Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21292 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21292 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dagli imputati:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Belvedere di Spinello il 07/06/1970;
COGNOME NOME nato a San Giovanni in Fiore il 21/10/1949; COGNOME NOMECOGNOME nato a Crotone il 03/02/1957; Gallo NOME, nato a San Giovanni in Fiore il 03/04/1962; COGNOME NOME nato a Crotone il 02/08/1978; COGNOME NOME, nato a Crotone il 15/07/1963;
nonché dalle terze interessate COGNOME NOMECOGNOME nata a Crotone il 23/07/1983 NOME NOMECOGNOME nata a Varavia il 06/10/1955
avverso la sentenza del 26/02/2024 emessa dalla Corte d’Assise di appello di Catanzaro visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME
COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; udito l’Avvocato NOME COGNOME in sostituzione dell’Avvocato NOME COGNOME difensore delle parti civili COGNOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME COGNOME il quale si riporta alle conclusioni chiedendone l’accoglimento; uditi gli Avvocato’ NOME COGNOME e NOME COGNOME difensori di fiducia di COGNOME COGNOME, che chiedono l’accoglimento del ricorso; udito l’Avvocato NOME COGNOME difensore di COGNOME Domenico, anche in sostituzione del co-difensore Avvocato COGNOME COGNOME che conclude per l’accoglimento del ricorso; udito l’avvocato COGNOME COGNOME difensore di fiducia di COGNOME e COGNOME NOME, che chiede l’accoglimento dei ricorsi; uditi gli Avvocati COGNOME NOME e COGNOME COGNOME, difensori di fiducia di COGNOME, che chiedono l’accoglimento dei motivi di ricorso; udito l’Avvocato COGNOME COGNOME, difensore di fiducia di COGNOME NOME, che chiede l’accoglimento del ricorso; udito l’Avvocato COGNOME COGNOME difensore di fiduci 3 di COGNOME NOME, il quale chiede l’accoglimento del ricorso; udita l’Avvocata COGNOME NOMECOGNOME difensore di fiducia di COGNOME NOMECOGNOME che insiste affinché vengano accolti i motivi del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di cassazione, con sentenza resa da Sez.2, n.5771 del 23/09/2022, dep.2023, accogliendo parzialmente i ricorsi del Procuratore Generale e degli imputati, annullava con rinvio la sentenza di assoluzione per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. nei confronti di COGNOME COGNOME e COGNOME COGNOME; annullava con rinvio la sentenza assolutoria in ordine al reato di omicidio contestato al capo 5) ed al correlato reato in materia di armi di cui al capo 6) nei confronti di COGNOME COGNOME; annullava con rinvio la sentenza emessa nei confronti di Rocca, limitatamente al riconoscimentJ dell’ipotesi di cui all’art. 416bis, comma secondo, cod. pen.; annullava la sentenza nei confronti di COGNOME limitatamente all’omesso riconoscimento delle attenuanti di cui agli artt. 73, comma 7 e 74, comma 7 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 ; annullava le statuizioni relative alla confisca nei confronti di COGNOME, Kedziersi a NOME NOME e COGNOME NOME.
All’esito del giudizio di rinvio, la Corte d’assise di appello confermava la condanna degli imputati per i reati oggetto dell’annullamento con rinvio,
dichiarando l’intervenuta prescrizione per alcune delle contestazioni ascritte a COGNOME (capi 4, 8, 36 e 40), rideterminando le pene a ciascuno inflitte e confermando la confisca dei beni nei confronti di COGNOME COGNOME NOME e NOME NOME.
Nell’interesse di COGNOME NOME sono stati formulati due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente censura la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena.
La sentenza rescindente aveva accolto il ri :orso in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti di cui agli artt. 74, comma 7 e 73, comma 7, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, rilevando sia il vizio di motivazione, sia l’errore di dirit in cui era incorsa la prima sentenza di appello, in ordine alla compatibilità di tali attenuanti con quella di cui all’art. 416-bis. 1, comma terzo, cod. pen. ritenuta sussistente.
Sulla base del computo della pena, si assume che la Corte di appello non avrebbe applicato la diminuente per la collaborazione ex art. 416-bis.1, comma terzo, cod. pen., né venivano indicate le riduzioni d. pena per le attenuanti di cui artt. 74, comma 7 e 73, comma 7, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Evidenzia il ricorrente che sulla pena prevista per il reato di omicidio quantificata in 21 anni di reclusione, ridotta ad z [mi 8 (senza indicazione della specifica ragione), si sarebbe dovuta effettuare l’ulteriore riduzione – da un terzo alla metà – in virtù della diminuente per l’attenuante speciale prevista dall’art. 416-bis. 1, comma terzo, cod. pen.
Un’ulteriore censura, rispetto al calcolo della per a, è stata mossa con riguardo all’omessa detrazione delle pene previste in relazione ai reati dichiarati prescritti (capi 4, 8, 36 e 40). Il ricorrente, inoltre, evidenzia come la prescrizione dei suddetti reati non era stata dichiarata nel dispositivo letto in udienza che, successivamente, era stato corretto con la procedura ex art. 130 cod. proc. pen., ritenuta non applicabile nel caso di specie, non essendo ravvisabile un errore materiale.
Infine, si deduce la violazione del divieto di reformatio in peius, in quanto, con riferimento ai reati (capi 39, 41 e 42) posti in continuazione con quello più grave di omicidio, la Corte di appello aveva applicato degli aumenti più elevati rispetto a quelli stabiliti nella prima sentenza di appello, nonostante i suddetti capi di imputazione non fossero stati oggetto di annullamento da parte della sentenza rescindente.
2.2. Con il secondo motivo, deduce l’omessa motivazione in ordine
all’aumento di pena disposto, a titolo di continuazioi e, con il reato giudicato dalla Corte di appello di Catanzaro con sentenza del 6 febbraio 2014, divenuta definitiva.
Tale aspetto, pur essendo stato espressamente devoluto al giudice del rinvio, avrebbe richiesto un’adeguata motivazione ir ordine alla quantificazione dell’aumento di pena stabilito in anni due.
Nell’interesse di Rocca Francesco sono stati formulati due motivi di ricorso.
3.1. Con il primo motivo si deduce il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, evidenziandosi che, a seguito del riconoscimento del ruolo di mero partecipe all’associazione, anziché di capo della stessa, la Corte di appello avrebbe dovuto rivalutare la modesta gravità del fatto, considerando l’incensuratezza dell’imputato e la sostanziale assenza di condotte indicative della partecipazione in epoca recente.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 416-bis cod. pen. in relazione all’individuazione del tempus commíssi delicti e della conseguente pena applicabile, ritenendo che erroneamente la Corte di appello aveva fatto riferimento alla pena minima di dodici anni di reclusione (trattandosi di associazione armata), così come aumentata per effetto delle modifiche apportate dalla I. 27 maggio 2015, n.69. Sostieni . il ricorrente che la condotta di partecipazione si sarebbe manifestata in epoca notevolmente antecedente (nel 2009) rispetto all’entrata in vigore dei più elevati limiti edittali e, quindi, si sare dovuta applicare la previgente forchetta sanzionatoria.
Nell’interesse di COGNOME Domenico sono stati proposti tre motivi di ricorso.
4.1. Con il primo motivo si censura il vizio ai motivazione in relazione alla ritenuta dimostrazione della partecipazione all’associazione di stampo mafioso. Dopo aver richiamato le considerazioni svolte nella sentenza rescindente ed averle poste a raffronto con quelle contenute nella sentenza di appello annullata, il ricorrente lamenta l’omessa valutazione di element fattuali che, ove considerati, avrebbero dimostrato l’estraneità rispetto al contesto associativo. In particolare, si eccepisce che l’elemento di prova centrale è stato individuato nell’incontro tra COGNOME e COGNOME NOME, ritenuto uno dei vertici dell’associazione. Il ricorrente sostiene di aver fornito adeguata giustificazione di tale fatto, precisando che dopo essere andato a prelevare il fratello NOME al momento della sua scarcerazione, su richiesta di quest’ultimo si era recato presso l’abitazione di Grande Aracri. L’incontro era esclusivamente frutto della richiesta del fratello di vedere COGNOME, con il quale aveva condiviso un periodo di
detenzione, senza che fossero emerse ulteriori occasioni di incontro tra il ricorrente e Grande Aracri.
In buona sostanza, il ricorrente avrebbe avuto un’unica occasione di incontro con il vertice dell’associazione, in un contesto del tutto estemporaneo e legato alla richiesta del fratello di incontrare NOME COGNOME, senza che tale incontro potesse essere considerato quale un summit tra associati.
