Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8587 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8587 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a NAPOLI il 30/03/1977 NOME NOME nato a NAPOLI il 09/12/1998 avverso l’ordinanza del 25/07/2024 del TRIB. LIBERTA di Napoli; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei riguardi di NOME e COGNOME NOME emessa per il delitto di cui all’articolo 416-bis cod. pen., e precisamente per aver fat parte del clan camorristico “COGNOME“, quali vertici del gruppo denominato “RAGIONE_SOCIALE San Gaetano”, al primo affiliato, nonché per il delitto di rapina aggravata, ai danni di COGNOME NOME e, il solo COGNOME, anche per quello di estorsione aggravata e continuata, sempre ai danni del Grossi.
Hanno proposto ricorso per Cassazione sia il Marino che l’Amoroso.
Il Marino ha articolato quattro censure.
3.1. Col primo motivo, deduce la violazione dell’art. 416-bis cod. pen., in relazione agli artt. 273 e 292 cod. proc. pen., oltre vizi di motivazione, circa l sussistenza dei gravi indizi del delitto di associazione di stampo mafioso.
In particolare, l’ordinanza impugnata non chiarisce – secondo parte ricorrente – i tempi di costituzione del sodalizio indicato come “RAGIONE_SOCIALE San Gaetano”, chi ne fossero i vertici, quale sarebbe stato l’apporto di tale gruppo al clan COGNOME ovvero da cosa desumere l’affiliazione del primo al secondo, in che modo di tale clan facesse parte anche il ricorrente e, dunque, quali fossero stati il suo ruolo ed il suo apporto concreto, non avendo il Tribunale del riesame spiegato in cosa consistesse il suo addotto compito di raccordo sul territorio.
L’indicazione, da parte del collaboratore di giustizia NOME COGNOME del Marino quale uno dei responsabili di zona di San Gaetano era generica, anche sui tempi di commissione del delitto, e non riscontrata. Al riguardo, non si sarebbe considerato che il Marino era stato arrestato il 10/6/2021.
I contrasti tra i “ragazzi del gruppo di San Gaetano” e COGNOME, al vertice del clan COGNOME, dedotti dal detto collaboratore di giustizia, facevano emergere la natura estorsiva dei pagamenti al clan egemone COGNOME.
Non erano evidenti, invece, segni da cui desumere in concreto il ruolo apicale del ricorrente, riconoscibile e riconosciuto all’esterno, e neppure il suo mero inserimento nel clan, necessitante dell’accettazione dell’affiliato, da parte dei vertici del sodalizio, e nell’adesione di questi, formale o per fatti concludenti, programma associativo. Al riguardo, si afferma fosse inidoneo il coinvolgimento nella rapina ai danni di COGNOME Giovanni di cui al capo 2 provvisorio, per la quale lo stesso Giudice per le indagini preliminari aveva rimarcato la non perfetta coincidenza tra i responsabili indicati dalla persona offesa e quelli specificati da menzionato collaboratore di giustizia. In ogni caso, si dice ancora, il supporto ad una singola attività criminosa non poteva significare ausilio duraturo al sodalizio.
Anche le intercettazioni non sarebbero, per parte ricorrente, interpretabili in modo univoco nel senso voluto nel provvedimento impugnato.
In realtà, le stesse, limitate al periodo aprile/maggio 2021, essendo poi il ricorrente stato arrestato, provavano solo i rapporti di amicizia tra il COGNOME e COGNOME NOME, o anche di “possibile cointeressenza e correità in determinati affari illeciti” (p. 14 ricorso), ma non quelli con altri esponenti del clan.
Il ricorrente, peraltro, non era tra coloro i quali avevano partecipato ad alcuni importanti incontri menzionati nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Né si desumevano, dalle poche immagini indicate nella detta ordinanza, rapporti stretti del Giuliano con gli assunti sodali della “Paranza di San Gaetano”.
