Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30128 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30128 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Vibo Valentia il 23/08/1975
avverso la ordinanza del 3/12/2024 del Tribunale del riesame di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME Renato, che si è riportata ai motivi di ricorso.
AI/
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Catanzaro ha confermato l’ordinanza del Gip di Catanzaro del 14 ottobre 2024, che disponeva la custodia cautelare in carcere nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME
Si contesta a COGNOME di essere promotore e organizzatore della cosca “RAGIONE_SOCIALE” di Lametia Terme, nonché organizzatore della connessa associazione dedita al narcotraffico (capo 2) e di avere commesso i relativi reati fine di cui ai capi 4), 11), 17), 43), 44), 52), e 65), tutti aggravati ex art. 416-bis 1. cod. pen. sia per essersi avvalsi del metodo mafioso che dell’agevolazione dell’associazione mafiosa.
Il gruppo COGNOME viene ritenuto una articolazione ‘ndranghetistica autonoma attiva sul territorio lametino (Maida e Cortale), ma legata sia alla omonima famiglia di `ndrangheta già operante nel territorio vibonese (operante nei territori di Maierato e Filogaso), sia ai massimi vertici della cosca” RAGIONE_SOCIALE di Filadelfia.
Avverso la ordinanza ricorre per Cassazione COGNOME NOME deducendo i seguenti motivi:
2.1. Vizio di motivazione in ordine alla esistenza sul territorio del sottogruppo – del quale il ricorrente sarebbe a capo – di una non meglio identificata associazione più articolata esistente nel territorio calabrese. Non è sufficiente fare riferimento alla sentenza “Crimine” e alle numerose altre sentenze che hanno accertato l’esistenza di plurime associazioni mafiose sul territorio calabrese. La sentenza RAGIONE_SOCIALE è passata in giudicato nel 2014 e la sentenza di primo grado è stata pronunciata nel 2012. Essendo l’associazione a delinquere un reato permanente, deve ritenersi che, con la sentenza di primo grado, si sia interrotta la permanenza dell’associazione, e, pertanto, il riferimento a tale procedimento è del tutto inconferente ai fini che qui interessano. Del pari, ininfluente è la sentenza “RAGIONE_SOCIALE“, che, non essendo passata in giudicato, non può costituire il postulato giurisdizionale da cui trarre conseguenze rispetto all’attuale thema pro bandum.
A ulteriore conferma di quanto sostenuto, assume rilevanza dirimente la sentenza con la quale il Tribunale di Vibo Valentia, nel giudicare COGNOME NOMECOGNOME quale capo della associazione mafiosa principale operativa in tutta la Calabria e, in particolar modo, nel vibonese, affrontando lo specifico tema relativo alla sussistenza, in Calabria, di un’associazione unitaria, ne ha escluso la sussistenza.
In nessuno dei procedimenti sopra richiamati viene cristallizzata e accertata l’esistenza della cosca di ‘ndrangheta Cracolici (intesa quale omonima famiglia
operante sul territorio vibonese legata al presunto sodalizio del quale si discute da rapporti di parentela).
Ai fini della consumazione del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., occorre che l’associazione abbia conseguito in concreto, nell’ambiente in cui opera, una effettiva capacità di intimidazione, che deve necessariamente avere una sua esteriorizzazione quale forma di condotta positiva. Non è sufficiente richiamare genericamente la materialità di alcuni, singoli e determinati atti violenti e minacciosi, essendo necessario accertare che essi facciano seguito a un già avvenuto precedente ed effettivo assoggettamento omertoso della popolazione.
Si incorre in errore qualora l’associazione di cui si discute venga considerata già in partenza mafiosa per le preoccupanti ricadute in tema di tassatività e determinatezza della norma penale dal momento che l’applicazione dell’art. 416bis cod. pen. alle mafie non tradizionali rischia di apparire come una indebita estensione.
Nel caso di specie, l’insussistenza di una associazione e della partecipazione ad essa da parte di COGNOME NOME si desume anche dei singoli reati fine al medesimo contestati.
Nei capi di imputazione 4), 11) e 17) il prevenuto è gravemente indiziato di avere appiccato, per errore, un incendio di alcuni arbusti nel terreno del fratello NOME, nonché di detenzione di un’arma per ragioni personali, ossia allo scopo di trarne profitto dalla vendita a un terzo acquirente. E’ agevole desumere la non conducenza di siffatte condotte a un contesto di tipo associativo. Né, in un’ottica associativa, possono assumere rilevanza gli episodi relativi all’intervento per dirimere controversie per il mancato di pagamento di canoni di locazione ovvero per la gestione degli appalti.
Unica fonte di gravità indiziarla è rappresentata dagli esiti della attivit intercettiva, che, in relazione al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., necessità d essere ancorata a risultanze fattuali. Il Tribunale si è limitato a rimarcare le captazioni nel corso delle quali NOME COGNOME (e quindi soggetto diverso dal ricorrente) si autocelebra, senza però aver dato prova di un diretto riscontro di questo riconoscimento mafioso all’esterno. Altro errore in cui incorre il Tribunale del riesame è rilevabile nella parte in cui viene indicato quale elemento sintomatico del riconoscimento dell’appartenenza mafiosa dei Cracolici, la vicenda riguardante l’indagato COGNOME il quale si faceva tatuare la scritta “Palermo nel mio cuore” (denominazione con la quale era riconosciuta la famiglia COGNOME nei contesti di ‘ndrangheta, attesa la provenienza geografica del capostipite NOME detto “NOME Palermo”, così evidenziando una confusione nella verifica degli elementi concreti indicativi dell’esistenza dell’odierna cosca “Cracolici” autonoma rispetto
all’omonima famiglia (per l’appunto riconducibile a NOME Palermo), mai riconosciuta e giudizialmente quale cosca di mafia.
Quanto alla posizione specifica dell’odierno ricorrente, si evidenzia che nessuno dei collaboratori di giustizia escussi ha mai attinto il predetto. E’ errato l’assunt secondo il quale COGNOME NOME risulterebbe tra i fautori della assistenza prestata al ramo della famiglia operante nel territorio vibonese, non essendosi mai prestato per la consegna di cellulari e utenze telefoniche sicure per consentire al cugino NOME, detenuto agli arresti domiciliari, di mantenere contatti con l’esterno. L’intraneità di COGNOME Renato alla presunta cosca con un ruolo apicale è poi smentita dagli stessi reati fine al medesimo contestati.
In conclusione, COGNOME NOME non è mai stato investito con la qualifica di uomo d’onore, non è mai stato affiliato ritualmente e ha concorso a consumare delitti scopo secondo modalità che denotano l’insussistenza della affectio societatis da parte dello stesso.
2.2. Vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati di cui agli artt. 74 e 73 d.P.R. 309/90.
Si contesta all’indagato di avere gestito in prima persona le attività connesse alla coltivazione di marijuana nelle serre in INDIRIZZO di Maida.
COGNOME è effettivamente titolare della omonima azienda agricola esercente, tra le altre, l’attività di coltivazione di piante per la preparazione di fibre tes che si occupa, specificamente di coltivazione di canapa definita light.
Si richiama il capo 44) della provvisoria incolpazione evidenziando che per tale ipotesi di reato l’indagato il 24 maggio 2023 è stato assolto per non aver commesso il fatto.
Nell’ordinanza impugnata viene rilevata la infondatezza della censura difensiva di violazione del bis in idem.
Il giudice non può riesaminare il decisum in assenza di una richiesta di revoca della sentenza ai sensi dell’art. 434 cod. proc. pen., nel senso che, le prove nuove, intervenute successivamente alla detta sentenza (ossia le intercettazioni) avrebbero potuto essere valorizzate soltanto dopo che, a seguito della revoca della sentenza, fosse stata disposta la riapertura delle indagini. Vale la medesima preclusione in tema di applicazione di misure coercitive.
È stato docurnentalmente provato che:
-il ricorrente è effettivamente titolare della omonima azienda agricola esercente, tra le altre, l’attività di coltivazione di piante per la preparazione d fibre tessili, distinta rispetto all’azienda intestata a Mazza Renato, intestatario della piantagione di INDIRIZZO;
-in sede di perquisizione, avvenuta il 22 luglio 2022, sono stati rinvenuti 25 chili di marijuana prodotti nel 2021, nonché la comunicazione con la quale si
dava notizia della avvenuta semina di sementi di canapa “finola”; la fattura di acquisto dei semi corredata dalle indicazioni della relativa certificazione legale del lotto di provenienza; un report con cui un laboratorio di analisi attestava il basso livello di THC presente nella sostanza;
a seguito di analisi presso il LASS del Comando provinciale dei carabinieri di Vibo Valentia, la media di THC presente nella sostanza rinvenuta è stata indicata nello 0,4%. A norma dell’art. 4, comma 5 della legge 242/2016, all’esito dei controlli effettuati dalle competenti autorità, qualora il contenuto complessivo della coltivazione risulti superiore allo 0,2% ed entro il limite dello 0,6%, nessuna responsabilità è posta a carico dell’agricoltore. In ragione di quanto sopra evidenziato la coltivazione di canapa è definita light.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.
Il primo motivo, oltre che aspecifico, è infondato. Esso non tiene, innanzitutto, conto della puntuale motivazione che evidenzia come il gruppo “RAGIONE_SOCIALE” sia stato correttamente ritenuto una articolazione ‘ndranghetistica autonoma attiva sul territorio lametino (Maida e Cortale), ma legata sia alla omonima famiglia di ‘ndrangheta già operante nel territorio vibonese (nei territori di Maierato e Filogaso), sia ai massimi vertici della cosca “RAGIONE_SOCIALE” di Filadelfia.
L’ordinanza sottolinea, inoltre, che le indagini hanno rivelato come la cosca fosse impegnata nelle attività di coltivazione e spaccio di stupefacenti e nel settore della gestione degli appalti per il taglio boschivo. Il clan COGNOME viene indicato come facente capo, allo stato, a NOME COGNOME cl. 1971, impegnato nella creazione e mantenimento in vita dei rapporti tra i sodali (ai quali procurava, essendo ristretti agli arresti domiciliari schede telefoniche); nella gestione di una cassa comune, in cui affluivano i guadagni illeciti, per mantenere gli associati detenuti, le spese legali e il mantenimento delle famiglie dei detenuti e nella soluzione di contrasti sul territorio.
2.1.Le operazioni di intercettazione, svolte anche attraverso i sistemi di vidoesorveglianza installati presso le aziende impegnate nella coltivazione delle serre di marijuana e, in quelli della INDIRIZZO ove si registrava la presenza dell’odierno ricorrente, correttamente, secondo l’ordinanza impugnata, ne hanno attestato la perdurante operatività in un’ampia zona del territorio ubicato tra Vibo Valentia e Lannetia Terme. Le indagini hanno rivelato come la cosca fosse
impegnata nelle attività di coltivazione e spaccio di stupefacenti e nel settore della gestione degli appalti per il taglio boschivo.
Il Tribunale del riesame mette, infine, in evidenza che il ruolo della ndrina “Cracolici” era emerso, quale referente mafioso sul territorio della “RAGIONE_SOCIALE“, ricostruita in complesse attività investigative culminate nel processo cd. “RAGIONE_SOCIALE” e in altri processi, ancora in corso.
A pagina 8 della ordinanza impugnata si precisa che “la lettura complessiva del compendio in atti fornisce adeguata dimostrazione della capacità intimidatoria posseduta nella attualità dal gruppo, concretamente esercitata nei confronti delle vittime dei fatti di estorsione contestati e nel settore del taglio boschivo, nonché dei rapporti della cosca con altre articolazioni territoriali ed extraterritoriali”.
Si evidenziano, poi, “le condotte che denotano la autorevolezza dei suoi membri, principali interlocutori della cittadinanza della imprenditoria locale e dei pubblici ufficiali, nonché il radicale controllo del territorio e la disponibilità di rete di supporto per mezzo dei quali sono stati portati avanti gli affari nel redditizio settore del narcotraffico. Del pari, la detenzione di armi è correttamente ritenuta ulteriore elemento a supporto del teorema accusatorio”.
In generale deve osservarsi che, accanto a quelli che sono i requisiti necessari per ritenere configurata una associazione per delinquere, la fattispecie di cui all’art. 416-bis cod. pen. richiede ulteriori elementi specializzanti, consistent essenzialmente nell’avvalinnento della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo o della condizione di assoggettamento che ne deriva. Tali elementi, richiedono uno specifico accertamento unicamente dove ci si trovi dinanzi a consorterie criminali di nuova costituzione, e non nel caso delle mafie storiche o nelle quali articolazione di una associazione mafiosa già riconosciuta.
Nel caso di specie siamo di fronte a mafia storica e cioè la ‘ndrangheta.
Il Collegio della cautela ripercorre le vicende criminali che hanno interessato la famiglia di ‘ndrangheta COGNOME, valorizzando le statuizioni giurisdizionali che ne hanno sancito l’esistenza e la operatività. In particolare, il riferimento è a procedimenti “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, laddove si fa riferimento ai tratti salienti concernenti la storia della consorteria in oggetto, alludendosi alle vicende che hanno coinvolto gli esponenti di vertice (tra cui gli omicidi di NOME e NOME COGNOME nel corso della faida con la contrapposta cosca dei COGNOME di Sant’Onofrio), nonché ai rapporti di parentela tra il ramo familiare dell’odierno indagato, radicato nella zona di Cortale e Maida, e quelli rimasti stanziati nel vibonese, e ai legami profondi con i massimi vertici della cosca” Anello-Fruci di Filadelfía. Si richiamano, infine, le sentenze emesse all’esito delle operazioni “Conquista” e “Scacco al killer” dove sono stati individuati come capi storici i
defunti fratelli COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME la cui eredità è stata raccolta da COGNOME NOME e COGNOME NOME.
3. Anche il secondo motivo è infondato.
La puntuale motivazione del Tribunale del riesame evidenzia che la gravità indiziaria in ordine alla sussistenza della associazione e alla commissione dei reati fine è stata ricavata dalla attività di geolocalizzazione con installazione di GPS e relativi tracciamenti, dagli esiti dell’attività intercettativa, dalle imma estrapolate dai sistemi di sorveglianza installati presso i siti di interesse investigativo, dai servizi di OPC e dai pedinamenti, dagli atti relativi ai sequestri delle piantagioni di marijuana eseguiti nei mesi di giugno, luglio agosto 2022 e dagli ulteriori sequestri eseguiti nei mesi di maggio settembre 2022.
Da tale compendio emerge, infatti, che i componenti della famiglia COGNOME avevano costituito una organizzazione dedita allo spaccio e alla coltivazione di sostanze stupefacenti.
Accanto alla commercializzazione di droghe pesanti, in particolare, l’associazione risultava particolarmente specializzata nel settore della coltivazione di cannabis indica, agevolata dalla complicità di alcuni appartenenti alle forze dell’ordine operanti sul territorio. Le indagini permettevano di individuare cinque piantagioni di cannabis indica, una delle quali in INDIRIZZO, gestita di fatto, dall’indagato. All’interno di tale coltivazione vi erano 800 piante per l produzione di circa 100 chili di marijuana.
Risultava, inoltre, dimostrato che l’associazione godeva del concreto contributo espletato dal militare COGNOME NOME, comandante della stazione CC locale. Egli garantiva, cioè, che l’attività proseguisse indisturbata e non vi fossero controlli sulle zone di interesse. Inoltre, contribuiva a che tutte le serre fossero coperte da documentazione che le facesse apparire come coltivazione di cannabis light.
Il modus operandi era il seguente: 1) costituire delle ditte individuali ad hoc, aventi ad oggetto la coltivazione di canapa sativa, attività lecita ai sensi della legge 242/2016, che venivano intestate, come nel caso in esame, a prestanome; 2) con la complicità di COGNOME veniva attestato l’inizio dell’attività di coltivazione di canap sativa mediante la produzione di una denuncia di inizio semina, il tutto correlato da fattura di acquisto e certificazione del lotto dei semi di canapa sativa; 3) in cambio, l’ufficiale riceveva la somma di 5.500 euro.
Quanto alla droga pesante, le indagini permettevano di accertare che il gruppo COGNOME si occupava dell’approvvigionamento dello stupefacente e ne curava lo smercio in diverse piazze di spaccio.
L’ordinanza impugnata motiva puntualmente sull’inserimento dell’indagato nella associazione, poiché lo stesso curava in prima persona la coltivazione in
INDIRIZZO COGNOME gestiva i rapporti con l’operante corrotto e le basi logistiche per la preparazione l’occultamento dello stupefacente.
Il Tribunale del riesame evidenzia, infine, con motivazione congrua e logica, che l’attività svolta nelle serre costituiva interesse comune dei fratelli COGNOME
quali le gestivano secondo modalità condivise, arrivando a siglare un patto di mutuo soccorso qualora una delle coltivazioni fosse andata persa.
3.1. Quanto alla censura della difesa relativa alla violazione del principio del il Tribunale del riesame evidenzia correttamente che non è
bis in idem, configurabile
l’idem factum, posto che l’attuale contestazione ha ad oggetto
un’attività illecita differente e ben più ampia, anche dal punto di vista temporale e soggettivo (coltivazione di una piantagione composta da 800 piante dal Febbraio
2022 al luglio 2022 in concorso con nove persone), rispetto a quella oggetto dell’allegato procedimento, nel quale il ricorrente, unitamente a COGNOME
rispondeva della sola detenzione di 25 chili di marijuana.
3.2. L’ordinanza impugnata sottolinea, inoltre, che gli elementi acquisiti escludono si versi in ipotesi di coltivazione di cannabis light.
Il modus operandi dell’associazione consisteva proprio nella creazione di aziende agricole per far figurare la formale liceità delle attività di coltivazion svolte. Ciò è accaduto anche nella piantagione di INDIRIZZO, fittiziamente intestata NOME e in possesso di carichi di prodotto light proprio per sviare controlli di polizia. Viene, sul punto, rimarcata a proposito l’intercettazione telefonica nel corso della quale il ricorrente comunicava di avere trovato tale Mazza Renato, al quale stava facendo intestare la documentazione della ditta, dietro compenso di 10.000 euro.
Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 3 aprile 2025
ier- estensore