A ciò deve aggiungersi che lo stesso COGNOME COGNOME, in un colloquio con COGNOME COGNOME, aveva manifestato il proprio stupore per il coinvolgimento del fratello in indagini di mafia, proprio in considerazione della estraneità di quest’ultimo rispetto al contesto associativo.
Parimenti non dirimenti sarebbero le intercettazioni indicate nella sentenza impugnata, dalle quali emergerebbe esclusivamente un contatto diretto con tale COGNOME e non già con altri sodali. Peraltro, il ricorrente contesta anche l’utilizzabilità di tali intercettazioni nei suoi confronti, trattandosi di prove acqui in altro procedimento e tratte da sentenza non definitiva.
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la violazione dell’art. 416-bis cod. pen. nella misura in cui è stata ritenuta .) r ov a ta la sua partecipazione all’associazione senza che sia emerso alcun stabile rapporto di collaborazione, difettando la prova di un apporto causale all’attività del sodalizio.
Né potrebbe a tal fine sopperire l’apporto dichiarativo fornito dal collaborante COGNOME il quale si sarebbe limitato ad indicare il i corrente quale appartenente alla locale di Belvedere, in assenza sia della descrizione di condotte specifiche idonee a integrare la partecipazione, sia di riscontri oggettivi.
4.3. Con il terzo motivo, censura per violazionn di legge e vizio di motivazione l’omesso riconoscimento delle attenuanti generiche.
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati formulati tre motivi di ricorso.
5.1. Con il primo motivo, si deduce violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione di Gallo alla locale di San Giovanni in Fiore, nell’ambito della quale sarebbe stato dedito alla commissione di reati di estorsione e traffico di stupefacenti, occupandosi anche di tenere i rapporti con la cosca “Arena” operante in Isola di Capo Rizzuto. Si sostiene che la Corte di appello sarebbe venuta meno all’obbligo di individuare precisi elementi dai quali desumere la “messa a disposizione” di Gallo in favore della cosca, non individuando una stabilità di rapporti e di condotte dimostrative dell’apporto causale rispetto al perseguimento dei fini associativi.
La motivazione, invero, si fonderebbe esclusivamente sulle dichiarazioni rese dai collaboranti a notevole distanza temporale dai fatti, prive di elementi di
specificità circa il ruolo di partecipe di COGNOME e, in gran parte, frutto del rielaborazione di un dato ritenuto notorio nell’ambiente criminale di riferimento, secondo cui COGNOME era un soggetto dedito allo spaccio di stupefacenti.
A ciò si aggiunga che le dichiarazioni rese da COGNOME e COGNOME sono intrinsecamente generiche e si pongono anche in contradizione tra di loro, posto che ciascuno dei predetti dichiaranti riferisce di un ruolo diverso assunto da COGNOME nel sodalizio. In particolare, COGNOME indicava COGNOME quale un “picciotto” a disposizione del sodalizio per poi aggiungere che il predetto spacciava stupefacenti nel territorio di Isola Capo Rizzuto, mentre COGNOME gli attribuiva il ruolo di spacciatore per conto della cosca di San Giovanni. Stante la genericità delle dichiarazioni, non era possibile ritenere provata la partecipazione all’associazione, ma al più una semplice connivenza con l’ambiente criminale operante sul territorio.
Le dichiarazioni fornite dai collaboratori, oltre a non essere convergenti, si limitavano a riferire un’indicazione generica di appai -tenenza al sodalizio criminoso, senza fornire elementi concretamente in grado di apprezzare il ruolo e la stabilità dell’inserimento di Gallo nell’associazione.
5.2. Con il secondo motivo, si censura l’omesso riconoscimento delle attenuanti generiche, in assenza di motivazione sul ounto.
5.3. Con il terzo motivo, relativo alla confisca, si censura il vizio di motivazione in ordine all’accertamento dei presupposti dellE misura ablativa, essendosi, in particolare, omesso di considerare che per quanto concerne l’immobile sito in Isola Capo Rizzuto, lo stesso è stato acquistato nel 2001 unitamente alla convivente COGNOME. Precisa il ricorrente che l’immobile era, in realtà, costituito da due appartamenti e che il pagamento era avvenuto anche grazie all’apporto patrimoniale fornito dalla convivente, che percepi a un regolare stipendio per l’attività di badante, inoltre, aveva contribuito all’esborso anche la figlia dell COGNOME all’epoca convivente con la madre.
Per quanto concerne, invece, il terreno sito in Cerenzia, il ricorrente assume che l’acquisto risale al 2000 ed è stato effettuato dal padre e, successivamente, è pervenuto per successione alla madre.
Il terreno sito in San Giovanni in Fiore era stato acquistato dal padre e, fin dal 1997, sulla base di un accordo con gli altri coeredi, era stato intestato al ricorrente.
La Corte di appello avrebbe omesso di confrontarsi con le specifiche censure mosse dal ricorrente, sia in ordine alla ricostruzione della capacità patrimoniale necessaria per l’acquisto dei due appartamenti, tanto meno sarebbe stato adeguatamente valutato il principio del criterio d ragionevolezza temporale tra l’epoca degli acquisti degli immobili e quella di ritenuta commissione dei reati.
Nell’interesse di COGNOME NOME sono stati formulati tre motivi di ricorso.
6.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’omessa motivazione in ordine alla sussistenza del reato di partecipazione all’associazione di stampo mafioso contestata al capo 1), eccependo che la Corte di appello, anziché colmare le lacune argomentative evidenziate dalla sentenza rescindente, fornendo adeguata risposta alle contrapposte deduzioni difensive, si sarebbe limitata a riprodurre intere parti della sentenza di primo grado. A supporto di tale assunto, il ricorrente ha indicato gli specifici passaggi motivazionali che consistono nella mera riproposizione di brani della sentenza di primo grado, sottolineando l’assenza di qualsivoglia autonoma valutazione idonea a rendere conto delle ragioni per cui i motivi dedotti dall’appellante non fossero condivisibili. Pur :landosi atto della consolidata giurisprudenza che ammette la motivazione per relationem, come pure dell’esistenza di pronunce che consentono di redigere la sentenza di appello mediante la tecnica del c.d. “copia/incolla”, si sostiene che nel caso di specie, difettando qualsivoglia raffronto con i motivi di appel o, la motivazione risulterebbe meramente apparente.
6.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al ruolo di partecipe alla ‘ndrina di San Giovanni in Fiore, a sua volta ricadente nella locale di ‘ndrangheta di Belvedere.
La Corte di appello si sarebbe limitata ad affermare che oggetto dell’accertamento era la partecipazione di COGNOME all’associazione, omettendo di confrontarsi con la necessità di verificare in concreto come si fosse manifestata tale partecipazione e quale apporto fattivo avrebbe dato COGNOME rispetto alla vita del sodalizio. Tale vulnus risulterebbe ancor più evidente ove si consideri che a Lopez non risulta contestato alcun reato fine, sicchè la prova della mera partecipazione doveva esser ancor più solida.
In tale contesto, si inseriscono le dichiarazioni rese dai collaboranti COGNOME e COGNOME che, tuttavia, risultano in contrasto tra di loro, posto che il primo riferisce che COGNOME era attivo nel traffico di stupefacenti, mentre il secondo gli attribuisce condotte estorsive e intimidatorie.
La Corte di appello ha superato tale diversità limitandosi ad affermare che, considerando il diverso ruolo assunto dai collaboranti nel sodalizio, la parziale diversità del narrato non inficerebbe l’attendibilità del dato centrale, costituito dalla partecipazione di COGNOME all’associazione, concordemente riferita da entrambi i collaboranti. Sostiene la difesa che tale conclusione risulta contraddittoria, non avendo spiegato la Corte di appello le ragioni per cui COGNOME pur se in posizione apicale rispetto a COGNOME avrebbe dovuto avere una conoscenza meno dettagliata del ruolo svolto nell’associazione da COGNOME.
Passando al profilo dei riscontri, sottolinea la Wfesa la carenza motivazionale in ordine al fatto di aver dato rifugio a COGNOME durante la sua latitanza. Tale condotta, invero, ferma restando la possibilità di integrare il reato di favoreggiamento, può concorrere a dimostrare la partecipazione all’associazione solo nel caso in cui si accerti che l’ausilio al latitar te, a sua volta appartenent all’associazione, sia finalizzato ad agevolare non solo quest’ultimo, ma l’associazione nella sua interezza. Su tale aspetto, la Corte di appello avrebbe omesso di fornire qualsivoglia motivazione.
Neppure le intercettazioni esaminate dalla Corte fornirebbero elementi utili di riscontro.