Neanche l’intercettazione n. 381 del 14/4/2021, da cui si desumeva la sua
retribuzione settimanale, provava l’affiliazione al clan COGNOME.
Mancherebbero, in definitiva, quei contributi fattivi, empiricamente valutabili, necessari al riguardo, insufficiente essendo la mera affectio societatis.
3.2. Col secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 628, commi 1 e 2, cod. pen., in relazione agli artt. 273 e 292 cod. proc. pen., oltre che vizi motivazione, circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il delitto d rapina aggravata di 13.500,00 euro ai danni di COGNOME NOME, parcheggiatore abusivo da 40 anni operante al INDIRIZZO a Napoli.
Le parole di NOME COGNOME autoaccusatosi di tale delitto, commesso con altri correi, non erano riscontrate, per parte ricorrente, da quelle della persona offesa, avendo costoro narrato versioni difformi o comunque non attendibili.
Il Tribunale del riesame non aveva, infatti, considerato che:
-il COGNOME aveva esercitato la detta attività per 40 anni per conto di altro clan, quello dei Sibillo;
-per un deficit alle corde vocali, il COGNOME non avrebbe potuto descrivere oralmente l’accaduto;
-lo stesso COGNOME aveva individuato solo alcuni dei rapinatori indicati dal NOME, ma non gli altri specificati dal collaboratore di giustizia e neppure lo stesso NOMECOGNOME che si era autoaccusato del delitto;
-il NOME era stato incerto sull’epoca del fatto ed aveva parlato di un provento di 8.500,00/9.000,00 euro, non dei 13.500,00 euro indicati dalla persona offesa;
-l’intercettazione telefonica nel corso della quale il COGNOME aveva detto a COGNOME NOME di avere in corso “un’operazione al ponte” (progr. 2989 del 9/1/2021, ore 17.02, ovvero al momento della rapina), era inidonea a confermare alcunché, pur se nella zona indicata abitava proprio il COGNOME;
-la persona offesa difficilmente avrebbe potuto riconoscere i rapinatori, travisati da poliziotti e mascherine.
3.3. Col terzo motivo, il Marino deduce la violazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen. e vizi di motivazione circa la ritenuta ricorrenza di gravi indizi di sussistenz dell’aggravante del metodo mafioso nel commettere la rapina anzidetta.
Nella specie, secondo parte ricorrente, essendosi i rapinatori presentati come poliziotti, essi non si erano avvalsi del potere intimidatorio evocato dall’aggravante, peraltro ritenuto sulla base della mera appartenenza dei correi al clan COGNOME ovvero, più in generale, del contesto ambientale, e non di dati palesati in tal senso dai medesimi. Per giunta, non era emersa la volontà di agevolare il clan, da parte dei rapinatori.
3.4. Col quarto motivo, infine, il COGNOME lamenta la violazione degli artt. 273,
274 e 275 cod. proc. pen., nonché vizi di motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.
Il Tribunale si sarebbe limitato a valutare, al riguardo, la sola gravità de fatto, senza considerare che occorrono esigenze cautelari, oltre che concrete, anche attuali e comunque non desumibili esclusivamente dal titolo di reato per cui si procede, dovendo guardarsi alla personalità dell’indagato ed al suo comportamento post delictum.
NOME COGNOME NOME ha proposto ricorso a questa Corte, sulla base di argomenti in larga parte collimanti con quelli prospettati dal Marino.
4.1. In particolare, coi primi due motivi anch’egli censura la carenza dei presupposti integrativi dei delitti contestatigli, a partire da quello associati evidenziando la genericità delle parole di NOME COGNOME (che lo aveva indicato tra i responsabili di zona a San Gaetano) e l’assenza di riscontri alle sue parole.
In aggiunta a censure – come detto – analoghe a quelle sopra riassunte in relazione ai primi due motivi del Marino, evidenzia il ricorrente che non si fosse considerato che egli era cognato di COGNOME NOME e nipote di COGNOME NOME, sicché i suoi rapporti con costoro erano spiegabili in termini di familiarità.
