiva a favore del sodalizio, escludono che tale reato possa essere attribuito a lui stesso, non essendo stati individuati suoi specifici comportamenti di apporto causale all’associazione contestata, e non essendo dimostrativi di tale apporto nØ la sua saltuaria presenza negli uffici delle società riferibili a NOME COGNOME o al Tripodi, nØ le poche intercettazioni che lo riguardano, nØ le asserite ambasciate che egli avrebbe veicolato tra i Crea padre e figlio, occasionali e di cui si ignora il contenuto.
3.2. In relazione al quinto motivo di ricorso, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari.
Il Tribunale ha motivato l’emissione dell’ordinanza solo in base alla presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., avendo attribuito al ricorrente un ruolo di rilievo, ma ha trascurato di tenere conto del ‘tempo silente’, ovvero della distanza temporale tra i fatti contestati e l’ordinanza stessa, che, se non accompagnata da ulteriori condotte sintomatiche della perdurante pericolosità, può costituire un elemento da cui dedurre l’insussistenza delle esigenze cautelari. L’ultimo episodio a carico del ricorrente risale alla primavera del 2021, ed anche le ultime dichiarazioni dei collaboratori, utilizzate dal Tribunale, nulla riferiscono in merito al ricorrente e alla sua attività.
Un ‘tempo silente’ di quasi quattro anni, unito alla incensuratezza del soggetto, al ruolo marginale e non apicale a lui ascritto, alla brevità del periodo di asserita partecipazione accertato, l’assenza di atti di violenza, minaccia o possesso di armi, la mancanza di ulteriori contatti con i
coindagati, costituiscono elementi idonei per superare la presunzione stabilita dalla legge, e la loro omessa valutazione da parte del Tribunale rende la motivazione dell’ordinanza aspecifica e lacunosa.
Il procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, nel suo complesso, Ł infondato e deve essere rigettato.
Il primo motivo di ricorso Ł manifestamente infondato, e perciò inammissibile. L’affermazione che la decisione sarebbe stata assunta da un collegio giudicante composto dai sei giudici che, in due diversi collegi, hanno valutato e deciso l’appello proposto dal pubblico ministero avverso la medesima ordinanza del giudice per le indagini preliminari Ł assurda, e palesemente sprovvista di qualunque appiglio fattuale.
Il ricorrente deduce la unicità del collegio solo dalla sovrapponibilità delle due decisioni «per buona parte dello sviluppo», senza tenere conto del fatto che la conformità delle decisioni Ł un fatto plausibile, e frequentemente riscontrato, quando si debba valutare un unico provvedimento, in questo caso l’unico appello proposto dal pubblico ministero contro l’unica ordinanza emessa dal G.i.p., in relazione ad una medesima questione. Il pubblico ministero, come ricorda il ricorso stesso, ha impugnato il rigetto della sua richiesta di misura cautelare da parte del G.i.p. lamentando esclusivamente l’erroneità dell’affermazione della insussistenza di gravi indizi circa la configurabilità di un’associazione criminosa di tipo mafioso avente le caratteristiche descritte nel capo 1) dell’imputazione provvisoria: Ł evidente, pertanto, che i due collegi del Tribunale del riesame hanno dovuto esaminare il medesimo compendio indiziario, dovendo applicare, nello sviluppo dell’argomentazione, i medesimi principi, in quanto dettati dalla giurisprudenza di legittimità, e dovendo valutare la fondatezza delle medesime doglianze. Appare perciò plausibile che, pur essendo le questioni valutate da due collegi diversi, questi possano avere seguito il medesimo iter argomentativo, addirittura richiamando le medesime pronunce della Suprema Corte, e avere raggiunto, poi, una identica decisione, esposta con terminologia analoga.
Il ricorrente, peraltro, non indica alcun elemento che dimostri, o quanto meno faccia fondatamente ipotizzare, lo svolgimento di un’unica camera di consiglio, e la formulazione della decisione da parte di un collegio formato da sei giudici. L’unico passaggio asseritamente identico delle due ordinanze, che viene allegato, Ł un brano di una pagina, rispetto alle 271 pagine dell’intera ordinanza impugnata, in cui si descrive l’aggressione subita da tale COGNOME: a parte l’evidente irrilevanza della eventuale identità di un brano così breve, il confronto con la parte analoga contenuta nell’ordinanza emessa dall’altro collegio mostra una identità solo parziale, ed anzi una rilevante diversità tra i due provvedimenti, dal momento che il brano stesso Ł collocato, nell’altra ordinanza, alla pagina 226 e non, come nell’ordinanza qui impugnata, alla pagina 270. Trattandosi, poi, della descrizione di un fatto specifico, contenuto in una denuncia, la ripetizione di termini o frasi non Ł significativa, potendo essere, almeno in parte, brani tratti dalla denuncia stessa.