Tali non sarebbero quelle relative all’interlocuzione tra Rocca e COGNOME, nel corso delle quali il primo chiede al secondo se COGNOME possa accompagnarlo al matrimonio di COGNOME. L’interlocuzione, sostiene la difesa, non sarebbe di per sé dimostrativa di una stabilità di rapporti con i sodali tale da confermare la partecipazione all’associazione.
Ancor più eloquente, in ottica difensiva, saret be la conversazione intercorsa tra COGNOME e COGNOME nel corso della quale il primo fa riferimento a “NOME” e COGNOME, pur a seguito di più richieste di chiarimento, dimostra chiaramente di non aver inteso che tale soggetto è da identificarsi in Lopez, a dimostrazione della sostanziale superficialità della conoscenza da parte el vertice associativo rispetto ad un presunto associato.
Infine, si contesta la rilevanza probatoria della presunta commissione da parte di Lopez del delitto di sequestro di persona nei, confronti di tale NOMECOGNOME evidenziando che per tale fatto – oggetto di un separato procedimento è intervenuta sentenza di non doversi procedere per difetto di querela, con conseguente impossibilità di desumere da tale episodio elementi a carico del ricorrente.
Peraltro, la motivazione resa sulla rilevanza di tale vicenda sarebbe del tutto carente.
6.3. Con il terzo motivo si censura il trattamento sanzionatorio, non avendo la Corte di appello motivato in ordine alla determinazione della pena e all’omesso riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche.
Nell’interesse di COGNOME COGNOME è stato formulato un unico articolato motivo di impugnazione, con il quale si censura – sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione – l’attribuzione al ricorrente del ruolo di mandante dell’omicidio di NOME COGNOME.
La sentenza rescindente aveva indicato una sMe di elementi che la Corte di
appello, nel riformare in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, non avrebbe adeguatamente valutato. Nel giudizio di rinvio, tuttavia, i giudici di appello si sarebbero limitati a riproporre l’iter argomentativo recepito in primo grado, senza offrire risposta ai motivi di doglianza proposti dal ricorrente.
Sottolinea il ricorrente che, essendo stato disposto l’annullamento per vizio della motivazione, la Corte di appello non era vincolata ad alcun principio di diritto e avrebbe dovuto procedere ad uno scrutinio ex novo dei motivi di appello, senza che le considerazioni svolte dalla sentenza rescindente potessero costituire vincolo di sorta.
Il giudizio di colpevolezza veniva confermato sul a base delle dichiarazioni rese da COGNOME e dal riscontro offerto da una intercettazione ambientale di un lungo colloquio intercorso tra COGNOME e COGNOME NOME.
Proprio quest’ultima conversazione, tuttavia, era tale da non poter fornire alcun adeguato riscontro alle generiche dichiarazioni di COGNOME.
Sottolinea la difesa che il giudice di appello si sarebbe basato su una sintesi della conversazione, interpolata al fine di colmare alcune lacune di intellegibilità, tale da alterarne il contenuto. In particolare, il passaggio maggiormente significativo sarebbe stato quello in cui i due interlocutori affermavano che NOME COGNOME, nell’ambito di una contrapposizione tra cosche, li avrebbe fatti uccidere tutti e che era “meglio stare in carcere che al cimitero”, il che avrebbe lasciato intendere che, per evitare di essere uccisi, avevano prefer,to eliminare lona e correre il rischio di subire un procedimento penale.
La difesa contesta la stessa esistenza delle parole “carcere” e “cimitero”, evidenziando che il colloquio si era svolto in dialetto, che vi erano numerosissime pause e parole del tutto incomprensibili, peraltro, g,. interlocutori discorrevano di due diversi omicidi, sicchè non vi era neppure certezza che la frase indicata dalla Corte fosse effettivamente riferita all’omicidio di NOME
Peraltro, l’intercettazione in questione si è svolta a distanza di quattro anni dall’omicidio, il che la rendeva ulteriormente poco significativa.
A fronte della scarsa significatività dell’intercettazione, si pone l’altrettanto generica dichiarazione resa da COGNOME il quale aveva ricostruito la vicenda esponendo di aver egli indotto COGNOME a ritenere che COGNOME fosse l’autore dell’incendio di un capannone che il predetto aveva in uso, così da spingerlo a programmare l’omicidio, il tutto nell’ambito di un contrasto già in atto.
La Corte di appello, tuttavia, aveva omesso di considerare che l’esistenza del contrasto tra COGNOME, che si era alleato con la locale di Cirò, era fatto notorio in quanto già accertato in altro procedimento (risalente al 2003) e sicuramente conosciuto per tale ragione da COGNOME le cui dichiarazioni risalgono al 2012.
COGNOME, peraltro, era incorso in errore nel descrivere le modalità dell’omicidio, avendo riferito dell’esplosione di tre colpi di fucile, anziché di due (come accertato nella perizia balistica).
Infine, in alcun passo delle dichiarazioni rese ‘da COGNOME quest’ultimo aveva espressamente accusato COGNOME di essere il mandante dell’omicidio COGNOME.
COGNOME sarebbe stato smentito anche in relazione all’incendio del capannone che lui riferisce di aver commissionato al fine di farne ricadere la responsabilità su COGNOME e indurre COGNOME a commissionarne l’omicidi). La Corte di appello, infatti, non si era confrontata con quanto riferito dal vigile del fuoco intervenuto in occasione dell’incendio, il quale aveva riferito c le dovesse escludersi la natura dolosa.
8 Nell’interesse di COGNOME NOME – figlia di COGNOME NOME nei cui confronti il procedimento è stato definito – in qualità di terza interessata destinataria della confisca di beni ex art. 240-bis cod pen., sono stati proposti due motivi di ricorso.
8.1. Con il primo motivo si deduce il vizio di motivazione in ordine alla affermata intestazione fittizia dei terreni oggetto di, confisca, ritenuti appartenenti a COGNOME Giovanni sulla base del mero rapporto parentale e della ritenuta indisponibilità di risorse economiche adeguate all’acquisto da parte della ricorrente.
Invero, i terreni in questione sono pervenuti alla ricorrente a seguito di donazione da parte della madre, NOME NOME, la quale a sua volta li aveva acquistati per usucapione, sicchè la pretesa incapacità patrimoniale è un elemento del tutto neutro ai fini della dimostrazione della fittizia intestazione. A ciò aggiunge il fatto che l’acquisto a titolo originario cla parte della NOME risale a epoca notevolmente risalente rispetto ai fatti contestati a COGNOME NOME, il che farebbe venir meno anche l’elemento della ragionevolezza temporale.
8.2. Con il secondo motivo, si censura la motivazione in ordine alla ricostruzione patrimoniale, nonché all’errata v 3lutazione della legittimità dell’acquisto per usucapione dei terreni da parte della COGNOME, dante causa della ricorrente. Richiamando la giurisprudenza civile sul tema, la ricorrente evidenzia come l’usucapione, pur se non accertata con senterza, ben possa costituire il titolo sulla base del quale avviene il successivo trasferimento del bene a terzi, salva restando l’inopponibilità al soggetto formalmente proprietario degli stessi.
Nell’interesse di NOME convivente di Gallo e terza intestataria dei beni confiscati, sono stati presentati due motivi di ricorso, che
possono essere congiuntamente sintetizzati.
9.1. La ricorrente censura il vizio di motivazione e la violazione dell’art 240 bis cod. pen., evidenziando che l’appartamento sito in Isola di Capo Rizzuto era, in origine, costituito da due distinte unità, acquistate in comunione con Gallo nel 2001. La ricorrente deduce di aver ampiamente d )cumentato la disponibilità di redditi idonei a giustificare l’acquisto, mediante il pagamento dei ratei di mutuo. La Corte di appello, inoltre, non aveva in alcun modo esaminato il profilo relativo alla “ragionevolezza temporale” tra l’acquisto dei. beni (risalente al 2001) e la commissione dei reati asseritamente produttivi del lucro reinvestito da COGNOME.
Direttamente collegata a tale censura è anche la dedotta violazione di legge e vizio di motivazione relativa alla indimostrata riconducibilità dei beni, intestati alla ricorrente, a Gallo, dovendosi escludere che si verta in un’ipotesi di intestazione fittizia, proprio in considerazione della dimostrata capacità reddituale da parte della ricorrente che giustifica appieno l’acquisto dei predetti beni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati nei limiti di seguito indicati.
Il ricorso proposto da COGNOME NOME prop.)ne plurime questioni relative alla rideterminazione della pena da parte del giudice del rinvio, avvenuta in difformità da quanto indicato nella sentenza rescindente e in violazione del divieto di reformatio in peius.