In realtà, a suo dire, al riguardo le intercettazioni provavano solo tali stret rapporti col COGNOME, ove pure di “probabile cointeressenza e correità in determinati affari illeciti” (p. 15 ricorso), ma non l’adesione al programma criminoso del sodalizio.
Anch’egli rimarca di non essere tra coloro i quali avevano partecipato ad alcuni importanti incontri menzionati nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere e come l’intercettazione sulla sua retribuzione settimanale non ne provasse l’affiliazione al clan COGNOME.
Secondo il suo difensore, la prova di appartenenza al sodalizio non avrebbe potuto desumersi neanche dal coinvolgimento nei detti reati-fine di cui ai capi provvisori 2 e 3 (rapina ed estorsione aggravate ai danni di COGNOME NOME), posto che tanto non dimostrava l’ausilio duraturo al sodalizio.
4.2. Il secondo motivo, circa l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il delitto di rapina aggravata, ripercorre argomenti analoghi a quelli del Marino.
4.3. Col terzo motivo, l’Amoroso lamenta la violazione dell’art. 629 cod. pen., in relazione agli artt. 273 e 292 cod. proc. pen., oltre che vizi di motivazione, circ la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il delitto di estorsione aggravata ai danni di COGNOME Giovanni.
Evidenzia come le parole del Giuliano fossero generiche, sia laddove aveva indicato il “gruppo.di San Gaetano” come quello degli estorsori, senza fare specifico
riferimento all’COGNOME, sia perché lo stesso collaboratore di giustizia non aveva indicato il INDIRIZZO o il INDIRIZZO, ove la vittima svolgeva la detta attivit di parcheggiatore abusivo, tra le persone o i luoghi oggetto delle estorsioni: dati, peraltro, neppure desumibili dalle intercettazioni.
Le accuse della persona offesa non erano, al riguardo, decisive in quanto:
-questi, per sua stessa ammissione, si era occupato del parcheggio per 40 anni per conto di altro clan, quello dei Sibillo;
-nella specie, senza minaccia e costrizione, il COGNOME aveva avuto “la gestione di una attività in cambio di una somma fissa”, sicché avrebbe dovuto parlarsi di una sorta di “tributo di vassallaggio” (p. 30 ricorso);
-l’attività del COGNOME, illecita, non poteva esser tutelata dall’ordinamento.
4.4. Infine, coi motivi quarto e quinto, l’Amoroso deduce, rispettivamente, la violazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen. e vizi di motivazione circa la ricorrenz dell’aggravante del metodo mafioso nel commettere il delitto di rapina aggravata, nonché la violazione degli artt. 273, 274 e 275 cod. proc. pen. e vizi di motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari: tanto in base ad argomenti identici a quelli del Marino sopra già sintetizzati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi, inammissibili laddove mirano ad una nuova valutazione delle risultanze istruttorie ed infondati sulle questioni di diritto sollevate, vanno rigett
2. In tema di misure cautelari personali, il giudice di legittimità deve limitars a verificare se i giudici di merito abbiano dato adeguato conto, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, delle ragioni che hanno indotto ad affermare (o negare), a carico dell’indagato ex art. 292 cod. proc. pen., la gravità del quadro indiziario – ovvero l’esistenza di una qualificata probabilità di colpevolezza, non l’accertamento della responsabilità – e la sussistenza delle esigenze cautelari in rapporto alla pericolosità dell’interessato e alla misura adeguata a fronteggiarla (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 215828-01; confronta, ex multis, Sez. 3, n. 7268 del 24/01/2019, Rv. 275851-01).
Ne consegue che è inammissibile il controllo su quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 215828-01; ex multis, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976-01), esulando dal controllo di legittimità il potere di revisione degli
elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi (Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Rv. 269438-01). Il controllo insomma va operato, in positivo, sulla sussistenza di ragioni giuridicamente significative a sostegno della decisione presa e, in negativo, sull’assenza di illogicità evidenti o contraddittorietà o carenze motivazionali (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976-01; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Rv. 248698-01).
