Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 18073 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 18073 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a MESSINA il 15/11/1968 NOME COGNOME nato a MESSINA il 20/05/1997 COGNOMENOME COGNOME nato a MESSINA il 03/10/1977 COGNOME NOME nato a MESSINA il 30/07/1979 NOME COGNOME nato a MESSINA il 24/11/1992 COGNOME NOME nato a MESSINA il 03/03/1978 NOME nato a MESSINA il 01/11/1989 NOME nato a MOTTA DI LIVENZA il 24/09/1999 NOME nato a MESSINA il 26/04/1986 COGNOME nato a MESSINA il 03/03/1981 NOME nato a MESSINA il 16/06/1969 LO NOME nato a MESSINA il 23/07/1970 COGNOME nato a MESSINA il 14/08/1975 COGNOME NOME nato a MESSINA il 16/04/1984 COGNOME NOME nato a MESSINA il 15/08/1993 NOME nato a MESSINA il 02/02/1983 COGNOME NOME nato a MESSINA il 13/02/1974 COGNOME NOME nato a MESSINA il 06/04/1974 COGNOME NOME nato a.,RESSINA il 24/07/1981
COGNOME NOME nato a MESSINA il 22/10/1981 NOME nato a MESSINA il 23/01/1989 NOME nato a MESSINA il 26/07/1996
avverso la sentenza del 07/06/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere . COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il PG conclude come da memoria depositata.
Rigetto per i ricorsi di: COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME COGNOME NOME.
Inammissibili i ricorsi di: COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME.
Accoglimento dei ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME con richiesta di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata relativamente al delitto al capo 12) per estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Accoglimento dei ricorsi di COGNOME NOME e NOME con richiesta di annullamento della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio alla Corte d’Appello di Messina.
udito il difensore
L’avv. COGNOME Tommaso riportandosi ai motivi di ricorso ne chiede l’accoglimento;
L’avv. COGNOME insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso ai quali si riporta;
L’avv. COGNOME Salvatore si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l’accoglimento; L’avv. COGNOME NOME COGNOME insiste sull’accoglimento del ricorso riportandosi ai
motivi;
L’avv. COGNOME si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento anche per la parte difesa dell’avv. COGNOME Andrea che sostituisce.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Messina, a seguito di appello proposto avverso la decisione del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Messina del 20 marzo 2022, per quanto ora di interesse e salvi gli approfondimenti sviluppati in sede di analisi dei motivi:
ha escluso l’aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen., contestata sub 5, 12, 13 e 14 della rubrica, nonché sub 1 del procedimento recante n. 5639/21 r.g.n.r.
ha rideterminato, ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., nonché previa disapplicazione della contestata recidiva, in anni otto e mesi otto di reclusione la pena inflitta a NOME COGNOME
ha confermato la condanna alla pena di anni dodici di reclusione, inflitta a NOME COGNOME ;
ha rideterminato, previa riduzione per il rito prescelto, la pena inflitta NOME COGNOME in anni sei e mesi otto di reclusione;
ha rideterminato, previa riduzione per il rito prescelto, a NOME COGNOME in anni uno, mesi cinque e giorni dieci d reclusione;
ha rideterminato, previa riduzione per il rito prescelto, la pena inflitta a NOME COGNOME e NOME COGNOME in anni uno, mesi cinque e giorni dieci di reclusione;
ha rideterminato, previa riduzione per il rito prescelto, la pena inflitta ad NOME COGNOME in anni dieci e mesi quattro di reclusione;
ha rideterminato, previa riduzione per il rito prescelto, la pena inflitta a NOME COGNOME previo riconoscimento della continuazione con i fatti di cui alle sentenze della Corte di appello di Messina del 18 maggio 2020 e del 12 luglio 2021 e della Corte di appello di Reggio Calabria del 13 gennaio 2022, in anni venti di reclusione;
ha rideterminato, previa riduzione per il rito prescelto, la pena inflitta a NOME COGNOME in anni dodici di reclusione;
ha rideterminato, previa riduzione per il rito prescelto, la pena inflitta a NOME COGNOME in anni nove di reclusione;
ha rideterminato, previa riduzione per il rito prescelto, la pena inflitta a NOME COGNOME in anni otto e mesi otto di reclusione;
ha rideterminato, previa riduzione per il rito prescelto, la pena inflitta NOME COGNOME in anni tredici e mesi quattro di reclusione;
ha rideterminato, previa riduzione per il rito prescelto, la pena infli NOME COGNOME in anni uno, mesi cinque e giorni dieci di reclusione;
ha rideterminato, previa riduzione per il rito prescelto, la pena infl NOME COGNOME in anni cinque e mesi otto di reclusione;
ha confermato la condanna alla pena di anni otto di reclusione, co applicazione delle pene accessorie, che era stata inflitta, previa riduzione per prescelto, a NOME COGNOME
ha rideterminato in mesi sei di reclusione la pena che era stata inflitta, riduzione per il rito prescelto, a NOME COGNOME nei cui confronti è stata e la circostanza aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen., contestata sub 22 della rubrica (imputata ritenuta responsabile del reato di procurata inosservanza di in concorso e aggravata, ex art. 110, 390 cod. pen.);
ha rideterminato la pena inflitta ad NOME COGNOME ai sensi dell’art. 5 cod. proc. pen., in anni uno e mesi quattro di reclusione;
ha rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME in anni venti di reclusio ritenuta la continuazione fra tutti i reati contestati, comprensiva della pena ai reati già giudicati, con sentenza del 12 luglio 2021;
ha confermato la condanna alla pena di anni nove di reclusione, olt all’applicazione delle pene accessorie, inflitta a NOME COGNOME rit responsabile del reato ex art. 416-bis cod. pen., a lui ascritto sub 21 della rubrica, previo computo dell’aumento per la contestata recidiva e riduzione per il prescelto;
ha rideterminato in anni dieci e mesi otto di reclusione la pena infli NOME COGNOME;
ha rideterminato in anni dodici e mesi otto di reclusione la pena inflitta a COGNOME;
ha confermato la statuizione di condanna alla pena di anni tredici di reclusio inflitta a NOME COGNOME [soggetto in primo grado ritenuto responsabile
reato di associazione per delinquere ex art. 416-bis cod. pen., contestato sub 1 e di detenzione aggravata di arma clandestina, ex artt. 2 e 7 I. n. 895 del 1967, e 416-bis.1 cod. pen., contestato sub 7, reati unificati sotto il vincolo della continuazione; pena determinata previo aumento per la contestata recidiva e riduzione per il rito prescelto].
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo un motivo unico, che viene di seguito enunciato entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. e mediante il quale viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 125, 192, 533, 546 e 599-bis cod. proc. pen, in relazione agli artt. 378, 390 e 416-bis.1 cod. pen. La pena, sebbene corretta quanto all’entità finale, non ha recepito integralmente l’accordo intercorso con il Procuratore generale; tale intesa, infatti, non prevedeva alcun aumento per l’aggravante di cui all’art. 416-bis, quarto comma cod. pen. La Corte di appello, dunque, avrebbe dovuto dare atto in dispositivo della specifica esclusione di tale circostanza aggravante a effetto speciale.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo sei motivi, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo, vengono denunciati i vizi ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., sotto il profilo della violazione di legge e difetto di motivazione, in relazione agli artt. 125, 192 e 546 cod. proc. pen., in relazione all’art. 416-bis cod. pen.
La difesa, in sede di gravame, aveva rappresentato la impossibilità di configurare l’esistenza di un sodalizio criminoso e – su tale punto specifico – la Corte territoriale ha adottato una motivazione apparente, oltre che meramente ripetitiva del ragionamento esposto dal primo giudice. L’intera motivazione della sentenza impugnata descrive un fenomeno delinquenziale caratterizzato da un clima di intimidazione, riconducibile però al solo NOME COGNOME e non all’esistenza di una compagine malavitosa. Viene operata, pertanto, una inammissibile sovrapposizione, tra la condotta associativa e le modalità di svolgimento delle accertate attività delittuose, condizionate e caratterizzate dalla figura ingombrante e tracotante del solo NOME COGNOME. Gli altri soggetti coinvolti, in realtà, si sono limitati a sfruttare la fama criminale e il capi intimidatorio accumulato, nel corso degli anni precedenti, dal COGNOME.
3.2. Con il secondo motivo, vengono denunciati i vizi ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., sotto il profilo della violazione di legge e difetto di motivazione, in relazione alla ritenuta condotta di partecipazione, con violazione degli artt. 125, 192, 533 e 546 cod. proc. pen., in relazione all’art. 416bis cod. pen.
La sentenza impugnata si limita a operare una acritica sommatoria di eventi storici, affidati all’interpretazione del contenuto di conversazioni intercettate modalità ambientale, attraverso un acritico recepimento dell’apparato motivazionale della sentenza di primo grado. Il COGNOME, secondo la Corte di appello, dovrebbe essere ritenuto responsabile del delitto di partecipazione all’associazione mafiosa, per essersi occupato di recuperare della refurtiva, nonché per aver preso parte a pestaggi e azioni punitive e, infine, per aver incamerato denaro da debitori del gruppo per affari di usura. Si tratta, però, di una motivazione di forte genericità, visto che la Corte non spiega a quali vicende concretamente abbia inteso riferirsi. Sotto tale profilo, il tentativo di ipotizzare riscossione di un debito usurario, dovuto da tale NOME al sodalizio – con veicolazione di tale attività al Lo Duca, da parte della madre NOME COGNOME – è il risultato di un palese travisamento della prova, riscontrato dalla mancata enucleazione del relativo capo di imputazione.
La Corte avrebbe dovuto prendere atto, altresì, del fatto che il ricorrente ha mandato il cugino a parlare con il padre NOME COGNOME, così manifestando una fisiologica incapacità a spendere il nome dell’associazione malavitosa.
In sostanza, viene elevato a elemento sintomatico della partecipazione all’associazione mafiosa, il mero dato della conoscenza o frequentazione con il presunto capo della cosca NOME COGNOME, ovvero il necessario rapporto con i propri genitori. La mancata consapevole adesione al sodalizio, peraltro, è dimostrata dall’atteggiamento tenuto dal ricorrente, che teneva comportamenti talmente esuberanti, da porre in pericolo il perseguimento degli interessi del COGNOME e della congrega a lui riconducibile.
Non si riesce ad apprezzare compiutamente, poi, il contributo che NOME COGNOME avrebbe prestato alla consorteria, essendo egli risultato estraneo alle dinamiche delinquenziali attraverso le quali l’associazione avrebbe manifestato la sua operatività.
3.3. Con il terzo motivo, vengono denunciati i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione, avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dell’aggravante ex art. 416-bis quarto comma cod. pen.
Il carattere armato dell’associazione si dovrebbe desumere – secondo la sentenza impugnata – dalle vicende di cui al capo 7) della rubrica, concernenti pistole di più che dubbia provenienza e da “ripulire”, attraverso iniziative
comunemente assunte da COGNOME e COGNOME. Si è però operata, in tal modo, una incongrua sovrapposizione, fra la disponibilità di armi in capo al singolo – o ai singoli associati – e la disponibilità di armi da parte del sodalizio nel suo complesso. Trattasi di circostanza aggravante configurabile, esclusivamente, allorquando la disponibilità di armi sia funzionale al perseguimento degli interessi della consorteria, considerata nel suo complesso.
La Corte, infine, trae il convincimento che il ricorrente fosse consapevole della presenza delle armi cui ci si riferisce nelle captazioni, soltanto dal fatto ch COGNOME è il compagno della madre e per la sua stretta dipendenza operativa da COGNOME.
3.4. Con il quarto motivo, vengono denunciati i vizi ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., sotto il profilo della violazione degli artt. 125, 1 533 e 546 cod. proc. pen., in relazione all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Quanto alla partecipazione all’associazione ex art. 74 T.U. stup., l’attenzione della Corte si è soffermata solo sul contenuto della conversazione intercorsa, in data 30/11/2017, fra NOME COGNOME e NOME COGNOME. Il ricorrente, però, non ha interagito ,con alcuno degli altri soggetti ritenuti intranei al grupp criminale, né ha preso parte all’organizzazione di trasferte in territorio calabrese e nemmeno ha mai detenuto o ceduto sostanza stupefacente. È emerso, quindi, soltanto il rapporto fra COGNOME NOME, COGNOME e COGNOME.
3.5. Con il quinto motivo, vengono denunciati i vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, in relazione all’invocata esclusione della recidiva. I fatti pe i quali si procede non possono essere ritenuti significativi di una più allarmante pericolosità sociale del soggetto, in un contesto nel quale COGNOME è stato quasi sempre distante da NOME COGNOME, tenendo comportamenti spesso in aperto contrasto con gli interessi della congrega. I precedenti penali del ricorrente, inoltre, non sono di così grande allarme sociale, da giustificare l’applicazione della recidiva. Su tali punti, manca completamente la motivazione.
3.6. Con il sesto motivo, viene denunciato vizio rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per violazione dell’art. 125 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen. Manca completamente, già sotto il profilo grafico, la motivazione posta a fondamento del diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo un motivo unico, di seguito enunciato entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. e mediante il quale viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1,
lett. b) ed e) cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 99, 157 e 161 cod. pen., i relazione all’art. 512-bis cod. pen.
All’esito del giudizio di appello, il ricorrente è stato ritenuto responsabil del reato di cui all’art. 512-bis cod. pen., con esclusione della contestata aggravante mafiosa. La recidiva originariamente contestata, inoltre, era stata già esclusa in primo grado, per cui deve reputarsi interamente decorso il termine massimo di prescrizione (in data 07/11/2022, ossia prima dell’emissione della sentenza di appello).
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo cinque motivi, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
5.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., per difetto di motivazione con riferimento agli artt. 17 e 546 cod. proc. pen.
5.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento agli artt. 125, 192 e 546 cod. proc. pen., in relazione alla condotta di partecipazione ex art. 416-bis cod. pen. La sentenza non chiarisce quale sia stato il contributo, consapevole e rilevante, fornito dalla COGNOME all’associazione criminosa contestata sub 1) della rubrica.
La Corte non ha spiegato come le condotte materiali enucleate – a carico della ricorrente – possano esser considerate espressione dell’elemento psicologico del reato, sotto il profilo della consapevolezza di agire nell’interesse non del singolo, bensì del sodalizio. La COGNOME, sul punto, si è interfacciata con NOME COGNOME allorquando questi venne rimesso in libertà, dopo oltre un decennio di ininterrotta carcerazione, per cui non poteva apprezzare l’esistenza e l’operatività di un organismo associativo di nuova costituzione. Tanto ciò vero, che la Corte ha dovuto ritenere che ella non potesse non essere a conoscenza della pregressa appartenenza del Lo Duca alla consorteria criminale.
La sentenza impugnata non considera, inoltre, come la COGNOME non abbia ricevuto alcun contributo economico, da parte del sodalizio mafioso. La ricorrente, inoltre, non era a conoscenza delle ragioni per le quali NOME COGNOME convocava NOME COGNOME e NOME COGNOME. NOME COGNOME non è stata mai presente ad alcun incontro, intrattenuto da NOME COGNOME con i sodali, né ha mai avuto contezza dei rapporti intrattenuti dal COGNOME con gli stessi o con il fratello, o con il figlio; ella, infine, non ha mai partecipato a riunioni, pestaggi o pianificazioni attività delittuose.
5.3. Con il terzo motivo, vengono denunciati i vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, in relazione alla prospettata riqualificazione delle condotte ascritte all’imputata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 110 e 416-bis cod. pen. Il ragionamento della Corte territoriale muove dalla errata premessa che la ricorrente, rendendosi portatrice di messaggi operativi fra i membri dell’associazione, fosse conscia della pregressa appartenenza di Lo Duca a un sodalizio criminale.
5.4. Con il quarto motivo, vengono denunciati i vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis quarto comma cod. pen.
Il carattere armato dell’associazione viene desunto dalle vicende contestate sub 7) della rubrica, laddove vi è il riferimento a pistole di dubbia provenienza e da ripulire, attraverso comuni iniziative fra Lo Duca e Tortorella. Viene così operata, però, una illegittima sovrapposizione, tra la disponibilità di armi in capo a un singolo e la disponibilità delle stesse da parte del sodalizio nel suo complesso. La motivazione è illogica e contraddittoria, poi, nella parte in cui ritiene provata l consapevolezza – in capo all’odierna ricorrente – della disponibilità di armi da parte dell’organizzazione.
5.5. Con il quinto motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., quanto all’art. 125 cod. proc. pen., in riferiment agli artt. 62-bis e 133 cod. pen. Sul punto, è stata adottata una motivazione vaga, generica e contraria ai principi costituzionali della ragionevolezza, proporzione, personalizzazione e funzione rieducativa della risposta sanzionatoria, in presenza di soggetti gravati da precedenti modesti e datati, o addirittura incensurati. La gravità del fatto non può, essa sola, costituire elemento ostativo al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo due motivi, che vengono di seguito enunciati entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
6.1. Con il primo motivo, viene denunciato vizio rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per violazione degli artt. 125, 533 e 546 cod. proc. pen., in relazione all’art. 390 cod. pen.
Né le risultanze delle intercettazioni telefoniche e ambientali, né i servizi di osservazione posti in essere dagli ufficiali di polizia giudiziaria permettono di enucleare gli elementi strutturali delle fattispecie oggetto di imputazione. La ricorrente, infatti, non ha mai realizzato fatti, atti o comportamenti in grado d agevolare la latitanza del fratello. Stando a quanto si legge in sentenza, la COGNOME
avrebbe favorito la latitanza del fratello, messaggiando con lo stesso e recandosi a casa della madre, in una sola occasione, insieme a un operaio, per verificare l’andamento dei lavori di costruzione del vano destinato a ospitarlo. Presso tale vano, però, il fratello non è mai stato ospitato, per cui il tutto rappresenta un mero atto preparatorio, non in grado di integrare l’ipotizzata figura tipica.
6.2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione di legge e difetto di motivazione, quanto alle ragioni che hanno condotto al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena. La Corte ha concesso tale beneficio ad altri coimputati e non alla ricorrente, nonostante ella sia una persona incensurata e priva di ulteriori carichi pendenti; ha mancato di chiarire, però, le ragioni in base alle quali abbia reputato impossibile formulare un positivo giudizio prognostico, nei confronti della De NOME
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo un motivo unico, mediante il quale lamenta violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., per violazione degli artt. 125, 192, 533, 546 e 599-bis cod. proc. pen., in relazione agli artt. 378, 390 e 416-bis.1 cod. pen. Il ricorrente ha concordato la pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, in relazione ai reati di favoreggiamento personale, ascritto sub 23) e di procurata inosservanza di pena, contestato al capo 22), entrambi aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen. La pena inflitta, però, non ha integralmente recepito i termini dell’accordo intercorso con il Procuratore generale: sebbene la pena finale risulti correttamente calcolata, grazie all’elisione della suddetta circostanza aggravante a effetto speciale, tale esclusione non poteva non essere indicata in dispositivo, in considerazione delle conseguenze che la mancata enunciazione in dispositivo determinerà, al momento del passaggio in giudicato della sentenza. L’odierno ricorrente, infatti, rispetto al titolo di reato sopravvissuto e nonostan l’intervenuto accordo, non potrà beneficiare del disposto normativo di cui all’art. 656 comma 5 cod. proc. pen.
Ricorrono per cassazione NOME COGNOMEcl. 1989) e NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo nove motivi, che vengono di seguito sintetizzati entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
8.1. Con il primo motivo, viene denunciato vizio rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., per difetto di motivazione e violazione degli artt. 178 e 546 cod. proc. pen. In sede di gravame, era stata eccepita la nullità della sentenza di primo grado, per essere la stessa esattamente riproduttiva del provvedimento cautelare; con tale eccezione, la Corte territoriale non si è
minimamente confrontata e, anzi, ha adottato una motivazione che è in larga parte sovrapponibile a quella della pronuncia di primo grado.
8.2. Con il secondo motivo, viene denunciato vizio rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., per violazione di legge e difetto di motivazione, in relazione agli artt. 125, 192, 533 e 546 cod. proc. pen., in relazione all’art. 416-bis cod. pen.
La Corte territoriale ha richiamato le intercettazioni effettuate in altr procedimento, nell’ambito del quale è emerso che NOME COGNOME si rivolse a NOME COGNOME affinché questi gli procurasse un congruo numero di voti, in quanto candidato al consiglio comunale alle elezioni amministrative in programma per il 10 giugno 2018, promettendogli in cambio l’erogazione di una somma di denaro ammontante a diecimila euro; COGNOME avrebbe indicato, al proposito, tal “NOME“, quale soggetto in grado di pilotare l’elettorato della zona di Maregrosso. Tale conclusione, però, è frutto del travisamento del contenuto della conversazione ambientale captata il 31/03/2018, intercorsa tra NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e il padre NOME.
Ulteriore prova della inesistenza dell’ipotizzato gruppo criminale è data anche dal comportamento assunto da NOME COGNOME allorquando manifesta a NOME COGNOME la volontà di picchiare NOME COGNOME.
Inoltre, nella impressionante sequenza di conversazioni intercettate davanti al bar di NOME COGNOME, oltre che sulle utenze telefoniche dei soggetti attenzionati, gli interlocutori non hanno mai manifestato la consapevolezza dell’esistenza e della operatività del distinto gruppo mafioso descritto al capo 21 dell’imputazione. Che NOME COGNOME abbia posto in essere condotte criminose unitamente ai correi, senza però dare vita a un organismo associativo di tipo mafioso, è del resto ravvisabile anche dai comportamenti allo stesso contestati al capo 2) della rubrica, laddove l’odierno ricorrente è stato ritenuto responsabile del delitto di estorsione, commesso in danno di NOME COGNOME in concorso con due estranei, quali NOME COGNOME e NOME COGNOME.
8.3. Con il terzo motivo – relativo al solo NOME COGNOME, quanto al capo 21 della rubrica – viene denunciato vizio rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per violazione di legge e difetto di motivazione, i relazione alla ritenuta condotta di partecipazione, nonché violazione degli artt. 125, 192, 533 e 546 cod. proc. pen., in relazione all’art. 416-bis cod. pen. La sentenza impugnata è illogica e contraddittoria, nel punto in cui collega la partecipazione di COGNOME alle rapine a un suo ruolo di intraneo nella contestata associazione mafiosa; le rapine, secondo quanto accertato nel già richiamato procedimento “Flower”, sono state realizzate, infatti, senza l’utilizzo di un metodo mafioso. Ancora una volta, peraltro, la Corte territoriale ribadisce che non è la
notoria appartenenza di COGNOME al clan mafioso, bensì la sua vicinanza al COGNOME, ben percepita da tutte le vittime, a indurre questi a non attuare ritorsioni verso di lui. Anche l’assidua frequentazione con il COGNOME, del resto, non è un elemento evocativo della ritenuta partecipazione alla inesistente congrega mafiosa.
8.4. Con il quarto motivo, riferito al capo 21 della rubrica, si deduce l’insussistenza dell’aggravante ex art. 416-bis, quarto comma cod. pen. Le rapine pluriaggravate contestate nell’ambito del procedimento “RAGIONE_SOCIALE“, ai capi h), I), n), al), infatti, non risultano aggravate – così come i relativi reati connessi – ex ar 416-bis.1 cod. pen. né sotto il profilo del metodo, né sotto quello dell’agevolazione.
8.5. Con il quinto motivo – relativo alla posizione di NOME COGNOME con riferimento al capo 15 della rubrica – viene denunciato vizio rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per violazione degli artt 125, 192, 533 e 546 cod. proc. pen., in relazione all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. L’errore compiuto dalla Corte territoriale sta nell’aver sussunto le relazioni interpersonali, emerse in atti, nella fattispecie associativa ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e non in quella di cui al combinato disposto degli artt. 81, 110 cod. pen. e 73 T.U. stup. Si è ritenuta la sussistenza di un’organizzazione, dunque, sul presupposto della stabilità dei rapporti tra associati, desunta soprattutto dalle modalità di approvvigionamento in Calabria della sostanza stupefacente
8.6. Con il sesto motivo – relativo alla posizione di NOME COGNOME con riferimento al capo 15 della rubrica – viene denunciato vizio rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per violazione degli artt 125, 192, 533 e 546 cod. proc. pen., in relazione alla ritenuta partecipazione all’organismo associativo ex art. 74 T.U. stup. Non emergono, comunque, elementi deponenti per una condotta di partecipazione all’organismo associativo, ascrivibile al ricorrente NOME COGNOME NOME, al quale non è possibile imputare alcun contributo causalmente efficiente. Non è spiegato, in sentenza, in quale modo NOME avrebbe agito con gli altri soggetti ritenuti sodali per questioni di droga, come avrebbe partecipato all’organizzazione delle trasferte in territorio calabrese e come avrebbe detenuto o ceduto sostanza stupefacente, anche per il tramite di altri presunti sodali.
8.7. Con il settimo motivo – relativo al capo 15) della rubrica – viene denunciato vizio rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., per violazione degli artt. 125, 192, 533 e 546 cod. proc. pen., in relazione all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. La Corte di appello avrebbe dovuto chiarire le ragioni, in base alle quali gli asettici riferimenti all’odi ricorrente, operati nel corso di sporadiche conversazioni (due) da uno solo dei presunti sodali, siano espressive non di un semplice vincolo di intraneità
all’organismo associativo, bensì dell’assunzione – da parte del de COGNOME – della qualità di promotore e coordinatore. Errata è l’affermazione contenuta in sentenza, laddove vengono tratti gli elementi strutturali della suddetta fattispecie criminosa, sia dalle risultanze del procedimento “Flower”, sia dal fatto che COGNOME e NOME sia prima, che dopo i loro accertati viaggi in Calabria – si recavano nel quartiere di Maregrosso. La sentenza, infatti, non precisa in che modo si sia estrinsecato il contributo primario del COGNOME e, soprattutto, le ragioni per le quali le stesse visite non trovino la loro ragion d’essere nella subalternità del COGNOME al vertice associativo.
8.8. Con l’ottavo motivo, si lamenta violazione di legge e difetto di motivazione, in relazione all’invocata esclusione della ritenuta recidiva. Come lamentato nei motivi di appello, il fatto oggetto di imputazione non può essere considerato espressivo di una maggiore e più spiccata pericolosità, ovvero inclinazione a delinquere dell’imputato, anche avuto riguardo al contesto in cui il fatto stesso è maturato e allo iato temporale intercorso, tra l’ultimo dei precedenti annotati nel casellario giudiziale e la ricaduta nel reato.