2.1. Sostiene il ricorrente che la Corte di appello avrebbe omesso di riconoscere la diminuente per la collaborazione prevista dall’art. 416-bis.1 cod. pen., limitandosi ad applicare le riduzioni previste per le attenuanti piaj2j dagli artt.74, comma 7 e 73, comma 7, D.P.R. 9 ottobre 1.990, n. 309, in relazione alle quali era intervenuto l’annullamento con rinvio.
La doglianza è infondata, posto che la Corte di appello, sia pur con motivazione sintetica, ha dato atto (si veda p.29) d . aver determinato la pena base per il reato più grave (omicidio contestato al capo 7) in anni 21 di reclusione, per poi procedere alle riduzioni per le attenuanti ad effettOspeciale.
La prima riduzione è stata disposta in considerazione “dell’entità della collaborazione” per l’art. 74, comma 7, portando la pena da anni 21 ad anni 8 di reclusione (pari a poco meno di 2/3 della pena, corrispondente alla diminuzione massima prevista dalla suddetta attenuante), ulteriormente ridotti ad anni 7 e mesi 6.
Pur dovendosi dar atto della non compiuta esplicitazione dei vari passaggi
seguiti nella determinazione della pena, l’entità delle riduzioni è tale da far ritenere con certezza che, rispetto alla pena base di anni 21, sono state operate due riduzioni di pena, dal che la difesa ne fa discendere l’erroneità della decisione, sul presupposto che le attenuanti da applicare erano tre.
La tesi non è condivisibile, posto che l’attenuante di cui all’art. 73, comma 7, D.P.R..9 ottobre 1990, n. 309 – pur se richiamata dalla motivazione – non era in realtà applicabile, in quanto riferita al capo 36) per il quale è intervenuta la prescrizione.
A ciò deve aggiungersi che il calcolo della pene, così ricostruito, è conforme al dettato dell’art. 63, comma quinto, cod. pen. che, nel caso di concorso di più attenuanti speciali o ad effetto speciale, prevede l’applicazione dell’attenuante più favorevole e, all’esito della determinazione della penacc -TUf sta può essere ulteriormente ridotta per effetto delle altre attenuanti, senza che vi sia la necessità di rispettare la misura della riduzione prevista per le restanti attenuanti ad effetto speciale. h
Ne consegue che correttamente la Corte di appello ha applicato due sole attenuanti, peraltro operando un criterio di calcolo errato ma in favore dell’imputato.
La Corte di appello, avendo ritenuto quale reato più grave l’omicidio contestato al capo 7), avrebbe dovuto tener cone) dell’attenuante di cui all’artt. 74, comma 7, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 esclusivamente in relazione alla determinazione dell’aumento di pena disposto a titolo di continuazione per il capo 15), relativo all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Avendo la Corte di appello applicato tale attenuante sulla pena determinata per il reato più grave, ne è derivato un trattamento più favorevole per l’imputato, non sindacabile in questa sede in difetto di impugnazione e non potendosi ritenere sussistente un’ipotesi di illegalità della pena.
Il corretto percorso di determinazione della pena avrebbe richiesto di applicare l’attenuante della collaborazione del 416-bis.1, comma 3, cp (che consente una riduzione massima pari a 1/2 della pena e, quindi, inferiore rispetto all’attenuante di cui all’art. 74, comma 7) rispetto alla pena prevista per l’omicidio, per poi tener conto dell’attenuante ex art. 74, comma 7, cit., esclusivamente nella determinazione dell’aumento per il reato associativo.
In conclusione, quindi, deve ritenersi che il complessivo trattamento sanzionatorio di cui l’imputato ha beneficiato puc al più ritenersi errato in suo favore.
2.2. Ulteriore censura mossa alla determinazione della pena è quella relativa alla determinazione degli aumenti disposti a titolo di continuazione, sostenendo il
ricorrente che la Corte di appello si sarebbe indebitamente discostata dalle quantificazioni contenute nella prima sentenza di appello, successivamente oggetto di annullamento.
Il ricorso, su tale punto, è fondato, posto che a seguito dell’annullamento con rinvio / la Corte di appello non era chiamata alla rideternninazione in toto della pena, essendole stato demandato unicamente il compito di valutare la sussistenza delle attenuanti di cui agli artt. 74 e 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Ne consegue che gli aumenti disposti a titolo di continuazione in relazione ai reati per i quali il trattamento sanzionatorio era stato definitivamente stabilito non erano suscettibili di modifica.
Non attenendosi a tale principio, il giudice del rinvio ha rideterminato – in misura deteriore per l’imputato – gli aumenti disposti per i capi 39), 41) e 42) per i quali, con la sentenza annullata, erano state rispettivamente irrogate le pene di anni 1 e mesi 4, anni 2 e mesi 4 e anni 2 e mesi 4, rrwritre, con la sentenza oggetto di impugnazione, le pene sono state rispettivamente aumentate ad anni 2 (capo 39), anni 3 (capo 41) e anni 3 (capo 42).
In considerazione della definitività degli aumenti di pena disposti in relazione ai predetti capi di imputazione, si può procedere alla rideterminazione della pena senza che sia necessario l’annullamento con rinvio, dovendosi calcolare la pena nel seguente modo:
pena per il reato più grave (capo 7) pari ad anni 21 di reclusione, ridotta ad anni 7 e mesi 3 di reclusione per effetto delle riduzioni per le attenuanti secondo il computo contenuto nella sentenza impugnata;
aumentata di anni 3 per il reato di cui al capo 3);
aumentata di mesi 6 per il reato di cui all’art. 411 cod. pen. contestato al capo
7);
aumentata di anni 1 per il capo 15);
aumentata di anni 1 e mesi 4 per il capo 39);
aumentata di anni 2 e mesi 4 per il capo 41);
aumentata di anni 2 e mesi 4 per il capo 42);
aumentata di anni 2 per il delitto di cui all’art. 416-bis separatamente giudicato;
così pervenendosi alla pena complessiva di anni 19 e mesi 9, ridotta per il rito ad anni 13 e mesi 2 di reclusione.
2.3. Il ricorrente lamenta l’illegittima correzione dell’errore materiale della sentenza nella parte in cui, nel dispositivo, non si indicava la declaratoria di prescrizione in ordine ai reati di cui ai capi 4), 8), 36) e 40).
La doglianza è infondata posto che, pur tenendo conto dell’originario computo
della pena operato dalla Corte di appello, in relazione a tali reati non è stato effettuato alcun aumento a titolo di continuazione, il che dimostra che l’omessa indicazione in dispositivo dell’intervenuta prescrizione è stata frutto di un mero errore materiale, non essendosi riverberata alcuna :onseguenza sul calcolo della pena contenuto nel medesimo dispositivo.
2.4. Parimenti infondato è il vizio di motivazione in ordine all’omessa motivazione in ordine all’aumento disposto a titolo di continuazione relativamente al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. iseparataMente giudicato con sentenza definitiva della Corte di appello di Catanzaro del 6.2.2014.
Il motivo è generico posto che, a fronte di un’obiettiva mancanza di specifica motivazione, può ricavarsi implicitamente dalla gravità del fatto la congruità della pena, determinata dalla Corte di appello in conformità a quanto effettuato dal giudice di primo grado, senza che avverso tale pronuncia fossero stati proposti motivi specifici di impugnazione.
2.5. In conclusione, la sentenza emessa ner confronti del ricorrente deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla rideternninazione della pena, quantificata nella misura sopra indicata.
Il ricorso proposto da Rocca Francesco è info ldato.
3.1. Deve esaminarsi preliminarmente il secondo motivo, con il quale il ricorrente invoca il riconoscimento del regime sanzionatorio previsto per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. ante riforma del 2015, . sul presupposto che la sua condotta di partecipazione si sarebbe esaurita nel 2009.
Il motivo è inammissibile in quanto l’epoca di commissione del reato non era oggetto dei motivi di ricorso proposti avverso la prima sentenza di appello, tant’è che nella sentenza rescindente tale profilo non è stato in alcun modo esaminato e l’annullamento con rinvio è stato disposto esclusivamente in relazione alla necessità di rivalutare se l’imputato avesse assunto un ruolo verticistico nell’associazione, ovvero fosse stato un mero partecipe.
3..2. Quanto detto consente di ritenere infondato anche il primo motivo concernente il diniego delle generiche, rispetto al quale il ricorrente lamenta l’omessa considerazione della marginalità temporale della sua partecipazione.
Invero, una volta escluso che si possa limitare la partecipazione all’associazione rispetto ad un periodo diverso da quello oggetto di contestazione e di molto risalente (2009), ne consegue anche l’infondatezza dell’omessa considerazione di tale profilo ai fini della valutazione della sussistenza delle generiche dovendosi, invece, rilevare come la Corte di appello abbia adeguatamente motivato in ordine alle ragioni ostative al riconoscimento delle
generiche, sottolineando il fatto che COGNOME – pur non essendo stato uno dei vertici del sodalizio – era ugualmente una figura di spicco nell’ambito associativo, il che è incompatibile con la pretesa minor gravità della condotta.