Quanto ai riscontri ad una chiamata in correità, essi possono essere costituiti da qualsiasi dato probatorio, sia rappresentativo che logico, indipendente da essa e anche da altre autonome chiamate, che abbiano valenza individualizzante, ovvero riguardino il fatto reato e la sua riferibilità all’imputato (Sez. 1, n. 1263 20/10/2006, dep. 2007, Rv. 235800-01; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rv. 264380-01).
In particolare, quanto ai reati associativi, posto che il thema decidendum riguarda la stabile partecipazione al sodalizio, le dichiarazioni dei collaboratori l’elemento di riscontro individualizzante non devono necessariamente riguardare singole attività attribuite all’accusato, giacché il “fatto” da dimostrare non è singolo comportamento dell’associato bensì la sua appartenenza al sodalizio (così ancora Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rv. 264380-01).
A maggior ragione, riscontri esterni individualizzanti idonei, ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., a conferire alla chiamata valore di prova del delitto di associazione mafiosa – che per sua natura si alimenta di relazioni tra gli associati finalizzate a realizzare il programma associativo – sono non solo, com’è ovvio, il concorso del singolo chiamato alla consumazione dei delitti fine dell’associazione, ma anche le reiterate frequentazioni con esponenti di spicco del gruppo criminale, da cui emerga la messa a disposizione per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. 6, n. 12554 del 01/03/2016, Rv. 267418-01; Sez. 2, n. 51694 del 02/11/2023, Rv. 285623-01): atteso che, attraverso tali condotte, non altrimenti giustificate, si manifesta il ruolo effettivo e dinamico assunto dal singolo nel gruppo criminale, e, quindi, la sua adesione ad esso (Sez. 2, n. 18940 del 14/03/2017, Rv. 269659-01).
Orbene, il Tribunale del riesame argomenta in modo esaustivo, niente affatto illogico e conforme ai detti principi i presupposti delle misure adottate.
Lo stesso valorizza e riporta molteplici dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME il quale riferisce dettagliatamente delle attività illec dei vari gruppi criminali, tra cui il suo, affiliati al clan COGNOME, indicand partecipi e ruoli. Il provvedimento impugnato rimarca l’attendibilità intrinseca e molteplici riscontri alle parole del collaboratore di giustizia, grazie
intercettazioni e videoriprese coeve alle vicende narrate dal COGNOME ed alle parole di alcune delle vittime dei delitti commessi dai sodali.
E sempre con ragionamento immune da vizi o errori di diritto, l’ordinanza impugnata ha rilevato come ciò riscontrasse le parole, analitiche, rese dal NOME sul clan COGNOME e sulle sue articolazioni, peraltro ulteriormente confermate dalle intercettazioni riportate alle pagg. 143 e seguenti dell’ordinanza genetica.
Vengono opportunamente richiamate, dal Tribunale del riesame, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia laddove riscontrate dalle intercettazioni e dalle videoriprese, ivi incluse quelle sull’eclatante vicenda ai danni di NOME COGNOME che, per non aver ottemperato all’ordine del clan di allontanarsi da Forcella, datogli per non essersi lo stesso adeguato ai pagamenti imposti dal medesimo clan per l’esercizio della piazza di spaccio assegnatagli, era stato aggredito da 5 sodali che gli avevano cagionato gravi lesioni personali, anche con l’uso di un bastone e di una mazza da baseball. Episodio oggetto di una videoripresa acquisita e che, per essere avvenuto in pieno giorno ed in centro città, secondo i giudici del merito palesava l’elevata caratura criminale del Giuliano e degli altri correi, sicuri dell’impunità, nonostante agissero in siffatte condizio visibili a molti.