8.9. Con il nono motivo – relativo alla posizione di NOME COGNOME – viene denunciato vizio rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per violazione degli artt. 125 e 546 cod. proc. pen., in relazione agli artt 62-bis e 133 cod. pen. Non viene chiarita la ragione del diniego delle circostanze attenuanti generiche, atteso che si tratta di un soggetto che, all’epoca, era incensurato e privo di carichi pendenti.
8.10 Con memoria e motivi aggiunti a firma dell’avv. NOME COGNOME NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento del sesto e del settimo motivo di ricorso, sottolineando la apoditticità di molti passaggi della sentenza impugnata, con particolare riferimento a quanto riportato alla pagina n. 155. Illogico è poi il fatto che – pur a fronte dell’assoluzione del COGNOME, quanto al capo 20 della rubrica – la Corte territoriale continui a ritenere dimostrato l’interven del ricorrente ai danni del Paone.
La sentenza, in sostanza, ricava automaticamente, dalla presunta qualità di capo dell’associazione mafiosa, la qualità di promotore del sodalizio ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo quattro motivi, che vengono di seguito enunciati entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
9.1. Con il primo motivo, vengono denunciati i vizi ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per violazione degli artt. 125, 192, 533 e 546 cod.
proc. pen., in relazione all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, con riferimento alla ritenuta sussistenza di una associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanza stupefacente.
Erra la Corte territoriale, laddove ritiene provato lo schema tipico del sodalizio rilevante ex art. 74 T.U. stup., in ragione della stabilità dei rapporti associati, desunta soprattutto dalle modalità di approvvigionamento in Calabria dello stupefacente. Occorre prendere le mosse dai contatti intercorsi tra NOME COGNOME, soggetto che si ritiene legato al Lo COGNOME e ad NOME COGNOME, la cui presenza è stata censita presso il bar del primo, per la prima volta, nel settembre 2017. In particolare, devono essere analizzati i contatti risalenti al 19/12/2017, al 19/01/2018, al 25, al 26 . e al 31/01/2018, al fine di verificare come resti il vuoto probatorio, circa le ragioni sottese agli ipotizzati incontri. La identificazione d soggetto incontrato da NOME COGNOME nell’odierno ricorrente, peraltro, è incompatibile con lo stato detentivo di NOME COGNOME. Quest’ultimo, come emerge dal testo della sentenza impugnata, si trovava sottoposto – durante tutto il periodo di attenzione investigativa – alla misura alternativa della semilibertà, con prescrizione di far rientro presso la Casa circondariale entro le ore 22.00.
9.2. Con il secondo motivo, relativo al capo 15) della rubrica, vengono denunciati i vizi ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per violazione degli artt. 125, 192, 533 e 546 cod. proc. pen., in relazione all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, con riguardo alla ritenuta condotta partecipativa del ricorrente.
L’intraneità di COGNOME all’organismo associativo si dovrebbe trarre – in v ia esclusiva – dal rapporto di questi con NOME COGNOME, rapporto sviluppatosi in occasione di incontri che, comunque, non hanno fatto emergere alcuna condotta rilevante ex art. 73 T.U. stup. Il ricorrente non si è mai relazionato con gli alt sodali, non ha partecipato all’organizzazione delle trasferte in territorio calabrese e nemmeno ha mai detenuto o ceduto sostanza stupefacente.
La Corte territoriale lo ha ritenuto intraneo al sodalizio finalizzato al traffi di sostanza stupefacente, solo perché: – sostava periodicamente, assieme al INDIRIZZO, nei pressi del bar gestito dalla sorella di questi; – relazionava “il capo” su fatto di dover raccogliere soldi (duemila euro) da dichiarati “lavori di strada”; teneva un ruolo attivo nei fatti di cui al capo 17), da cui è stato comunque mandato assolto; – faceva commenti in ordine alle attività svolte nel settore degli stupefacenti ed era interscambiabile con il COGNOME nel ruolo di esattore e collettore del denaro derivante dalle cessioni. Surace, però, non ha mai avuto rapporti con soggetti diversi da NOME COGNOME; la sua interscambiabilità con il coimputato NOME COGNOME è frutto di una valutazione meramente apodittica. Anche la conversazione riportata a pagine 153 della sentenza, del resto, non
registra alcuna manifestazione di interesse, da parte di COGNOME il quale si limita ad ascoltare le esternazioni dell’interlocutore COGNOME senza nulla aggiungere.
9.3. Con il terzo motivo, si lamentano i vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, in relazione all’invocata esclusione della ritenuta recidiva. Il fatt contestato non può essere reputato espressivo di una maggiore e più spiccata pericolosità, o inclinazione a delinquere dell’imputato, avuto anche riguardo al contesto in cui esso matura.
9.4. Con il quarto motivo, vengono denunciati i vizi ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per violazione dell’art. 125 cod. proc. pen., relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen. La doglianza inerisce alla mancata esternazione, ad opera della Corte di appello, delle ragioni per le quali sia stato disatteso il motivo di appello volto alla concessione delle generiche.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME con due distinti atti di impugnazione, rispettivamente a firma degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME deducendo l’uno sette e l’altro quattro motivi, tutti di seguiti riassunti entr limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att cod. proc. pén.
10.1. Con il primo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., per difetto d motivazione e violazione degli artt. 178 e 546 cod. proc. pen. Vi è omessa pronuncia, in ordine al motivo di appello concernente la risposta data – nel corso del giudizio di primo grado – alle eccezioni di nullità per violazione del diritto difesa, per il mutamento della persona del giudicante e riguardo alla prospettata incompatibilità di due membri del Collegio, per aver essi deciso il processo relativo alla cd. Operazione RAGIONE_SOCIALE; su tali punti, la Corte territoriale si è pedissequamente riportata alle determinazioni assunte in primo grado.
10.2. Con il secondo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME viene denunciato vizio rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., sotto il profi della violazione di legge e del difetto di motivazione, in relazione agli artt. 12 192 e 546 cod. proc. pen., quanto alla condotta di partecipazione al reato di cui all’art. 416-bis cod. proc. pen.
Non è stato individuato il consapevole e rilevante contributo, che il COGNOME avrebbe fornito all’organismo associativo di cui al capo 1) della rubrica. Quanto all’attività di recupero di somme di denaro, la stessa Corte di appello ha ritenuto tale attività del tutto irrilevante, assolvendo dall’addebito associativo NOME COGNOME ossia uno dei presunti accoliti che – nell’ambito delle attività poste in essere da sodalizio – avrebbero rivestito proprio siffatto compito. Ancor più illogico e contraddittorio è il riferimento alla Sala “INDIRIZZO“, quale base operativa del clan:
all’incontro che, a tal proposito, viene menzionato in sentenza, non ha preso parte il COGNOME, mentre è provata la partecipazione dei soggetti estranei NOME COGNOME e NOME COGNOME a riprova del fatto che non si trattasse di una riunione finalizzata alla pianificazione di dinamiche associative.
Quanto al sostentamento economico del quale avrebbe goduto il ricorrente, la Corte territoriale non ha spiegato quando COGNOME si sarebbe affiliato al sodalizio, né ha tenuto conto del fatto che egli era stato tratto in arresto per un tentativo di rapina, posto in essere in concorso con soggetti del tutto estranei alla compagine medesima. NOME COGNOME non ha preso parte ad alcun incontro intrattenuto da COGNOME con i suoi sodali, né ha partecipato a riunioni, pestaggi o pianificazione di attività delittuose.
Con riferimento alla vicenda del recupero dei crediti in favore del padre del COGNOME, COGNOME non venne attivato dal ricorrente; egli non può che essere ritenuto del tutto estraneo, quindi, all’estemporanea iniziativa assunta dal padre.
Illogica è anche la motivazione adottata dalla Corte distrettuale, con riferimento alla gestione della raccolta delle scommesse e della sala giochi, atteso che non si chiarisce come esse possano essere ritenute l’estrinsecazione di un rilevante e consapevole contributo all’organismo associativo. Nemmeno è stato ben considerato come il COGNOME si sia sempre relazionato con il solo COGNOME, tanto che il sodale più qualificato di quest’ultimo, NOME COGNOME, non aveva contezza neanche di dove COGNOME risiedesse. Depone in tal senso il contenuto della conversazione ambientale intercettata il 12/11/2017, alle ore 11.14, tra Lo Duca e Gangemi.
Nulla consente di sostenere che la somma di cinquemila euro, che COGNOME doveva consegnare a COGNOME, rappresentasse il profitto di un delitto realizzato per conto e nell’interesse dell’associazione. Nelle date in cui sono state captate le ulteriori conversazioni valorizzate dalla Corte territoriale, COGNOME si trovava detenuto; egli non ha mai partecipato a riunioni o pianificato attività illecite.
10.3. Con il terzo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME vengono denunciati i vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, avuto riguardo alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis, quarto comma cod. pen.
La sussistenza di tale aggravante si dovrebbe desumere, secondo la sentenza impugnata, dalle vicende indicate al capo 7) della rubrica, inerenti pistole di dubbia provenienza e da “ripulire”, attraverso iniziative comuni di Lo Duca e Tortorella. Così decidendo, la Corte territoriale ha operato una illegittima sovrapposizione, fra la disponibilità di armi in capo al singolo, o ai singoli associat e, invece, la disponibilità delle stesse in capo all’intero sodalizio. Ulteriore illogi sta nell’aver ritenuto sussistente la consapevolezza della presenza di tali armi, da
parte del ricorrente; tale conclusione è stata raggiunta semplicemente in base al principio del “non poteva non sapere”.
10.4. Con il quarto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME vengono denunciati vizi rilevanti ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per violazione degli artt. 125, 192, 533 e 546 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 110 cod. pen., 4, comma 1 e 4-bis, legge 13 dicembre 1989, n. 401. La natura mafiosa della gestione delle sale gioco è desunta da una conversazione, che è intercorsa tra COGNOME e Gangemi, la quale si è verificata, però, in un periodo nel quale COGNOME era detenuto; né si riesce, comunque, ad apprezzare quale possa esser stato il contributo causalmente efficiente da quest’ultimo offerto.
10.5. Con il quinto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME, relativo al capo 10) della rubrica, si deduce l’insussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. Trattasi di un’aggravante che non può essere desunta, in via automatica, dal semplice fatto che un determinato soggetto abbia agevolato una persona facente parte di un sodalizio, essendo invece necessario che tale azione superi il rapporto interpersonale e sia diretta ad agevolare l’attività dell compagine, con piena coscienza da parte del soggetto agente.
10.6. Con il sesto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME vengono denunciati vizi rilevanti ex artt. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per violazion degli artt. 125, 533, 546 cod. proc. pen., in relazione all’art. 99 cod. pen. La Corte territoriale non ha risposto ai rilievi difensivi formulati in sede di gravame, circa fatto che le condotte oggetto di imputazione non potessero essere considerate espressive di maggiore e più spiccata pericolosità, ovvero inclinazione a delinquere dell’imputato, anche avuto riguardo al contesto. COGNOME non ha realizzato alcun reato fine dell’associazione, diverso dalla contestata e ritenuta raccolta abusiva di scommesse. I suoi precedenti penali, inoltre, non appaiono di allarme sociale talmente rilevante, da giustificare la contestazione e l’applicazione della recidiva.
10.7. Con il settimo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME vengono denunciati vizi rilevanti ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc pen., per violazione dell’art. 125 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen. La motivazione è, sul punto, meramente assertiva, non confrontandosi essa con le ragioni poste a fondamento dell’appello; tale motivazione è contraria ai canoni di valutazione ai quali attenersi, che sono imposti dai principi costituzionali di ragionevolezza, proporzione, personalizzazione e funzione rieducativa della risposta sanzionatoria.
10.8. Con il primo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME vengono denunciati i vizi di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per violazione legge, in relazione agli artt. 192, commi 2, 3 e 4 cod. proc. pen., 416-bis cod. pen., nonché per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, in
relazione al giudizio di intraneità dell’imputato al sodalizio di cui al capo 1) del rubrica dell’impugnata sentenza. La motivazione della sentenza impugnata ricalca pedissequamente quella adottata dal giudice di primo grado, senza operare alcun confronto con le argomentazioni espresse nell’atto di appello. L’attività di intermediazione per conto di un allibratore straniero, ascritta al capo 10) con l’aggravante mafiosa, assume una rilevanza marginale.
Gli elementi posti a fondamento della intraneità del ricorrente al sodalizio malavitoso sono stati così individuati: – tentativo da parte di COGNOME e COGNOME di indurre NOME COGNOME a rendere falsa testimonianza, al fine di far scagionare COGNOME; – mantenimento del nucleo familiare di COGNOME, ad opera di COGNOME, durante la carcerazione del primo; – gestione della sala giochi “Il Buco”; – richiesta di somme di denaro a una ditta dell’agrigentino, in favore del padre, in relazione a dei crediti da lavoro. Nulla consente, però, di escludere che si sia trattato di un mero rapporto interpersonale, di amicizia e conoscenza con il Lo Duca; non vi sono conversazioni dalle quali sia possibile desumere il coinvolgimento o la volontà del ricorrente di architettare un programma atto a costringere Veicoli a deporre il falso. Sono inconferenti, quindi, gli elementi addotti a sostegno della ritenuta sussistenza del vincolo associativo. Manca il controllo capillare del territorio, che è tipico delle congreghe ex art. 416-bis cod. pen., viepiù in ragione del fatto che il sodalizio di cui al capo 1) avrebbe operato, in pratica, nello stesso territorio in cu erano attivi i gruppi COGNOME e COGNOME.
Si è poi trascurato un ulteriore dato, rappresentato dal fatto che – con riferimento all’attività di gestione delle scommesse – il periodo in cui venne lanciata la piattaforma “RAGIONE_SOCIALE” ha coinciso con un periodo di privazione della libertà, per il Ciampi.
10.9. Con il secondo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME vengono denunciati i vizi di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione a artt. 192, commi 3 e 4, 603 cod. proc. pen., 416-bis quarto comma cod. pen., quanto al capo 1) della rubrica. Nella motivazione della sentenza impugnata non vi è alcun riferimento alla consapevolezza – in capo al ricorrente – del possesso di armi da parte degli associati, facendosi esclusivo riferimento alla sua vicinanza al Lo Duca. Tale valutazione non è sufficiente, visto che l’intraneità del COGNOME al sodalizio viene desunta dalla sola sua attività di intermediazione, per la gestione delle scommesse e la riscossione del denaro. Gli ulteriori elementi, parimenti ritenuti sintomatici dell’organicità del ricorrente all’associazione (la subornazione del teste NOME COGNOME e il mantenimento ricevuto in carcere) sono vicende alle quali è estranea la presenza di armi.
10.10. Con il terzo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME vengono denunciati i vizi di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione a
artt. 192 commi 3 e 4, 603 cod. proc. pen., 99 quarto comma cod. pen., sotto il profilo della carenza della motivazione, in ordine alla sussistenza dell’aggravante della recidiva reiterata specifica e infraquinquennale. Vi è carenza di motivazione, circa i presupposti giustificativi dell’incremento sanzionatorio; non si è considerato, inoltre, il lasso temporale che separa la commissione dei reati per i quali si procede, rispetto a quelli precedentemente commessi, né vi è confronto con la natura di tali fatti.
10.11. Con il quarto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME vengono denunciati i vizi di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione a artt. 81 e 133 cod. pen., 546 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., per illogicità della motivazione in ordine alla determinazione della pena inflitta. Sarebbe stato necessario un maggiore impegno motivazionale, piuttosto che limitarsi ad esporre formule generiche; la motivazione, quindi è illogica, così come assente è ogni riferimento al discostamento dal minimo edittale.
11. Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo sei motivi, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
11.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., sotto il profilo della nullità della sentenza per difet motivazione. La sentenza impugnata è priva del necessario confronto con le deduzioni della difesa, che aveva eccepito come la sentenza di primo grado – a sua volta – altro non fosse, se non la trasposizione grafica e testuale della genetica ordinanza cautelare. La Corte territoriale non ha dialogato con le eccezioni preliminari, che erano state sollevate dalle difese degli imputati COGNOME e COGNOME, quanto alla prospettata nullità della sentenza, derivante da violazione del diritto di difesa e dal mutamento del Giudice celebrante il processo, oltre che dalla incompatibilità di alcuni dei membri del Collegio giudicante, per aver essi deciso il processo relativo alla cd. RAGIONE_SOCIALE“.
11.2. Con il secondo motivo, relativo al capo 7) della rubrica, viene denunciato vizio rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., sotto il profilo della violazione degli artt. 125, 192, 533 e 546 cod. proc pen., in relazione agli artt. 2 e 7 legge 02 ottobre 1967, n. 895.
La prova della responsabilità di COGNOME deriverebbe, secondo la Corte territoriale, dal contenuto di una telefonata risalente al 29 ottobre 2017 e intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME nel corso della quale il primo avrebbe confidato di essere custode – per conto di COGNOME – di un “qualcosa”, che si è ritenuto poter identificare in una pistola. Non si comprende, però, in base
a quale ragione il “NOME“, evocato nel corso della conversazione, debba essere individuato proprio nel COGNOME. A tal fine, è fuorviante il collegamento operato in sentenza, laddove tale identificazione è effettuata in base al fatto che tale discorso interviene dopo aperti riferimenti, che erano stati effettuati ai permessi premio fruiti dal detenuto COGNOME.
11.3. Con il terzo motivo, relativo al capo 7) della rubrica, viene denunciata insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., ritenendosi non condivisibile l’apodittica motivazione esternata dalla Corte territoriale, per disattendere il relativo motivo di appello. Erra la Corte territoriale, nel ritenere c la detenzione e la gestione dell’arma possa essere riferita agli interessi del gruppo criminale nella sua interezza, in quanto diretta ad agevolarne l’attività, così oltrepassandosi il rapporto di natura meramente interpersonale.
11.4. Con il quarto motivo, relativo al capo 1) della rubrica, vengono denunciati vizi rilevanti ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc pen., sotto il profilo della violazione e del difetto di motivazione in relazione ag artt. 125, 192 e 546 cod. proc. pen., quanto alla condotta di partecipazione al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.
Quanto al pestaggio di COGNOME, non è chiarito da cosa si tragga la conclusione che COGNOME si trovasse in casa di Lo Duca, allorquando questi dette disposizione di condurre colà la vittima. Dall’esame delle celle telefoniche, anzi, può evincersi proprio come COGNOME si trovasse altrove. La stessa aggressione ai danni di COGNOME, del resto, è frutto di una aprioristica ricostruzione del contenuto delle conversazioni oggetto di captazione, anche in considerazione del fatto che non sussistono lesioni documentate, in danno della pretesa vittima. Sul punto, le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME sono inattendibili, in quanto interessate, oltre che smentite dal comportamento tenuto dal COGNOME, successivamente all’incontro chiarificatore con NOME COGNOME. Lo stesso COGNOME, del resto, nulla dice, circa la presenza di COGNOME all’evento delittuoso.
La possibilità, per il ricorrente, di rapportarsi con COGNOME anche nell’inesistente estorsione perpetrata in danno di NOME COGNOME, contestata sub 3) della rubrica, non è espressiva della sussistenza di un vincolo di affiliazione; ciò in quanto COGNOME – durante la fruizione dei permessi premio – ha sempre evitato di incontrare colui che, secondo l’ipotesi accusatoria, doveva essere considerato il suo capo. Sul punto, è illogico ritenere che COGNOME si sia attivato per mettere in allarme COGNOME, circa possibili monitoraggi dell’area antistante il bar, ad opera delle forze dell’ordine; la stessa Corte di appello, infatti, afferma non esser stato COGNOME a ritrovare la telecamera ivi collocata dagli inquirenti. Del resto, s COGNOME avesse condiviso gli interessi illeciti di COGNOME, avrebbe avvisato la
moglie NOME COGNOME evitandole di recarsi presso il bar per ivi incontrare quest’ultimo.
Il sostentamento erogato da NOME COGNOME alla COGNOME, durante la detenzione in carcere di Tortorella, trova la sua ragion d’essere in un rapporto di tipo meramente personale, piuttosto che nell’indimostrato rapporto associativo. Né a diverse conclusioni conduce il rapporto economico, intrattenuto con il commerciante di materiali edili NOME COGNOME da parte di COGNOME, il quale avrebbe ricevuto una fornitura senza corrispondere il relativo prezzo, in vista della ristrutturazione della propria abitazione di INDIRIZZO. Tale episodio non emerge, nei termini così riassunti, dalla conversazione intercorsa tra NOME COGNOME e la compagna, all’interno dell’autovettura Smart. Emerge esclusivamente, infatti, che la COGNOME era rimasta debitrice per la parte residua del prezzo convenuto, al pari del fratello NOME.
11.5. Con il quinto motivo, relativo al capo 1) della rubrica, vengono denunciati i vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, avuto riguardo all ritenuta sussistenza dell’aggravante ex art. 416-bis, quarto comma cod. pen.
Secondo quanto ritenuto dalla Corte distrettuale, non vi sarebbe dubbio, circa il carattere armato dell’associazione e circa il fatto che questa – a supporto e protezione delle proprie attività, nonché con possibilità di utilizzo da parte di pi associati – potesse contare sulla disponibilità di più armi; ciò dovrebbe desumersi, in particolare, dalle vicende contestate sub 7), che ineriscono evidentemente a pistole di dubbia provenienza, da “ripulire” grazie a operazioni congiunte di COGNOME e COGNOME. In questo modo, però, la sentenza impugnata opera una illegittima sovrapposizione, tra la disponibilità delle armi in capo al singolo – o a singoli associati – e la disponibilità delle stesse da parte del sodalizio nel su complesso.
11.6. Con il sesto motivo, vengono denunciati vizi rilevanti ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., sotto il profilo della violazione dell’ar 125 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 62 e 133 cod. pen. La motivazione adottata sul punto è meramente assertiva, in quanto non contiene la compiuta esternazione delle ragioni, in base alle quali è stata disattesa la richiesta d concessione delle circostanze attenuanti generiche. La mera gravità del fatto contestato non può, essa sola, motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME articolando nove motivi con i quali eccepisce, promiscuamente, vizi di violazione di legge e difetti di motivazione, tutti di seguito riassunti entro i li strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att cod.
proc. pen.
12.1. Il primo riguarda la ritenuta responsabilità penale per il delitto associativo di cui al capo 1) della rubrica.
La motivazione della sentenza impugnata sarebbe caratterizzata da apparenza e dalla ripetizione di argomentazioni non conducenti rispetto alla tesi della configurabilità di un sodalizio di natura mafiosa.
Gli effetti e l’estrinsecazione della forza di intimidazione descritti dai giudici merito sarebbero ascrivibili non già alla forza di intimidazione propria del gruppo, quanto, piuttosto, alla fama criminale del singolo Lo Duca.
Manca, infatti, la spiegazione della derivazione diretta del clima di omertà e intimidazione dall’esistenza dell’organismo associativo del quale non è stata fornita alcuna descrizione in ordine ai profili organizzativi.
A tale proposito, il ricorrente richiama gli arresti più recenti di questa Corte d legittimità in punto di esteriorizzazione della manifestazione della forza criminale e della capacità del sodalizio di esprimere la propria mafiosità che deve essere percepita come tale all’esterno e manifestarsi in funzione del perseguimento degli obiettivi del gruppo.
A maggior ragione tale requisito deve essere oggetto di rigoroso accertamento nei casi, come quello di specie, in cui gli indizi si identificano negli esit intercettazioni, senza alcun accertamento di natura fattuale derivante da indagini bancarie o patrimoniali.
Il mancato accertamento della sostanziale visibilità all’esterno del sodalizio si riflette, nella prospettiva del ricorrente, sulla motivazione della sentenza determinandone profili di illogicità e contraddittorietà.
12.2. Il secondo motivo ha ad oggetto la sussistenza dell’aggravante della natura armata dell’associazione.
Il riferimento compiuto in sentenza alle armi di cui al capo 7) non costituisce adeguata giustificazione della circostanza, atteso che sarebbe stata compiuta una indebita valutazione meramente assertiva, estendendo la disponibilità delle armi da parte del singolo associato al sodalizio mafioso.
12.3. Il terzo motivo riguarda la fattispecie di estorsione di cui al capo 2) dell rubrica imputativa.
Sul punto, omettendo completamente di fornire adeguata risposta ai motivi di appello, la Corte di appello si sarebbe limitata a recepire la motivazione del giudice di primo grado.
In particolare, si lamenta il travisamento della prova con riguardo all’intercettazione del 28 febbraio 2018, non essendo stata accertata la natura reale del rapporto intercorrente tra l’imputato e il COGNOME, da un lato, e tale NOMECOGNOME dall’altro, nonché i contenuti precisi della richiesta estorsiva.
12.4. Con il quarto motivo i vizi sono articolati con riferimento all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen. motivata, in relazione alla fattispecie di cui punto precedente, mediante il ricorso ad argomentazioni integranti una mera petizione di principio.
12.5. Il quinto motivo attinge la declaratoria di responsabilità in relazione al capo 7) della rubrica avente ad oggetto il delitto di cui agli artt. 2 e 7 legge n. 89 del 1967.
Anche in questo caso, si lamenta il mancato confronto con i motivi di appello e l’inosservanza del criterio di giudizio dell’«oltre ogni ragionevole dubbio», avendo la Corte territoriale fatto ricorso a canoni valutativi di mera probabilità.
12.6. Con il sesto motivo, in relazione ai capi 5) e 10), relativi ai reati di raccol di scommesse per conto di allibratori stranieri privi di concessione, il ricorrente articola una censura riferita all’aggravante della mafiosità giustificata secondo una motivazione illogica e contraddittoria, non essendo stati chiariti i contorni dell distinzione tra la fattispecie di cui al capo 2) e quella della gestione diretta del sale gioco.
12.7. Anche con riguardo al capo 9) (settimo motivo di ricorso) viene segnalata la mancanza di adeguata risposta ai motivi di appello proposti dal ricorrente.
La motivazione resa dai giudici messinesi con riferimento all’intercettazione del 23 marzo 2018 sarebbe illogica e contraddittoria in quanto l’attività di condizionamento nei confronti del testimone che avrebbe dovuto fornire indicazioni favorevoli al sodale NOME COGNOME sarebbe stata volta a neutralizzare risultanze ritenute, comunque, insufficienti a formulare un giudizio di gravità indiziaria.
