Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35792 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35792 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 21/3/2024 emessa dal Tribunale di Palermo visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Palermo confermava la sottoposizione dell’indagato alla custodia cautelare in carcere, disposta in relazione al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. Secondo l’imputazione provvisoria, il ricorrente veniva
individuato quale “reggente” della RAGIONE_SOCIALE Trabia.
Nell’interesse del ricorrente sono stati formulati tre motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, si deduce la nullità dell’ordinanza genetica per difetto del requisito dell’autonoma valutazione, sottolineandosi come il Tribunale avesse immotivatamente ritenuto l’infondatezza della censura, nonostante la predetta ordinanza consistesse nella sostanziale riproposizione degli argomenti contenuti nella richiesta cautelare. Peraltro, anche l’ordinanza del Tribunale del riesame risulterebbe carente sotto il profilo dell’autonoma valutazione, posto che la motivazione si risolveva nel richiamo dei passaggi motivazionali contenuti nell’ordinanza genetica.
2.2. Con il secondo motivo, deduce il vizio di motivazione in merito alla gravità indiziaria. Evidenzia il ricorrente come l’imputazione provvisoria contenga la specifica indicazione di plurime condotte in cui si sarebbe estrinsecato il ruolo di “reggente” dell’indagato. A fronte di tale indicazione, tuttavia, i giudici della cautela si erano essenzialmente limitati a valorizzare una precedente condanna del ricorrente per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., desumendone la perdurante adesione all’associazione.
In tal modo, tuttavia, si sopperiva alla carenza indiziaria valorizzando condotte notevolmente risalenti nei tempo (2008) e, al contempo, avvalorando una sorta di presunzione di responsabilità per fatti successivi rispetto a quelli oggetto di condanna.
La motivazione, inoltre, era gravemente carente anche in ordine alla valutazione di attendibilità relativa alle dichiarazione dei collaboranti, essendosi acriticamente recepite le affermazioni rese da NOME e NOME COGNOME.
Il primo aveva riferito di informazioni apprese de relato, secondo cui il ricorrente sarebbe stato a capo della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Trabia, senza che fosse stato acquisito alcun ulteriore elemento di conferma.
NOME COGNOME, invece, aveva riferito della contrapposizione esistente tra il ricorrente e altro soggetto in posizione apicale nella medesima associazione.
In entrambi i casi, le dichiarazioni del collaboratori erano generiche, apprese de relato e, comunque, sfornite di riscontri esterni, tali non potendosi ritenere le poche e non significative intercettazioni telefoniche richiamate nell’ordinanza impugnata.
In particolare, nella conversazione del 22 maggio 2021, intercorsa tra il ricorrente e tale NOME COGNOME, il primo faceva riferimento al timore di poter essere arrestato, circostanza compatibile con lo svolgimento di attività illegali, ma non necessariamente dimostrativa dell’appartenenza al sodalizio mafioso e del ruolo
apicale.
Nella medesima conversazione, il ricorrente riferiva di esser stato contattato da un imprenditore, affermando di non aver avanzato alcuna richiesta estorsiva, nella consapevolezza delle difficoltà economiche in cui il predetto versava. Tale condotta veniva ritenuta incompatibile con le modalità tipiche dell’agire delle associazioni mafiose.
Infine, anche la conversazione del 27 maggio 2021 – cui non partecipava il ricorrente – era generica, posto che pur potendo lasciar ipotizzare il coinvolgimento dell’indagato in attività estorsive, non denotava anche l’appartenenza e il ruolo verticistico svolto nell’associazione RAGIONE_SOCIALE.
2.3. Con il terzo motivo, deduce il vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari.
2.4. La difesa del ricorrente ha depositato una memoria contenente motivi aggiunti, con la quale sviluppa i temi già introdotti con il ricorso, sottolineando come il Tribunale del riesame avrebbe erroneamente valorizzato la precedente condanna per il reato associativo, non considerando il lungo periodo di detenzione subito dal ricorrente e la sostanziale carenza di elementi dai quali desumere che i legami con tali ambienti malavitosi fossero stati definitivamente recisi. Si torna a contestare, inoltre, la lettura del quadro indiziario e l’indebita acritica valutazione delle dichiarazioni dei collaboranti, nonché del contenuto delle intercettazioni che, in gran parte, non vedono il ricorrente quale interlocutore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
In relazione al primo motivo, si rileva che la nullità per carenza di autonoma valutazione dell’ordinanza genetica non era stata espressamente dedotta dinanzi al Tribunale del riesame e, quindi, alcun vizio di motivazione può essere censurato in relazione a tale aspetto.