Al riguardo il Tribunale valorizza, poi, la reticenza della stessa vittima dell’agguato, che, pur denunciando l’accaduto, si guardò bene dallo specificare i nomi degli aggressori: altro dato correttamente valorizzato al fine di rimarcare il contesto malavitoso di cui si tratta.
L’ordinanza impugnata si dilunga, poi, sulle precedenti azioni intimidatorie che, secondo il detto collaboratore di giustizia, erano state poste in essere dai membri del clan Giuliano nei confronti di COGNOME, quali l’esplosione di colpi d’arma da fuoco sulla sua abitazione e, a seguito del suo successivo tentativo di aggressione nei riguardi di COGNOME, la distruzione del suo appartamento, da parte del clan, sino alla descrizione della pistola utilizzata nell’occasione, in dotazione al Vicorito. Ed ancora, il collaboratore di giustizia parl della richiesta dello COGNOME di rientrare a Forcella, della necessità, prospettata dal NOME, di un gesto che ne attestasse, agli occhi dei sodali, il “ravvedimento” e, infine, dei successivi contrasti col medesimo, che aveva iniziato a spacciare droga senza dar conto al clan, i quali avevano indotto alcuni dei vertici del clan NOME a propositi omicidiari, cui NOME COGNOME si era opposto, organizzando, però, il pestaggio anzidetto: insomma un quadro dettagliato, logicamente ritenuto, dai giudici del merito, assolutamente evocativo di logiche criminali mafiose.
Come riporta nella sua ordinanza il Tribunale del riesame, il Giuliano dettaglia molto le vicissitudini anche di questa articolazione denominata la “Paranza di san
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NOME“, che inizialmente si era avvicinata ai NOME non condividendo i modi troppo aggressivi di COGNOME NOME e il fatto che non li valorizzasse.
Ancora, sono menzionate – a riscontro delle parole di NOME COGNOME – le intercettazioni tra COGNOME NOME e proprio NOME COGNOME, laddove questi chiede al primo, così come fatto cogli altri gestori di piazze di spaccio, l’aumento della quota da versare al clan, in ragione dell’aumento del numero degli affiliati da sostenere economicamente (“non li voglio mettere nelle condizioni che non devono lavorare, però per esempio, pure per esempio mettiti nelle condizioni mettiti un attimo nei panni siamo un attimo, un attimo trenta di noi, non è che siamo, prima eravamo quattro, cinque ti fermavi sopra a mò siamo trenta dei nostri però, la famiglia nostra, noi noi lo stiamo facendo uguale per tutti quan perché sono aumentati i guaglioni, carcerati per esempio, questi qua stanno uscendo, NOME) è uscito, mò per esempio … inconnp… NOMECOGNOME) sta uscendo e da questo non devono andare più, perché tiene il problema, il discorso che ho fatto a te e a tutti quanti, tutto il blocco non è ch stiamo dicendo che devi cacciare quei 1000 euro in più… incomp… e cosa, si tratta di trecento euro”). E si rammenta, nell’ordinanza impugnata, come, alle obiezioni del COGNOME, sull’impossibilità di pagare quanto chiesto, il Giuliano avesse confermato il suo ruolo apicale, rispondendogli che egli fosse libero di scegliere se pagare o consegnare la piazza di spaccio al gruppo criminale facente capo allo stesso Giuliano (“Il discorso che ho fatto a te gliel’ho fatto anche agli altri se vole chiudere potete anche chiudere, non lo tengo il problema prendo i guaglioni miei e li metto a lavorare, e mi prendo le piazze, se ti senti della famiglia è bene altrimenti è uguale però non mi fate il discorso di venirmi contro, avete guadagnati soldi per quattro anni e nessuno vi ha detto niente, da quando sto io nessuno mi ha regalato niente, e mi sono fatto venti anni di carcere per questo quartiere e per la famiglia mia, comunque il discorso è questo se volete lavorare è bene, altrimenti mi dici o’ cugì non voglio lavorare apposto, io prendo i guaglioni miei”). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ed ancora, ad ulteriore conferma dell’attendibilità del collaboratore e dell’affiliazione anche del clan COGNOME a quello COGNOME, si citano le parole di COGNOME NOME, esponente del clan COGNOME, secondo cui chi aveva problemi col clan COGNOME automaticamente ce li aveva anche coi COGNOME.