Non sussiste, pertanto, alcun elemento che dimostri la dedotta nullità dell’ordinanza impugnata.
Il secondo motivo di ricorso Ł infondato, e deve essere rigettato.
L’appello del pubblico ministero non presenta la carenza di specificità che, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto imporre una declaratoria di inammissibilità, quanto meno con riferimento
all’impugnazione relativa alla posizione del ricorrente stesso.
Non vi Ł dubbio che, come costantemente affermato da questa Corte, «L’appello cautelare di cui all’art. 310 cod. proc. pen. ha la fisionomia strutturale e strumentale degli ordinari mezzi di impugnazione, con la conseguenza che allo stesso si applicano le norme generali in materia, tra cui le disposizioni di cui agli artt. 581 e 591 cod. proc. pen.; ne deriva che l’impugnazione deve non solo indicare i capi e i punti ai quali si riferisce, ma anche enunciare i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta» (Sez. 5, n. 9432 del 12/01/2017, Rv. 269098, tra le molte). Nel presente caso, però, il pubblico ministero ha adeguatamente argomentato le ragioni della sua impugnazione, peraltro limitata solo ad alcune delle imputazioni formulate. Il richiamo ad alcune parti della sua originaria richiesta di emissione della misura cautelare Ł conseguente alla svalutazione od omessa valutazione, da parte del G.i.p., di singoli elementi indiziari, la cui sussistenza, pertanto, Ł stata riproposta al Tribunale del riesame con il diretto rinvio alla loro esposizione contenuta nella richiesta originaria. Infatti, come evidenziato dal Tribunale del riesame alla pagina 53 e poi di nuovo alla pagina 249 (ove questa parte dell’appello del pubblico ministero viene riportata praticamente per intero), in merito alla posizione degli appartenenti alla cosca COGNOME, e piø specificamente al COGNOME, il G.i.p. non aveva effettuato una approfondita valutazione degli elementi indiziari contenuti nella richiesta di emissione della misura cautelare, ma si era limitato a prospettare una possibile incompetenza territoriale dal momento che, avendo escluso la sussistenza di gravi indizi dell’avvenuta costituzione della nuova associazione descritta al capo 1) dell’imputazione, l’eventuale configurabilità di un’associazione costituita dalla sola cosca COGNOME, anche se operante in Lombardia con una sua articolazione, attraverso il referente NOME COGNOME e i suoi coadiutori COGNOME e COGNOME, avrebbe dovuto essere valutata dal Tribunale di Reggio Calabria, competente per il luogo in cui detta cosca ha sede. Si verte, pertanto, nella situazione eccezionale piø volte valutata da questa Corte, anche con la sentenza Sez. 3, n.37252 del 18/07/2024 citata dal ricorrente, secondo cui l’appello del pubblico ministero che si limiti a richiamare il contenuto della sua richiesta originaria Ł inammissibile, per mancanza di specificità, «tranne che nel caso in cui … per l’apoditticità della decisione del G.i.p, sia mancata qualsiasi valutazione della richiesta medesima» (così anche Sez. 6, n. 32355 del 08/07/2024, Rv. 286857).
La motivazione dell’ordinanza impugnata, che ha rigettato la richiesta di dichiarare inammissibile l’appello del pubblico ministero, Ł pertanto logica, adeguata e conforme al predetto principio della giurisprudenza di legittimità, avendo ritenuto giustificato, per il motivo esposto, il richiamo operato, nell’appello del pubblico ministero, a singole parti della richiesta originariamente formulata.
Il terzo motivo di ricorso, che si completa con il primo dei motivi nuovi, Ł infondato, e deve essere rigettato.
4.1. Il ricorrente, dichiaratamente, non nega la configurabilità del delitto associativo contestato al capo 1), e quindi la sussistenza del ‘sistema mafioso lombardo’ quale consorzio di soggetti appartenenti alle mafie storiche, che mutua da queste ultime la sua mafiosità e la sua capacità di intimidazione e di controllo del territorio, ma sostiene solamente la mancanza di gravi indizi di una sua appartenenza sia ad una simile associazione, sia alla cosca COGNOME che di essa sarebbe un membro. L’esame della sussistenza di gravi indizi che consentano, quanto meno nei limiti del giudizio cautelare, di ritenere configurabile il delitto associativo ascritto anche al ricorrente Ł però necessario, dal momento che una valutazione di insussistenza di tali indizi, come ritenuto dal G.i.p., escluderebbe in radice l’applicabilità al medesimo di qualunque misura cautelare.