Si lamenta, altresì, il mancato accertamento, da parte dei giudici di merito, dell’effettivo verificarsi dell’intervento, da parte di NOME COGNOME, sul teste NOME COGNOME delle modalità dell’eventuale condizionamento e degli effetti determinatisi a seguito dello stesso.
L’errata identificazione di NOME COGNOME costituisce dato introdotto, nel procedimento a carico del predetto, dalle dichiarazioni del coimputato NOME COGNOME, ossia da fonte non dipendente da alcuna attività dell’imputato NOME COGNOME.
Peraltro, sono rimaste senza adeguata illustrazione le circostanze in cui sarebbe stata effettuata l’illecita interlocuzione con COGNOME e gli effetti concreti sarebbero stati prodotti, specie se si considera che lo stesso COGNOME, evidentemente, non ha recepito la mafiosità del messaggio inviatogli, essendo rimasto assente alle prime udienze davanti all’Autorità giudiziaria innanzi alla quale avrebbe dovuto rendere le dichiarazioni di favore verso COGNOME.
12.8. Con l’ottavo motivo viene lamentata la motivazione tautologica e autoreferenziale con riguardo al capo 15), ossia il delitto di associazione dedita al
narcotraffico.
Riepilogato lo stato dell’elaborazione giurisprudenziale in tema di elementi costitutivi dell’associazione, viene evidenziata la mancata emersione di profili dai quali desumere l’esistenza di una minima organizzazione.
In particolare, secondo la ricostruzione operata dal ricorrente circa i rapporti tra NOME COGNOME ed NOME COGNOME e i ripetuti viaggi compiuti dagli stessi nella zona di Maregrosso, non sarebbero risultati elementi sufficienti per affermare che quelle relazioni e la presenza nella citata zona di Messina fossero giustificate dal coinvolgimento nel traffico di sostanze stupefacenti.
Peraltro, il presunto sodale a capo del quartiere di Maregrosso (NOME COGNOME) nel periodo di interesse investigativo, si trovava in semilibertà, con obbligo di rientro alle ore 22.00.
Non sarebbe stata esplorata, inoltre, la tesi difensiva secondo cui era con l’omonimo cugino di NOME COGNOME, anch’egli abitante nella zona di Mareg rosso, che NOME e COGNOME avrebbero dovuto incontrarsi.
L’estraneità di NOME COGNOME a quel contesto associativo, inoltre, risultava dal contenuto di alcune intercettazioni espressamente citate.
Anche il mancato sequestro di sostanza stupefacente (ad eccezione dell’episodio del 29 giugno 2018) viene richiamato quale elemento che depone per l’insussistenza dell’ipotizzato sodalizio avente ad oggetto la commercializzazione di droga.
12.9. L’ultimo motivo di ricorso ha ad oggetto il trattamento sanzionatorio in ordine alla mancanza di adeguata motivazione circa la sua determinazione nella misura finale di venti anni di reclusione, all’esito del riconoscimento della continuazione con i fatti di cui alle sentenze della Corte di appello di Messina del 18 maggio 2020 e del 12 luglio 2021 e della Corte di appello di Reggio Calabria del 13 gennaio 2022.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME articolando otto motivi con i quali eccepisce distinti profili di violazione di legge e motivazione mancante e illogica, tutti di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
13.1. Il primo motivo ha ad oggetto l’affermata penale responsabilità in ordine al delitto di cui all’art. 611 cod. pen. descritto al capo 9).
Nel motivare la relativa statuizione, i giudici di merito sarebbero incorsi in un evidente travisamento della prova in quanto l’oggetto della conversazione tra NOME COGNOME e NOME COGNOME posta a fondamento della loro affermata responsabilità, non era NOME COGNOME bensì NOME COGNOME, ossia il soggetto che
avrebbe dovuto essere contattato dallo steso COGNOME tramite il fratello NOME COGNOME.
D’altronde, agli atti manca qualsiasi prova dell’avvenuto contatto tra COGNOME e COGNOME che, peraltro, non si è presentato alle prime udienze per le quali era stato convocato davanti al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto.
Carente è, altresì, l’indicazione sulle modalità della prospettata coartazione, oltre che sulla effettiva soggezione determinatasi in capo a Vecoli.
13.2. Con il secondo motivo viene censurata la sentenza laddove è stata ritenuta la responsabilità per il reato consistito nella raccolta di scommesse clandestine (capo 10)).
La relativa dimostrazione sarebbe stata ricostruita attraverso una conversazione del 5 novembre 2017 nell’area antistante il bar di NOME COGNOME; conversazione dal contenuto generico, non univocamente interpretabile con riguardo ai soggetti che vi sono menzionati.
Le indagini, infatti, hanno consegnato la dimostrazione dell’attività svolta presso il bar INDIRIZZO (attività alla quale COGNOME era estraneo) con esclusione di altre riferibili al ricorrente.
13.3. Per i reati di cui ai capi 12) e 13) (due delitti previsti dall’art. 512 bis cod. pen.), il terzo motivo, segnala le seguenti carenze ricostruttive.
In ordine alla fattispecie di cui al capo 12), i giudici di merito avrebbero omesso di considerare l’assenza dell’elemento materiale e di quello soggettivo, avendo ad oggetto l’intestazione un ente privo di patrimonio e beni strumentali (trattandosi di una ASD associazione sportiva dilettantistica) ed essendo carente qualsiasi illustrazione del dolo specifico che deve assistere la condotta degli autori di tale reato.
Sul punto, la censura si sofferma sulla carenza di dimostrazione, in capo al terzo intestatario, della consapevolezza di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione.
Per il capo 13) viene segnalato il mancato interessamento di COGNOME alla nascita del centro Internet Betland della cui gestione si è occupato sempre il solo effettivo intestatario, ossia NOME COGNOME.
La nascita dell’attività non ha richiesto un investimento ingente, né avrebbe potuto essere valorizzato, in chiave dimostrativa della intestazione fittizia l’interessamento di COGNOME per la modesta ristrutturazione dei locali.
Inoltre, l’attività è rimasta operativa per un brevissimo arco temporale.
13.4. Il quarto motivo ha ad oggetto l’affermazione della penale responsabilità per il delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen. di cui al capo 1) del procedimen riunto n. 5639/21 r.g.n.r.
Sul punto, il ricorrente, lamenta la mancata considerazione delle risultanze di
cui a una consulenza di parte a firma del dott. COGNOME in ordine all’avvio dell’attività commerciale e alla natura «rilevante» degli investimenti iniziali.
A ciò, il ricorrente aggiunge il riferimento allo svolgimento di regolare attivit lavorativa alle dipendenze della figlia NOME nell’azienda denominata INDIRIZZO, una delle due asseritamente oggetto di intestazione fittizia.
Non sarebbe emerso, quindi, lo svolgimento di alcuna attività imprenditoriale da parte del ricorrente.
Inoltre, la Corte avrebbe dovuto valutare che, trattandosi di intestazione dell’attività in capo alla figlia del ricorrente, doveva ritenersi operante presunzione di cui all’art. 26, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 e in tale ottica avrebbe dovuto essere valutata l’intera operazione commerciale, ferma restando la necessità di accertare l’effettiva capacità elusiva dell’intestazione.
13.5. In relazione alla fattispecie di cui al capo 14) (intestazione fittizia ex art. 512 bis cod. pen.) del locale Re Carlos, con il quinto motivo di ricorso, si rileva che i giudici di merito avrebbero omesso di considerare quanto dichiarato negli interrogatori di garanzia degli imputati COGNOME e COGNOME.
L’intestazione a quest’ultimo è avvenuta per mere ragioni di natura amministrativa e l’avvio dell’attività è stato finanziato con le sovvenzioni de fornitori di caffè.
13.6. Con il sesto motivo viene contestata la ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen. con riferimento al delitto di c all’art. 611 cod. pen. descritto al capo 9) dell’imputazione.
Alcun elemento sarebbe, infatti, emerso in relazione al metodo utilizzato.
13.7. Con il settimo motivo viene eccepito che la pena base per il delitto più grave di cui al capo 9) è stata determinata in misura prossima al massimo edittale senza adeguata motivazione.
13.8. Con l’ottavo motivo si censura la sentenza per la mancanza totale di motivazione con riguardo alla disposta confisca dei beni in sequestro.
Si tratta dei beni che, benché intestati a terzi, sono stati ricondotti al disponibilità di COGNOME il quale non possedeva le disponibilità economiche per acquisirli.
Le indicazioni provenienti dall’informativa della Guardia di Finanza del 27 aprile 2021 sono state contrastate da quanto illustrato nella consulenza di parte a firma del commercialista COGNOME il cui elaborato non risulta essere stato preso in considerazione dalla Corte di appello di Messina.
Le argomentazioni spese dal giudice di primo grado per smentire la fondatezza dei rilievi del consulente erano state contestate nell’atto di impugnazione che, tuttavia, non è stato oggetto di valutazione.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME articolando due motivi per violazione di legge e motivazione mancante ed illogica, tutti di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessar per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
14.1. Con il primo, con riferimento alla ritenuta penale responsabilità per il delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen. contestato al capo 13), esclude l’emersione di elementi attestanti il proprio coinvolgimento nella nascita del punto Internet Betland.
Il ricorrente sostiene di essersi occupato della diretta gestione dell’attivi commerciale della quale, quindi, era titolare effettivo; circostanza non esclusa dal fatto che COGNOME aveva, comunque, interesse nel «piazzare» propri siti online.
L’apertura dell’attività non ha richiesto capitali ingenti. Quelli necessari p l’avvio dell’attività non sono stati investiti da COGNOME il quale si è limitat interessarsi della modesta ristrutturazione. L’attività, inoltre, è rimasta operativ per soli due mesi.
14.2. Con il secondo motivo la sentenza viene contestata per il diniego delle circostanze attenuanti generiche, nonostante la segnalazione della scarsa capacità a delinquere e della incensuratezza del ricorrente COGNOME
La stessa Corte di appello ha contenuto la pena nel minimo edittale e concesso il beneficio della sospensione condizionale.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME articolando quattro motivi secondo lo schema della violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., tutti di seguito riassu entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp att. cod. proc. pen.
15.1. Con il primo contesta la violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. sotto il profilo della mancanza di motivazione sull’eccezione di ne bis in idem proposta con riguardo alla sentenza dell’operazione RAGIONE_SOCIALE, ormai passata in giudicato.
Sul punto, nonostante la richiesta espressamente formulata all’udienza di discussione e risultante dal verbale di udienza, la Corte di appello ha omesso di provvedere.
15.2. Il secondo motivo riguarda la violazione dell’art. 649 cod. proc. pen. in ragione della identità del fatto per il quale il ricorrente è stato già condannat rispetto a quello per il quale pende il presente procedimento.
Le condotte estorsive per le quali COGNOME ha riportato condanna definitiva (consistite, essenzialmente, nella propria imposizione come buttafuori in alcune discoteche) sarebbero state oggetto di una duplicata contestazione con conseguente violazione della disposizione processuale richiamata.
In entrambe le sentenze COGNOME ha riportato condanna per lo stesso fatto storico, ossia avere preteso, con minaccia, dazioni di denaro per conto di COGNOME dai gestori di locali notturni e da coloro che vi effettuavano il servizio d’ordin imponendo la propria presenza come buttafuori.
15.3. Il terzo motivo riguarda la violazione della disposizione che prevede l’incremento di pena nel caso di natura armata dell’associazione mafiosa (art. 416bis, comma quarto, cod. pen.).
Anche sul punto l’atto di appello conteneva una specifica censura rimasta senza risposta atteso che non risulta, in alcun modo, spiegata la consapevolezza, da parte di COGNOME, della disponibilità di armi da parte del sodalizio.
15.4. Con il quarto motivo si censura la sentenza nella parte in cui sono state negate le circostanze attenuanti generiche con motivazione che, sul punto, sarebbe graficamente assente.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME articolando due motivi per violazione di legge e motivazione mancante e illogica, tutti di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessar per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
16.1. Il primo motivo riguarda l’affermazione della penale responsabilità per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 rispetto al quale, sin dall’atto appello, era stata segnalata la natura episodica e fugace del contributo offerto dal ricorrente.
Questi non è stato mai sottoposto ad intercettazioni. Inoltre, non gli è stato mai contestato alcun reato fine.
A carico del ricorrente sono stati valorizzati tre episodi desunti da altrettante captazioni (9 novembre 2017, 21 febbraio 2018, nonché la n. 1044 – non altrimenti indicata) dal contenuto non univoco e non tali da potere affermare la penale responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio.
Alcun concreto apporto avrebbe fornito il ricorrente alle fondamentali attività di approvvigionamento e organizzazione del sodalizio.
A fronte di un arco temporale che va da settembre 2017 a luglio 2018, la presenza del ricorrente in sole tre intercettazioni, non poteva essere posta a fondamento della ritenuta partecipazione al sodalizio dedito al narcotraffico.
16.2. Il secondo motivo riguarda la ritenuta recidiva che sarebbe stata giudicata sussistente pur a fronte della omessa verifica della possibilità di ritenere la reiterazione dell’illecito sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e d pericolosità, all’esito di una valutazione concreta degli illeciti commessi da ricorrente.
Non sarebbe stato valutato il ruolo secondario di NOME all’interno del
sodalizio.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME articolando tre motivi declinati secondo la descrizione dei vizi di violazione di legge e motivazione mancante e illogica, tutti di seguito riassunti entro i limit strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
17.1. Il primo ha ad oggetto la condotta di partecipazione al sodalizio mafioso di cui al capo 1).
All’interno dell’esercizio commerciale gestito dalla ricorrente (ritenuto la base operativa dell’associazione) non è stata captata alcuna conversazione rilevante ai fini della dimostrazione dell’esistenza del gruppo mafioso.
Né avrebbe potuto assegnarsi rilievo alla consapevolezza, da parte della ricorrente, dei «traffici illeciti del fratello», integrando tale condizione, al un’ipotesi di connivenza non punibile, non già di partecipazione alla medesima associazione.
La sentenza ha trascurato di considerare le rimostranze della donna per la condotta del germano e l’estraneità della stessa alle attività di convocazione degli accoliti.
D’altronde, la condotta di gestione delle scommesse clandestine di cui al capo 5) svolta all’interno del bar della Lo INDIRIZZO (fattispecie – unico reato fine contestato alla ricorrente – ritenuta provata dalla Corte di appello) è stata giudicata svincolata dal contesto associativo, con la conseguente esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen. originariamente ipotizzata e ritenuta dal giudice d primo grado.
Né la condotta associativa avrebbe potuto essere desunta da quella consistita nel consegnare derrate alimentari in favore delle famiglie dei detenuti, siccome non sintomatica della effettiva partecipazione al fenomeno associativo e di un contributo effettivo e concreto alla vita dell’associazione.
17.2. Con il secondo motivo i vizi sono eccepiti in merito alla circostanza aggravante della natura armata dell’associazione mafiosa.
Nel caso di specie, la motivazione della Corte di appello di Messina ha valorizzato quanto emerso al capo 7) della rubrica con riguardo a soggetti diversi dalla ricorrente che mai ha avuto consapevolezza del possesso di armi.
17.3. Con il terzo motivo le censure si appuntano sul diniego delle circostanze attenuanti generiche motivato dalla Corte di appello pretermettendo, senza motivazione alcuna o con argomentazioni di mero stile, le circostanze fattuali richiamate nell’atto di appello (il limitato contributo al sodalizio e la modest capacità a delinquere).
Sarebbe mancata una valutazione concreta dell’effettivo disvalore delle condotte della ricorrente.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME affidandosi a due motivi di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. at cod. proc. pen.
18.1. Con il primo eccepisce violazione di legge e mancanza di motivazione con riguardo alle carenze ricostruttive dei giudici di merito in ordine all’elemento soggettivo del dolo specifico che deve sorreggere la condotta affinché sia integrato il reato di cui all’art. 512-bis cod. pen.
Sul punto si segnala la totale carenza di motivazione.
Non adeguatamente esplorato sarebbe stato il profilo della mancanza, in capo all’azienda oggetto della fittizia intestazione, di beni strumentali ovvero di un patrimonio suscettibile di confisca.
L’imputato aveva un interesse personale nel gioco del biliardo praticato nella sala e, pertanto, nel perseguire tale scopo ha assunto la carica all’interno dell’associazione sportiva.
18.2. Con il secondo motivo vengono eccepiti la violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento alla circostanza che, previa esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen., il reato in contestazione (commesso il 7 maggio 2015) si era estinto per prescrizione il 7 novembre 2022, ossia prima della pronuncia della sentenza di appello.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME articolando due motivi di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
19.1. Con il primo deduce violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla condanna riportata per il delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen. cui al capo 14), evidenziando la mancata emersione della commissione di un qualsiasi fatto, atto o comportamento inquadrabile nella norma asseritamente violata.
La Corte di appello di Messina avrebbe acriticamente recepito la decisione di primo grado e omesso, tuttavia, di motivare in ordine al dolo specifico richiesto per l’integrazione del reato contestato al ricorrente.
La condotta di interposizione è stata ritenuta assertivamente dimostrativa della finalità elusiva della condotta, pur essendo la prima del tutto neutra, se non sostenuta dal dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale.
Il dolo specifico è stato ricavato dalla circostanza che COGNOME non ha avuto «voce in capitolo» nella gestione dell’azienda, laddove, invece, lo stesso ha contribuito in termini decisivi all’attività dell’esercizio commerciale con il propr lavoro di barman professionista.
Da alcun elemento sarebbe emerso che il ricorrente fosse a conoscenza della caratura criminale del coimputato COGNOME (peraltro assolto dall’imputazione del reato associativo) e, dunque, della finalità elusiva perseguita dallo stesso.
19.2. Con il secondo motivo eccepisce violazione di legge e vizi di motivazione con riguardo all’esclusione delle circostanze attenuanti generiche.
I giudici di merito hanno pretermesso di considerare la breve durata dell’attività aziendale, la mancanza di profitto in capo all’imputato, il suo comportamento processuale, le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio e la mancanza di precedenti penali.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME articolando tre “motivi strutturati in termini promiscui di violazioni legge e vizi di motivazione, tutti di seguito riassunti entro i limiti strettamen necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
20.1. Con il primo eccepisce di avere proposto appello avverso la sentenza di primo grado segnalando la mancanza della condizione di procedibilità, essendo il delitto previsto dal capo 16) procedibile a querela.
La Corte di appello ha, tuttavia, ritenuto che si verta in tema di lesioni gravissime procedibili d’ufficio ai sensi dell’art. 583-quinquies cod. pen. che si pone in linea di continuità normativa con l’art. 583, comma secondo, n. 4, cod. pen.
Tuttavia, per effetto degli artt. 2 e 3 d.lgs. n. 150 del 2022, non essendo configurabili lesioni di durata superiore a quaranta giorni, il reato è procedibile a querela che non risulta mai essere stata proposta.
20.2. Il secondo motivo riguarda la ritenuta recidiva rispetto alla quale manca la motivazione dalla quale desumere che il reato commesso, in rapporto ai precedenti penali dell’imputato, costituisce espressione di un incremento della sua pericolosità sociale.
Difetta, nella fattispecie, una completa valutazione soggettiva idonea a individuare un preciso rapporto tra il più recente episodio di devianza e i precedenti penali.
20.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 63, comma quarto, cod. pen., stante la ricorrenza della ipotesi aggravata di cui all’art. 583 comma secondo, n. 4, cod. pen. e della recidiva di cui all’art. 99 cod. pen.
Nel caso di specie avrebbe potuto essere applicato solo l’aumento previsto per la circostanza più grave, aumento suscettibile di ulteriore incremento fino alla
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misura di un terzo.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME articolando tre motivi di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
21.1. Con il primo eccepisce violazione di legge e motivazione mancante o manifestamente illogica con riguardo alla ritenuta sussistenza del delitto associativo di narcotraffico di cui al capo 15).
Sul punto, la Corte di appello avrebbe omesso di motivare sulle censure sollevate con l’atto di appello avverso la sentenza di primo grado.
In particolare, la ritenuta partecipazione di NOME al sodalizio è stata affermata, per come già evidenziato nell’atto di appello, nonostante non sia emerso alcun episodio di detenzione o cessione di sostanza stupefacente da parte del ricorrente.
A tale proposito, non sarebbe sufficiente quanto evidenziato in sentenza circa l’effettuazione di diversi viaggi in Calabria all’inizio del 2018 con lo scopo contribuire all’approvvigionamento della sostanza stupefacente.
In tal senso deporrebbe anche la circostanza che non vi sono stati episodi di sequestro di sostanza stupefacente, nonostante i servizi di osservazione e pedinamento delle forze dell’ordine.
Ciò che è emerso, piuttosto, è solo un rapporto di frequentazione tra COGNOME ed NOME COGNOME; circostanza che, al più, poteva far sorgere un motivo di sospetto, ma, in assenza di elementi ulteriori, non già la prova della configurabilità di un’associazione.
Lo stesso contributo fornito da COGNOME al recupero del credito vantato da COGNOME nei confronti di NOME COGNOME costituisce un post factum rispetto alla transazione illecita di cui al capo 19) (reato non contestato a NOME) e, dunque, è inidoneo a sostenere l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato.
Pertanto, la condanna per tentata estorsione in concorso con NOME COGNOME, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte messinese, non costituisce elemento valorizzabile ai fini della penale responsabilità per il delitto in questione. ·
In sostanza, sarebbero mancati elementi certi in chiave dimostrativa dell’inserimento stabile dell’imputato nel sodalizio criminale di cui al capo 15).
21.2. Con il secondo motivo vengono eccepite violazione di legge e carenza di motivazione per la mancata riqualificazione del reato in esame nella ipotesi più lieve di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990.
In particolare, avuto riguardo alla natura rudimentale dell’organizzazione, alla tipologia di sostanze stupefacenti trattate, al modesto quantitativo di droga commercializzato, alla prevalente destinazione della sostanza allo spaccio al minuto e alla brevità dello spazio temporale in cui il gruppo ha operato (tutti
aspetti già segnalati nell’atto di appello) è dato riscontrare un difetto motivazione, trattandosi di profili non presi in considerazione dai giudici del gravame.
21.3. Con il terzo motivo i medesimi vizi di cui al punto precedente sono eccepiti con riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio, con particolare riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Rispetto a tale profilo si censura la sentenza per avere adottato moduli decisori e motivazionali comuni a tutti gli imputati ripetendo, pur a fronte di profili personal diversi, le medesime argomentazioni fondate sulla gravità delle condotte e sulla mancanza di elementi positivamente valorizzabili.
Ciò nonostante, sin dall’atto di appello erano state segnalate plurime circostanze fattuali idonee (proprio in ragione delle caratteristiche dell’associazione) a giustificare una mitigazione del trattamento sanzionatorio.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME articolando due motivi di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
22.1. Con il primo eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione per essere stata ricostruita la partecipazione del ricorrente al gruppo dedito al narcotraffico sulla scorta di una singola e isolata condotta di detenzione a fine di spaccio per la quale ha riportato condanna definitiva.
Una disamina piena ed effettiva dell’intero materiale indiziario avrebbe consentito di escludere l’adesione all’associazione.
La condotta di trasporto della sostanza dalla Calabria a Messina è stata posta in essere in virtù del fatto che, in precedenza, COGNOME aveva contratto un debito che doveva ripianare proprio ponendo in essere quella condotta di trasporto.
Da alcun elemento poteva desumersi la sua adesione al gruppo e in tal senso depongono anche le dichiarazioni rese dal padre, NOME COGNOME
La vicenda del trasporto per il quale ha riportato condanna era del tutto slegata dal contesto associativo e connessa, piuttosto, a ragioni di natura personale che prescindevano da qualsiasi programma associativo.
22.2. Con il secondo punto del ricorso il ricorrente chiede, essendo pendente alla data di proposizione del ricorso la questione di legittimità costituzional relativa all’entità della pena di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 (iscrizione ruolo n. 1 del 2024) e nel caso di accoglimento della stessa, l’annullamento con rinvio per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
La parte civile “RAGIONE_SOCIALE” – in persona del legale rapp.te p.t. NOME COGNOME e con il patrocinio dell’avv. NOME COGNOME h
rassegnato conclusioni, a mezzo delle quali ha chiesto ritenersi infondati i ricorsi presentati dagli imputati e, per l’effetto, ne ha domandato il rigetto o l declaratoria di inammissibilità, presentando nota spese.
24. Il Procuratore generale ha chiesto:
in accoglimento del ricorso di NOME COGNOME annullare senza rinvio la sentenza con riferimento al delitto contestato al capo 12) della rubrica per estinzione dello stesso per intervenuta prescrizione;
in accoglimento parziale del ricorso di NOME COGNOME annullare la sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio alla Corte d’appello di Messina;
in accoglimento del ricorso di NOME COGNOME l’annullamento senza rinvio della sentenza, con riferimento al delitto contestato al capo 12) della rubrica, per estinzione dello stesso per intervenuta prescrizione;
il rigetto dei ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
in accoglimento parziale del ricorso di NOME COGNOME l’annullamento della sentenza, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio alla Corte d’appello di Messina;
la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
Sono parzialmente fondati, nei sensi e nei termini sotto chiariti, solo i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, limitatamente ad aspetti quali la recidiva e le generiche, ovvero il trattamento sanzionatorio e il beneficio della sospensione condizionale della pena; tali ricorsi sono – quanto alle residue doglianze – da disattendere. Parimenti infondati o inammissibili sono, nei termini che si diranno, gli ulteriori ricorsi.
Al solo fine di contestualizzare le vicende per le quali è processo, si può richiamare la ricostruzione storica e oggettiva contenuta nella sentenza impugnata, parzialmente già sintetizzata in parte narrativa. Può dirsi, quindi, che il presente giudizio riguarda due distinte associazioni mafiose operanti in Messina, rispettivamente nei quartieri “INDIRIZZO” e “INDIRIZZO“, al vertice delle quali
erano posti NOME COGNOME e NOME COGNOME; si era formata, inoltre, una associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, anch’essa operante in Messina.
La sussistenza dell’associazione operante nel quartiere INDIRIZZO è stata desunta da intercettazioni telefoniche, captazioni ambientali, dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME, da servizi di polizia giudiziaria; l’atti dell’associazione si è dipanata in una serie di attività tipiche delle organizzazioni di stampo mafioso, quali l’usura e l’estorsione, nonché nei settori del gioco d’azzardo e della gestione delle scommesse illecite. Il convincimento dei giudici di merito, circa la sussistenza dell’associazione di Maregrosso, invece, ha tratto alimento in special modo da una serie di vicende di natura estorsiva giudicate separatamente, con sentenza ormai passata in giudicato.