Il ricorso proposto da COGNOME COGNOME COGNOME condannato in ordine al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., è infondzito.
4.1. Il primo e secondo motivo di ricorso concernono il vizio di motivazione in ordine all’accertamento dell’appartenenza di COGNOME all’associazione, nonché la violazione di legge in relazione agli artt.416-bis cod. pen. e 192 cod. proc. pen.
Occorre premettere che la sentenza rescindente, nell’accogliere l’impugnazione del Procuratore generale, aveva inc4cato al giudice del rinvio tre punti specifici ritenuti erroneamente apprezzati nella sentenza assolutoria, riguardanti:
le dichiarazioni rese dal collaboratore COGNOME;•
il riscontro fornito dalla partecipazione di COGNOME unitamente al fratello, all’incontro con NOME COGNOME NOME, qualificato quale un vero e proprio summit nel corso del quale l’imputato si confrontava con il vertice associativo in ordine a «tematiche inerenti settori vitali delle cosche di riferimento» (così p.40 Sez.2, n. 5771 del 23/9/2022 dep.2023);
tale incontro riscontrava le dichiarazioni del collaboratore e, di per sé, dimostrava l’intraneità dell’imputato, sulla base dei noti principi giurisprudenziali secondo i quali una relazione qualificata e l’interesse rispetto a settori rilevanti dell’attività associativck è indice dell’appartenenza.
Occorre premettere che la Corte di cassazione risolve una questione di diritto anche quando giudica sull’adempimento del dovPre di motivazione, sicché il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di decisione mediante un’autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando in tal modo vincolato a una determinata valutazione delle risultanze processuali (Sez.2, n. 45863 del 24/9/2019, COGNOME, Rv. 277999).
Attenendosi a tale principio, la Corte di appello ha da un lato richiamato le dichiarazioni rese da COGNOME e, dall’altro, le ha lette congiuntamente al contenuto della conversazione intercorsa tra l’imputato e COGNOME, nel corso della quale gli interlocutori discorrevano di attività imprenditc riali e dell’appoggio che avevano da parte di tutte le cosche operanti sul territorio.
Mie conversazione è stata correttamente ritenuta quale riscontro estrinseco alle dichiarazioni rese da COGNOME, sulla base del condivisibile principio
()
giurisprudenziale secondo cui le relazioni qualificate con esponenti della medesima organizzazione e, in specie, con soggetti in posizione apicale, pur non potendo essere poste autonomamente a fondamento dell’affermazione di responsabilità, valgono da riscontro estrinseco, ex art. 192, con;ma 3, cod. proc. pen., a una chiamata in correità intrinsecamente valida (Sez.2, n.51694 del 2/11/2023, COGNOME, Rv. 285623).
4.2. La difesa obietta che l’incontro con COGNOME sarebbe stato meramente occasionale, in quanto l’imputato si sarebbe limitato ad accompagnare il fratello NOME, subito dopo la sua scarcerazione, a salutare COGNOME, con il quale aveva scontato un periodo di detenzione.
Deve rilevarsi che, pur in mancanza di un’espkita motivazione sul punto, la tesi alternativa prospettata dalla difesa sia stata implicitamente ritenuta inidonea a sovvertire il giudizio di colpevolezza, essendosi ritenuto dirimente il contenuto del colloquio avuto tra l’imputato e NOME COGNOME, di per sé eloquente in ordine ai rapporti diretti tra i predetti e alle cointeressenze ispetto ad attività svolte ne contesto dell’associazione di appartenenza.
Rispetto a tale ricostruzione, pertanto, deve ritenersi che la Corte di appello, con giudizio di merito insindacabile in questa sede, ha ritenuto che il colloquio intercorso tra il ricorrente e Grande Aracri non sia stato affatto occasionale, posto che il contenuto denotava, oltre alla stabilità di rapporti, anche un reciproco interessamento in attività imprenditoriale espressamente indicate come svolte con il consenso e la partecipazione (anche mediante il versamento di una percentuale sugli introiti) di varie cosche operanti sul territorio (si veda p.35), rispetto al quali è proprio Grande COGNOME a garantire l’accordo (così p.37).
In definitiva, quindi, la Corte di appello – seguendo le stringenti indicazioni fornite dalla sentenza rescindente – ha ritenuto riscontrata la chiamata in correità formulata da COGNOME e, al contempo, ha sottolineato l’elevata valenza indiziaria fornita dall’incontro tra l’imputato e NOME COGNOME, ritenuta di per sé indicativa di uno stabile inserimento nel contesto associativo, essendo altrimenti non giustificabile il tenore del colloquio intercettato.
Rispetto a tale quadro, le doglianze difensive tendono a sollecitare una rivisitazione in punto di fatto non consentita in questa sede.
4.3. Il terzo motivo, relativo all’omesso riconoscimento delle attenuanti generiche, è aspecifico, posto che il ricorrente non indica – al di là della generica condizione di incensuratezza – elementi obiettivamente idonei a fondare un giudizio di minor gravità della condotta.
Anche il richiamo al comportamento processuale è del tutto generico, non essendo indicato quale fatto specifico avrebbe giustificato l’apprezzamento per la
“(“.
condotta assunta nel giudizio.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è fondato limitatamente al motivo concernente la confisca dei beni.
5.1. Con il primo motivo, il ricorrente censura la valutazione di attendibilità nei confronti dei collaboranti, sottolineando come questi non avessero fornito un’indicazione specifica della condotta partecipativa di Gallo, il che farebbe venir meno quei requisiti di stabilità dell’apporto all’associazione che costituisce l’elemento distintivo del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.
La Corte di appello si è attenuta alle indicazioni fornite nella sentenza rescindente, nella quale si evidenziava l’incompleto esame delle dichiarazioni del collaboranti e delle plurime intercettazioni che erano state valorizzate nella sentenza di condanna di primo grado.
Nella sentenza impugnata sono state richiamate le dichiarazioni rese dal collaborante COGNOME il quale ha riferito non già della generica appartenenza di COGNOME all’associazione, bensì ha fornito elementi specifici e riscontrati circa le condotte tenute dal predetto, sia in relazione alle attività criminali del sodalizio, sia in relazione alle relazioni intrattenute tra la cosca di Belvedere, cui apparteneva COGNOME, e quella della famiglia COGNOME.
Al contempo, sono state esaminate le intercettcgioni dalle quali sono emersi specifici elementi di riscontro, attestanti gli stabili rapporti del Gallo con alt associati, la disponibilità di armi messe a disposizione del sodalizio (p.5-7 sentenza appello), nonché l’esistenza di rapporti con la cosc., Arena (p. 9).
5.2. Rispetto al quadro ricostruttivo fornito dalla sentenza di appello, il ricorrente contesta genericamente il giudizio di attendibilità dei collaboranti che, tuttavia, si appunta su elementi marginali e tali da non incrinare il giudizio complessivo e la rilevante valenza indiziaria del contenuto delle intercettazioni, utili non solo quale riscontro per le dichiarazioni dei collaboranti, ma anche quale autonoma fonte di prova.
5.3. Il secondo motivo di ricorso, relativo al diniego delle generiche, è manifestamente infondato, trattandosi di punto devoluto all’esame della Cassazione e rispetto al quale la sentenza rescindente aveva già statuito l’infondatezza del motivo (si veda p.78), con conseguente preclusione di un nuovo esame in sede di rinvio.
5.4. Il terzo motivo di ricorso, relativo alla confisca ex art. 240-bis cod. pen., è fondato.
La Corte di appello si è limitata a richiamare le deduzioni difensive proposte con riguardo ai tre cespiti immobiliari oggetto “di sequestro (p.13), per poi
affermarne la sicura provenienza da attività delittuosa in considerazione del fatto che COGNOME non aveva mai dichiarato la percezione di redditi (se non nel 2010) e i redditi della convivente erano insufficienti a giustificare gli acquisti, anche in considerazione delle dichiarazioni rese da COGNOME.
Premesso che, per quanto concerne i redditi della convivente COGNOME si rinvia .alle considerazioni svolte in ordine all’autonomo ricorso da quest’ultima proposto, deve evidenziarsi la natura meramente apparente della motivazione.
f1; 1 4 3 . 1 -In particolare, la Corte di appello non ha 2 ” GLYPH ffrontato il problema della necessaria “ragionevolezza temporale” che deve sussistere tra lo svolgimento dell’attività delittuosa e, quindi, la percezione di proventi illeciti, rispe all’acquisto dei beni suscettibili di confisca.