Tanto meno il ricorrente può dolersi della mancanza di autonoma valutazione in relazione all’ordinanza del Tribunale, sia perché la motivazione, pur richiamando elementi probatori contenuti nell’ordinanza genetica, sviluppa un autonomo processo valutativo, sia perché il vizio in questione non è previsto con riguardo all’ordinanza del riesame (da ultimo, Sez.1, n. 8518 del 10/9/2020, dep.2021, Galletta, Rv. 280603).
Le censure mosse con riguardo alla ritenuta sussistenza della gravità
indiziaria sono infondate.
Occorre in primo luogo escludere che l’ordinanza si sia limitata a prendere atto della precedente condanna per il reato associativo, posto che il Tribunale ha valorizzato tale dato nell’ambito di un più ampio quadro indiziario, idoneo a dar conto dell’attualità della partecipazione.
Risulta pienamente rispettato, pertanto, il principio giurisprudenziale secondo cui la valutazione della prova della continuità dell’adesione al sodalizio di un soggetto già condannato per lo stesso reato può essere tratta da elementi di fatto che, autonomamente considerati, potrebbero anche non essere sufficienti a fondare un’accusa originaria di partecipazione (Sez.2, n. 43094 del 26/6/2013, COGNOME, Rv. 257427; Sez.6, n. 3508 del 24/10/2019, dep.2020, Ammendola, Rv. 278221).
3.1. La doglianza relativa al vizio di motivazione dedotto relativamente alle dichiarazioni rese dai collaboranti è infondata.
Il Tribunale, dopo aver richiamato le dichiarazioni accusatorie rese da NOME e NOME COGNOME, ha dato conto delle ragioni della ritenuta attendibilità degli stessi.
In particolare, deve sottolinearsi come le dichiarazioni rese dai predetti risultano concordanti e coerenti in ordine all’attribuzione all’indagato di un ruolo verticistico in seno all’associazione RAGIONE_SOCIALE.
Sussistono specifici riscontri esterni, costituiti in primo luogo dalle dichiarazioni rese dal coindagato NOME COGNOME, il quale ha confermato il ruolo verticistico del ricorrente nella misura in cui ha dato atto che questi, così come riferito da COGNOME NOME, veniva a porsi in contrasto con altro soggetto in posizione verticistica, indicato in NOME COGNOME.
Particolarmente significativa, inoltre, è la conversazione captata in data 22 maggio 2021, nel corso della quale era proprio l’odierno ricorrente a riferire all’interlocutore di aver chiesto a NOME COGNOME di gestire l’associazione al fine di consentirgli di assumere una posizione più defilata per evitare le attenzioni investigative.
Più in AVV_NOTAIO, dalle conversazioni intercettate emerge il diretto coinvolgimento del ricorrente in attività estorsive, notoriamente rientranti nell’ambito di interesse delle associazioni mafiose.
La difesa ha sollevato plurime doglianze circa la rilevanza indiziaria desumibile da tali elementi che, tuttavia, non tengono conto della lettura complessiva del quadro indiziario.
Una valutazione unitaria e correlata sia alle dichiarazioni dei collaboranti che della precedente accertata adesione al sodalizio, consentono di ritenere
sussistente la gravità indiziaria anche all’attualità, risultando che il ricorrente ha assunto un ruolo di rilievo nell’ambito del sodalizio ed è stato riconosciuto dagli altri appartenenti quale soggetto in posizione verticistica (come testimonia la contrapposizione con COGNOME).
È pur vero che, come sottolineato dalla difesa, al ricorrente non vengono contestati reati-fine, tuttavia, le risultanze delle intercettazioni dimostrano come l’indagato fosse interessato all’attività estorsiva, né il semplice fatto che non siano emersi specifici fatti illeciti può costituire la controprova dell’estraneit all’associazione.
Una volta ritenuta la gravità indiziaria in ordine al reato associativo, il motivo concernente le esigenze cautelari risulta manifestamente infondato, avendo correttamente i giudici del merito fatto applicazione della duplice presunzione di sussistenza delle esigenze e di esclusiva idoneità della custodia in carcere.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.att., cod. proc. pen.
Così deciso il 10 settembre 2024
Il Consigliere estensore