L’ordinanza impugnata passa ad esaminare la specifica posizione dei due ricorrenti, evidenziando la loro indicazione, da parte del NOME, quali membri apicali del gruppo denominato la “RAGIONE_SOCIALE San Gaetano”, operante nella zona di Forcella, INDIRIZZO e zone limitrofe. E rimarca il riconoscimento in foto degl indagati e la specifica dei loro ruoli: il NOME addetto a fare del male a chi no pagava e gerente le armi del gruppo di san Gaetano, l’COGNOME, legato con la
nipote di COGNOME NOME, dedito alla riscossione delle estorsioni ai parcheggiatori abusivi e dei proventi dovuti dai gestori delle piazze di spaccio.
Quale riscontro alle affermazioni del collaboratore di giustizia, l’ordinanza richiama la rapina commessa in data 9/1/2021 ai danni di COGNOME NOME, parcheggíatore abusivo.
Infatti, il collaboratore indicava, tra i componenti del commando armato, alcuni di quelli riconosciuti dalla vittima, nonostante fossero travestiti da polizio e col volto parzialmente coperto da una mascherina, tra cui l’COGNOME e il COGNOME. Correttamente il Tribunale del riesame ha valorizzato, al riguardo, le simili modalità (a partire dall’essersi i rapinatori presentati in divisa da poliziotti per effett una perquisizione alla ricerca di armi o droga) in cui si era concretata la rapina, analiticamente descritte dal COGNOME e dal COGNOME: da ciò inferendone la credibilità dei racconti, del tutto sovrapponibili e riscontrati, altresì, da una intercettazio dello stesso COGNOME (in cui simulava, nel corso della rapina, di parlare con colleghi a cui stava riferendo dell’operazione in corso).
Il Tribunale del riesame valorizza, altresì, il fatto che il COGNOME avesse quasi subito riconosciuto alcuni dei rapinatori, tra cui l’COGNOME, perché presentatisi più volte laddove egli esercitava l’attività di parcheggiatore abusivo per estorcergli somme di denaro e di aver da tanto desunto che si trattasse di finti poliziotti: avendo, peraltro, chiarito trattarsi di appartenenti al clan COGNOME.
Tali dati non risultano illogici, come vorrebbero i ricorrenti, sol perché l vittima non è riuscita ad indicare tutti i componenti del commando che pose in essere la rapina: ben potendo, alcuni di essi, non esser noti alla medesima.
Inoltre, il provvedimento censurato richiama e correla, sempre in modo del tutto logico, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia sulle estorsioni perpetra dal clan ai danni dei parcheggiatori abusivi e l’affermazione del COGNOME di aver riconosciuto in foto le due persone che si alternavano ogni venerdì per il pagamento della somma dovuta a titolo di estorsione, tra cui proprio l’COGNOME.
Dunque, con valutazione congrua ed immune da censure, in questa sede, è stato ritenuto che le dichiarazioni della vittima riscontrassero in più punti ed dettaglio le dichiarazioni del COGNOME sulle attività del sottogruppo del cla operante a Forcella ed integrassero il grave quadro indiziario a carico dell’COGNOME e del COGNOME in ordine al capo provvisorio 2) e, per l’COGNOME, anche in ordine al capo 3): nonché, nel contempo, confermassero le parole del COGNOME anche in relazione all’accusa associativa.
Vengono, peraltro, richiamate al riguardo anche numerose intercettazioni, tra cui quelle svolte nel procedimento penale n. 21687/2020 R.G.N.R., che sono ritenute, dal Giudice per le indagini preliminari e dal Tribunale del riesame, la prova
dell’ulteriore operatività dopo marzo 2021 del clan COGNOME e delle sue varie articolazioni e, nel contempo, anche degli odierni ricorrenti.