A fondamento della ritenuta sussistenza della contestata associazione dedita al narcotraffico, la sentenza impugnata ha posto una serie di accertamenti di polizia giudiziaria, le numerose captazioni, i monitoraggi tramite sistema gps di veicoli, gli accertamenti sulle utenze telefoniche, nonché sommarie informazioni testimoniali e sequestri, uno dei quali anche di rilevante entità, di sostanza stupefacente.
Gli ulteriori reati sussunti nelle varie contestazioni – alcuni costituenti reati fine delle varie associazioni – spaziano da fatti di natura estorsiva alla gestione del gioco e delle scommesse illegali, per giungere alla fittizia intestazione e a reati i materia di armi.
Stante la particolare complessità della materia trattata, si rende necessario un breve inquadramento di carattere dogmatico e metodologico.
Quanto ai limiti del sindacato consentito in sede di legittimità, dunque, è opportuno premettere – tenuto conto che il difetto è comune a più motivi di ricorso, che denunciano il vizio della motivazione – come il compito del giudice di legittimità non consista nel sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito; tale compito si sostanzia invece esclusivamente nel fatto di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione degli stessi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995 dep. 1996, Clarke, Rv. 203428; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 dep. 2004, Elia, Rv. 229369; Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Moro, Rv. 215745).
3.1. Dall’affermazione di questo principio, si traggono alcuni corollari.
In linea generale, esula dai poteri della Corte di cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell’iter argomentati di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o non dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione.
Con riferimento al vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., se è vero che esso è ravvisabile non solo quando manca completamente la parte motiva della sentenza, ma anche qualora non sia stato considerato un argomento fondamentale per la decisione espressamente sottoposto all’analisi del giudice, il concetto di mancanza di motivazione non può essere tanto esteso da includere ogni omissione concernente l’analisi di determinati elementi probatori. Invero, un elemento probatorio estrapolato dal contesto in cui esso si inserisce, non posto a raffronto con il complesso probatorio, può acquisire un significato molto superiore a quello che gli è attribuibile in una valutazione completa del quadro delle prove acquisite. Ritenere il vizio di motivazione per l’omessa menzione di un tale elemento nella sentenza comporterebbe il rischio di annullamento di decisioni logiche, e ben correlate alla sostanza degli elementi istruttori disponibili.
Per ovviare ad un tale rischio, la Corte di legittimità dovrebbe valutare la portata dell’elemento additato dalla difesa nel contesto probatorio acquisito, con una sovrapposizione argomentativa che sconfinerebbe nei compiti riservati al giudice di merito (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 254988; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, COGNOME, Rv. 239789).
3.2. Venendo al più specifico tema del «vizio di manifesta illogicità» della motivazione, va osservato che il relativo controllo viene esercitato esclusivamente sul fronte della coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilità, per il giudice di legittimità, di verificare se i risultati dell’interpre delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo; sicché nella verifica della fondatezza, o meno, del motivo di ricorso ex art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., il compito della Corte di cassazione non consiste nell’accertare la plausibilità e l’intrinseca adeguatezza dei risultati dell’interpretazione delle prove, coessenziale al giudizio di merito, ma quello, ben diverso, di stabilire se i giudici di merito: a) abbian esaminato gli elementi a loro disposizione; b) abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti; c) nell’interpretazione delle prove abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
3.3. Ne consegue che, ai fini della denuncia del vizio in esame, è indispensabile dimostrare che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, per cui non può essere ritenuto legittimo l’opporre alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una diversa ricostruzione degli stessi, dato che in quest’ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168; Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, COGNOME, Rv. 236540).
3.4. Va poi osservato che, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., ad opera della I. n. 46 del 2006, art. 8, mentre non consentito dedurre il «travisamento del fatto» (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099), stante la preclusione per il giudice di legittimità d sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è invece consentita la deduzione del vizio di «travisamento della prova», che ricorre nel caso in cui il giudice del provvedimento impugnato abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati d giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, COGNOME, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME, Rv. 238215). Sul tema va ancora precisato che la novella codicistica, introdotta con la legge 20 febbraio 2006, n. 46, nel riconoscere la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad «atti processuali», non ha comunque mutato la natura del giudizio di Cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicché gli atti eventualmente indicati devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso (Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina, Rv. 235716). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
L’impugnazione proposta da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile (ricorso riassunto, in parte narrativa, sub 2).
Il ricorrente, in primo grado, è stato condannato alla pena di anni quindici di reclusione, per esser stato giudicato colpevole dei reati di cui ai capi 1 (art. 416bis cod. pen.) e 15 (art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309); in grado di appello previa disapplicazione della contestata recidiva – la posizione di COGNOME è stata
oggetto di concordato sulla pena, fissata nella misura di anni otto e mesi otto di reclusione, a norma dell’art. 599-bis cod. proc. pen. Con la presente impugnazione, l’imputato lamenta che l’accordo intervenuto con il Procuratore generale non prevedesse alcun aumento, con riferimento all’aggravante ex art. 416-bis quarto comma cod. pen.; sostiene che la Corte di appello, pertanto, dovesse dare atto in dispositivo della specifica esclusione di tale circostanza.
Osserva il Collegio che – quanto all’indicazione del trattamento sanzionatorio inerente al Puleo – la pena è stata rideterminata, nei termini sopra detti, previa esclusione della sola recidiva originariamente contestata; non è stata fatta menzione alcuna, dunque, dell’aggravante di cui sopra (si veda quanto riportato a pag. 187 della sentenza impugnata). Il motivo resta, pertanto, privo di un apprezzabile substrato contenutistico, atteso che – per affermazione della stessa difesa – la pena finale corrisponde esattamente a quella oggetto del concordato intervenuto fra le parti in appello. La doglianza difensiva, allora, inerisce unicamente al tema della omessa indicazione espressa, in dispositivo, dell’avvenuta esclusione dell’aggravante della natura armata del sodalizio mafioso, che non sarebbe entrata nel computo della pena. Si tratta, sostanzialmente, di una pretesa “omissione” – in realtà, insussistente, per quanto si dirà subito infra – che resta priva della pur minima conseguenza sfavorevole, per l’imputato.
A tali considerazioni può aggiungersi – e trattasi di rilievo assorbente – che COGNOME, in realtà, ha rinunciato al motivo di gravame concernente la natura circostanziale dell’associazione, avendo egli inteso insistere esclusivamente per i motivi relativi al trattamento sanzionatorio. Si deve qui ricordare, allora, come la rinuncia a tutti i motivi di appello – con eccezione esclusivamente di quelli attinenti alla misura della pena – abbracci anche il motivo di gravame inerente alla sussistenza delle circostanze aggravanti del contestato reato, per essere questo relativo a un punto della decisione distinto e autonomo, rispetto a quello afferente al trattamento sanzionatorio (fra tante, si veda Sez. 4, n. 46150 del 15/10/2021, Cella, Rv. 282413 – 01). L’eventuale mancata indicazione – nel computo della pena finale, concordata tra dalle parti e ritenuta congrua dalla Corte territoriale di un determinato aumento (cosa che non è peraltro richiesta, dal momento che l’art. 416-bis, quarto comma, cod. pen. determina la pena in modo autonomo) integrerebbe, peraltro, un trattamento sanzionatorio non rispondente alla legge, bensì favorevole per l’imputato e non oggetto di avversa impugnazione.
Giova infine ricordare il principio di diritto, in forza del quale «In tema d “patteggiamento in appello”, è irrilevante l’eventuale difformità tra l’itinerar commisurativo della pena riportato in sentenza e quello concordato dalle parti, allorché, comunque, la pena finale corrisponda a quella su cui è intervenuto l’accordo» (Sez. 5, n. 668 del 29/09/2021, dep. 2022, Aiosa, Rv. 282530 – 01).
Non può che pervenirsi, dunque, a una declaratoria di inammissibilità, sulla base di due ordini di ragioni
in quanto, una volta che risulti formato il concordato sulla pena in appello, è ammissibile il ricorso per cassazione soltanto laddove vengano dedotti motivi concernenti la formazione della volontà della parte di accedere al concordato, oppure inerenti al consenso espresso dal Pubblico ministero in ordine alla richiesta o, infine, concernenti la decisione assunta dal Giudice, quando presenti un contenuto difforme rispetto all’accordo (principio dettato da Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170 – 01 e al quale fa eccezione solo quanto stabilito da Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284481 – 01, secondo la quale: «Nei confronti della sentenza resa all’esito di concordato in appello è proponibile il ricorso per cassazione con cui si deduca l’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza»), mentre, nel caso di specie, il contenuto della decisione non è in nulla difforme dall’accordo;
atteso che si è in presenza di una censura del tutto aspecifica e formulata in una situazione di sostanziale carenza di interesse, in capo all’imputato.
Il ricorso presentato da NOME COGNOME soggetto condannato alla pena di anni dodici di reclusione, per esser stato ritenuto responsabile dei reati sub 1 (art. 416-bis cod. pen.) e 15 (art. 74 T.U. stup.), unificati sotto il vinc della continuazione, è interamente da disattendere, per le ragioni di seguito chiarite.
5.1. Presentano una matrice comune e ben si prestano, pertanto, a una agevole trattazione unitaria, i primi due motivi; il primo, infatti, aggredisce generale la sussistenza dell’associazione criminosa ex art. 416-bis cod. pen., mentre il secondo si incentra – in maniera più specifica – sull’aspetto relativo all ritenuta intraneità, a tale compagine delinquenziale, del ricorrente (motivi rispettivamente enumerati, in parte narrativa, sub 3.1. e 3.2.).
La difesa, dunque, contesta la sussistenza del sodalizio criminoso di stampo mafioso, affermando come il clima di intimidazione emerso fosse riconducibile al solo NOME COGNOME, piuttosto che all’esistenza e all’operatività di una compagine malavitosa propriamente detta; la prospettazione difensiva è nel senso, quindi, che l’attitudine intimidatoria derivasse al COGNOME – in via esclusiva – dal suo personale carisma criminale e che tale capacità di assoggettamento non si sia riverberata sull’esistenza di una associazione criminosa.
5.1.1. È anzitutto noto che, mediante la particolare formulazione dell’articolo 416-bis cod. pen., il legislatore ha adottato un modello descrittiv dell’illecito tratto dalla concreta esperienza criminologica, essendo stata compiuta
una valorizzazione di taluni elementi connotanti la fattispecie (in particolare, i fatto di avvalersi della forza di intimidazione del vincolo associativo, oltre che dell correlate condizioni di assoggettamento e di omertà) desunti da dati «fenomenologici», riscontrati in alcune realtà territoriali del nostro Paese.
Ne è scaturita una sorta di “alterazione”, rispetto all’ordinario metodo di incriminazione delle fattispecie orientate alla tutela dell’ordine pubblico, le qual rampollano dal rilievo penalistico del solo accordo, finalizzato alla commissione indeterminata di delitti (cui si accompagni un minimum di base organizzativa); il carattere «tipico» dell’associazione che possa dirsi mafiosa, infatti, è riscontrabile solo laddove l’accordo tra più soggetti sia oggettivamente ricollegabile – per il metodo operativo seguito, per la qualità soggettiva degli associati, per il radicamento criminale sul territorio – da un concreto effetto di «intimidazione ambientale», tale da rendere possibile il perseguimento dei particolari fini previsti dalla norma (alterazione delle regole del mercato, alterazione dei rapporti tra privati e pubbliche amministrazione nell’aggiudicazione di appalti, o realizzazione di profitti ingiusti mediante lo svolgimento di attività illecite).
Pur non postulando, pertanto, la norma in parola la necessaria consumazione di delitti-scopo, nonché prevedendo la punibilità anche per le sole condotte associative di per sé considerate (stante la natura di reato di pericolo sia pure concreto – in rapporto al bene protetto), è infatti evidente (ed in tal senso si parla di reato associativo a struttura mista) che i caratteri tipici dell’associazione de qua, prima evidenziati, rendono necessario un minimo di operatività, o comunque esigono l’esistenza di una concreta carica intimidatoria, derivante dal modo di atteggiarsi o di comportarsi – anche pregresso – da parte di quei soggetti, che rendano con chiarezza riconoscibile all’esterno tale fondamentale caratteristica (sul punto, si vedano Sez. 2, n. 18773 del 31/03/2017, Lee, Rv. 269747 – 01 e Sez. 1, n. 35627 del 18/04/2012, Amurri, Rv 253457).
In altre parole, va detto che una associazione può essere qualificata, in sede giudiziaria, come «di stampo mafioso» esclusivamente ove risulti che il suo modus operandi sia fortemente caratterizzato da un uso (almeno potenziale) della violenza o della minaccia, tali da ingenerare quel senso di timore e di insicurezza per la propria persona o per i propri beni, che induce la generalità dei consociati a piegarsi alle diverse richieste di vantaggi provenienti dagli associati.
5.1.2. Nella concreta fattispecie, la difesa ricorrente – dialogando direttamente con il materiale probatorio posto a fondamento della decisione, oltre che invocandone una difforme valutazione di merito – contesta dunque tanto la sussistenza dell’associazione mafiosa, quanto l’organicità alla stessa del COGNOME.
La Corte territoriale – quanto a tale specifico profilo – ha invece adottato un apparato motivazionale di ineccepibile tenuta logica, privo di qualsivoglia forma di contraddittorietà e, pertanto, meritevole di rimanere al riparo da qualsivoglia stigma, in sede di legittimità. I giudici del merito, infatti, hanno ben delineato elementi dai quali si coglie la sussistenza del sodalizio, attivo in particolare ne settori dell’usura e dell’estorsione, oltre che del controllo del gioco d’azzardo e delle scommesse illegali. Viene fatta espressa menzione, poi, dell’esistenza di rapporti di tipo gerarchico, tra i vari associati, richiamando il tema del “mutuo soccorso” e dell’ausilio, che i sodali si prestavano fra loro, evidentemente riconoscendosi quali componenti di un organismo delinquenziale di carattere unitario.
Non risulta stato nemmeno tralasciato – nella sentenza impugnata – il rilevante profilo rappresentato dal controllo esercitato dal gruppo sul territorio, giustamente reputato quale indicatore fortemente sintomatico della costituzione di una compagine di tipo mafioso. Una forma di predominio e una modalità di gestione delle varie attività svolgentesi sul territorio di radicamento, che si sono esercitate – nella concreta fattispecie – anche mediante il recupero di refurtiva che era stata sottratta, in forza di reati perpetrati “senza permesso”, appunto nel territorio “di competenza”, così come – secondo una logica distorta, ma correlata e consequenziale, rispetto al concetto di “controllo del territorio” – nell “autorizzazione”, rilasciata ad altri soggetti, in vista del compimento di fat delittuosi.
La Corte territoriale, inoltre, ha analizzato la valenza dimostrativa – ai fin della sussistenza dell’organizzazione rilevante ai sensi dell’art. 416-bis cod. pen. della commissione di reati fine, con particolare riferimento ai reati acclarati nel processo, già concluso in via definitiva, denominato “RAGIONE_SOCIALE“. Il convincimento della Corte, sul punto, ha tratto alimento anche dall’esistenza di numerose conversazioni, ritenute atte a rendere chiara l’esistenza e l’operatività della compagine mafiosa, oltre che l’ampia notorietà della caratura criminale del Lo Duca, quale promotore della stessa.
Trattasi di una motivazione congruente e lineare, che non viene minimamente disarticolata dalle reiterative e fattuali deduzioni difensive.
La tesi della riferibilità della capacità di intimidazione al solo COGNOME quale singolo, del resto, non può trovare cittadinanza, avendo la Corte territoriale dato ampiamente conto della riferibilità all’intero gruppo – qualificabile in termini d mafiosità – della specifica attitudine a sprigionare autonomamente, per il solo fatto della sua esistenza, una carica intinnidatrice effettiva ed obiettivamente riscontrabile, capace di piegare ai propri fini la volontà di quanti si fossero trova a entrare in contatto con i soggetti affiliati all’organismo criminale. L’argomento
dialettico della capacità intimidatoria “autonoma”, ossia ascrivibile al solo soggetto posto in posizione apicale, in tale contesto, presenta connotati oltremodo singolari ed è radicalmente eccentrica, rispetto agli elementi di valutazione e conoscenza versati nell’incarto processuale, che vengono tratteggiati in modo ineccepibile nella sentenza impugnata. Costituisce dato pacifico, del resto, come la presenza all’interno dell’insieme dei sodali – di soggetti già condannati per delitti di mafia, comunque di personalità dotate di una caratura criminale spiccata, idonea a fungere “da traino”, rispetto alle altrui potenzialità, determini la trasmissione d tali potenzialità, contagiando di sé l’intera struttura associativa.
Né a difformi lumi conduce la deduzione ulteriore, imperniata sulla asserita non riconducibilità a COGNOME di una condotta di tipo partecipativo all’associazione mafiosa. E infatti, la Corte territoriale – quanto alla specifi tematica – si diffonde nella descrizione storica dei vari episodi, ritenuti evocativi della intraneità del soggetto al sodalizio, riuscendo a descrivere una serie di fatti che reputa particolarmente significativi, quanto alla piena partecipazione del soggetto alle attività delinquenziali poste in essere dal clan. Viene fatto riferimento, quindi, al recupero di refurtiva indebitamente sottratta da soggetti non autorizzati; alla esecuzione di ordini, provenienti dal soggetto posto in posizione apicale, all’interno del gruppo, ossia dal Lo Duca; alla mediazione svolta nei riguardi di altre associazioni; alla riscossione di un debito usurario per conto del sodalizio; ai rapporti intessuti con altri membri dell’organizzazione e, infine alla partecipazione ad “azioni punitive”, volte a consolidare la posizione dell’organizzazione di appartenenza.
A fronte delle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, le deduzioni difensive devono ritenersi inammissibili, in quanto adducono ragioni e osservazioni prevalentemente versate in fatto, oltre che manifestamente infondate; su tali deduzioni, questa Corte di legittimità non può pronunciarsi, visto che si chiede al Collegio, sostanzialmente, di ricostruire la vicenda in maniera alternativa, rispetto a quanto deciso dai giudici di merito (ex multis, Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205621; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; Sez. 4, n. 47891 del 28/09/2004, Mauro, Rv. 230568). Nel caso di specie, non sussistono manifeste illogicità o incongruenze, nella motivazione della sentenza impugnata, mentre deve rilevarsi l’inammissibilità della richiesta di rivedere le circostanze di fatto relative alla ricostruzione dell’intero quadro probatorio, che ha portato ad individuare i ricorrenti quali soggetti partecipi della sopra detta cosca; a tale conclusione, i Giudici di merito sono pervenuti sulla base di una molteplicità di fonti di prova, delle quali viene dato ampiamente conto nel provvedimento impugnato.
Del resto, non può essere revocato in dubbio che le sopra enucleate condotte possano pienamente configurare la condotta tipica del partecipe all’associazione di cui all’art. 416-bis cod. pen. La giurisprudenza di legittimità infatti, ha da tempo costruito tale figura giuridica – distinguendola nettamente dal concorrente esterno – in termini perfettamente compatibili con gli elementi evidenziati dalla Corte territoriale, quanto all’attuale imputato.
Al partecipe di una associazione mafiosa, dunque, è riferibile un rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare non tanto uno “status” di appartenenza, bensì un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, COGNOME, Rv. 231670; più di recente, Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889 – 01). Secondo le Sezioni Unite, la partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali dai quali – in virtù di attendibili regole di esperienza, attinenti propriamente fenomeno della criminalità di stampo mafioso – sia consentito logicamente inferire la “appartenenza” (il ruolo del partecipe, dunque), purché si tratti di indizi gravi precisi. Tra questi rientrano’ esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura del qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e però significativi “facta concludentia”; trattasi di indicatori idonei, sebbene senza alcun automatismo probatorio, a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione. In tale ampia ricostruzione della variegata fenomenologia partecipativa mafiosa, la giurisprudenza di legittimità ha fatto rientrare la permanente “disponibilità”, al servizio dell’organizzazione, a porre in essere attività delittuose, anche di bassa manovalanza (Sez. 5, n. 48676 del 14/5/2014, Calce, Rv. 261909), giungendo a ritenere che non sia necessario catalogare, in un ruolo stabile e predefinito, la condotta del singolo associato, poiché il sodalizio mafioso è una realtà estremamente dinamica e multiforme, che si adegua continuamente alle modificazioni del corpo sociale ed all’evoluzione dei rapporti interni tra gli aderenti, per cui le modalità di partecipazione possono essere le più diverse e addirittura assumere caratteri coincidenti con normali esplicazioni di vita quotidiana o lavorativa (Sez. 5, n. 6882 del 6/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266064; si veda anche Sez. 5, n. 32020 del 16/03/2018, COGNOME, Rv. 273571, a mente della quale: «Ai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso, l’investitura formale o la commissione di reati-fine funzionali agli interessi dalla stessa perseguiti non sono essenziali, in quanto rileva la stabile ed organica compenetrazione del soggetto Corte di Cassazione – copia non ufficiale
rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica ma unitaria degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all’interno dello stesso, che emergono anche da significativi “facta concludentia”»; si veda, infine, Sez. 2, n. 31541 del 30/5/2017, COGNOME, Rv. 270468, che conferisce rilievo alle “frequentazioni” stabili con mafiosi, in presenza di determinate condizioni di riscontro).
Ancora con riferimento alla seconda doglianza, occorre aggiungere come non sia esatta l’affermazione secondo la quale l’assenza di imputazioni non consenta di valorizzare determinate condotte illecite, che risultino commesse nell’interesse dell’associazione. Le peculiarità dei singoli associati, le tendenze impulsive frutto di personalità dotate di particolare e personale iniziativa, invece, sono compatibili con le dinamiche associative, che non sono limitate ai casi di sodalizi gelidamente privi di tensioni interne. Proprio i tentativi di ricondur nell’ordine le tendenze a prevalere rappresentano, dal punto di vista interno dell’associazione, uno dei dati rivelatori dell’interesse all’unitarietà dell’azione.
5.2. Il terzo motivo aggredisce la ritenuta sussistenza della natura armata della contestata associazione di stampo mafioso (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 3.3.).
5.2.1. È utile precisare come la Corte distrettuale abbia dimostrato di saper fare buon governo del principio di diritto, ripetutamente fissato dalla giurisprudenza di legittimità, a mente del quale – in presenza di una organizzazione di tipo mafioso – affinché possa essere configurata la circostanza aggravante del carattere armato, il dettato normativo non postula l’esatta individuazione delle armi stesse, essendo bastevole l’accertamento – in punto di fatto – della disponibilità di un armamento; tale dato può legittimamente esser tratto, ad esempio, dai fatti di sangue riconducibili al gruppo criminale, o anche dal contenuto delle intercettazioni (Sez. 2, n. 22899 del 14/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284761; Sez. 6, n. 55748 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271743; Sez. 1, n. 44704 del 05/05/2015, lana, Rv. 265254).
Noto è altresì come – una volta che venga acclarata la disponibilità di armi, da parte dell’associazione per delinquere di stampo mafioso – la mancanza di una diretta disponibilità delle stesse, in capo al singolo partecipe, non possa valere ad escludere la configurabilità della circostanza aggravante a carico dello stesso; è sufficiente, infatti, che il sodalizio – o i singoli aderenti – abbiano la disponibil tali strumenti (Sez. 1, n. 4357 del 25/06/1996, Trupiano, Rv. 205498); trattasi di una forma di manifestazione del reato associativo, quindi, che è configurabile a carico di ciascun partecipe, che risulti consapevole del possesso di armi ad opera degli associati, ovvero che ignori tale dato per colpa (Sez. 2, n. 50714 del 07/11/2019, COGNOME, Rv. 278010; Sez. 2, n. 31541 del 30/05/2017, COGNOME, ut
Rv. 270467; Sez. 5, n. 52094 del 30/09/2014, COGNOME, Rv. 261334; Sez. 6, n. 42385 del 15/10/2009, COGNOME, Rv. 244904; Sez. 1, n. 13008 del 28/09/1998, COGNOME, Rv. 211901).
5.2.2. Le argomentazioni spese dalla Corte di appello, quanto alla necessaria correlazione, fra il possesso dell’arma e il perseguimento degli scopi dell’associazione mafiosa risulta ampia e priva di profili di qualsivoglia incoerenza (Sez. 6, n. 15528 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281212 – 01; Sez. 2, n. 13682 del 08/01/2009, Aveta, Rv. 243948 – 01); tale còrrelazione, peraltro, viene contrastata dalla difesa attraverso deduzioni di contenuto apodittico, così da costruire un motivo di tenore fortemente generico e rivalutativo.
Il fatto che la disponibilità di armi, in realtà, fosse da porre in stre collegamento con le finalità criminali associative, viene ricavato dalla Corte territoriale sia dalla disponibilità di un’arma da parte di COGNOME (fatto sussunto al capo 7 della rubrica), sia dal dato che questi avesse la disponibilità di una pistola giocattolo, adoperata nell’ottica di non rischiare di essere sorpreso con armi vere e poter realizzare, comunque, un chiaro effetto di intimidazione. La motivazione adottata in sentenza, peraltro, acquista una sua particolare logicità non solo intrinseca, ma anche estrinseca, laddove parametrata agli ulteriori dati di contesto, pure correttamente enucleati dalla Corte di appello (segnatamente, laddove posta in relazione all’ampiezza di attività illecite poste in essere; a carattere storicamente radicato del gruppo malavitoso; al corredo di pregiudizi penali annoverato dal COGNOME, quale figura apicale del gruppo).
Né risulta minimamente contrastata dalla difesa l’affermazione contenuta in sentenza, nel punto in cui vengono addotti – a ulteriore fondamento della ritenuta consapevolezza, in capo al ricorrente, della disponibilità delle armi – i rapporti familiari e personali, ossia l’essere il coimputato COGNOME compagno della madre e la sua dipendenza da COGNOME; trattasi di soggetti che, materialmente, gestivano le armi a disposizione del gruppo e i cui rapporti con il COGNOME contribuiscono – nella prospettiva valutativa prescelta dalla Corte territoriale rendere palese come il ricorrente fosse pienamente conscio della natura armata della compagine mafiosa (si veda quanto riportato in sentenza, a pag. 112).
Per completezza, si osserva poi che la difesa, poi, evita il confronto con la portata dimostrativa – ai fini della sussistenza del carattere armato del sodalizio mafioso de quo dell’episodio di cui al capo 4) della rubrica; tale fatto è ormai coperto da sentenza passata in giudicato ed è contestato – nel presente processo – alla sola COGNOME NOME, per essersi proceduto separatamente nei confronti dei correi. Trattasi di un accadimento, dunque, che ha visto alcuni degli originari coimputati porre in essere una violenta azione lesiva, condotta anche mediante l’esibizione di una pistola e di un coltello. Tale azione veniva posta in essere,
specificamente, con metodo mafioso e con finalità agevolatrice, nei confronti della cosca capeggiata da COGNOME.
5.3. Il quarto motivo inerisce alla ritenuta organicità del ricorrente all’associazione ex art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (motivo enumerato, in parte espositiva, sub 3.4.).
La motivazione adottata dalla Corte territoriale – diversamente da quanto sostenuto dalla difesa – menziona specificamente solo la conversazione del 30/11/2017 e tuttavia si riferisce a una serie di ulteriori conversazioni intercettate che sono ritenute di contenuto rilevante, ai fini della dimostrazione della intraneità del soggetto al sodalizio criminoso di cui sopra. La Corte d’appello, infatti, valuta criticamente – e in maniera estremamente approfondita – le captazioni riportate nella decisione di primo grado (alle pag. 282 e segg. e in quelle immediatamente precedenti, laddove viene illuminato il contesto comunicativo).
Sostiene la difesa, inoltre che NOME COGNOME abbia interagito con il solo COGNOME, mentre la sentenza richiama anche rapporti con COGNOME; tale dato, però, è comunque di valenza significativa praticamente neutra, dal momento che ciò che davvero rileva – in punto di prova, circa la partecipazione di un determinato soggetto all’organismo di carattere associativo – è il fatto che egli, sebbene cooperi esclusivamente con. alcuni dei sodali, sia consapevole dell’esistenza del gruppo. E nella concreta fattispecie, la difesa non ha contestato la portata della sentenza impugnata, laddove vengono evidenziati – oltre che specificamente analizzati – gli elementi dai quali viene desunta l’intraneità del ricorrente, all’organizzazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti (si veda, sul punto, quanto riportato a pag. 157).
Non attaccando tale aspetto – nodale, nella ‘costruzione argomentativa della avversata decisione – la difesa di limita a riportare brani di sentenze di legittimità, senza esplicare alcuna specificità confutativa e mancando di indicare con precisione quali censure, contenute nell’atto di appello, sarebbero rimaste prive di confutazione.
5.4. Il quinto motivo attiene al tema della recidiva (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 3.5.). Il motivo è da disattendere, essendo la risposta fornita dalla. Corte del tutto adeguata, a fronte del tenore della censura difensiva, per come prospettata in sede di gravame.
La decisione reiettiva si basa, infatti, primariamente sulla considerazione della indubbia gravità delle condotte associative; per aggredire tale convincimento, la difesa aveva sottolineato i contrasti spesso insorti fra il ricorrente e il boss COGNOME e che sarebbero stati tali – secondo la tesi difensiva da non potersi reputare realizzato un incremento di pericolosità sociale. Non vi è chi non rilevi, al contrario, come l’argomentazione della difesa si presti a una
lettura diametralmente opposta, essendo la prospettata capacità del COGNOME di porsi in contrasto con COGNOME, figura di vertice del gruppo criminale, univocamente deponente – secondo la comune logica interpretativa e in un’ottica associativa – nel senso di una maggiore e non minore pericolosità. Solo confutativa, infine, è l’ulteriore questione posta dalla difesa, circa la significazio asseritannente scarsa che sarebbe da riconnettere ai pregiudizi penali dell’imputato.
5.5. Il sesto motivo concerne il trattamento sanzionatorio, lamentando la difesa, in particolare, la pretesa infondatezza del diniego delle invocate circostanze attenuanti generiche (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 3.6.).
La censura inerente all’entità della pena è aspecifica e reiterativa, in quanto il giudice di merito non ha affatto omesso di motivare sul punto, avendo valorizzato, anche ai fini dell’art. 133 cod. pen., le caratteristiche del fatto e personalità del soggetto. Dal complesso della motivazione, in ogni caso, emergono tutti gli elementi forza dei quali la Corte distrettuale ha esercitato i propri pot in sede di quantificazione della pena.
Va sottolineato, del resto, come il ricorso non riesca a indicare alcun elemento positivo asseritamente trascurato, nella motivazione della pronuncia impugnata. L’attenuazione della pena scaturente da tale riconoscimento, però, deve essere ancorata a precisi profili ambientali e comportamentali della vicenda, considerata nel suo complesso ed incastonata in un peculiare ambito cronologico, spaziale e storico, o anche ad aspetti della personalità del reo, che lo rendano concretamente meritevole di attenuazione del rigore sanzionatorio; lungi dal divenire mera applicazione consuetudinaria, tale riconoscimento deve ricevere adeguato sostegno, attraverso aspetti concreti emergenti dagli avvenimenti, che militino in senso favorevole al reo. La concessione delle circostanze attenuanti generiche, inoltre, non dovrà mai divenire una pura e semplice concessione di stile, quasi che essa si atteggiasse alla stregua di un diritto, invece inesistente, in capo al colpevole.
Noto è, allora, come le circostanze attenuanti generiche non debbano tradursi nell’inesistenza di elementi negativi, bensì compendiarsi nella esistenza di motivi positivi, atti a giustificare la decurtazione sanzionatoria. La richiesta di generiche quindi, deve connotarsi per l’indicazione di elementi di carattere specifico, con i quali è poi doveroso instaurare un confronto e fornire risposta esaustiva (tale regola ermeneutica, unanimemente affermata dalla giurisprudenza di legittimità, si trova, fra tante, in Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590 – 01, che ha così statuito: «L’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui
assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse»; nello stesso senso, si veda Sez. 1, n. 3529 del 22/09/1993, COGNOME, Rv. 195339 – 01).
Il ricorso di NOME COGNOME è da dichiarare inammissibile (ricorso riassunto in parte narrativa sub 4).
6.1. Il ricorrente è stato condannato in primo grado – previa esclusione della recidiva originariamente contestata, oltre che computata la diminuente del rito – alla pena di anni due e mesi due di reclusione, perché riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. aggravato ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod pen., di cui al capo 12 della rubrica; in secondo grado, la pena è stata rideterminata nella misura di anni uno, mesi cinque e giorni dieci di reclusione, previa esclusione anche dell’aggravante mafiosa (così ai punti nn. 7 e 9.4. del dispositivo della sentenza impugnata). Da ciò, la richiesta di declaratoria di estinzione del contestato reato, per intervenuta prescrizione: rappresenta la difesa che il tempus commissi delicti del reato sub 12 è indicato, in rubrica, nella data del 07/05/2015; il termine massimo di prescrizione, quindi, sarebbe da fissare salvo sospensioni – al 07/11/2022, con conseguente estinzione del reato contestato, in ,data antecedente, rispetto alla pronuncia di secondo grado (07/06/2023).
6.2. La prospettazione difensiva, però, non si confronta in alcun modo con il principio di diritto che, in materia, è stato unanimemente enunciato da questa Corte; è stato più volte chiarito, infatti, come la sospensione dei termini di custodia cautelare, che venga disposta – mediante ordinanza ad hoc in pendenza del termine per il deposito della motivazione, ai sensi dell’art. 304, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., oppure anche nel caso di particolare complessità del dibattimento o del giudizio abbreviato, a norma dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen., produca l’effetto di sospendere il corso della prescrizione, quanto alla posizione di tutti g imputati e con riferimento ad ognuno dei reati per i quali si procede. Tale generalizzata sospensione, dunque, opera indipendentemente sia dalla sussistenza dello stato cautelare dei singoli, sia dal titolo dei reati, in ragione del natura obbiettiva della · causa di sospensione e, correlativamente, della impossibilità di procedere a distinzioni, tra le diverse posizioni dell’unico processo, da intendersi globalmente complesso (si veda Sez. 1, n. 28073 del 08/07/2020, COGNOME, Rv. 279665 – 01; sulla medesima direttrice interpretativa si sono poste Sez. 5, n. 14863 del 21/12/2020, dep. 2021, COGNOME Rv. 281138 – 04, a mente della quale: «La sospensione dei termini di custodia cautelare disposta, con ordinanza impugnabile ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., in pendenza del termine per il deposito della motivazione previsto dall’art. 304, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ovvero nel caso in cui consegua alla particolare complessità del
dibattimento o del giudizio abbreviato ex art. 304, comma 2, cod. proc. pen., determina la sospensione della prescrizione nei confronti di tutti i concorrenti nel medesimo reato, anche se non sottoposti a misura custodiale», nonché Sez. 5, n. 14863 del 21/12/2020, dep. 2021, COGNOME Rv. 281138 – 04; Sez. 2, n. 12809 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 278683 – 01; Sez. 6, n. 29150 del 09/05/2017, COGNOME, Rv. 270696 – 01 e Sez. 6, n. 31875 del 12/04/2016, Armenise, Rv. 267982 – 01).
La questione dell’intervenuta prescrizione, in altri termini, viene dedotta dinanzi a questa Corte, senza apportare alcun elemento argomentativo idoneo a scardinare il qui condiviso orientamento sopra riassunto.
6.3. Ora, in forza di tale regola ermeneutica, il reato ascritto al Cuscinà, sebbene si tratti di imputato non sottoposto a misura cautelare custodiale, non è estinto per prescrizione. Alla data del 07/11/2022, indicata dalla difesa, occorre infatti aggiungere i periodi di sospensione – ciascuno protrattosi per novanta giorni – disposti, in primo e in secondo grado, per la redazione delle motivazioni delle sentenze, ai sensi degli artt. 304 comma 1, lett. c) e c-bis), 544 comma 3 cod. proc. pen., oltre che l’ulteriore termine di novanta giorni disposto – per i medesimo incombente – ex art. 154 disp. att. cod. proc. pen. Ciò consente di fissare il termine prescrizionale – salva la presenza di eventuali ulterior sospensioni – al 3 settembre 2023, ossia ad epoca posteriore, rispetto al momento dell’emissione della sentenza impugnata, come detto, risalente al 7 giugno 2023.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente irrilevanza del successivo decorso del termine di prescrizione.
È principio giurisprudenziale unanimemente condiviso (v., ad es., Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268966 – 01) che il decorso del termine massimo di prescrizione dopo la sentenza di appello, in presenza di ricorso per cassazione inammissibile per manifesta infondatezza o per altre ragioni diverse dalla rinuncia, non consente di dichiarare la causa estintiva del reato (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217266; Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, COGNOME, Rv. 219531), perché consentirebbe al ricorrente di trarre giovamento dal decorso di un periodo di tempo ricollegabile ad una iniziativa processuale priva di qualunque base giuridica.
NOME COGNOME è stata condannata, con “doppia conforme”, alla pena di anni otto di reclusione, per il reato ex art. 416-bis cod. pen. contestato sub 1 della rubrica; la sua impugnazione consta di cinque motivi ed è da disattendere in toto.
7.1. Presentano una matrice comune e, dunque, ben si prestano a una agevole trattazione unitaria, la prima parte del primo motivo, nonché il secondo e il terzo motivo. La prima parte del primo motivo, infatti, lamenta come la sentenza impugnata presenti – quanto alla posizione della COGNOME – un carattere meramente
riproduttivo della pronuncia di primo grado, dolendosi la difesa del fatto che già la sentenza di primo grado sia priva di una sua originalità, per essersi risolta nella mera trasposizione del provvedimento cautelare. Il secondo e il terzo motivo aggrediscono, in maniera più diretta, la ritenuta intraneità della ricorrente all’associazione mafiosa ex art. 416-bis cod. pen.; tali doglianze, correlativamente, auspicano la riconduzione della condotta acclarata, serbata dalla ricorrente, sotto l’egida normativa degli artt. 110 e 416-bis cod. pen (motivi rispettivamente enumerati, in parte espositiva, sub 5.1., 5.2. e 5.3.).
7.1.1. Tali censure sono estremamente generiche e, nel complesso, di vaghissima significazione, non incidendo esse sugli aspetti fondamentali della impugnata decisione. La Corte territoriale, infatti, ha desunto la partecipazione della COGNOME all’organizzazione mafiosa da elementi di variegata congerie, ritenuti tutti tra loro collimanti e univocamente deponenti, quali:
il fatto che tal COGNOME si sia rivolta a lei, affinché ella perorasse la sua caus presso il boss NOME COGNOME (chiarisce la Corte come si trattasse di una persona intenzionata al compimento di furti, in territorio ricompreso nel quartiere “di competenza” di Lo COGNOME, il quale si rivolse a quest’ultimo – per il tramite, appunto, della perorazione della COGNOME – al fine di ottenere una sorta di nulla osta);
dall’essersi ella resa latrice di messaggi di NOME COGNOME nei confronti del figlio (in sentenza, tale fatto è interpretato dalla Corte territoriale quale manifestazione di ansia, nutrita da una madre per i gesti di “ribellione” posti in essere dal figli NOME COGNOME nei confronti del riconosciuto capo della cosca);
dalla sua mancanza di autonomia sotto il profilo economico, tanto da aver ella accettato sempre di buon grado le regalie e gli aiuti che le venivano forniti da COGNOME (la Corte spiega adeguatamente le ragioni in base alle quali reputa non plausibile la tesi difensiva, volta a qualificare tali dazioni alla stregua di me regalie, improntate a un puro spirito solidaristico);
dall’essersi ella spesso attivata – secondo quanto emergente dalle intercettazioni versate in atti – nell’avvisare NOME COGNOME degli esiti dell attività di riscossione poste in essere dal figlio, nell’ambito del giro di usura gesti dal sodalizio;
dall’aver ella proceduto, ancora su incarico di COGNOME, alla riscossione da un ignoto soggetto della somma di euro settecento, venendo autorizzata a trattenere la metà di tale somma (la sentenza impugnata chiarisce quale sia la fondamentale importanza da riconnettere, ai fini della perdurante attività del sodalizio e in vist del consolidamento del potere di questo, a tali attività di illecita riscossione).
La Corte territoriale non manca di ricordare – con riferimento al tema dei rapporti personali, intercorrenti fra la COGNOME e i coimputati – come ella sia
compagna di NOME COGNOME madre di NOME COGNOME e sorella di NOME COGNOME
Tali elementi – sul piano probatorio – sono stati correttamente valutati, in aderenza ai principi di diritto ripetutamente dettati da questa Corte, quali fattor indicativi della partecipazione dell’imputata all’associazione mafiosa. Partecipazione che, stando al consolidato e risalente orientamento di questa Corte, può emergere da una serie non aprioristicamente definibile di indicatori fattuali dai quali – sulla base di regole di esperienza comunemente accettate, nonché inerenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso – sia consentito logicamente inferire la intraneità del soggetto alla compagine mafiosa, dovendosi trattare di elementi gravi e precisi, come ad esempio i comportamenti tenuti, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di “uomo d’onore commissione di delitti-scopo, oltre a una moltitudine di “facta concludentia” di significativa attitudine dimostrativa. Tali indicatori fattuali – seppur fuor qualsiasi automatismo dimostrativo – sono idonei a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione (si vedano Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670 – 01 e Sez. 1, n. 1470 del 11/12/2007, dep. 2008. Addante, Rv. 238839 – 01).
A fronte di tale impianto argomentativo, logico e coerente, la difesa piuttosto che contrastare, sotto il profilo fattuale o logico e deduttivo – la valenz dimostrativa delle condotte che alla Puleo vengono concretamente ricondotte, in funzione di indicatori significativi della organicità della stessa al sodalizio mafioso si impegna in una sterile catalogazione di dati di tenore negativo, elencando quali siano le condotte alla stessa non addebitabili e pretendendo quindi – del tutto incongruamente – di ricavare una prova dell’estraneità della ricorrente all’esito quasi di un procedimento “per esclusione”.
Il terzo motivo si risolve in una censura inerente alla asserita mancanza di motivazione, circa la richiesta di riqualificazione delle condotte ascritte all’imputata quale concorso esterno ad associazione di stampo mafioso.
Non vi è chi non rilevi come la doglianza si dipani sostanzialmente di pari passo, rispetto al motivo che precede: nel momento in cui la Corte si pronuncia in ordine alla sussistenza di una condotta partecipativa di tipo associativo, individuando la volontà di cooperare con il clan, consequenzialmente esclude che possa discorrersi dell’esistenza di un concorrente esterno (la giurisprudenza di questa Corte – quanto alla specifica tematica – è unanime nel ritenere che: «La distinzione tra la condotta di partecipazione ad associazione mafiosa ed il concorso esterno non ha natura meramente quantitativa, ma è collegata alla organicità del rapporto tra il singolo e la consorteria, per cui deve essere qualificato come
contributo di partecipazione quello del soggetto cui sia stato attribuito un ruolo nel sodalizio, anche se lo stesso non abbia mai avuto occasione di attivarsi, mentre, al contrario, va qualificato come contributo concorsuale “esterno” quello delrextraneus”, sulla cui disponibilità il sodalizio non può contare, che sia stato più volte contattato per tenere determinate condotte agevolative, concordate sulla base di autonome determinazioni» (Sez. 2, n. 35185 del 21/09/2020, Cangiano, Rv. 280458 – 02; così anche Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, NOME, Rv. 264625 – 01).
Anche in tal caso, comunque, la critica difensiva si appalesa solo confutativa e praticamente priva di un apprezzabile substrato contenutistico.
7.1.2. Nell’ambito del primo motivo, la difesa anche lamenta di aver eccepito – in sede di gravame – la questione inerente alla prospettata nullità della sentenza appellata, per violazione del diritto di difesa e a causa del mutamento della persona del giudice, nonché con riguardo alla prospettata incompatibilità di due dei membri dell’odierno Collegio, per aver essi deciso il processo recante numero 141/21. Anche tale deduzione è da disattendere.
La ricorrente, richiamando non pertinente giurisprudenza in materia cautelare, muove dal rilievo – manifestamente infondato – secondo il quale al giudice di secondo grado non sia consentito integrare la motivazione della sentenza del primo giudice. Basta ricordare, sul punto, come la struttura giustificativa della sentenza di appello vada a saldarsi con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando – come avvenuto nel caso in esame – i giudici del gravame’, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei, rispetto a quelli adoperati dal primo giudice, nonché operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione oggetto di gravame (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
Ma soprattutto, e più radicalmente, va ribadito che la mancanza assoluta di motivazione della sentenza in relazione a un capo d’imputazione non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante, senza che ciò comporti la privazione per l’imputato di un grado del giudizio. (Sez. 6, n. 1270 del 20/11/2024, dep. 2025, Diana, Rv. 287505 – 01).
La difesa, infine, si duole del mancato rilievo dell’eccezione preliminare della ricorrente. Deve anzitutto precisarsi, però, come la Corte territoriale si si
già pronunciata sullo specifico tema (si veda quanto riportato a pag. 96 della sentenza impugnata), adottando una motivazione del tutto immune da critiche e, peraltro, non efficacemente attaccata dalle reiterative deduzioni difensive. Soprattutto, deve rilevarsi come venga in argomento una questione giuridica, in relazione alla quale, nel giudizio di legittimità, non può essere dedotto – come invece impropriamente fatto dalla difesa – il vizio di motivazione (si veda il dictum di Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, NOMECOGNOME Rv. 280027-05, a mente della quale: «In tema di ricorso per cassazione, i vizi di motivazione indicati dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non sono mai denunciabili con riferimento alle questioni di diritto, non solo quando la soluzione adottata dal giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l’intervenuta violazione di legge»).
7.2. Con il quarto motivo, si avversa il ritenuto carattere armato dell’associazione di stampo mafioso (motivo enumerato, in parte espositiva, sub 5.4.). La doglianza è esattamente sovrapponibile al terzo motivo proposto nell’interesse di NOME COGNOME (supra, par. 5.2.); è sufficiente, pertanto, operare un mero richiamo alle valutazioni svolte in relazione a questo, per disattendere la presente censura.
7.3. Il quinto motivo inerisce al trattamento sanzionatorio, dolendosi la difesa, in particolare, del diniego delle auspicate circostanze attenuanti generiche (motivo enumerato, in parte espositiva, sub 5.5.).
Trattasi di motivo inammissibile, atteso che esso si compendia nella mera critica alla decisione assunta dalla Corte territoriale, senza farsi carico di addurr specifici elementi positivamente valutabili e mancando, inoltre, di precisare quale parte della motivazione possa eventualmente essere considerata carente, ovvero quali indicatori fattuali non siano stati considerati dalla Corte territoriale, oppu se siano riscontrabili contraddizioni nella struttura motivazionale della sentenza impugnata. Essendo restata carente la specificazione degli elementi e delle circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza della richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, l’onere di motivazione del relativo diniego risulta soddisfatto, quindi, anche attraverso il mero richiamo alla ritenuta assenza di indicatori di segno positivo (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266460-01).
Considerazioni sovrapponibili possono porsi, più in generale, quanto alla critica attinente al trattamento sanzionatorio adottato, atteso che la censura difensiva si limita ad invocare una mera rivalutazione di elementi fattuali, appartenenti al perimetro valutativo demandato al giudice di merito; non vengono indicate, anche in tal caso, specifiche omissioni o contraddizioni, rientranti nella rosa dei vizi deducibili ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen.
8. Il ricorso di NOME COGNOME è fondato, esclusivamente quanto al motivo inerente al mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena (l’impugnazione della COGNOME si trova riassunta, in parte narrativa, sub 6). Trattasi di persona condannata in primo grado alla pena di mesi otto di reclusione, per il reato di cui agli artt. 390 e 416-bis. 1 cod. pen., contestato sub 22 della rubrica, con fissazione del tempus commissi delicti sino al 18 novembre 2020; in appello – previa esclusione dell’aggravante mafiosa – la pena è stata rideterminata nella misura di mesi sei di reclusione.
8.1. Con il primo motivo, la difesa sostiene la insussistenza del reato di cui all’art. 390 cod. pen.
La Corte territoriale – contrariamente all’assunto difensivo – ha però desunto la sussistenza della penale responsabilità dell’imputata da elementi specifici e concreti, dotati di inequivoca significazione ed esposti secondo un percorso argomentativo lineare, oltre che privo di aspetti contraddittori o discrasie logiche. A fondamento della ritenuta colpevolezza della ricorrente, dunque, sono stati posti i tanti contatti telefonici avuti dalla stessa con il fratello NOME, all’epoca resosi latitante per essersi sottratto alla semilibertà. Nell motivazione della avversata decisione, inoltre, si trova il riferimento alla condotta materialmente tenuta dall’imputata in ausilio del fratello, compendiatasi essenzialmente nel fatto di premurarsi di verificare come procedessero i lavori di preparazione del “bunker”, in cui poi sarebbe stato ritrovato il latitante NOME COGNOME.
A fronte delle argomentazioni spese dalla Corte di appello, la difesa si limita a proporre una censura di pura e semplice contestazione, che si confronta direttamente con i dati processuali e non già con la motivazione della sentenza, secondo il paradigma stabilito dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., in forza del quale il vizio della motivazione – per avere rilievo in sede di legittimità deve essere desumibile dal testo del provvedimento impugnato. L’inosservanza della regola comporta che la doglianza aggredisca il merito della decisione impugnata, introducendo una rivalutazione in fatto che è preclusa nel giudizio di legittimità. Noto è, infatti, secondo quanto rilevato in principio, come questa Corte non abbia il potere di procedere ad una autonoma valutazione, adottando propri e diversi parametri di ricostruzione dei fatti, ritenuti così maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, in quanto il giudice di legittimità esclusivamente il compito di controllare se la motivazione esposta dai giudici del merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 – dep. 2017, La Gumina, Rv 269217).
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8.2. È fondato, invece, il secondo motivo sussunto nell’atto di impugnazione, laddove la difesa si duole della mancata risposta alla richiesta di concessione della sospensione condizionale della pena, definendo incensurata l’imputata.
Tale beneficio era stato espressamente chiesto, come risultante dalla stessa sentenza impugnata (pag. 36); la Corte territoriale, però, ha mancato di offrire risposta al punto specifico del gravame (pag. 188 della sentenza impugnata), così come, del resto, aveva fatto il giudice di primo grado (pag. 351). La visione del certificato del casellario, infine, mostra la fondatezza della deduzione difensiva, atteso che la COGNOME risulta incensurata.
L’impugnazione è dunque da accogliere, limitatamente a tale motivo, dovendosi ricordare come la nozione di mancanza di motivazione, di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., si riferisca tanto alla carenza sotto il profi grafico, disciplinata dall’art. 125 stesso codice, quanto all’assenza dei necessari passaggi e delle argomentazioni indispensabili, al fine di rendere l’intero percorso logico comprensibile, nonché verificabile da parte del giudice sovraordinato e completo – sotto l’aspetto minimo – anche in ordine alle risposte da dare alle istanze rilevanti e pertinenti avanzate dall’interessato.
L’impugnazione proposta da NOME COGNOME deve essere dichiarata inammissibile (ricorso riassunto in parte narrativa sub 7).
9.1. Il ricorrente è stato condannato in primo grado alla pena di anni due e mesi due di reclusione, per i reati ex artt. 390 e 378 cod. pen., entrambi con l’aggravante mafiosa, rispettivamente contestati sub 22 e 23 della rubrica; nel corso del giudizio di appello, COGNOME ha definito la propria posizione ex art. 599-bi cod. proc. pen., concordando la pena di anni uno e mesi quattro di reclusione. Deduce un motivo unico, a mezzo del quale lamenta che – sebbene la pena finale risulti correttamente calcolata, grazie all’elisione della suddetta circostanza aggravante a effetto speciale – non vi sia stata la relativa indicazione in dispositivo. L’interesse a impugnare risiederebbe – in ipotesi difensiva – nel non poter beneficiare del disposto di cui all’art. 656 comma 5 cod. proc. pen.
9.2. La doglianza è manifestamente infondata e, a monte, non sorretta da alcun interesse a conseguire un risultato favorevole.
La Corte territoriale ha argomentatannente ribadito, nei riguardi del COGNOME e con riferimento ad entrambe le imputazioni, la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. (v., quanto al reato di cui al capo 22, pag. 186, in cui si differenziano le finalità del ricorrente da quelle di NOME COGNOME e quanto al capo 23, pag. 187 della sentenza impugnata).
La mancata indicazione di un esplicito aumento a tal fine nella pena concordata realizza solo, a tutto voler concedere, un vantaggio per il ricorrente, che, come si diceva, quest’ultimo non ha interesse a rimuovere.