L’ordinanza impugnata esamina approfonditamente la sussistenza di elementi indiziari idonei a sostenere la tesi accusatoria, che il pubblico ministero ha riproposto nel suo appello. Mancando, in
questo ricorso, specifiche doglianze in merito alle argomentazioni e alle conclusioni, sul punto, del Tribunale del riesame, Ł sufficiente ribadire l’assenza di vizi evidenti in questa parte della motivazione dell’ordinanza impugnata. Deve ritenersi, pertanto, adeguatamente motivata la sussistenza, nei limiti richiesti per il giudizio cautelare, dei gravi indizi circa la configurabilità del delitto contestato al capo 1), e quindi la esistenza di una associazione con struttura orizzontale, insediata nel territorio lombardo, costituita da soggetti appartenenti o comunque collegati alle mafie ‘storiche’ denominate Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra, autonoma rispetto a queste ma in rapporti con esse, dotata di una cassa comune e dedita sia alla commissione dei reati tipici dei sodalizi mafiosi, come l’estorsione o il traffico di sostanze stupefacenti, sia alla costituzione di società dedite ad attività lecite, in particolare nel settore dell’edilizia, nelle quali vengono reinvestiti i proventi di attività illecite e che, in molti casi, vengono altresì gestite con modalità illecite e utilizzate per il raggiungimento di uno scopo di profitto, conseguentemente illecito. Di questa associazione la cosca COGNOME, secondo l’ordinanza impugnata, fa parte quale cosca di ‘ndrangheta operante nella Locale di Desio, a sua volta collegata con la Locale di Melito Porto Salvo, che attraverso il referente NOME COGNOME figlio di NOME COGNOME, ricoprente un ruolo apicale, intrattiene rapporti continui con gli altri associati, appartenenti ad altre mafie storiche, e partecipa a tutte le attività criminose dell’associazione stessa.
4.2. Il ricorrente, come detto, sostiene di non far parte di tale associazione, nØ della cosca COGNOME, non essendo stati acquisiti gravi indizi di una sua messa a disposizione dell’uno o dell’altro sodalizio, ma essendo state acquisite solo poche intercettazioni, concentrate nel breve periodo tra il febbraio e il giugno 2021, ed il cui significato Ł ambiguo, riferendosi ad ambasciate che NOME COGNOME gli avrebbe affidato per il padre NOME, delle quali si ignora non solo il contenuto, ma anche se siano state effettivamente portate a termine.
Queste affermazioni sono infondate. Il ricorso non si confronta integralmente con l’ordinanza, che valuta la responsabilità del ricorrente non solo sulla base delle conversazioni a cui egli stesso partecipa o che si riferiscono alle predette ambasciate, ma anche di altre, dalle quali risulta che egli, chiamato ‘l’avvocato’, viene coinvolto in molte attività e operazioni compiute dall’associazione o attraverso di essa, per dare sulle stesse il suo parere. In particolare, dalla pagina 256, l’ordinanza evidenzia che il COGNOME, le cui intercettazioni dimostrano lo stretto rapporto fiduciario con NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, ha svolto «una attività di non poco momento, funzionale alla operatività dell’articolazione criminosa che vede COGNOME NOME impegnato su due fronti, entrambi di particolare rilevanza, in particolare: da un lato il compito di trasmettere, facendo la spola tra il nord e la Calabria, messaggi, informazioni, decisioni … che investivano la vita e i rapporti tra gli associati … e dall’altro nel rendersi soggetto attivo sul fronte societario, prestandosi anche alla gestione di società».
Alla pagina 247, poi, il Tribunale sottolinea come l’intraneità del COGNOME sia dimostrata anche dal fatto che egli frequenta abitualmente le sedi delle società riferibili a NOME COGNOME e a NOME COGNOME venendo la sua presenza ritenuta, palesemente, normale e legittima, benchØ in quei locali, spesso, si parli di affari illeciti, si maneggino armi, si ricevano personaggi pericolosi.