Nel caso di specie, la difesa ha dedotto che il terreno sito in Cerenzia sarebbe stato acquistato dal padre del ricorrente nel 2000, mentre il terreno in San Giovanni in Fiore risulterebbe acquistato nel 1997, l’appartamento, invece, è stato acquistato nel 2001.
Con riguardo ai terreni, gli acquisti sarebbero riferibili alla famiglia di origine del ricorrente, peraltro, si tratta di beni pervenuti al ricorrente sulla base di tito di acquisto notevolmente antecedenti rispetto all’epoca di contestazione del reato associativo.
Ne consegue che la Corte di appello avrebbe dovuto valutare in primo luogo i titoli di provenienza e l’esistenza di elementi dai quali desumere la natura fittizia dell’intestazione e, nel caso dell’accertata riconducibilità degli acquisti al ricorrente, si sarebbe dovuto valutare il profilo della “ragionevolezza temporale” posto che, stando all’imputazione, il reato associatir -o risulta commesso nell’anno 2016 e in epoca antecedente, senza ulteriori specificazioni.
Per quanto attiene, invece, all’acquisto dell’appartamento, unitamente alla convivente, avvenuto nel 2001, si sarebbe dovuta adeguatamente valutare, oltre al profilo temporale, anche l’effettiva sussistenza di .un apporto economico da parte della COGNOME.
5.5. Alla luce di tali considerazioni, la sentenza emessa nei confronti di Gallo deve essere annullata con rinvio limitatamente alla disposta confisca.
Il ricorso proposto da COGNOME NOME è fondato.
6.1. Il primo motivo di ricorso, volto a censurare la mancanza di un’autonoma motivazione, è infondato. Pur dandosi atto che lé , sentenza di appello ripropone brani tratti dalla motivazione di quella di primo grado, ciò non determina di per sé la nullità per omessa motivazione, nella misura in cui non si evidenzi che, mediante tale tecnica di redazione, il giudice di appello non si sia confrontato con le
specifiche censure mosse dal ricorrente.
6.2. Il secondo motivo di ricorso, concernente il vizio di motivazione, è fondato.
La difesa lamenta, in primo luogo, le carenze nella valutazione del ruolo che avrebbe svolto COGNOME nell’associazione, posto che i due collaboranti che lo chiamano in causa (COGNOME e COGNOME) avrebbero rispettivamente riferito che il ricorrente fosse attivo nel traffico di stupefacenti e che si occupasse dell’attività estorsiva. Data la diversità del settore illecito in cui il ricorrente viene collocato se ne vuole far discendere l’esistenza di un contrasto tra i dichiaranti, tale da farne venir meno l’attendibilità.
La Corte di appello ha escluso l’esistenza di un reale contrasto tra i dichiaranti e, al contempo, ha valorizzato la comprovata esistenza di stabili rapporti tra il Lopez e vari associati.
Invero, la motivazione resa dal giudice di appello non si è adeguatamente confrontata con la specifica censura mossa dall’impugnante, lì dove ha evidenziato la carente dimostrazione del ruolo effettivamente svolto dal ricorrente all’interno dell’associazione, tenuto conto che entrambi i collaboranti hanno genericamente riferito in ordine alle condotte del ricorrente.
Occorre evidenziare come la giurisprudenza di legittimità ha da tempo fornito i riferimenti per la valutazione della “partecipazione”, essendosi precisato che ( ‘ n tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. (Sez.U, n. 33748 del 12/7/2005, COGNOME, Rv. 231670; da ultimo Sez.U, n. 36958 del 27/5/2021, COGNOME, Rv. 281889).
Nel caso di specie, la difesa deduce che le dichiarazioni rese da COGNOME si traducono nella mera attestazione dell’appartenenza di COGNOME all’associazione, desumibile dall’attribuzione del ruolo di “picciotto”, senza fornire indicazioni concrete circa l’attività dal predetto svolta.
Al contempo, le dichiarazioni di COGNOME risuterebbero non collimanti, nella misura in cui riferiscono di attività nel contesto estorsivo e dello spaccio di stupefacenti, ma in concreto COGNOME riferisce di un’unica specifica condotta di danneggiamento (così pg. 26).
A ben vedere, i predetti collaboranti forniscono indicazioni generiche, a fronte delle quali anche l’individuazione del requisito della convergenza risulta di non
agevole soluzione e avrebbe meritato una maggiore attenzione. Premesso che le convergenti chiamate in correità possono fungere da reciproco riscontro, deve precisarsi che, ove le dichiarazioni rese dai collaboranti siano del tutto generiche, limitandosi ad indicare la presunta appartenenza al sodalizio e non forniscano alcuna specificazione concreta in ordine alle condotte materialmente poste in essere dal partecipe, la verifica della loro rilevanza probatoris e l’acquisizione di riscontri esterni deve essere rigorosa. La convergenza delle chiamate non può, infatti, superare il deficit di accertamento in merito al contributo causale fornito dal soggetto accusato di essere partecipe dell’associazione. In quest’ottica deve essere valorizzato il principio di diritto sopra richiamato, secondo cui la prova della partecipazione al sodalizio non può limitarsi alla dimostrazione di uno status di appartenenza, occorrendo la dimostrazione di un ruolo dinamico e funzionale.
Tali principi non risultano osservati nella sentenza in esame, dovendosi rilevare come la Corte di appello sia incorsa in una evidente contraddizione, posto che nell’esaminare le dichiarazioni dei atto della divers ità di ruoli attribuiti al ricorrente, per poi concludere nel senso che tale diversità non sussisterebbe, affermandosi che entrambi i dichiaranti attribuirebbero a COGNOME il ruolo di “picciotto” addetto al racket delle estorsioni (p.26), senza fornire elementi specifici e concreti in ordine alle condotte poste in essere.
Né tale genericità può essere superata rilevando che, vedendosi in tema di reato associativo, la convergenza andrebbe riscontrata in ordine all’appartenenza al sodalizio, in quanto il thema decidendum rigu3r0a la condotta di partecipazione e, quindi, gli elementi di riscontro individualizzante non devono necessariamente riguardare singole attività attribuite all’accusato, giacché il “fatto” da dimostrare non è il singolo comportamento dell’associato bensì la sua appartenenza al sodalizio (in tal senso si richiama Sez.2, n. 24995 del 14/5/2015, Rv. 264389).
Il principio, ferma la sua astratta validità, deve essere necessariamente calibrato rispetto al caso concreto, posto che l’affermazione di appartenenza al sodalizio deve tradursi – stante quanto recentemente riaffermato dalle Sezioni unite – nella descrizione di condotte concrete a supporto dello stesso, che siano estrinsecazione materiale della partecipazione.
Nel caso di specie, le dichiarazioni dei collaboranti sono sostanzialmente generiche e si limitano ad affermare la partecipazion2. – peraltro con modalità non del tutto sovrapponibili – di COGNOME all’associazione, sicchè la valutazione dell’autosufficienza delle chiamate in correità, così come il giudizio in ordine alla sussistenza di ulteriori riscontri esterni, doveva essere compiuto con maggior attenzione, dovendosi verificare in concreto quale sia stata la condotta di
partecipazione attribuibile al ricorrente.
Sul punto, peraltro, la Corte di appello si sarebbe dovuta necessariamente confrontare con il dato derivante dal fatto che al ricorrente non risultano contestati reati-fine, il che impone di per sé una più attenta valutazione della sua posizione (sul tema si rinvia anche a quanto si dirà in ordine alla partecipazione di COGNOME al sequestro di persona di COGNOME).
6.3. Risulta fondata la censura difensiva in ordine alla sostanziale mancanza di motivazione in ordine alla rilevanza, ai fini della partecipazione al reato associativo, dell’ausilio che COGNOME avrebbe prestato 3 COGNOME nel corso della sua latitanza.
Sul punto, il ricorrente lamenta l’omessa motivazione in ordine alle censure rivolte alla ricostruzione del fatto così come operato dalla teste COGNOME la cui attendibilità era stata espressamente contestata in . sede di appello.
Tale vicenda, pur essendo stata indicata come uno degli aspetti che il giudice del rinvio avrebbe dovuto rivalutare (stante l’evidente incidenza sulla prova del reato associativo), è stata sostanzialmente non considerata dalla sentenza impugnata.
In tal modo la Corte di appello si è anche sottratta all’ulteriore verifica che era stata espressamente demandata al giudice del h/Avi°, cui si chiedeva di motivare tenendo conto del principio secondo cui il mero favoreggiamento nei confronti di un appartenente all’associazione non è di per sé dimostrativo del ruolo di partecipe, occorrendo la prova della volontà di agevolare l’intero sodalizio.
Si tratta di una tematica che è rimasta del tutto inesplorata e che, pertanto, inficia irrimediabilmente la sentenza impugnata.
6.4. Anche le considerazioni svolte dal ricorrente in ordine alla valenza delle intercettazioni sono fondate.
In primo luogo, deve sottolinearsi il vizio della motivazione lì dove si è ritenuto che COGNOME intrattenesse stabili contatti con altri associati. La sentenza impugnata dà atto di frequentazioni consolidate tra COGNOME, COGNOME e COGNOME senza, tuttavia, fornire elementi a supporto di tale affermazione, adducendosi essenzialmente un’unica conversazione (pg.27) nel corso della quale COGNOME chiedeva a COGNOME di portare con sé COGNOME al matrimonio di NOME COGNOME. La circostanza viene interpretata come una sorta di autorizzazione richiesta a COGNOME e finalizzata a consentire a COGNOME di partecipare ad una cerimonia avente rilievo nell’ambito criminale.
In relazione a tale episodio la difesa aveva dedotto una serie di considerazioni volte a sconfessarne la rilevanza quale elemento di riscontro rispetto alla partecipazione al sodalizio, rispetto alle quali la Corte di appello non ha
sostanzialmente fornito risposta, ritenendo l’evidenza del fatto rispetto alle dinamiche associative.
La motivazione, sul punto, è stata sostanzialmente omessa, non essendosi neppure data spiegazione del rilievo che il matrimonio di COGNOME avesse rispetto ai rapporti tra gli associati, né tanto meno risultano chiarite le ragioni per cui COGNOME avrebbe dovuto “autorizzare” COGNOME a farsi accompagnare da COGNOME.
La Corte di appello, in buona sostanza, avrebbe dovuto fornire adeguata motivazione in ordine alle ragioni per cui la partecipazione di COGNOME costituiva una estrinsecazione dell’appartenenza al sodalizio.
Parimenti fondata è l’ulteriore censura mossa dal ricorrente in merito alla interpretazione della conversazione intercorsa tra COGNOME e COGNOME nel corso della quale emergerebbe la difficoltà di COGNOME di individuare il soggetto appellato con “COGNOME” (pg.27).
La difesa aveva eccepito l’illogicità della riteNuta appartenenza di COGNOME all’associazione capeggiata da COGNOME, posto che dal tenore della conversazione intercettata emergeva che, nonostante le spiegazioni e indicazioni fornite da ,vea, NOME, questi dimostri di non ricollegare il nominativo di “NOME” a COGNOME.
La Corte di appello supera la doglianza affermando che il fatto che COGNOME non avesse ricollegato il nominativo di “NOME” alla figura del COGNOME «implica esclusivamente il basso rango di quest’ultimo, ma non certo l’estraneità al sodalizio».
La motivazione presenta evidenti tratti di contraddittorietà, posto che da un lato si è ritenutik pienamente attendibile la dichiarazione di NOME lì dove indica COGNOME quale associato, mentre nel corso della suddetta intercettazione dimostra, nonostante le informazioni fornite dall’interlocutore, di non essere in grado di abbinare il nome di “NOME” alla persona del ricorrente.
La contraddittorietà si annida anche nell’aver da un lato ritenuto che COGNOME avesse una stabilità di rapporti con COGNOME e, dall’2Itro, di aver sostanzialmente svalutato la difficoltà di COGNOME di collegare il nominativo di “NOME” al COGNOME.
6.5. L’ultima carenza motivazionale esposta dal ricorrente attiene al presunto coinvolgimento nel reato di sequestro di persona commesso ai danni di NOMECOGNOME
La prima doglianza difensiva, secondo cui la presunta partecipazione a tale episodio non avrebbe alcun rilievo indiziante con riguardo alla partecipazione all’associazione, posto che per tale reato è intervenuta sentenza definitiva di non doversi procedere per difetto di querela, è infondata.
Posto che la decisione emessa in ordine al sequestro di persona ha una valenza essenzialmente processuale, senza che possa essere di ostacolo
all’accertamento dei fatto – in via meramente incidentale – nell’ambito di un separato procedimento.
Risulta fondata, invece, la censura relativa all’emessa motivazione in ordine alla ricostruzione del fatto e alla sua riconducibilità alle dinamiche associative.
Sul punto, la Corte di appello si è limitata a richiamare il sequestro di persona commesso da COGNOME ai danni di COGNOME in data 20.10.2010, in concorso con NOME COGNOME anch’egli appartenente alla locale di Belvedere Spinello (pg.27).
Premesso che in relazione a tale episodio non vi è stato un accertamento di responsabilità con sentenza definitiva, la Corte di appello avrebbe potuto valorizzarne la portata indiziate solo ricostruendo il fatto, dimostrando la partecipazione di COGNOME e, soprattutto, illustrando le ragioni per cui il sequestro di persona andava a inserirsi nell’ambito dell’attività del sodalizio, indicando il rapporto di strumentalità tra tale reato e gli interessi dell’associazione.
In difetto di tale dimostrazione, l’accertamentc della commissione del fatto da parte di COGNOME resterebbe un elemento del tutto irrilevante rispetto al thema decidendum concernente la partecipazione all’associazione.
6.5. Alla luce delle carenze motivazionali sopra evidenziate, si ritiene necessario disporre l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, dovendosi demandare al giudice del merito una valutazione complessiva degli elementi di prova, vagliando le chiamate in correità ( tenendo conto della genericità delle stesse in relazione al ruolo di COGNOME noncl -?é, fornendo adeguata risposta alle doglianze difensive in ordine ai restanti elementi di prova, addotti sia quali riscontri oggettivi alle chiamate in correità dei collaboratori, sia quali elementi di per sé idonei a dimostrare la partecipazione al sodalizio.
I restanti motivi, essendo attinenti al trattamento sanzionatorio, devono ritenersi assorbiti.
7. Il ricorso proposto da COGNOME COGNOME è fondato.
La sentenza rescindente, in accoglimento del ricorso del Procuratore Generale, annullava con rinvio la sentenza di appello che aveva assolto l’imputato dal reato di concorso nell’omicidio di NOME COGNOME e dAlla correlata fattispecie di porto illegale di arma (capi 5 e 6). La Cassazione rilevava che la sentenza assolutoria non aveva adeguatamente valutato il complesso degli elementi di prova posti a fondamento della sentenza di condanna, costituiti in primis dalle dichiarazioni rese da COGNOME, riscontrate sia dalla conformità della descrizione del fatto omicidiario con i risultati della perizia balistica, sia dalle interce . ttazio i dei colloqui (in data 9 giugno 2003) tra COGNOME e COGNOME nel corso dei quali quest’ultimo avrebbe sostanzialmente ammesso il coinvolgimento nel fatto.
7.1. La Corte di appello, nel rinnovare il giudizio sul presunto coinvolgimento di COGNOME nell’omicidio di lona, ha compiuto un’esauriente ricostruzione della vicenda senza riuscire, tuttavia, a superare quell€ obiettive carenze insite nel dato probatorio, che non consentono di ritenere l’accertamento immune da censure.
L’elemento di intrinseca debolezza della ricostruzione deriva, in primo luogo, dalle dichiarazioni rese da COGNOME il quale ha ricostruito l’antecedente dell’omicidio, collocando il fatto nella guerra tra cosche causata proprio dalla fuoriuscita di COGNOME dal gruppo di appartenenza.
In particolare, riferisce COGNOME che, al fine di indurre i cugini COGNOME a realizzare l’omicidio di COGNOME, avrebbe dato incarico di incendiare un capannone di NOME COGNOME per farne ricadere la responsabilità su COGNOME e, in tal modo, indurre COGNOME a commissionarne l’uccisione.
Sul punto la difesa ha eccepito l’estrema labilità della ricostruzione del fatto, sottolineando come COGNOME riferisce una propria ricostruzione dell’antefatto che avrebbe condotto COGNOME all’uccisione di COGNOME, ma tale versione non troverebbe riscontri, quanto meno con specifico riferimento al ruolo di mandante attribuito al ricorrente.
La doglianza difensiva è fondata, posto che il dato fondamentale, concernente il ruolo di mandante che avrebbe assunto COGNOME, per effetto dell’istigazione occulta realizzata da COGNOME, rimane affidata alla sola dichiarazione di quest’ultimo e alla ritenuta efficacia dello stratagemma utilizzato per indurre COGNOME a uccidere COGNOME.
Al contempo, le due captazioni che dovrebLero fornire il riscontro alle dichiarazioni di COGNOME risultano di contenuto aleatorio e non sicuramente confermative della versione resa dal collaboratore.
La Corte di appello, con motivazione illogica, afferma che COGNOME avrebbe reso dichiarazioni sostanzialmente confessorie.
La difesa ha censurato il vizio della motivazione, nella parte in cui è stata attribuita efficacia di riscontro al fatto che COGNOME si sarebbe mostrato stupito del coinvolgimento nelle indagini per l’omicidio di COGNOME del fratello COGNOME (così pg.41), ma non certo dell’essere egli oggetto di indagine per tale reato. Invero, si tratta di un’affermazione di per sé neutra, posto che il fatto di non mostrarsi sorpreso per il coinvolgimento nell’indagine non è di per sé un elemento che, sul piano · logico, può ritenersi equivalente ad una implicita ammissione di coinvolgimento nella realizzazione del fatto, soprattutto ove si consideri che il ricorrente è, comunque, un soggetto appartenente al contesto criminale nell’ambito del quale il reato è stato commesso.
Parimenti non può logicamente attribuirsi sicura valenza di riscontro al
passaggio del colloquio in cui COGNOME e COGNOME parlano del fatto che COGNOME non lo “voleva fare andare carcerato” ma lo voleva ammazzare (pg.42).
Anche in tal caso, si tratta di affermazioni chc . attestano la contrapposizione con NOME, ma in alcun modo possono logicamente leggersi come una implicita ammissione di colpevolezza per l’omicidio.
In definitiva, deve ritenersi che gli elementi di riscontro desunti dalle intercettazioni – pur prescindendo dalle censure sollevate dalla difesa in ordine alla correttezza della loro traduzione dal dialetto – non forniscono dati di riscontro alle dichiarazioni del collaborante, nella misura in cui non contengono elementi, dotati della necessaria certezza, per sostenere che il loro significato sia univocamente compatibile con una implicita ammissione di responsabilità da parte di COGNOME.
7.2. Il quadro probatorio, per come ricostruito dalla sentenza resa all’esito del giudizio di rinvio, contiene delle insuperabn carenze sotto il profilo dell’individuazione dei riscontri rispetto alle dichiarazioni rese da COGNOME.
Secondo il condivisibile orientamento di questa Corte, gli altri elementi di prova da valutare, ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., unitamente alle dichiarazioni del chiamante, non devono possedere necessariamente i requisiti propri degli indizi di cui all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., essendo sufficiente che siano precisi nella loro oggettiva consistenza e idonei a confermare, in un apprezzamento unitario, la prova dichiarativa dotata di propria autonomia rispetto a quella indiziaria (Sez.1, n. 31004 del 10/5/2023, Cauchi, Rv. 284840).
Nel caso di specie, i riscontri desumibili dalle affermazioni contenute nelle intercettazioni, connotate da genericità e intrinseca carenza di univocità, sono tali da far ritenere l’insussistenza della precisione nella loro oggettiva consistenza.
Pur valutando il quadro probatorio complessivamente ricostruito dalla Corte di appello, pertanto, rimane un insanabile vulnus, tale da imporre l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna. Nel caso in esame, infatti, la ricostruzione degli elementi fattuali deve ritenersi del tutto esaustiva, senza che ciò abbia condotto al superamento della contraddittorietà dei dati acquisiti.
Ne consegue che risulterebbe superfluo un ulteriore annullamento con rinvio, nella misura in cui non si riconosce una motivazione carente e quindi emendabile, bensì una obiettiva mancanza di prove idonee a supportare la tesi accusatoria.
Deve darsi applicazione, pertanto, al principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, l’annullamento della sentenza di condanna va disposto senza rinvio allorché l’eventuale giudizio rescissorio, per la natura indiziaria del processo e per la puntuale e completa disamina del materiale acquisito ed utilizzato nei pregressi giudizi di merito, non potrebbe in alcun modo colmare la carenza probatoria
definitivamente accertata (Sez.6, n. 18125 del 22/10/2019, dep.2020, Bolla, Rv 279555-19; Sez.U, n. 45276 del 30/10/2003, COGNOME, Rv. 226100).
L’accoglimento del ricorso comporta, pertanto, l’assoluzione di COGNOME COGNOME dalle imputazioni di cui ai capi 5) e 6) per rion aver commesso il fatto.
7.3. Per effetto dell’assoluzione rispetto al reato di omicidio, che aveva comportato la conferma della condanna all’ergastolo, si rende necessaria la rideterminazione della pena in relazione ai reati per i quali la condanna è già divenuta definitiva, con conseguente trasmissione alla Corte di appello di Catanzaro affinchè vi provveda.
Ha proposto ricorso avverso la confisca dei beni COGNOME NOME, figlia di COGNOME NOME, definitivamente condannato.
Il ricorso è fondato.
La Corte di appello ha dato atto che i terreni oggetto di confisca sono pervenuti a COGNOME NOME a seguito di donazione da parte della madre NOME NOME che, a sua volta, dichiarava nell’atto dispositivo di averli acquisiti per usucapione.
Rileva la Corte che, in mancanza di una sentenza di accertamento dell’acquisto per usucapione, quest’ultima non sarebbe opponibile a terzi.
L’argomento è inconferente, posto che il dato significativo è che né la COGNOME, né la COGNOME hanno sostenuto un esborso in denaro per l’acquisto dei beni, sicchè diviene del tutto irrilevante la presunta sproporzione reddituale tra la capacità delle predette e il valore dei beni.
A diverse conclusioni si sarebbe potuti giungere esclusivamente accertando che l’acquisto dei terreni, successivamente donati dalla madre alla ricorrente, era avvenuto a titolo oneroso, nel qual caso assumendo rilievo il requisito della sproporzione reddituale.
In mancanza di tale elemento, il dato obiettivo attesta che i terreni in questione non sono frutto di impegni patrimoniali da parte dei familiari del soggetto condannato e, quindi, viene meno la presunzione relativa di provenienza illecita.
A fronte dell’accertata provenienza dei terreni confiscati da un precedente acquisto non oneroso, si impone l’annullamento senza rinvio con conseguente restituzione dei beni all’avente diritto.
In ordine alla confisca disposta nei confronti di COGNOME, convivente di Gallo, deve in primo luogo richiamarsi quanto osservato esaminando la posizione di quest’ultimo, dovendosi sottolineare come la Corte di appello non si sia in alcun modo confrontata con il profilo della “ragionevolezza temporale” degli acquisti
(J)
(2001) rispetto alla commissione dei reati (epoca prossima al 2016).
Peraltro, la valutazione delle capacità economiche della terza interessata è stata sostanzialmente omessa, posto che le produzioni difensive e le argomentazioni su di esse fondate sono state meramente evocate in motivazione, senza .che si sia offerta un’adeguata risposta alle stesse (si veda p.24).
Ne consegue l’annullamento con rinvio, dovendo la Corte di appello motivatamente valutare sia in ordine al profilo della ragionevolezza temporale, che a quello della sperequazione patrimoniale, tenuido conto delle allegazioni difensive.
Alla luce delle considerazioni svolte, devono rigettarsi i ricorsi proposti da (34-01,0 z. COGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME consegue la condanna al pagamento delle spese processuali, con accoglimento dei restanti ricorsi per le motivazioni per ciascun ricorrente indicate.
Non deve procedersi alla liquidazione delle spese processuali in favore delle parti civili costituite nei confronti di COGNOME NOME, stante la proposizione del ricorso per motivi attinenti al solo trattamento sanzionatorio.
Per quanto concerne, invece, i restanti ricorienti, si richiamano le statuizioni di annullamento cui si è pervenuti nei confronti di ciascuno di loro.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugmita nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al trattamento sanzionatorio, che ridetermina in anni tredici e mesi due di reclusione.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME COGNOME relativamente ai reati di cui ai capi 5) e 6) per non avere commesso il fatto. Dichiara la cessazione della misura cautelare in relazione ai predetti capi e ne dispone la rimessione in libertà se non detenuto per altra causa, mandando alla g COGNOME per l’immediata comunicazione al Procuratore generale in sede per quanto di competenza ai sensi dell’art.626 cod.proc.pen. Dispone altresì la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di assise di appello di Catanzaro per la rideterminazione della pena.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME relativamente alla statuizione della confisca e dispone per l’effetto la restituzione dei beni in favore dell’avente diritto. Manda alla gncelleria per l’immediata comunicazione al Procuratore generlle in sede per quanto di competenza ai sensi dell’art. 626 cod. proc. pen.
D) Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Catanzaro.
E) Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME e COGNOME
NOME
– Mresa limitatamente alla confisca e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di assise di appello di Catanzaro. Rigetta nel resto il
ricorso di NOME COGNOME.
F) Rigetta i ricorsi di COGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME e li condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 7 marzo 2025