10. NOME COGNOME e NOME COGNOME (cl. 1989) hanno presentato un ricorso unico, che si snoda in nove motivi, solo alcuni dei quali sono comuni a entrambi. NOME COGNOME è stato condannato, in primo grado, alla pena di venti anni di reclusione, per i reati sub 15 (art. 74 T.U. stup.), 20 (estorsione con l’aggravante mafiosa) e 21 (art. 416-bis cod. pen.), previa unificazione degli stessi in continuazione, nonché applicazione della recidiva e della diminuente del rito; in appello, la pena è stata fissata in anni venti di reclusione, comprensiva della pena riferita ai reati giudicati con la sentenza della Corte di appello di Messina del 12/07/2021, unificati in continuazione; NOME COGNOME è stato condannato, in primo grado, alla pena di anni nove di reclusione, per il reato contestato sub 21 della rubrica (art. 416-bis cod. pen.), previa applicazione dell’aumento per recidiva e operata la diminuzione per il rito; in secondo grado, tale pena è stata confermata.
10.1. Con il primo motivo, comune, la difesa rappresenta di aver eccepito la nullità della sentenza di primo grado, per essere la stessa esattamente riproduttiva del provvedimento cautelare; ripropone ora il medesimo tema, deducendo una carenza motivatoria, quanto alla specifica doglianza proposta in sede di gravame (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 8.1.).
La doglianza è inammissibile per aspecificità, atteso che non indica – con il necessario dettaglio – quali siano le omissioni o le riproduzioni, rispetto al provvedimento cautelare, né chiarisce quale sia la valenza disgregante del preteso vizio, sulla saldezza complessiva della motivazione. È possibile, peraltro, operare un integrale rinvio alle valutazioni già compiute, con riferimento al primo motivo di NOME COGNOME (v. supra sub 7.1.2).
10.2. Con il secondo motivo, comune, viene aggredito il profilo della sussistenza del reato associativo ex art. 416-bis cod. pen. (motivo enumerato, in parte espositiva, sub 8.2).
10.2.1. In ipotesi difensiva, non sarebbero convincenti gli elementi dai quali si è desunta la sussistenza di un’associazione mafiosa, al cui vertice vi sarebbe stato NOME COGNOME e alla quale avrebbe preso parte NOME COGNOME; in particolare, la Corte territoriale avrebbe adottato – in ipotesi difensiva – un motivazione apparente, per disattendere le eccezioni formulate dalla difesa, circa il fatto che le mere relazioni intersoggettive, pacificamente esistenti fra coimputati, non consentissero di individuare la ritenuta struttura plurisoggettiva. La motivazione, in sostanza, si sarebbe limitata a richiamare le modalità esecutive dei delitti già accertati aliunde, ossia nel diverso procedimento penale denominato
“RAGIONE_SOCIALE“; assolutamente irrilevanti risulterebbero, poi, le dinamiche che connotano i rapporti tra i rei, le modalità di suddivisione dei ruoli e compiti nonché l’esistenza di una base logistica, individuata nell’abitazione del De Luca, all’epoca in regime di semilibertà.
Dalle dichiarazioni rese da NOME COGNOME e da NOME COGNOME, in particolare, si evincerebbe come i profili minatori o violenti, che connotano gli accertati reati estorsivi, derivino dall’evocazione dello spessore criminale del solo NOME COGNOME, quest’ultimo inteso, però, come singolo e non quale elemento di vertice di un gruppo criminale, peraltro da lui stesso organizzato e diretto.
10.2.2. Relativamente all’astratto inquadramento giuridico del modello legale ex art. 416-bis cod. pen. e, quindi, per ciò che attiene alle modalità di emersione degli elementi strutturali di tale figura tipica, si può richiamare quanto sopra già esposto in via generale, nell’analisi di analogo motivo formulato nell’interesse di NOME COGNOME (si veda il paragrafo 5.1.1.).
Quanto all’esame specifico della censura, ritiene questo Collegio che contrariamente alla prospettazione difensiva – la Corte distrettuale abbia adottato un apparato argomentativo ampio e coerente, oltre che privo di alcun profilo di contraddittorietà, sia essa logica, che infratestuale. La ricostruzione di carattere storico e oggettivo, circa la sussistenza di una associazione a delinquere di stampo mafioso, attiva nel quartiere “INDIRIZZO” di Messina e facente capo a NOME COGNOME, risulta particolarmente agevolata dal fatto che una serie di condotte, dalle quali la Corte di appello ritiene di poter far discendere, appunto, la prova dell’esistenza e operatività di tale cosca, risultino ormai cristallizzate in pronunc passate in cosa giudicata (in particolare, nella sentenza emessa all’esito della cd. Operazione RAGIONE_SOCIALE).
La Corte di appello, segnatamente, ha sottolineato la valenza dimostrativa – al fine che ora interessa – dei vari episodi di estorsione, posti in essere in danno di gestori di locali ,da ballo ubicati nel territorio urbano messinese, oltre ch dell’imposizione agli stessi di servizi di sicurezza; ha anche sottolineato, la Corte territoriale, le varie rapine perpetrate e, in particolare, le modalità attuat sempre adottate. Sono stati richiamati i rapporti interpersonali, che legavano tra loro i vari protagonisti delle vicende e sono stati ben esplicitati, inoltre, gli eleme dai quali è scaturito il convincimento del sicuro carisma criminale, del quale godeva NOME COGNOME, noto con il soprannome “u picciriddu”. Le vittime delle attività estorsive, evidenzia la Corte territoriale, hanno sempre ben percepito il condizionamento e la presenza di un allarmante sodalizio di tipo mafioso, che non ha mai mostrato esitazioni, d’altronde, nel porre in essere rappresaglie e azioni dimostrative di chiara attitudine intimidatoria, volte alla riaffermazione del propri predominio sul territorio. Ulteriore tassello basilare, correttamente, è stato df(
considerato essere la condivisione dei proventi delle attività illecite perpetrate dal clan, a sicura riprova dell’esistenza di un organismo associativo criminale dai tratti identitari ben definiti, che aveva, del resto, anche una propria “base” logistica e operativa. E infine, gli accertamenti compiuti nel distinto processo sopra citato hanno anche consentito, alla Corte territoriale, di affermare come la compagine malavitosa ora in esame potesse contare su una ragguardevole dotazione di armi.
La motivazione, per concludere, è ben articolata e del tutto esaustiva, mentre la doglianza difensiva è interamente versata in fatto, risolvendosi sostanzialmente nell’auspicio di una nuova interpretazione di intercettazioni e dichiarazioni e, in tal modo, domandando il compimento di una operazione eccentrica, rispetto alle prerogative di questa Corte.
10.3. Il terzo motivo, relativo al solo NOME COGNOME, attiene alla partecipazione del ricorrente all’associazione capeggiata da NOME COGNOME (motivo enumerato, in parte espositiva, sub 8.3.).
La sentenza impugnata poggia – quanto allo specifico profilo – su una struttura motivazionale di particolare saldezza, che chiarisce adeguatamente da quali indicatori fattuali sia scaturito il convincimento della Corte territoriale, ci l’intraneità di COGNOME all’organizzazione mafiosa di cui sopra. Vengono dunque evidenziati, quali fattori significativi in tal senso: – il ruolo svolto dall’imp presso i vari locali, al fine di creare una condizione di sottomissione e timore in capo ai gestori degli stessi, utile a favorire poi l’accondiscendenza alle successive richieste estorsive; – il ruolo di soggetto attivo negli episodi di rapina; – la vicinanza a COGNOME, circostanza ben nota alle vittime dei vari episodi di natura estorsiva; – l’impiego di armi.
A fronte di tale motivazione, la difesa non riesce a oltrepassare la soglia della mera doglianza generica, rivalutativa e versate in fatto.
È noto, però, che il ricorso per cassazione non può essere fondato su motivi che ripropongano le medesime ragioni esposte in precedenza, ossia già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame; motivi di tal genere, infatti, devono esser considerati non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, secondo il parametro della indeterminatezza, bensì anche per la mancanza di correlazione, tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (fra tante, si vedano Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468; Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710).
10.4. Con il quarto motivo, comune, si contesta il fatto che il sodalizio sub 21 sia da ritenersi armato (motivo enumerato, in parte espositiva, sub 8.4.).
È allora utile precisare come tanto la sentenza di appello, quanto quella del Giudice dell’udienza preliminare, abbiano adottato strutture motivazionali ampie, logiche e, inoltre, tra loro collimanti (si vedano, in particolare, le pagg. 178 del sentenza impugnata e 327 della sentenza di primo grado). La difesa avversa tali motivazioni, sostenendo come la Corte territoriale non si sia fatta carico di chiarire – con adeguate argomentazioni – per quale ragione ritenga che le armi fossero nella disponibilità dell’associazione mafiosa, piuttosto che del singolo, o dei singoli associati.
Secondo il convincimento sussunto nella sentenza impugnata – oltre al contenuto di una intercettazione – ciò che determina il carattere armato dell’organizzazione malavitosa è la disponibilità di armi, acclarata grazie alla commissione dei reati fine, già giudicati con sentenza definitiva. A fronte di tale motivazione – e senza riuscire a sgretolarne l’impostazione concettuale e la tenuta logica – la critica difensiva si compendia nell’affermazione sopra detta, che presenta una connotazione meramente negativa e oppositiva. Limitarsi ad affermare, però, che non è chiarito per quale ragione si ritenga che le armi fossero nella disponibilità dell’associazione e non del singolo, o dei singoli associati, non concretizza un effettivo dialogo con la motivazione della sentenza impugnata e, quindi, resta una asserzione semplicemente generica e reiterativa.
L’argomento difensivo è viepiù privo di pregio, laddove si consideri che i reati fine, commessi con uso di armi, sono stati considerati uno degli indici rivelatori dell’esistenza del sodalizio; la disponibilità delle armi, se esiste la logi non può quindi che essere ricondotta al gruppo e non ai singoli. Trattasi in definitiva, anche in questo caso, di un motivo da disattendere.
10.5. Il quinto motivo, relativo al solo NOME COGNOME, attacca il profilo della ritenuta configurabilità di un’organizzazione finalizzata al traffico di sostanz stupefacenti (motivo enumerato, in parte espositiva, sub 8.5.).
10.5.1. Per ciò che attiene all’inquadramento tecnico-giuridico del reato associativo ex art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, è noto come gli elementi strutturali contemplati da tale modello legale siano così riassumibili:
esistenza di un vincolo associativo – coinvolgente almeno tre individui continuativo, diretto ad attuare il piano criminoso e destinato a permanere anche dopo la consumazione dei singoli reati programmati;
ricorrenza di un’organizzazione stabile di attività personali e di beni economici, con l’impegno di apportarli anche in futuro, in funzione del perseguimento del progetto delinquenziale;
esistenza di un programma delittuoso condiviso, consistente nella commissione di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti;
esistenza della coscienza e volontà, in capo ai sodali, di partecipare e contribuire concretamente alla vita durevole della organizzazione, al fine di attuare il programma delittuoso della stessa.
Il coefficiente psicologico postulato è costituito dalla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione dell’accordo, quindi del programma delittuoso, in modo stabile e permanente (Sez. 3, n. 27450 del 29/04/2022, Aguì, Rv. 283351 – 04). Ciò non implica, necessariamente, che tutti gli associati abbiano l’intenzione di porre in essere identici fatti penalmente rilevanti, né che il singo partecipante conosca e sia in rapporto con tutti gli altri sodali; è però essenziale che ciascun associato abbia la consapevolezza che la propria attività si vada a incastonare in un complesso di operazioni, strumentali rispetto alla realizzazione dello spaccio e del traffico di stupefacenti.
Circa la prova della commissione del delitto de quo, la giurisprudenza ritiene – con voce unisona – che la stessa vada desunta dalla sussistenza di una serie di episodi: fatti specifici che – per quanto singolarmente possano apparire scarsamente significativi – siano invece in grado, laddove considerati secondo un’ottica non atomistica e frazionata ma complessiva, di indurre a ritenere esistente in concreto uno stabile vincolo associativo; il quale deve essere diretto, appunto, alla realizzazione di una serie indeterminata di reati, appartenenti alla specifica tipologia richiamata dalla fattispecie tipica. Si tratta, in sostanza, attribuire rilevanza a dei comportamenti concludenti, dai quali sia possibile evincere che le singole intese, dirette alla consumazione dei vari reati in materia di stupefacenti, indicati dal comma 1 dell’art. 74 T.U. stup., costituiscano l’espressione di un più vasto piano delittuoso e che, pertanto, proprio al fine di perseguire la realizzazione di tale più ampio programma delittuoso, sia sorta la compagine associativa.
Tali facta concludentia GLYPH attenendosi alla pluriennale elaborazione giurisprudenziale – possono essere rappresentati: dalla predisposizione di forme organizzative anche elementari, tali da attribuire ad ogni partecipante un ruolo, seppur variabile; dall’esistenza di una rete di contatti continui tra gli spacciator mediante i quali eventualmente si stabilisca una suddivisione di sfere territoriali di influenza; dall’effettuazione di continui viaggi, volti al rifornimento della sostan stupefacente; dalla disponibilità di basi logistiche e di mezzi materiali, necessari per la perpetrazione delle operazioni delittuose; dall’esistenza di una cassa comune, nonché di specifiche modalità di suddivisione dei proventi; dalla sistematicità e serialità delle trattative, all’interno dell’iter di commercializzazi della droga; dal contenuto economicamente notevole delle transazioni; dalla
commissione di reati rientranti nel progetto delinquenziale e dalle loro specifiche modalità esecutive.
La logica conseguenza della struttura stessa del reato rende, in primo luogo, non indispensabile l’accertamento circa la effettiva commissione dei singoli reati-scopo (fra tante, si veda Sez. 6, n. 40505 del 17/06/2009, Grande, Rv. 245282 – 01)
Infine, la prova dell’attuazione di una o più delle condotte di spaccio non porta automaticamente a ritenere la sussistenza del reato associativo, essendo invece necessaria la dimostrazione dell’accordo criminoso e della struttura organizzativa. La commissione dei reati-fine agevola, però, la prova del delitto associativo, corroborando l’idea della sussistenza di una struttura organizzata.
10.5.2. Nella concreta fattispecie, la Corte territoriale ha adottato – in punto di sussistenza del contestato fenomeno associativo – una motivazione approfondita, logica e priva di qualsivoglia slabbratura razionale. La prova dell’associazione, infatti, viene tratta dal coordinamento fra elementi evocativi di differente genesi e natura, ma tra loro perfettamente combacianti.
La Corte di appello, dunque, richiama gli accertamenti posti in essere nel corso delle indagini di polizia giudiziaria, mediante le numerose captazioni telefoniche; i monitoraggi dei movimenti dei sodali e dei veicoli, effettuat mediante il sistema GPS; i servizi di osservazione e controllo. Viene specificamente analizzata, poi, la valenza dimostrativa attribuibile al sequestro sopra menzionato, avente ad oggetto un rilevante quantitativo di sostanza stupefacente, che veniva rinvenuta presso l’imbarcadero di una società di navigazione, a carico di soggetti che – proprio in quel momento – erano di ritorno da una trasferta in Calabria, finalizzata all’approvvigionamento. Non si è mancato di sottolineare, poi, il valore delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME; si è richiamata, inoltre, l’efficacia probatoria da riconnettere al contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate (che risultano lette in maniera né illogica, né irrazionale e che, quindi, sono sottratte a una rilettura in questa sede, come precisato anche in altra parte della presente sentenza).
Si è al cospetto, in definitiva, di un apparato motivazionale ampio e congruente, che non viene minimamente indebolito dalle rivalutative e tautologiche deduzioni poste a fondamento dell’impugnazione.
10.6. Il sesto e il settimo motivo, entrambi relativi alla posizione del solo NOME COGNOME, si risolvono nella contestazione circa la ritenuta partecipazione di questi all’organismo associativo ex art. 74 T.U. stup. e – in stretta correlazione, rispetto a tale più ampia deduzione – nella critica alla attribuzione a questi della qualità di promotore (motivi rispettivamente enumerati, in parte narrativa, sub 8.6. e 8.7.; il contenuto degli stessi è reiterato e ampliato, peraltro, nella memoria
difensiva e nei relativi motivi aggiunti, così divenendo viepiù agevole l’analisi congiunta di tali doglianze).
La motivazione della sentenza impugnata è analitica e accurata e merita, anche per l’assenza di spunti di contraddittorietà, di restare immune da qualsivoglia stigma in questa sede. La Corte territoriale, infatti, ha richiamato gli elementi dai quali è stata tratta la prova circa il posizionannento del COGNOME in una posizione di vertice, nell’ambito del sodalizio criminale. Sono stati menzionati e analizzati gli esiti delle captazioni versate nell’incarto processuale, nonché le relazioni intessute con gli altri sodali; vi è menzione dei viaggi d approvvigionamento, compiuti da alcuni di essi, oltre che delle sommarie informazioni testimoniali rese da NOME COGNOME padre di uno dei corrieri del gruppo; sono valutate, infine, le dichiarazioni rese da uno dei coimputati. Il tutto è andato a comporre una motivazione logica e congruente; la censura difensiva, a fronte di ciò, è scarna e si dipana con argomentazioni meramente rivalutative e improntate alla pura e semplice contestazione.
10.7. L’ottavo motivo, relativo al solo NOME COGNOME, inerisce alla ritenuta sussistenza della contestata recidiva (motivo enumerato, in parte espositiva, sub 8.8.).
È sufficiente precisare come, in primo grado, l’applicazione della recidiva abbia comportato un incremento sanzionatorio pari ad anni sette di reclusione (si veda quanto ripbrtato, nella sentenza del Giudice dell’udienza preliminare, a pag. 350). La difesa ha chiesto – in sede di gravame – l’esclusione della recidiva, deducendo una serie di argomentazioni a sostegno del motivo (riassunte a pag. 35 della sentenza ora impugnata) e la Corte di appello ha proceduto, infatti, a operare una considerevole diminuzione dell’aumento di pena effettuato nel giudizio di primo grado, portandolo da sette a tre anni di reclusione (si legga quanto riportato a pag. 188 della avversata decisione); hanno però anche contestualmente ribadito, i giudici di appello, trattarsi di fatti idonei a fornir dimostrazione di una pervicace e potenziata attitudine delinquenziale del soggetto.
A fronte di tale motivazione, è del tutto decentrata la critica operata dalla difesa nella presente impugnazione, laddove ci si trincera dietro una insistita ripetizione dei medesimi argomenti già spesi in sede di gravame, senza riuscire a evidenziare illogicità o carenze concretamente valutabili e ad onta della decisione assunta dalla Corte territoriale. Ciò non può che determinare la inammissibilità del motivo.
10.8. Il nono motivo è relativo al solo NOME COGNOME e concerne il diniego, asseritamente immotivato, di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 8.9).
La doglianza è inammissibile. La difesa aveva domandato le generiche in sede di appello, infatti, segnalando trattarsi di soggetto incensurato, al quale sarebbe stata irrogata una pena sproporzionata, rispetto agli “eventi e al contesto in cui è maturata la condotta”. La Corte di appello ha disatteso tale richiesta, evidenziando l’inesistenza di elementi deponenti in senso favorevole per l’imputato, stante la portata e la gravità delle condotte.
Non è però censurabile – nel giudizio di legittimità – la sentenza che non si soffermi su una specifica deduzione prospettata in sede di gravame, allorquando le ragioni poste a fondamento della decisione assunta risultino adeguatamente esplicitate, all’interno dell’apparato motivazionale complessivamente considerato; trattasi di un principio, di portata generale, che ha ricevuto applicazione con riferimento a molteplici istituti “di favore” per l’imputato, tra i quali figur appunto, proprio le generiche (Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, COGNOME, Rv. 284096; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275500; Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, COGNOME, Rv. 256340).
La portata della motivazione esibita dalla Corte territoriale, in realtà, deve essere apprezzata in senso globale, tenendo presente la valutazione compiuta in relazione al ruolo di estremo peso che – secondo l’ottica adottata dalla Corte di appello – è stato rivestito dallo Schepis. Nell’ambito del ragionamento su cui si fonda la sentenza impugnata, quindi, è stato ritenuto talmente preponderante il profilo della gravità dei fatti, che ne rimane inibita ogni eventuale considerazione ulteriore di valenza positiva. La stessa difesa, del resto, manca di indicare un elemento favorevole all’imputato, seriamente fondato e apprezzabile, che possa effettivamente dirsi trascurato dai Giudici del merito.
11. NOME COGNOME è stato condannato in primo grado alla pena di anni undici, per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 (sub 15) e per il reato di spaccio di stupefacenti (sub 17), unificati in continuazione e previo aumento per la contestata recidiva; in secondo grado, è stato assolto dal reato sub 17 della rubrica e la pena è stata rideterminata in anni dieci e mesi otto di reclusione. Il ricorso di COGNOME si articola in quattro motivi.
11.1. Con il primo motivo, viene aggredita la ritenuta sussistenza di una associazione rilevante ex art. 74 T.U. stup. (motivo enumerato, in parte espositiva, sub 9.1.). Sostiene il ricorrente che, a fronte dei contenuti – che bolla come equivoci – dei colloqui intercettati, durante i quali non vi sarebbero riferiment diretti o indiretti, a sostanze stupefacenti, alla loro natura e qualità, ovvero al da ponderale, resterebbe unicamente la mancata effettuazione di sequestri di droga (la stessa difesa, peraltro, menziona nel ricorso il sequestro di 9,53 grammi di marijuana, operato in data 05/04/2018 e quello di 4 kg, sempre di marijuana,
avvenuto il 29/06/2018, al momento dell’arresto in flagranza di NOME COGNOME e NOME COGNOME). Emergerebbe esclusivamente, quindi, un insieme di relazioni interpersonali, finalizzate all’acquisto di un imprecisato quantitativo di sostanza stupefacente. Le vicende relative al recupero del credito nei confronti di NOME COGNOME, infine, rappresenterebbero un post factum del tutto irrilevante, in vista della configurabilità del fenomeno associativo.
Trattasi di una censura esattamente sovrapponibile a quanto esposto nel quinto motivo del ricorso di COGNOME; si rinvia, quindi, alla trattazione che di tale profilo è stata già fatta sopra.
11.2. Il secondo motivo attiene al tema della partecipazione del ricorrente al suddetto sodalizio (motivo enumerato, in parte espositiva, sub 9.2.).
Si può precisare – in chiave di estrema sintesi – come la Corte si sia attentamente soffermata sul profilo della intraneità di Surace alla compagine delinquenziale in esame, traendo il convincimento della sussistenza di tale organicità:
dal relazionarsi dell’imputato con NOME COGNOME fungendo essenzialmente da riscossore dei proventi dello spaccio;
dall’essersi egli rapportato con figure apicali della Provinciale, al fine di dirimere i contrasti insorti, con riferimento a determinati debiti;
dal fatto di sostare periodicamente, in compagnia di NOME COGNOME, nei pressi del bar gestito dalla sorella di questi;
dal ruolo rivestito nell’episodio sub 17, ritenuto di portata particolarmente significativa;
dal tenore dei commenti esternati, quanto alle attività nel settore degli stupefacenti;
dalla acciarata interscambiabilità di Surace con NOME, nello svolgimento del ruolo di esattore e collettore per conto del gruppo delinquenziale (viene fatto espresso rinvio, in motivazione, alla conversazione menzionata all’inizio di pag. 161, a proposito proprio della posizione del NOME; si trova colà riportata, infatti, una captazione ambientale, nel corso della quale alcuni debitori del gruppo, piuttosto che saldare – come da richiesta – i propri debiti con NOME, adducevano di aver già corrisposto quanto dovuto a Surace);
dal fatto di aver relazionato “il capo” sulla necessità di raccogliere soldi (duemila euro) da dichiarati “lavori di strada”.
L’apparato motivazionale, per concludere, è ampio e appropriato, nella attenta analisi del tema della organicità del soggetto al sodalizio e, soprattutto, quanto allo specifico richiamo agli elementi ritenuti evocativi, a tal fine. L doglianza difensiva, per contro, riveste un connotato di assoluta genericità e non
lascia emergere alcun vizio effettivamente rilevante, nell’ambito del giudizio di legittimità.
11.3. Il terzo motivo si riferisce al profilo della mancata esclusione della recidiva qualificata (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 9.3.). La difesa richiamandosi a quanto già sostenuto in sede di gravame – afferma non sussistere ragione alcuna perché non si debba procedere alla esclusione della contestata recidiva specifica e reiterata, affermando che i fatti per i quali si procede non possano essere considerati significativi di un obiettivo salto di qualità, nell’esperienza delinquenziale dell’imputato e, in quanto tali, espressivi di una sua più allarmante pericolosità sociale. Gli stessi precedenti penali annoverati dal ricorrente – ancora attenendosi alla prospettazione difensiva – non sarebbero di allarme sociale tale, da giustificare la contestazione e l’applicazione della suddetta recidiva.
11.3.1. Giova precisare, allora, che l’apprezzamento di tale circostanza nella sua portata di amplificazione sanzionatoria – va operato in concreto, alla stregua dei criteri espressi da Sez. U. n. 35738 del 27/05/2010, COGNOME, Rv 247838 (cfr. Sez. 2, n. 10988 del 07/12/2022, dep. 2023 Antignano, Rv. 284425 – 01 e Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270419 – 01). La giurisprudenza di legittimità – quanto allo specifico tema – ha evidenziato come gravi sul giudice il dovere di verificare, in concreto, se la reiterazione dell’ille sia da ritenersi sintomo effettivo di accentuata riprovevolezza della condotta, oltre che di maggior pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività de comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e ad ogni altro parametro individualizzante, significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali.
11.3.2. Tale indagine – nel caso di specie – risulta compiuta in maniera esaustiva e lineare, in particolare laddove la Corte ha correlato l’accresciuta pericolosità di Surace al fatto di essere inserito in dinamiche di tipo associativo; questo aspetto è stato ritenuto, del tutto ragionevolmente, in grado di potenziarne la pericolosità sociale e di accrescere la sua propensione al delitto. Tale struttura argomentativa – congruente e priva del pur minimo profilo di contraddittorietà ha pienamente risposto alle deduzioni contenute nel gravame e non risulta in alcun modo scalfita, infine, dalle argomentazioni difensive, che sono di tenore meramente confutativo.
11.4. Con il quarto motivo, la difesa sostiene non esser state esplicitate, in alcun modo, le ragioni per le quali è stato disatteso il motivo di appello finalizzato alla concessione delle generiche (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 9.4.).
Contrariamente alle deduzioni difensive, la Corte ha invece negato le invocate circostanze attenuanti generiche, valorizzando la sfavorevole portata della indubbia gravità dei fatti, oltre che considerando la mancata emersione di alcun elemento positivamente valutabile.