L’ordinanza prende atto della scarsità di intercettazioni a suo carico o che, comunque, lo riguardano, ma valuta che «il contenuto delle stesse … restituiscono di COGNOME un ruolo di non poco spessore» (pag. 257 dell’atto). Dalle intercettazioni, infatti, secondo l’ordinanza si ricava che egli Ł a conoscenza delle dinamiche dell’associazione e dei rapporti tra i Crea e gli esponenti della camorra romana COGNOME e COGNOME (così da una conversazione dello 04/02/2021 tra COGNOME e NOME COGNOME legata sentimentalmente a NOME COGNOME); che le ambasciate a lui affidate sono di particolare rilievo e delicatezza, tanto da non poter essere affidate a strumenti intercettabili (così dalla intercettazione telefonica del 23/02/2021, tra NOME e NOME COGNOME, e da quelle successive, riportate
alle pagine 260 e 261, che evidenziano come i due interlocutori non affidino al telefono informazioni importanti); che egli Ł uomo di fiducia che gestisce gli interessi della cosca anche spostandosi in vari Paesi europei, tanto da venire descritto da NOME COGNOME in una conversazione con il padre, come «un bravo cristiano … Ł come se fossimo noi» (pag. 263 dell’ordinanza).
La valutazione conclusiva espressa alle pagine 264 e 265 dell’ordinanza, della sussistenza della necessaria gravità indiziaria circa l’appartenenza del ricorrente all’associazione ipotizzata, operando sui due fronti del mantenimento dei contatti tra il nucleo milanese e la originaria cosca di ‘ndrangheta, e della messa da disposizione delle sue competenze e capacità per occuparsi delle attività imprenditoriali, «che costituiscono il nucleo condiviso e il core business dell’associazione di cui al capo 1», Ł pertanto completa, logica, e fondata su elementi sufficientemente dimostrativi della intraneità del Suraci, e del suo coinvolgimento nelle varie attività dell’associazione e nei rapporti con altri associati, di cui mostra di avere piena conoscenza. Occorre peraltro ribadire che la verifica dell’adeguatezza della valutazione della gravità indiziaria contenuta in un’ordinanza in materia cautelare deve tenere conto della specificità di tale giudizio, ovvero della «diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato» (Sez. 2, n. 11509 del 14/12/2016, dep. 2017, Rv. 269683; Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014, Rv. 264213, tra le molte conformi).
L’affermazione del ricorrente, di essere stato ritenuto partecipe dell’associazione solo per il suo rapporto con i Crea, e di non essere comunque provata una sua messa a disposizione del sodalizio ovvero di un suo apporto causale ad esso, Ł pertanto infondata, e frutto di un confronto solo parziale con l’ordinanza impugnata.
Il quarto motivo di ricorso deduce un travisamento contenuto nell’ordinanza, in merito all’intercettazione in data 05/06/2021 in cui il ricorrente si offre di far ottenere a NOME COGNOME la residenza in Belgio prima che arrivi «la cassazione NOME» (secondo le esatte parole del Crea).
La doglianza Ł solo parzialmente fondata, risultando corrette sia la interpretazione dell’intercettazione, sia la valutazione del ruolo del Suraci che il Tribunale trae da tale conversazione, per cui il travisamento prospettato Ł solo parziale e limitato, e risulta del tutto irrilevante. Deve ribadirsi, sul punto, il principio secondo cui «In tema di ricorso per cassazione, ai fini della deducibilità del vizio di “travisamento della prova”, che si risolve nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nella omessa valutazione della prova esistente agli atti, Ł necessario che il ricorrente prospetti la decisività del travisamento o dell’omissione nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica» (Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020, Rv. 280117): nel presente caso tale decisività non Ł neppure affermata dal ricorrente, ed Ł, peraltro, del tutto insussistente.
L’errore commesso dal Tribunale consiste nell’affermare, alla luce di quella conversazione, che il ricorrente, «pur sapendo della pendenza di un ordine di esecuzione di una sentenza di condanna per bancarotta», si mette a disposizione di NOME COGNOME per procurargli una residenza in Belgio, dal momento che egli ritiene di doversi trasferire presto, «prima che mi arriva la cassazione NOME». In realtà, come eccepito dal ricorrente, in tale epoca non vi era alcun ordine di esecuzione penale pendente contro NOME COGNOME La frase pronunciata da questi, peraltro, evidenzia che egli temeva di riportare, in breve tempo, una condanna a seguito della pronuncia della corte di cassazione, ma non parlava affatto di condanne già poste in esecuzione. Il Tribunale commette, pertanto, un errore, che non costituisce però un vero e completo travisamento dell’elemento indiziario, perchØ questo viene riportato in modo corretto, ed anche interpretato secondo il suo reale contenuto, cioŁ la messa a disposizione del COGNOME per aiutare NOME COGNOME a stabilirsi all’estero per sfuggire ad una possibile, futura esecuzione di una condanna penale. L’avere erroneamente ritenuto che una tale condanna
fosse già stata emessa, mentre il timore del Crea era relativo ad un procedimento penale ancora pendente, non muta la valutazione del comportamento del ricorrente, perchØ anche nella ricostruzione corretta della vicenda tale comportamento rimane identico, ed Ł ritenuto dimostrativo della intraneità del soggetto, della sua conoscenza anche dei problemi giudiziari dei sodali, e della sua disponibilità a fornire loro qualunque tipo di aiuto ritengano necessario.