Il Tribunale del riesame rammenta, ancora, come da alcune di esse, in particolare riportate alle pagine 282 e seguenti dell’ordinanza genetica, emerga chiaramente che i ricorrenti venissero stipendiati dal clan (in particolare, da COGNOME Stefano), ricevendo una paga settimanale, così come i loro stretti congiunti, allorché erano detenuti.
In modo niente affatto illogico il Tribunale del riesame, dinanzi a tale quadro, ha ritenuto fosse del tutto irrilevante la parentela del COGNOME con COGNOME NOME, incontestato vertice del clan COGNOME.
Con iter esaustivo e per nulla illogico o comunque viziato nella motivazione, il provvedimento impugnato giustifica la conclusione secondo cui le dichiarazioni del collaboratore, NOME COGNOME circa la partecipazione con un ruolo elevato dei due ricorrenti al sodalizio de quo, essendo essi in stretta collaborazione con COGNOME COGNOME, incontestato vertice del clan COGNOME, le cui direttive ponevano in esecuzione, fossero credibili e riscontrate da molteplici elementi, a cominciare dalla stessa partecipazione ai reati fine anzidetti, provata dalle parole della vittima
Così come in modo altrettanto logico viene rimarcato prima dal Giudice per le indagini preliminari, poi dal Tribunale del riesame che la persona offesa, nel corso della rapina, avesse riconosciuto, come detto, quali appartenenti al clan COGNOME alcuni dei rapinatori: sicché, come desunto dai giudici del merito, la vittima era ben consapevole della matrice mafiosa dell’azione criminosa, non essendo stato fuorviato, se non nella primissima fase dell’azione, dalle divise da poliziotti indossate dai rapinatori.
Orbene, per quanto anzidetto, dalle plurime chiamate in correità e dalle numerose intercettazioni confermative prima il Giudice per le indagini preliminari, poi il Tribunale del riesame hanno logicamente desunto la conferma del quadro accusatorio, con valutazioni scevre da vizi di sorta o errori di diritto, anche i relazione al ruolo apicale dei ricorrenti.
Laddove, poi, quanto ai delitti di rapina aggravata e, per il solo COGNOME, anche per quello di estorsione aggravata e continuata, entrambi ai danni di COGNOME Giovanni, è appena il caso di rimarcare come la prova emerga in primis dalle parole della vittima, rimaste sostanzialmente prive di alcuna solida censura: parole di per sé idonee, provenendo dalla persona offesa e non da un chiamante in correità, a fondare di per sé un solido quadro probatorio a carico dei ricorrenti, come correttamente ritenuto dai giudici del merito.
4. L’ordinanza, infine, risulta adeguatamente motivata anche in relazione al
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profilo cautelare.
Richiamata, correttamente, la doppia presunzione di cui all’art. 275 cod. proc. pen., di natura relativa per ciò che concerne la sussistenza delle esigenze cautelari e di natura assoluta con riguardo all’adeguatezza al loro contenimento della sola misura carceraria (si veda, in tal senso, ad esempio, Sez. 2, n. 24515 del 19/01/2023, Rv. 284857-01), l’ordinanza impugnata dà atto di come la stessa non risulti superata e, anzi, sia emersa la “concreta ed attuale pericolosità dei ricorrenti attesa la perdurante adesione degli stessi al contesto associativo di appartenenza”, per quanto desumibile dalle dichiarazioni del Giuliano e dalle intercettazioni: valutazione immune da vizi di motivazione ed adeguatamente sorretta dal quadro delineato dai giudici del merito.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di rigetto segue l condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
Trattandosi di provvedimento da cui non consegue la rimessione in libertà dei detenuti, una sua copia va trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario perché provveda a quanto stabilito dal comma 1-bis dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen. (ai sensi del comma 1-ter del medesimo articolo).
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così è deciso, 06/12/2024