Giova allora sottolineare come – in sede di gravame – la difesa avesse domandato le generiche in base a prospettazioni di marcata vaghezza, attinenti alla ricostruzione dei fatti e al limitato contesto in cui sono maturate le condotte ascritte, oltre che alle modalità esecutive e al profilo soggettivo dell’imputato. fronte di una deduzione in appello di totale genericità, dunque, la valorizzazione del contesto associativo e della particolare gravità dei fatti, saldandosi con l’assenza di base obiettiva delle deduzioni sopra riassunte, vale a rendere l’attuale critica difensiva del tutto inammissibile. La valutazione operata dalla Corte territoriale, in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio, è dunque priva di vizi rilevabili in sede di legittimità, trattandosi di giudizio di m sostenuto da asserzioni del tutto ragionevoli e sensate.
12. NOME COGNOME è stato condannato in primo grado alla pena di sedici anni di reclusione, per i reati ascritti sub 1 (art. 416-bis cod. pen.), 10 (gestione illecita di scommesse, con l’aggravante mafiosa, ai sensi degli artt. 4, I. 13 dicembre 1989, n. 401 e 416-bis.1 cod. pen.), unificati in continuazione, con applicazione dell’aumento per la contestata recidiva e computo della diminuente del rito; in appello, la pena è stata rideterminata nella misura di anni dodici e mesi otto di reclusione. L’imputato ha presentato due distinti atti di impugnazione, rispettivamente a firma degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME deducendo nell’uno sette e nell’altro quattro motivi, in gran parte tra loro assimilabili.
12.1. Il primo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME reitera le eccezioni – già oggetto di proposizione in sede di gravame – di nullità derivante tanto dalla violazione del diritto di difesa, quanto dal mutamento della persona del giudicante e, infine, di nullità asseritannente connessa alla prospettata incompatibilità di due membri del Collegio giudicante in appello, per aver essi deciso il processo relativo alla cd. Operazione RAGIONE_SOCIALE (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 10.1.).
Si tratta di doglianze inammissibili, per essere meramente reiterative di questioni già poste e con le quali la Corte territoriale si è adeguatamente confrontata; il motivo, peraltro, è esattamente sovrapponibile al primo motivo del ricorso di NOME COGNOME per cui ci si può integralmente riportare alle considerazioni colà svolte (supra, par. 7.1.2).
12.2. Il secondo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME e il primo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME presentano la stessa matrice e, quindi, possono essere trattati congiuntamente, avendo entrambi ad oggetto la contestazione della ritenuta condotta di partecipazione del COGNOME al reato di cui all’art. 416-bis cod. proc. pen. (motivi rispettivamente enumerati, in parte espositiva, sub 10.2. e 10.8.).
12.2.1. Come sopra già sintetizzato, sostiene la difesa la mancata individuazione di un contributo causalmente efficiente, rispetto alla prosecuzione dell’operatività e al rafforzamento del sodalizio malavitoso, che possa essere fondatamente ricondotto al ricorrente. Si contesta, dunque, la valenza significativa attribuita all’attività di recupero di somme di denaro; si avversa l’indicazione della Sala “Il Buco”, quale base operativa dell’associazione; si nega qualsiasi valenza evocativa, poi, al dato rappresentato dal sostentamento economico del quale avrebbe goduto il ricorrente e, infine, si contesta l’avvenuta affiliazione a sodalizio. COGNOME sottolinea poi la difesa, non ha partecipato a incontri, pestaggi o pianificazione di attività delittuose.
Non significative dell’intraneità del soggetto all’organizzazione, poi, sarebbero la gestione della raccolta delle scommesse e della sala giochi, oltre che la vicenda del recupero dei crediti in favore del padre, atteso che non si chiarisce come esse possano essere viste come l’estrinsecazione di un rilevante e consapevole contributo all’organismo associativo.
12.2.2. Ad onta delle deduzioni difensive, la Corte territoriale ha invece chiarito – in modo particolarmente ampio e dettagliato – le ragioni della ritenuta intraneità del ricorrente, all’associazione di stampo mafioso descritta sub 1 della rubrica.
Quali elementi fortemente dimostrativi di tale organicità, in sentenza viene menzionato il dato della ricezione – durante il periodo di carcerazione – di aiuti economici e sostentamento per la famiglia, oltre che di supporto per le spese legali. E sul punto, limitarsi ad avversare tale affermazione, continuando a qualificare il dato alla stregua di una elargizione liberale – e non quale segnale dimostrativo della intraneità al sodalizio – come fa la difesa, si risolve in una criti priva di apprezzabile contenuto.
La motivazione dell’avversata decisione, inoltre, delinea COGNOME quale “esattore di somme varie per gli interessi del clan, frutto di attività usurarie e al illeciti”, richiamando poi anche i fatti sussunti al capo 10, che riguarda l scommesse clandestine. Vi è, come sopra accennato, l’affermazione che la sala giochi “il Buco”, gestita da COGNOME, fosse divenuta un abituale luogo di ritrovo dei membri della consorteria; anche tali dati, in realtà, non vengono efficacemente contrastati dalla difesa, che si limita a una improduttiva negazione. Di notevole spessore, inoltre, è la succitata vicenda del recupero di crediti.
Ulteriore elemento da ritenere, secondo la Corte di appello, significativo dell’intraneità del ricorrente all’associazione, è il fatto sussunto al capo 9, ossia pressioni poste in essere nei confronti del teste NOME COGNOME al fine di fargli rendere falsa testimonianza, nel processo in relazione al quale lo stesso COGNOME era stato tratto in arresto.
A fronte di tali argomentazioni, il ricorso manca di instaurare un dialogo con le stesse e non indica quali censure specifiche – formulate in sede di gravame – siano state disattese, rispetto a valutazioni che emergono dalla decisione di primo grado, sia nella descrizione delle caratteristiche operative del sodalizio (si vedano le pagg. 33 seg.) sia nella sintesi dedicata a COGNOME (pag. 134).
La Corte territoriale, in sostanza, compie una valutazione unitaria delle risultanze, che ritiene – con motivazione adeguata e priva di illogicità – essere univocamente deponente per l’attribuzione di responsabilità. Una affermazione di colpevolezza che viene contrastata mediante censure . di assoluta genericità, che si compendiano in affermazioni del tutto apodittiche, secondo le quali:
l’attività di recupero di somme di denaro sarebbe da reputare scarsamente significativa, stante l’assoluzione, sul punto, di NOME COGNOME (eppure non chiarisce, la difesa, in che modo ciò si possa riflettere sulla posizione di COGNOME);
la sala giochi non era base operativa del clan (in tal modo, però, viene dipanata una critica meramente avversativa, limitandosi la difesa a menzionare un incontro, al quale COGNOME non avrebbe preso parte);
il sostentamento economico non possa essere ritenuto manifestazione di una affiliazione al clan (l’affermazione si risolve, molto semplicemente, nell’auspicio dell’attribuzione – a un determinato fatto oggettivo – di un difforme significato);
COGNOME non ha preso parte ad alcuna riunione;
il recupero dei crediti in favore del padre del ricorrente – crediti derivan dall’esecuzione di lavori edili in territorio agrigentino, svolti dall’impresa d quale questi era titolare – sia scaturito da una iniziativa assunta esclusivamente dallo stesso padre dell’imputato (su questo profilo, la sentenza si sofferma molto attentamente, precisando come il COGNOME abbia ricoperto il ruolo di intermediario presso il capomafia COGNOME, non potendo che avere un peso ben più rilevante l’intervento di quest’ultimo, che era certo dotato del carisma criminale necessario a risolvere la vertenza);
non è spiegato perché la gestione della raccolta delle scommesse illecite sia estrinsecazione di contributo all’organismo associativo (nuovamente, una censura di carattere solo confutativo);
COGNOME si è sempre relazionato solo con COGNOME (un aspetto che, naturalmente, non riveste alcuna valenza liberatoria, essendo rilevante solo la
consapevolezza dell’esistenza del sodalizio e la sussistenza di un apporto cosciente e volontario alla vita di questo).
La doglianza difensiva, pertanto, non può che essere disattesa.
12.3. Il terzo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME e il secondo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME possono essere valutati insieme, in quanto tra loro praticamente sovrapponibili; entrambi aggrediscono, infatti, la ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis, quarto comma, cod. pen. (motivi rispettivamente enumerati, in parte espositiva, sub 10.3. e 10.9). Trattasi di motivi che, a loro volta, riproducono il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME e il quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME è possibile, quindi, riportarsi integralmente alle considerazioni colà svolte (supra, par. 5.2. e 7.2.).
12.4. Possono essere trattati congiuntamente il quarto e il quinto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME laddove vengono attaccati i profili della sussistenza del reato ex art. 4 I. n. 401 del 1989 e, in stretta consequenzialità, quello dell ritenuta natura mafiosa della gestione delle sale gioco (motivi rispettivamente enumerati, in parte narrativa, sub 10.4. e 10.5).
12.4.1. Circa tale aspetto, vanno operate talune premesse di carattere tecnico e sistematico.
Il particolare incremento sanzionatorio, previsto in relazione a tale forma di manifestazione del reato, pone l’interprete nella necessità di individuare non tanto il fondamento politico-criminale della scelta legislativa (compito che può definirsi solo di ausilio, nell’opera applicativa), quanto la concreta dimensione fenomenica delle condotte descritte nella norma, allo scopo di evitare la maggior punizione di condotte in realtà estranee al modello tipizzato, oppure già altrove incriminate. In tema, è ormai pacifica la considerazione della esistenza nell’ambito della disposizione normativa in parola – di una duplice «direzione» dei contenuti precettivi.
Da un lato si valorizza – in negativo – una particolare modalità commissiva del delitto, rappresentata dall’essersi gli agenti avvalsi delle condizioni di cui all’art. 416-bis cod. pen. Tali condizioni sono, per dettato normativo, rappresentate dalla forza di intimidazione del vincolo associativo e dalla condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva tra i consociati. Si è ritenuto, sul punto che tale ‘corno’ dell’aggravante incrimini essenzialmente le condotte degli associati, espressive in concreto di una maggior valenza intimidatoria, o anche dei soggetti non associati (o comunque del cui inserimento nel gruppo non vi sia prova, si veda Sez. 1 n. 33245 del 09/05/2013, COGNOME, Rv 256990 nonché Sez. 2 n. 38094 del 05/06/2013, Rv 257065) laddove venga espressamente evocata o comunque, sfruttata in modo evidente, quale fattore di semplificazione della
condotta illecita (per la correlata riduzione dei poteri di reazione della vittima) capacità intimidatoria di un gruppo criminoso. In particolare, si è condivisibilmente affermato che, per ritenere integrata la fattispecie in parola (l’avvalersi dell condizioni), non è sufficiente il mero collegamento con contesti di criminalità organizzata, o la mera ‘caratura mafiosa’ degli autori del fatto, occorrendo invece l’effettivo utilizzo del metodo mafioso e, dunque, l’impiego della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo (in tal senso, tra le altre, Sez. 2 n. 28861 del 14/06/2013, COGNOME, Rv. 256740 e Sez. 6 n. 27666 del 04/07/2011, COGNOME, Rv. 250357; ritiene tuttavia possibile l’utilizzo implicito della forza intimidazione Sez. 2 n. 37516 del 11/06/2013, COGNOME, Rv. 256659). In altre parole, ad essere incriminata è la maggior forza espressiva dell’intimidazione derivante dalla pregressa opera di riduzione delle altrui difese in virtù dell’esistenza del gruppo mafioso – tesa a determinare una più intensa coartazione psicologica (Sez. 6, n. 21342 del 02/04/2007, Mauro, Rv. 236628) e ciò anche nell’ipotesi in cui il destinatario, per sua scelta, mantenga un atteggiamento reattivo (Sez. 1 n. 14951 del 06/03/2009, COGNOME, Rv 243731).
Si deve precisare, inoltre, che l’aggravante della c.d. modalità mafiosa prescinde dalla consapevolezza o meno di agevolare un’associazione o un clan e anzi neanche presuppone che l’associazione in effetti esista (Sez. 2, n. 36431 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277033; Sez. 2, n. 27548 del 17/05/2019, COGNOME, Rv. 276109).
Dall’altro lato la previsione di legge incrementa la connotazione di gravità della condotta, lì dove la stessa sia stata commessa al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste nel medesimo art. 416-bis cod. pen. Si richiede, pertanto, sia una particolare consistenza e direzione dell’elemento volitivo (cosciente e univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio, come ritenuto da Sez. 6, n. 31437 del 12/07/2012, Messina, Rv. 253218) che una concreta strumentalità del reato commesso rispetto alle finalità perseguite dal gruppo criminoso di riferimento (che in tal caso deve essere individuato, secondo quanto precisato da Sez. 2, n. 41003 del 20/09/2013, Bianco, Rv. 257240). Si deve richiamare, infine, la regola interpretativa fissata da Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734 – 01, che ha così deciso: «La circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività dell associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe».
12.4.2. Questi essendo i principi di diritto che governano la materia, giova anche precisare che la Corte di appello, sul punto, ha motivato in maniera lineare, logica e priva di contraddittorietà, circa i profili di responsabilità riconducibi
COGNOME. In particolare, la Corte rappresenta come sia risultato accertato che COGNOME e i correi gestissero una serie di sale gioco ubicate in territorio messinese; il controllo di tali attività veniva svolto – prosegue la sentenza impugnata piegando i titolari agli interessi del gruppo, ovvero rendendo gestori delle varie sale gioco determinati esponenti del clan, tra i quali figurava appunto il COGNOME (vengono prese in considerazione, in special modo, le vicende inerenti tanto l’agenzia sita a Messina, in INDIRIZZO quanto il ritrovo denominato “Maracanà”).
Fondamentale importanza ha assunto – secondo l’ottica valutativa prescelta dalla Corte distrettuale – il contenuto delle intercettazioni versate in atti, delle qu la sentenza impugnata offre una valutazione compiuta e priva di forme di illogicità e che, pertanto, non possono essere oggetto di rilettura, nel corso del giudizio di legittimità. Va ricordato, infatti, che la portata dimostrativa del contenuto dell conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, sottraendosi essa al sindacato di legittimità, se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 – 01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650 – 01; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784 – 01; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, COGNOME, Rv. 239724). È possibile, infatti, prospettare in sede di legittimità una interpretazione del significato di un’intercettazione diversa, rispetto a quella proposta dal giudice di merito, soltanto in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3 n. 6722 del 21/11/2017, 2018. COGNOME, Rv. 272558 – 01; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259516 – 01; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252190 – 01; Sez.2, n. 38915 del 17/10/2007, dep. 19/10/2007, COGNOME, Rv. 237994). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel caso di specie, la difesa non ha dedotto illogicità evidenti desumibili dal testo della sentenza impugnata, né ha assolto il peculiare onere di rappresentare in modo adeguato l’eventuale vizio di travisamento della prova (Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, COGNOME, Rv. 241023). Si è limitata, al contrario, ad invocare una diversa lettura delle conversazioni versate in atti – e in parte anche richiamate nel provvedimento impugnato – al fine di ricavarne esiti difformi. Operazione, come detto, non consentita in sede di legittimità.
Al cospetto di un percorso argomentativo alieno da fratture razionali ed aderente alle emergenze istruttorie, dunque, il ricorrente articola obiezioni di stampo eminentemente confutativo che, nell’accreditare una diversa esegesi delle singole evidenze fattuali (dalla portata semantica da attribuire al contenuto delle
intercettazioni, sino alle modalità di emersione della aggravante mafiosa, nella declinazione soggettiva dell’agevolazione), non riescono ad enucleare, nel provvedimento impugnato, specifici profili di illogicità, tantomeno manifesta, o di contraddittorietà e, quindi, non valgono ad eccitare l’esercizio del potere censorio del giudice di legittimità.
12.5. Il sesto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME e il terzo motivo de ricorso dell’avv. COGNOME possono essere presi congiuntamente in considerazione, avversando entrambi la decisione di ritenere sussistente la contestata recidiva (motivi rispettivamente enumerati, in parte espositiva, sub 10.6 e 10.10.). I motivi sono fondati.
Le doglianze esposte in sede di gravame sono adeguatamente sintetizzate, nella impugnata decisione (pag. 26), ma la motivazione adottata dalla Corte territoriale, in merito, risulta particolarmente carente. Tale vuoto argomentativo assume rilievo viepiù significativo, a fronte del fatto che l’applicazione dell recidiva aveva comportato, in primo grado, un incremento sanzionatorio particolarmente significativo, pari ad anni sei e mesi otto di reclusione; a fronte di specifiche censure e vista la presenza di un incremento sanzionatorio di tale peso, sarebbe stato necessario un maggior impegno motivatorio, per sostenere la decisione reiettiva. Sul punto, dunque, deve procedersi all’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, con assorbimento anche del settimo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME e del quarto motivo del ricorso dell’avv. COGNOME (motiv rispettivamente enumerati, in parte espositiva, sub 10.7 e 10.11).
13. Da rigettare sono tutti i motivi del ricorso – articolato in sei motivi presentato da NOME COGNOME soggetto condannato in primo grado alla pena, poi confermata in appello, di tredici anni di reclusione, per i reati sub 1 (art. 416bis cod. pen.) e 7 (detenzione aggravata di arma clandestina) della rubrica.
13.1. Con il primo motivo, si ripropone il tema delle eccezioni preliminari, ossia una doglianza alla quale la Corte ha comunque risposto, sostenendosi essere nulla la sentenza, per assenza di motivazione (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 11.1.) La censura – oltre ad essere aspecifica e semplicemente ripetitiva di quanto già dedotto in sede di appello – è esattamente corrispondente alla analoga doglianza, sussunta nella seconda parte del primo motivo del ricorso di NOME COGNOME (supra, par. 7.1.2). È possibile, quindi, operare un mero rinvio alle considerazioni colà svolte.
13.2. Il secondo motivo aggredisce la ritenuta responsabilità per il fatto sub 7 (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 11.2.). La Corte territoriale ricava la prova della responsabilità, essenzialmente, dal contenuto di una conversazione intercettata, intercorsa fra Lo Duca e Gangemi, nel corso della quale il primo si
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dichiara anzitutto custode di un’arma consegnatagli da COGNOME e nella quale, a seguire, i due conversanti si confrontano sulle modalità più adeguate per “ripulire” l’arma, attraverso soprattutto la cancellazione del numero di matricola della stessa. La difesa, nel motivo ora in esame, contesta non l’oggetto della conversazione (sarebbe a dire, il fatto che il contenuto della stessa fosse proprio una pistola), bensì la identificazione del “NOME“, al quale se ne riporta la titolarità, proprio nel ricorrente COGNOME.
La sentenza impugnata, sul punto specifico, adotta però una motivazione dettagliata, coerente ed esaustiva, giungendo alla conclusione che i due dialoganti si riferiscano proprio a COGNOME, soprattutto in forza del riferimento al fatto c quest’ultimo si trovasse, all’epoca, in regime di semilibertà. Il motivo di ricorso allora, non può che essere ritenuto inammissibile, risolvendosi esso nell’auspicio di una rilettura dell’intercettazione, ad opera di questa Corte (si può limitare, quindi, ad operare un mero richiamo a quanto sopra già precisato, in ordine ai limiti del sindacato riservato a questa Corte, circa il contenuto delle captazioni).
13.3. Il terzo e il quinto motivo scaturiscono da una comune prospettiva e, presentando tratti esattamente sovrapponibili, ben si prestano alla trattazione congiunta (motivi enumerati, in parte narrativa, sub 11.3. e 11.5.).
13.3.1. Con il terzo motivo, la difesa attacca la ritenuta aggravante ex art. 416bis.1 cod. pen., ritenuta nella declinazione dell’agevolazione mafiosa, inerente al reato di detenzione di arma clandestina ascritto in rubrica sub 7. La Corte di appello, sul punto, fonda il proprio convincimento sulla affermazione di sussistenza di una “chiara riferibilità dell’arma … agli interessi del gruppo”, facen riferimento, in pratica, alla gestione condivisa della stessa, da parte di una pluralità di soggetti. Perviene alla conclusione della riferibilità della stessa al clan, poi, fatto che i dialoganti abbiano manifestato l’intenzione di cancellarne il numero di matricola. La motivazione, inoltre, muove dall’assunto della irragionevolezza di una operazione teorica volta a separare lo specifico episodio dalla vita associativa nel suo complesso.
Trattasi di motivazione del tutto congruente e logica, oltre che priva di profili distonici, che non viene disarticolata dalle deduzioni difensive; questa si sostanziano, infatti, in una critica meramente oppositiva, non in grado di esaltare vizi concretamente deducibili nel giudizio di legittimità.
13.3.2. Il quinto motivo avversa la ritenuta sussistenza della natura armata del sodalizio. Ci si può allora rifare, in maniera integrale, alle valutazioni espresse con riferimento al terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME, non potendosi fare altro, che pervenire alle medesime conclusioni (supra, par. 5.2.).
13.4. Con il quarto Motivo, viene contestata la ritenuta partecipazione del COGNOME all’associazione di cui all’art. 416-bis cod. pen. (motivo enumerato, in
parte narrativa, sub 11.4.). Sostiene la difesa che il ricorrente, lungi dal divenire organico alla cosca, si sia limitato a interfacciarsi – peraltro in maniera saltuaria solo per interposta persona – con NOME COGNOME; ciò sarebbe avvenuto in un contesto temporale particolare e circoscritto, allorquando lo stesso era stato da poco rimesso in libertà, dopo oltre un decennio di ininterrotta carcerazione, circostanza che – in ipotesi difensiva – gli avrebbe impedito di apprezzare compiutamente l’esistenza e l’operatività di un organismo malavitoso di nuova costituzione.
13.4.1. Si tratta di obiezioni che, oltre a indurre a una rivalutazione in fatto non scalfiscono la saldezza della decisione della Corte territoriale. Secondo l’impugnata sentenza, infatti, COGNOME è da ritenere intraneo all’associazione mafiosa, sulla scorta del ferreo collegamento logico, fra dati di oggettiva valenza e di significato non controvertibile.
In particolare, vi è in sentenza il riferimento al fatto di aver preso parte a “pestaggio” di NOME COGNOME; vi è il rilevante apporto – certo causalmente efficiente, ai fini del rafforzamento e della prosecuzione delle attività del clan rappresentato dall’aver fornito armi al sodalizio e, infine, vi è la condott partecipativa al fatto estorsivo perpetrato in danno di NOME COGNOME, di cui al capo 3) della rubrica. A fondamento del convincimento espresso dalla Corte territoriale, circa l’organicità di COGNOME alla cosca, vengono poste le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME e il contenuto di numerose captazioni telefoniche; viepiù rafforzativa di tale intraneità, del resto, è considerata la vicend sussunta al capo 7 della rubrica, concernente la disponibilità di una pistola.
13.4.2. La difesa, come detto, svolge una critica che è fattuale e che non riesce ad enucleare la sussistenza di vizi rilevanti nel giudizio di legittimità; ten poi di sminuire l’efficacia dimostrativa dei vari elementi, o contestandone la stretta materialità, ovvero affermando, del tutto apoditticamente, la impossibilità di trarne la conclusione circa l’esistenza di un consapevole e rilevante contributo, offerto dal ricorrente all’organismo associativo
13.5. Il sesto motivo inerisce al diniego delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio (motivo enumerato, in parte narrativa, sub 11.6). Trattasi di doglianza aspecifica, che non prospetta la sussistenza di elementi positivamente valutabili e idonei a fornire difformi lumi; possono richiamarsi, sul punto, le considerazioni fatte in altra parte della presente motivazione, con riferimento alla posizione di NOME COGNOME (supra, par. 7.3.).
14. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è complessivamente infondato.
Il ricorrente ha riportato condanna per essere stato ritenuto promotore e organizzatore dell’associazione mafiosa di cui al capo 1) e del sodalizio dedito al narcotraffico descritto al capo 15), nonché per avere organizzato attività di raccolta di scommesse su eventi sportivi (capi 5) e 10), per una estorsione ai danni del gestore di una sala giochi (capo 2), per la detenzione di un’arma comune da sparo (capo 7), per una fattispecie di minaccia di cui all’art. 611 cod. pen. (capo 9) e una di acquisto di sostanza stupefacente a fine di cessione a terzi (capo 19).
Non viene proposta alcuna censura in relazione a quest’ultimo reato e, per le ragioni di seguito esposte, deve ritenersi che alcuna critica sia stata formulata anche con riguardo al capo 5).
14.1. Il primo motivo verte sulla configurabilità dell’associazione mafiosa e sulla dimostrazione della partecipazione, alla stessa, dell’imputato NOME COGNOME
In relazione alla prima parte della censura, vanno richiamate le considerazioni svolte a proposito della posizione di NOME COGNOME al par. 5.1 del considerato in diritto (a tale parte della motivazione deve intendersi il riferimento compiuto nei richiami operati anche in seguito).
Invero, sono state ampiamente illustrate le ragioni per le quali deve ritenersi sussistente, nel caso di specie, il vincolo associativo e l’assenza di elementi idonei a supportare l’affermazione difensiva della configurabilità di un gruppo non organizzato di soggetti legati, invece, dal solo legame derivante dal carisma criminale di NOME COGNOME.
Sono inoltre stati illustrati gli elementi dimostrativi della ricorrenza deg ulteriori requisiti della esteriorizzazione e della manifestazione espressa della forza di intimidazione derivanti dallo specifico legame nel contesto di una struttura associativa organizzata secondo ruoli ben precisi.
Del tutto generica è, in tale cornice, la contestazione della motivazione avente ad oggetto il ruolo associativo dell’imputato, non ravvisandosi alcun profilo di illogicità o contraddittorietà della motivazione e sostanziandosi la critica nella mera enunciazione dei segnalati vizi, senza alcuna specificazione delle ragioni poste a fondamento della critica.
Ciò a fronte di una motivazione che, alla luce di elementi specifici, concreti e fattuali adeguatamente circostanziati, ha illustrato le ragioni poste a giustificazione della ricostruzione del ruolo associativo di primo piano svolto da COGNOME il cui carisma criminale è stato giudicato “indiscusso”, ma non già quale unico elemento posto a giustificazione della decisione di condanna.