Il travisamento eccepito, pertanto, Ł irrilevante e non decisivo, e pertanto non deducibile; questo motivo di ricorso, perciò, deve essere dichiarato inammissibile.
Il quinto motivo di ricorso ed il secondo motivo nuovo, relativi alla sussistenza delle esigenze cautelari, sono infondati e devono essere rigettati.
L’ordinanza richiama esplicitamente, nella valutazione della sussistenza delle esigenze cautelare a carico del ricorrente, la presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., e valuta in modo approfondito, perciò, la eventuale presenza di elementi che, come richiesto dalla norma, escludano del tutto la sussistenza di tali esigenze. In particolare, anche per quanto riguarda il ricorrente, ritiene sussistente il pericolo di recidiva, per le disponibilità economiche che la cosca COGNOME appare, dalle intercettazioni, avere all’estero, con conseguente ipotizzabilità anche di un pericolo di fuga, e il pericolo di inquinamento probatorio, dedotto dal comportamento di altri coindagati, che anche in stato di detenzione hanno mantenuto la capacità di dare disposizioni e conseguire utilità.
Il Tribunale afferma che il COGNOME non ha offerto nessun concreto elemento utile a superare tale presunzione, ed anche nel quinto motivo di ricorso la contestazione dell’ordinanza Ł rimasta generica, limitandosi egli a sostenere l’insussistenza del pericolo di recidiva per le modalità del fatto, in particolare il breve lasso temporale dell’accertamento, per la sua personalità essendo incensurato, e per la non attribuibilità a lui stesso di molti degli elementi che, secondo l’ordinanza, concretizzano l’attualità del pericolo di recidiva. Il quinto motivo di ricorso, quindi, non si confronta con la motivazione dell’ordinanza che, proprio con riferimento alla cosca COGNOME e al Suraci, fonda la propria valutazione su altri elementi.
Nel motivo nuovo il ricorrente, in modo piø specifico, lamenta l’omessa valutazione del ‘tempo silente’, che, unitamente all’assenza di altre condotte sintomatiche del perdurare della ritenuta pericolosità e alla sopravvenuta carcerazione di NOME COGNOME, consentirebbe di escludere l’attualità del pericolo di recidiva. Anche questo motivo, benchØ non generico, Ł però infondato. L’ordinanza ha valutato la rilevanza dell’assenza di precedenti penali e il decorso del tempo dai fatti, ma li ha ritenuti «dati del tutto recessivi», elencando poi l’esistenza di numerosi «fattori di rischio», relativi a tutti i coindagati e quindi, almeno in parte, rilevanti anche per il ricorrente. In particolare non può escludersi, per il COGNOME, il dato della durata della partecipazione al sodalizio, dal momento che le prime intercettazioni mostrano un soggetto già intraneo all’associazione e quindi partecipe ad essa già da tempo, mentre non vi sono emergenze di una sua dissociazione o allontanamento dalla stessa o dalla cosca COGNOME. E’ a lui applicabile, inoltre, il dato della rilevanza del ruolo ricoperto, stante la sua operatività su due fronti distinti, come sopra argomentato, e il suo coinvolgimento nell’attività imprenditoriale, vero core business dell’associazione. La disponibilità di telefoni non intercettabili Ł stata attribuita a tutti i membri della cosca COGNOME, e non negata dal ricorrente, ed Ł emersa anche la disponibilità di rilevanti risorse economiche. Altro dato su cui si basa la valutazione del pericolo di recidiva Ł l’accertata prosecuzione dell’attività illecita fino ad epoca recente, da parte della cosca, e la mancanza di intercettazioni coinvolgenti il COGNOME non Ł determinante, in assenza di elementi da cui dedurre il suo allontanamento dalla stessa.
La motivazione dell’ordinanza impugnata, pertanto, Ł completa, logica e sufficientemente specifica anche in merito alla sussistenza delle esigenze cautelari anche a carico del ricorrente, e
non suscettibile di rilievi da parte del giudice di legittimità.
Per tutte le ragioni esposte il ricorso deve pertanto essere rigettato, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
La presente decisione rende esecutiva la misura cautelare della custodia in carcere, disposta dal Tribunale del riesame. Deve pertanto disporsi la trasmissione, a cura della cancelleria, dell’estratto del provvedimento al pubblico ministero competente, ai sensi dell’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 17/01/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME