Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20396 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20396 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a OTTAVIANO il 06/02/1956
avverso l’ordinanza del 04/10/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lett-e/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME Il P.G. conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore
L’avv. COGNOME Antonio conclude chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
L’avv. COGNOME NOME conclude chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
E presente per la pratica forense la dott.ssa COGNOME NOMECOGNOME Tess. Ordine Avvocati di Roma nr. P78817.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame, con l’ordinanza in data 4 ottobre 2024 confermava l’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari con cui era stata applicata a COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere in quanto indiziato di avere partecipato all’associazione mafiosa denominata clan COGNOME in qualità di capo reggente del sodalizio.
Il provvedimento impugnato faceva ampio rimando al contenuto dell’ordinanza genetica sotto il profilo della ricostruzione dei gravi indizi colpevolezza.
Soto il profilo dell’esistenza ed attuale operatività del clan COGNOME nel territorio di Noia e dei comuni limitrofi, l’ordinanza impugnata richiamava numerose sentenze e provvedimenti cautelari, resi nel corso degli anni, dai quali emerge – fra l’altro – che il settore, di precipuo interesse del clan è sempre stato quello edile.
Il suddetto clan, che, secondo il provvedimento impugnato, partecipa certamente di tutte le caratteristiche di mafiosità richiesttdalla norma, è stato senza dubbio operativo nel periodo gennaio 2021-giugno 2023; a tal proposito sono richiamate dal Tribunale di Napoli numerose conversazioni intercettate da cui sarebbe agevolmente ricavabile tale circostanza.
NOME ne è ritenuto un elemento apicale che ha mantenuto tale ruolo anche durante la carcerazione; a sostegno di tale affermazione vengono riportati stralci delle conv. 2919 del 12 aprile 2022 e n. 823 del 22 gennaio 2023.
Nella sua disponibilità sono stati trovati molteplici orologi di grande valore del tutto distonici rispetto al fatto dichiarato che COGNOME non svolga alcuna attivi lavorativa.
Nella disponibilità di quest’ultimo è stato, inoltre, rinvenuto un verbale di deliberazione della Giunta comunale del Comune di San Giuseppe Vesuviano avente ad oggetto il piano urbanistico comunale, ritenuto il riscontro dell’interesse che il clan ha nel settore degli appalti.
Il Tribunale del riesame richiamava – inoltre – una pluralità di conversazioni da cui emergeva che COGNOME anche durante la carcerazione aveva continuato a riscuotere tramite i figli una tangente da COGNOME NOME; ovvero che avesse imposto che il gruppo RAGIONE_SOCIALE si avvalesse della società dell’Annunziata per l’autotrasporto.
Venivano segnalate ulteriori condotte tenute dal COGNOME una volta scarcerato che rendono evidente come avesse ripreso in mano il comando del clan e volesse farlo sapere.
Sotto il profilo delle esigenze cautelari il Tribunale richiamava la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, stante il titolo di reato per cui l’indagato era indiziato.
Avverso detto provvedimento propone ricorso l’indagato tramite il difensore di fiducia, articolando un unico motivo di doglianza avente ad oggetto il vizio di motivazione dell’impugnato provvedimento.
Il ricorrente lamenta come il percorso motivazionale del Tribunale del riesame sia sovrapponibile a quello contenuto nell’ordinanza genetica, senza che sia stato dato alcuno spazio alle argomentazioni difensive poste a fondamento del gravame stesso.
Primo elemento distonico rispetto alla ricostruzione contenuta nell’impugnato provvedimento è costituito dal lungo periodo di carcerazione sofferto dal COGNOME a partire dal 2012 e che si è protratto per oltre un decennio nella casa circondariale di Tolmezzo.
Il ricorrente rimarca come siano stati omessi elementi concreti nella motivazione tali da dimostrare il perdurante contatto dell’indagato con il clan di appartenenza, posto che egli aveva goduto solo di due permessi in quel lasso di tempo.
Il ricorso censura il rilevo dato al rinvenimento della delibera del Comune di San Giuseppe Vesuviano – prodotta solo all’udienza camerale avanti al Tribunale : detta delibera è stata rinvenuta nell’autovettura del figlio di COGNOME all’inter del cruscotto e non era possibile sapere da quanto tempo vi si trovasse o come fosse stata ottenuta; tale documento non avrebbe dovuto essere utilizzato.
Quanto, poi, al perdurante ruolo verticistico attribuito al COGNOME anche durante la carcerazione, rimarca il ricorrente come difetti ogni traccia di una seppur minima interferenza dell’indagato nelle dinamiche del clan successivamente alla sua carcerazione e ciò anche in ragione del ruolo apicale assunto formalmente da COGNOME NOME.
Il ricorrente da’ una interpretazione della conversazione riportata a pag. 13 dell’ordinanza, secondo cui la scarcerazione dell’indagato era attesa con trepidazione in quanto egli avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di paciere; e rimarcava l’assenza di contatti fra l’indagato e il territorio di riferimento dell’organizzazion
Quanto, poi, al possesso degli orologi premette il ricorrente che pende impugnazione avverso il provvedimento cautelare reale che aveva ad oggetto tali beni.
Inoltre, rimarca come non fosse provata la riferibilità degli stessi al COGNOME, ovvero la sproporzione fra i suoi redditi e il valore dei beni, stante la percezione di una pensione.
Con riferimento ancora alla delibera di Giunta, oltre a rimarcare la non certa riferibilità della stessa all’indagato, giustificava l’assenza di spiegazioni in ragion del fatto che non gli fosse stato contestato alcunché dal giudice per le indagini preliminari in sede di interrogatorio di garanzia.
Circa poi l’asserita assunzione del ruolo apicale dopo la scarcerazione, il ricorrente ribadisce come nell’impugnato provvedimento non sia indicato alcun elemento concreto da cui evincere tale convinzione; dimostrazione del contrario, afferma il ricorrente, è il fatto che il riconosciuto capo del clan, NOME NOME, operasse certamente in piena autonomia.
Irrilevante, poi, si appaleserebbe la conversazione intercorsa fra COGNOME NOME e COGNOME NOME, che sono persone estranee all’organizzazione e che si limitano a fare supposizioni circa dinamiche o situazione di cui nulla sanno per scienza diretta.
Analogo corto circuito motivazionale riguarderebbe la vicenda estorsiva consumata in danno di NOME NOME: detto reato non è contestato al COGNOME ed inoltre vi sarebbe confusione circa l’identità del soggetto passivo se, cioè, sia NOME ovvero il gruppo RAGIONE_SOCIALE.
La vicenda non presenterebbe caratteri estorsivi ed, inoltre, i soggetti coinvolti non sono neppure conosciuti dal COGNOME direttamente; sono i figli dell’indagato che conoscono i figli di NOME COGNOME della Adler ed è per questo motivo che NOME si rivolge a loro nel momento in cui il credito nei confronti della Adler aumentava per ottenere il pagamento del dovuto.
In ogni caso NOME gestiva in piena autonomia il rapporto con COGNOME senza la necessità di alcuna intermediazione da parte di chicchessia; in ogni caso la circostanza che una volta libero COGNOME non abbia avuto alcun contatto con NOME confermerebbe l’assoluta estràneità dell’indagato rispetto all’asserita vicenda estorsiva.
Il ricorrente stigmatizzava come il Tribunale avesse obliterato un passaggio di una conversazione dalla quale emergerebbe chiaramente che COGNOME era intenzionato a cambiare vita, stando lontano dalle dinamiche criminose.
Il ricorrente criticava la tecnica redazionale seguita di fare riferimento e ricorso a scampoli di conversazioni intercorse fra terze persone per dimostrare l’intento del COGNOME di riprendere la posizione apicale.
Conclusivamente, il ricorrente rileva l’assenza di indizi che COGNOME, certamente destinatario di condanne definitive in quanto appartenente ad un clan mafioso, abbia posto in essere ulteriori e differenti condotte rivelatrici della volontà d continuare nell’attualità a partecipare al detto sodalizio, né sotto il profilo d mantenimento dei contatti con gli accoliti, né del coinvolgimento in provvedimenti giudiziari recenti, né nei reati fine.
Il sostituto procuratore generale NOME COGNOME depositava requisitoria scritta chiedendo il rigetto del ricorso.
Vi è richiesta di trattazione orale ex art. 611 cod proc pen.
Il difensore ha depositato memoria con motivi nuovi e note di replica alla requisitoria scritta del procuratore generale.
I difensori hanno concluso per l’annullamento dell’ordinanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
In tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione deve essere provata con puntuale riferimento al periodo temporale considerato dall’imputazione, sicché l’esistenza di una sentenza di condanna passata in giudicato per lo stesso delitto in relazione ad un precedente periodo può rilevare solo quale elemento significativo di un più ampio compendio probatorio, da valutarsi nel nuovo procedimento unitamente ad altri elementi di prova dimostrativi della permanenza all’interno della associazione criminale. (Sez. 1 – , n. 19703 del 14/11/2023 Rv. 286395)
La prova della partecipazione all’associazione di stampo mafioso può essere desunta, con metodo logico-induttivo, anche dall’accertata sussistenza di un rapporto gerarchico dell’interessato rispetto ai soggetti ritenuti sicuramente partecipi del sodalizio. (Sez. 6, n. 1162 del 14/10/2021, Rv. 282661)
In tema di associazione mafiosa, i gravi indizi di colpevolezza in sede cautelare possono dedursi dalla precedente condanna del soggetto per l’adesione al medesimo sodalizio e dal ruolo assunto all’interno dell’organizzazione, valutati congiuntamente agli ulteriori elementi acquisiti a sostegno della perdurante partecipazione relativamente al periodo successivo a quello cui è riferita la condanna. (Sez. 6, n. 3508 del 24/10/2019 Rv. 278221)
Il provvedimento impugnato ha fatto buon governo degli insegnamenti sopra richiamati e qui ribaditi poiché, lungi dal soffermarsi sulle condanne definitive, ha rinvenuto e valorizzato gli elementi indiziari di una perdurante partecipazione dell’indagato all’associazione criminosa, valutati nel loro complesso.
I gravi indizi della perdurante intraneità nel sodalizio criminoso sono partitamente riportati alle pagg 16 e seguenti dell’ordinanza.
Il Tribunale del riesame riportava alcune conversazioni, quali la 2919/2022, nel corso della quale COGNOME padre riferisce al figlio di un’interferenza di COGNOME in affari di cui non si era mai occupato prima e afferma di attendere l’uscita dal carcere di Biagio (Bifulco) per sistemare le cose.
Altrettanto rilevante era ritenuta la conv. 823/2023 in cui NOME NOME faceva presente che Va gli era stato chiesto di anticipare i soldi perché i ragazzi avevano avuto il permesso di andare a trovare il padre, odierno ricorrente, che è considerato una figura carismatica del clan, punto di riferimento.
Il provvedimento impugnato collocava tale conversazione all’interno della vicenda della tangente imposta ad Annunziata da COGNOME, riscossa mensilmente per il tramite di COGNOME dai figli di COGNOME che, infatti, avendo avuto il permesso andare a trovare il padre, avevano chiesto che venisse anticipato il pagamento.
La vicenda veniva ricostruita in maniera completa e logica nelle ordinanze di merito grazie sia al contenuto delle conversazioni captate, sia dei risultati dei servizi di 0.C.P.; nessun elemento di riscontro è necessario, in quanto, secondo il costante insegnamento di questa Corte, cui si intende dare continuità, in tema di prove, il contenuto di intercettazioni telefoniche captate fra terzi, da cui emergano elementi di accusa nei confronti dell’indagato, può costituire fonte probatoria diretta della sua colpevolezza, senza necessità di riscontro ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., fatto salvo l’obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica. (Sez. 3, n. 10683 del 07/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286150 – 04).
Anche sotto il profilo della interpretazione delle conversazioni captate fra presenti le medesime sono di piana interpretazione, come rilevato nel provvedimento impugnato che, infatti, ha valutato il loro significato in maniera logica e lineare, applicando, come richiesto dagli insegnamenti di legittimità, criteri corretti.
In tema di ricorso per cassazione, quando la sentenza impugnata abbia interpretato fatti comunicativi, l’individuazione del contesto in cui si è svolto colloquio e dei riferimenti personali in esso contenuti, onde ricostruire il significato di un’affermazione e identificare le persone alle quali abbiano fatto riferimento i colloquianti, costituisce attività propria del giudizio di merito, censurabile in sede di legittimità solo quando si sia fondata su criteri inaccettabili o abbia applicato tal criteri in modo scorretto. (Sez. 1, n. 25939 del 29/04/2024, L., Rv. 286599 – 01)
Ulteriori elementi a sostegno del fatto che anche successivamente alla scarcerazione l’indagato intendesse mantenere il ruolo all’interno della compagine criminale di provenienza sono richiamati dal Tribunale del Riesame; come riportato nel provvedimento impugnato, dal contenuto delle conversazioni intercettate incrociato con dati di fatto, come, cioè, la circostanza che uscito dal carcere il COGNOME utilizzasse un bastone per camminare, emerge che egli – oltre a farsi vedere in paese, rendendo noto a tutti che era di nuovo libero – aveva convocato alcuni sodali e aveva richiesto pagamenti di somme in relazione a fatti anche molto
risalenti nel tempo, con ciò manifestando la sua evidente intenzione di riprendere il ruolo ricoperto in precedenza all’interno del clan.
La motivazione resa dal Tribunale di Napoli circa la evidenza della perdurante intraneità del COGNOME al clan COGNOME, nonostante il periodo decorso in stato
detentivo è del tutto logica, coerente e sostenuta da una interpretazione non contradittoricv assolutamente verosimile dei gravi indizi di colpevolezza.
E’ evidente, in ragione di quanto evidenziato nell’impugnato provvedimento, che né il regime detentivo speciale, né la lontananza della casa di reclusione,
rispetto al luogo di radicamento dell’associazione criminale hanno costituito un ostacolo al mantenimento dei contatti, stante il
trait union costituito dai figli, come
emerge dalla vicenda della tangente pagata da NOME.
2.
La valutazione complessiva
GLYPH
della GLYPH
motivazione dell’impugnato provvedimento evidenzia l’assoluta completezza, logicità e coerenza della stessa
in relazione ai gravi indizi di colpevolezza; per contro il denunciato vizio di
t
motivazione è solo apparente e-sett-ergisle, di fatto, a-proporre una differente lettura dei gravi indizi di colpevolezza e ciò in aperto contrasto con il costante
insegnamento di questa Corte, in ragione del quale in tema di giudizio di legittimità, la cognizione della Corte di cassazione è funzionale a verificare la compatibilità della motivazione della decisione con il senso comune e con i limiti di un apprezzamento plausibile, non rientrando tra le sue competenze lo stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti, né condividerne la giustificazione. (Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rezzuto, Rv. 285504 , 01)
Il ricorso deve dunque essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Lo stato detentivo del medesimo impone le comunicazioni di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. L
Così è deciso, 12/02/2025