Sono stati valorizzati, piuttosto, i contatti continui con gli associati, alcuni quali destinatari di concreti aiuti mediante la fornitura di mezzi di sostentamento, le disposizioni impartite per il recupero della refurtiva degli oggetti sottratti
quartiere, l’esistenza di un fondo comune gestito dallo stesso imputato e funzionale a garantire un supporto anche ai singoli »associati in difficoltà, la gestione delle attività di comando del gruppo presso il bar di proprietà della sorella NOME COGNOME e previe convocazioni effettuate tramite la stessa.
La sentenza ha inoltre riportato una serie di circostanze fattuali attestanti l’effettivo controllo del territorio da parte dell’associazione e l’operare tip secondo modalità proprie delle associazioni mafiose rispetto alle quali il ricorso non ha proposto alcuna specifica censura.
Il motivo in esame, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile in quanto meramente rivalutativo e, comunque, generico.
14.2. Anche con riguardo alla natura armata dell’associazione, dunque al secondo motivo di ricorso, può essere operato un richiamo integrale alle considerazioni esposte al par. 5.2. riferite al coimputato COGNOME sia per i principi di diritto solitamente affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia, sia per le considerazioni fattuali riferite alla singola fattispecie in esame
Giova ribadire, fermo quanto si dirà a proposito del capo 7) e della parallela posizione (sul punto in esame) anche di NOME COGNOME che la sentenza impugnata si è attenuta ai principi costantemente applicati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte spiegando, in termini solo genericamente oggetto di critica, le ragioni della configurabilità dell’aggravante.
14.3. È inammissibile, in quanto rivalutativo e generico, il motivo di ricorso relativo al capo 2).
Si tratta della fattispecie di estorsione continuata, aggravata ai sensi dell’art 416-bis.1. cod. pen., commessa da NOME COGNOME ai danni di tale NOME, gestore di una sala giochi, costretto a consegnare una somma di denaro di 2.500 euro.
La ricostruzione del fatto è avvenuta sulla scorta di intercettazioni, con particolare riferimento ad una conversazione del 28 febbraio 2018 nel corso della quale NOME COGNOME, parlando con COGNOME e appreso che l’estorto aveva versato la somma di 2.500 euro, aveva sollecitato il ricorrente a richiedere il pagamento di somme ulteriori.
La Corte di appello ha preso in considerazione la tesi difensiva secondo cui il “NOME” della conversazione non era altro che il fratello di NOME Duca, tenuto conto della illogicità della prospettazione.
La censura si palesa in tutta la sua estrema vaghezza laddove si limita a lamentare un travisamento probatorio per non essere stata accertata la natura del «rapporto personale/economico che legava “NOME” a Lo Duca e Gangemi» e l’esatta individuazione, dalla disamina della intercettazione, di una condotta effettivamente estorsiva.
Si tratta di una censura estremamente generica che trascura l’effettivo contenuto della captazione, siccome oggetto di insindacabile interpretazione dei giudici di merito, omettendo, inoltre, di considerare la circostanza indicata da COGNOME per sollecitare l’interlocutore a chiedere altri soldi a “NOME“, ossia i suoi cospicui guadagni con il calcioscommesse.
Ciò dimostra, in uno con la veemenza della sollecitazione di COGNOME al proprio interlocutore e l’emersa estraneità di COGNOME alla gestione dell’attività di calcioscommesse, l’impossibilità di rinvenire una qualsiasi (lecita) ipotesi alternativa dei rapporti tra l’imputato e la vittima dell’estorsione.
14.4. Il quarto motivo riguarda l’affermata sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen. in relazione al delitto di estorsione ai danni “NOME” di cui al paragrafo precedente.
La censura è inammissibile stante, ancora una volta, la sua genericità giacché argomentata esclusivamente sulla scorta di una asserita “mera petizione di principio” che caratterizzerebbe la motivazione resa dal provvedimento impugnato sul punto.
Invero, la circostanza che nella vicenda in esame siano stati coinvolti due partecipi (uno dei quali, peraltro, con posizione di vertice) del sodalizio mafioso giustifica l’affermazione secondo cui vi era l’interesse dell’associazione a costituire una sorta di collante o ispirazione di fondo funzionale a determinare la condotta estorsiva.
Si tratta di argomento effettivo rispetto al quale si palesa mera confutazione l’affermazione secondo cui si tratterebbe di una semplice petizione di principio.
14.5. Il quinto motivo è inammissibile in quanto versato in fatto e teso a sollecitare a questa Corte una, non consentita, disamina di profili di merito.
La censura riguarda il capo 7) avente ad oggetto il delitto di detenzione illegale di una pistola aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1. cod. pen.
Sul punto possono essere richiamate, in primo luogo, le considerazioni svolte al par. 13.2. del considerato in diritto a proposito del coimputato NOME COGNOME che aveva consegnato a COGNOME la pistola della quale questi si è dichiarato custode nel corso di una conversazione con NOME COGNOME.
All’esito di un completo, coerente e logico esame della conversazione, i giudici di merito sono pervenuti alla conclusione che l’oggetto della stessa era, pacificamente, un’arma da fuoco, non potendo essere interpretati altrimenti i riferimenti al fatto che si trattava di qualcosa di pericoloso o rischioso da detenere, di un oggetto al quale sarebbe stato opportuno cancellare qualcosa, magari utilizzando l’acido, un trapano o una lima.
Ineccepibile, altresì, la ricostruzione secondo cui il ricorrente aveva anche la disponibilità di un’altra arma.
Si è detto in altra parte della motivazione, con richiamo alla giurisprudenza di questa Corte sul punto, di come l’attività interpretativa dei dati captativi si insuscettibile di censura (par. 12.4.2.), laddove esente da evidenti vizi motivazionali e tale richiamo deve essere operato anche ai fini di interesse nella disamina del motivo di ricorso relativo al capo 7) ove l’illustrazione della disponibilità dell’arma da parte di NOME COGNOME è stata compiuta in termini tutt’altro che dubitativi («che tale oggetto sia un’arma da fuoco non v’è dubbio alcuno»).
Alla luce di tali rilievi, dunque, il motivo di ricorso è inammissibile.
14.6. Il sesto motivo di ricorso, benché la rubrica contenga la menzione dei capi 5) e 10) (entrambi aventi ad oggetto l’organizzazione e la gestione di raccolta di scommesse su eventi sportivi) appare univocamente riferito alla sola fattispecie di cui al capo 10), non contenendo alcuna critica alla motivazione della sentenza sull’altra imputazione.
Anche a tale proposito possono essere richiamate le motivazioni illustrate a proposito del motivo di ricorso sollevato nell’interesse del coimputato NOME COGNOME (par. 12.4.).
A fronte di una motivazione che ha congruamente illustrato le ragioni per le quali NOME COGNOME unitamente a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile del delitto di raccolta e gestione di scommesse non autorizzate avendo gestito una rete di sale giochi a Messina rapportabili alle piattaforme telematiche bet35 e bgaming.com , con specifico riguardo al flusso di scommesse su eventi sportivi, la critica si sofferma su aspetti non decisivi e, comunque, aliunde superati.
Le interessenze dei coimputati sono state oggetto di ampia illustrazione, così come la riferibilità degli interessi di gestione della raccolta delle scommesse sulle citate piattaforme.
La Corte di appello si è soffermata, nel dettaglio, sulle distinte posizioni descrivendo l’attività e l’interesse dei singoli e del sodalizio intero ai prof derivanti dalla raccolta e della gestione delle scommesse.
Palesemente inidonea ad integrare una effettiva contestazione si rivela la mera affermazione circa la mancata distinzione tra l’attività estorsiva di cui al capo 2) (invece confinata ad una singola ipotesi estorsiva che ha visto come vittima tale “NOME“) e quella di gestione diretta delle scommesse; tra le due fattispecie, peraltro, non è configurabile alcuna forma di incompatibilità.
Da ciò consegue l’inammissibilità anche della censura in esame.
14.7. È infondato il settimo motivo riferito al reato di cui al capo 9) ascritto NOME COGNOME e NOME COGNOME in concorso.
Entrambi gli imputati sono stati ritenuti responsabili del reato di cui all’ar
611 cod. pen., aggravato ai sensi dell’art. 416-bis.l. cod. pen. per avere, con minaccia caratterizzata dal metodo mafioso e per favorire l’associazione di cui al capo 1), determinato NOME COGNOME a commettere il reato di falsa testimonianza dinanzi al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto nel procedimento penale n. 153/17 r.g.n.r.
I giudici di merito hanno ritenuto dimostrata la condotta in concorso di COGNOME e COGNOME tesa a procacciare una deposizione testimoniale compiacente in favore dell’associato NOME COGNOME in relazione ad un procedimento penale che lo aveva visto destinatario della misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di rapina commesso in concorso, tra gli altri, con NOME COGNOME.
La ricostruzione è stata operata con il ricorso a intercettazioni, videoriprese e acquisizioni documentali.
In particolare, è emerso che il 27 marzo 2018, presso la sala INDIRIZZO, NOME COGNOME e NOME COGNOME discutevano della possibilità di depotenziare alcune acquisizioni investigative a carico di COGNOME predisponendo alcune dichiarazioni compiacenti tese a dimostrare che l’Ugo di alcune intercettazioni non fosse NOME COGNOME, bensì NOME COGNOME, titolare del ristorante Il Padrino di Messina.
Ciò al fine di favorire la presentazione di un’istanza di scarcerazione nell’interesse dello stesso COGNOME.
Si sarebbe così potuta spiegare l’espressione «dobbiamo raccogliere i soldi e glieli dobbiamo mandare a NOME» come riferita a Vecoli e a un conto da saldare presso il suo ristorante, piuttosto che come denaro da raccogliere e inviare a NOME COGNOME per ragioni illecite.
La sequenza agli avvenimenti successivi all’accordo è stata ampiamente illustrata in sentenza con particolare riguardo all’attivazione di COGNOME per far pervenire il messaggio a Vecoli, all’acquisizione della disponibilità da parte di quest’ultimo, secondo quanto dallo stesso fatto pervenire dal carcere ove si trovava detenuto, a fornire il proprio contributo nel contesto dello svolgimento del procedimento a carico di NOME COGNOME il quale ne chiedeva la definizione con le forme del giudizio abbreviato condizionato all’escussione proprio di COGNOME.
I giudici di merito hanno, altresì segnalato come quest’ultimo, escusso nel corso di quel procedimento, avesse reso dichiarazioni ritenute poco credibili ma proprio nel senso auspicato da COGNOME e COGNOME, ossia che era creditore di una somma di denaro da NOME COGNOME per una cena non pagata presso il proprio ristorante.
La dimostrazione del perfezionamento della condotta violenta e intimidatoria verso il teste è stata argomentata attraverso l’esito delle intercettazioni dalle qual è emerso che COGNOME, appreso della richiesta di COGNOME e COGNOME, si era messo
immediatamente a disposizione.
La sentenza si è ampiamente soffermata sui rilievi difensivi, evidenziando, da un lato, la riferibilità dell’interesse alla coartazione di COGNOME, all’associazi mafiosa di cui al capo 1), ravvisando anche la metodologia mafiosa e, dall’altro, la significatività della circostanza che avrebbe dovuto riferire COGNOME nell’economia complessiva della vicenda cautelare che interessava COGNOME, oltre alla certa riferibilità della messa a disposizione da parte dello stesso COGNOME, il cui iniziale rifiuto di rendere la propria deposizione in più circostanze davanti al Tribunale di Bercellona Pozzo di Gotto è stato inteso come confermativo delle pressioni ricevute.
Si tratta di motivazione esente da qualsiasi vizio e da ogni manifesta illogicità. L’esistenza della minaccia nei confronti di COGNOME – che, in effetti, è stat chiamato a deporre a seguito di richiesta di abbreviato condizionato alla sua deposizione – è stata desunta logicamente dalla intercettazione nella quale si riferisce che si sarebbe rivolto a COGNOME carne al “signor COGNOME“.
Altrettanto logicamente la Corte ha ricavato la dimostrazione della coartazione proprio dalle esitazioni (altrimenti non giustificate) a presentarsi e rendere l dichiarazioni favorevoli a COGNOME.
Indirettamente conferma la ricostruzione della sentenza impugnata il fatto che il tema dell’erronea identificazione di COGNOME (come il soggetto del quale si parlava nella conversazione posta a fondamento della sua responsabilità) era stato introdotto dal coimputato NOME COGNOME la cui dichiarazione, evidentemente (tenuto conto del suo ruolo di coimputato nella vicenda) sarebbe stata più credibile ove supportata da altre deposizioni convergenti.
La motivazione, pertanto, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, è tutt’altro che parziale e viziata.
14.8. È inammissibile, in quanto rivalutativo e basato su argomenti di merito, l’ottavo motivo avente ad oggetto la partecipazione di NOME COGNOME all’associazione dedita al narcotraffico di cui al capo 15).
In punto di sussistenza dell’associazione possono essere, ancora una volta, richiamate le considerazioni svolte al par. 10.5. avente ad oggetto la posizione di NOME COGNOME.
Delineata, in termini ineccepibili e solo genericamente censurati, la sussistenza del sodalizio, deve essere segnalato come la posizione del ricorrente sia stata oggetto di puntuale disamina tramite il richiamo alle dichiarazioni di NOME COGNOME, del coimputato NOME COGNOME, del collaboratore NOME COGNOME.
Il ruolo di vertice del ricorrente è stato lumeggiato disattendendo la tesi difensiva secondo la quale assumerebbe rilievo decisivo l’assenza di contatti de
visu con alcuni degli associati, stante la continuativa attività, nell’ambito d rapporti intersoggettivi stabili, di finanziamento delle operazioni di acquisto della sostanza stupefacente dalla Calabria.
Parimenti, è stato analizzato il diverso atteggiamento tenuto da NOME COGNOME e dal ricorrente in esame rispetto ad NOME COGNOME circa agli obblighi assunti verso l’associazione atteso che si trattava di soggetto il cui padre era legato a rapporti personali proprio con NOME COGNOME.
Sul punto, è stato richiamato l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’eventuale sussistenza di contrasti interni al sodalizio non comporta, di per sé, l’esclusione del vincolo associativo.
Il ricorso si colloca in termini meramente avversativi rispetto a tali considerazioni atteso che tende a rivalutare la motivazione resa relativamente ai rapporti con NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché alla loro condotta.
Né appare idonea, anche solo in astratto, a smentire la ricostruzione di cui alla sentenza, la circostanza che nel periodo di interesse, NOME COGNOME (non già il ricorrente in esame) si trovasse sottoposto alla misura alternativa della semilibertà.
Tanto più le censure palesano tutta la loro natura di istanze rivalutative di natura fattuale, se solo si considera come le stesse non operino confronto alcuno con il contenuto delle captazioni, siccome sintetizzate in sentenza in funzione della dimostrazione della esistenza del vincolo associativo e della effettiva partecipazione al sodalizio da parte di COGNOME, stante la sua acclarata adesione al patto associativo.
14.9. Il nono motivo è inammissibile in quanto generico.
Il ricorrente, all’esito del giudizio di primo grado si è visto infliggere la pe finale di venti anni di reclusione per effetto del criterio moderatore di cui all’a 78 cod. pen. secondo il calcolo esplicitato a pag. 352 della sentenza.
All’esito del riconoscimento della continuazione con i reati di cui alle sentenze della Corte di appello di Messina del 18 maggio 2020 e del 12 luglio 2021, nonché della Corte di appello di Reggio Calabria del 13 gennaio 2022, COGNOME Duca si è visto comminare la medesima pena finale di venti anni di reclusione, previa riduzione per il rito.
Il ricorso non indica quale concreto pregiudizio sia derivato dalla mancata indicazione specifica della motivazione posta a fondamento della determinazione del trattamento sanzionatorio.
Da quanto esposto deriva il complessivo rigetto del ricorso.
15. Anche il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è, nel complesso, infondato.
L’imputato ha riportato condanna per i reati di cui ai capi 9) e 10) ascritti anche a NOME COGNOME del quale è stato ritenuto concorrente, per i reati di intestazione fittizia di cui all’art. 512-bis cod. pen. descritti ai capi 12), 13), al capo 1) del procedimento penale n. 5639/21 r.g.n.r. riunito al presente.
15.1. Per quanto attiene al primo motivo avente ad oggetto la fattispecie di cui all’art. 611 cod. pen. ascritta all’imputato al capo 9), possono essere richiamate le considerazioni svolte a proposito del coimputato NOME COGNOME al par. 14.7. in risposta al settimo motivo di ricorso proposto nell’interesse di quel ricorrente.
Si tratta di fattispecie ascritta a Sparacio in concorso e sono state già ampiamente illustrate le ragioni per le quali le censure proposte avverso la ricostruzione operata in sentenza debbono essere giudicate infondate.
I rilievi sollevati dalle difese dei ricorrenti sono sovrapponibili e possono essere richiamate le considerazioni già svolte, con conseguente infondatezza della censura in esame.
15.2. Il secondo motivo di ricorso riguarda il reato di cui al capo 10) (gestione di raccolta scommesse su eventi sportivi in concorso con NOME COGNOME) ed è totalmente rivalutativo.
Oltre a richiamare le considerazioni svolte ai parr. 12.4. e 14.6. aventi ad oggetto le posizioni dei coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME si segnala che l’individuazione di COGNOME come il soggetto al quale NOME COGNOME (per il quale l’affermazione di responsabilità è ormai definitiva) e COGNOME facevano riferimento nel corso di una conversazione avente ad oggetto proprio la gestione dell’attività di raccolta di scommesse, è stata operata in termini ineccepibili.
Invero, a supporto dell’affermazione la Corte messinese ha richiamato il complesso delle emergenze investigative dalle quali è risultato ampiamente dimostrato l’interesse di COGNOME (oltre alla sua diretta gestione) verso le attivit di raccolta delle scommesse non autorizzate.
Egli si occupava di gestire direttamente i rapporti con i dirigenti maltesi delle piattaforme.
Peraltro, il diretto coinvolgimento nella gestione di tali attività risulta anc dalle captazioni riferite ad altri reati pure ascritti a Sparacio, come, ad esempio capi 12) e 8) (benché, per quest’ultimo, sia stata pronunciata assoluzione) atteso che dalle relative emergenze risulta un consistente interesse dell’imputato per il settore dei giochi e delle scommesse, sia attraverso l’intestazione fittizia di attivit che mediante la gestione diretta delle stesse.
A fronte di una motivazione così strutturata, la mera affermazione della mancata (certa) emersione della penale responsabilità dell’imputato risulta una mera generica tesi difensiva.
15.3. Il terzo motivo ha ad oggetto i reati di intestazione fittizia di cui ai c 12) e 13).
Con riferimento al capo 12), la sentenza ha sviluppato argomentazioni congrue ed esenti da vizio alcuno atteso che ha illustrato sia la natura fittiz dell’intestazione della ASD RAGIONE_SOCIALE, anche ricorrendo a intercettazioni tra COGNOME ed alcuni dipendenti, sia tenendo conto dell’entità del denaro investito nell’attività; denaro ritenuto non compatibile con le capacità economiche di COGNOME, fittizio intestatario.
Costui, nella ricostruzione della sentenza, è stato chiamato a ricoprire l’incarico di vicepresidente dell’ASD solo per la sua fama nazionale e internazionale di abile giocatore di biliardo e l’intestazione dell’attività allo stesso COGNOME per co desunto, ancora una volta, da captazioni è avvenuta nella consapevolezza di COGNOME (sottoposto alla misura della sorveglianza speciale) di poter essere destinatario di misure di prevenzione di natura patrimoniale.
Toccano solo in parte profili ampiamente esaminati in sentenza le censure riferite alla natura dell’attività dell’ASD (ossia di un’associazione sportiv dilettantistica) asseritamente priva di un patrimonio suscettibile di essere sottoposto a confisca, dovendosi ritenere congrua la motivazione relativa alla entità del patrimonio investito effettivamente da Sparacio anche in ragione di quelle
Con specifico riguardo all’elemento soggettivo costituto dallo scopo di eludere i temuti provvedimenti in materia di misure di prevenzione, di certa pregnanza si palesa il richiamo all’intercettazione nel corso della quale COGNOME, proprio all’interno dei locali della ASDI, ricorda a NOME COGNOME che sono proprio loro ad essere nell’occhio del ciclone e, dunque, i più mirati di tutti.
La valutazione compiuta sul punto è del tutto logica e priva di evidenti frizioni, così come esente da vizi è l’affermazione della configurabilità, anche in un’associazione sportiva dilettantistica, di un patrimonio suscettibile di ablazione essendo emersa la circostanza che l’imputato ha investito nell’attività una ingente somma di denaro (oltre 100.000 euro).
La circostanza che l’associazione sia priva di patrimonio è stata meramente affermata dal ricorrente che non ha spiegato per quale ragione le associazioni non riconosciute non possano avere un proprio patrimonio.
In relazione alle censure rivolte all’affermazione della penale responsabilità in ordine al capo 13) si osserva che la vicenda della quale è stato imputato il ricorrente è quella dell’intestazione fittizia dell’Internet Point “RAGIONE_SOCIALE” ad opera di NOME COGNOME e NOME COGNOME la cui intestazione è stata ricostruita sulla base di una intercettazione del 18 ottobre 2018 intervenuta tra i due dalla quale i giudici di merito hanno tratto la prova della comune intenzione di
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intraprendere un’attività di raccolta scommesse su eventi sportivi e l’esercizio del gioco d’azzardo.
Le spese per l’avvio dell’attività sono state sostenute da COGNOME e il dato è stato giudicato decisivo per affermare la fittizietà dell’intestazione a COGNOME.
Anche il dato della breve durata dell’attività costituisce elemento esaminato in sentenza e funzionale a dimostrare la riferibilità della effettiva titolarità propri Sparacio che ha deciso la chiusura a seguito della perquisizione del locale del 14 novembre 2018.
È stata motivatamente esclusa, anche tenuto conto di tale circostanza, l’insussistenza del fatto, essendo stata valutata come circostanza sintomatica, piuttosto, della riferibilità dell’azienda a Sparacio e della consapevolezza, da parte di COGNOME, della fittizietà dell’intestazione.
Da quanto esposto discende l’infondatezza del motivo di censura.
15.4. Il quarto motivo è infondato.
La critica riguarda la contestazione di cui al procedimento riunito n. 5639/21 r.g.n.r. che ha ad oggetto il delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen. relativamen alla fittizia intestazione delle attività Bar INDIRIZZO, INDIRIZZO e Ritrovo dello Stretto.
Sin dal giudizio di primo grado l’attività citata da ultima è stata esclusa dal perimetro dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato che ha avuto ad oggetto però il INDIRIZZO e L’antica INDIRIZZO.
Entrambi i beni sono stati sottoposti anche a confisca ai sensi degli artt. 12sexies legge 306 del 1991 e 240 cod. pen.
NOME COGNOME (figlia dell’imputato) ha acquistato il Bar INDIRIZZO il 19 giugno 2018 e l’Antica INDIRIZZO (ove il padre lavorava come cuoco) il 22 ottobre 2020.
La sentenza di appello ha ricostruito le ragioni per le quali l’effettivo dominus delle attività commerciali è stato ritenuto il padre NOME COGNOME
Questi, infatti, è risultato essere colui che si occupava di impartire ordini e direttive al personale (predisponendone anche i turni), intratteneva i rapporti con i fornitori, stabiliva le strategie aziendali finalizzate ad incrementare gli utili.
Proprio l’imputato si è occupato di reperire il locale (contrattando anche il relativo canone di locazione) ove esercitare l’attività della Locanda del Corso.
I giudici di merito hanno richiamato un cospicuo compendio intercettativo dal quale, analogamente a quanto sostenuto a proposito di altre attività commerciali (ad esempio, RAGIONE_SOCIALE) hanno concluso che l’intestazione aveva la finalità di schermare l’effettiva titolarità dell’azienda in funzione dello scopo, da un lato, d eludere l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali e, dall’altro, di
offrire uno strumento finalizzato a compiere attività di ricettazione, e reimpiego di utilità illecite.
La motivazione su tale aspetto si lega indissolubilmente con la logica ricostruzione della figura di COGNOME come soggetto gravitante nell’ambito del sodalizio mafioso capeggiato da NOME COGNOME meglio tratteggiato al capo 1) della rubrica imputativa, piuttosto che come promotore e organizzatore di altro autonomo sodalizio, come originariamente prospettato mediante la descrizione dell’imputazione di cui al capo 8) dalla quale lo stesso COGNOME è stato definitivamente assolto.
La censura avente ad oggetto la mancata valutazione della consulenza COGNOME è inammissibile.
Deve essere ribadito che l’omessa disamina di un elemento informativo ritualmente introdotto nel processo può essere oggetto di motivo di ricorso in sede di legittimità solo, fra l’altro, ove venga illustrata la decisività del asseritamente non considerato.
Oltre a quanto già segnalato al par. 3, va ribadito, infatti, che «il ricorso pe cassazione, con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattual o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato» (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, COGNOME, Rv. 249035 e, sostanzialmente, anche Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020, COGNOME, Rv. 280117).
Totalmente rivalutativi, invece, sono i rilievi aventi ad oggetto la riferibilit NOME COGNOME dell’attività imprenditoriale, benché lo stesso abbia allegato di essersi limitato a svolgere attività lavorativa nei locali dei quali solo la fi avrebbe avuto l’effettiva disponibilità.
Sul punto, come segnalato, la sentenza ha ampiamente e congruamente motivato, mentre le argomentazioni riferite alle verifiche che non sarebbero state adeguatamente compiute assumono significato e finalità meramente congetturale.
Analogo senso deve essere attribuito alla considerazione in base alla quale l’intestazione a congiunti conviventi non avrebbe avuto alcuna rilevanza stante la possibilità di attivare il procedimento di prevenzione mediante la presunzione di cui all’art. 26, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011.
L’art. 512-bis cod. pen. e la disciplina di cui all’art. 26 cit. operano su pia diversi e stabiliscono principi che non comportano alcuna (assoluta) incompatibilità reciproca, anche alla luce dell’elaborazione della costante giurisprudenza di questa Corte che lo stesso ricorrente richiamata alle pagg. 14-17 del ricorso.
È costante, infatti, l’orientamento in base al quale «in tema di trasferimento fraudolento di valori, il delitto è configurabile anche nel caso in cui i beni d soggetto sottoposto o sottoponibile a misura di prevenzione patrimoniale siano stati fittiziamente intestati a persone (quali il coniuge, i figli, i conviventi nell’ quinquennio, ecc.) per le quali opera la presunzione d’interposizione fittizia ex art. 2-ter legge 31 maggio 1965, n. 575, ora sostituito dall’art. 26, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non potendosi tuttavia prescindere, in tali casi, dalla verifica della capacità elusiva dell’operazione patrimoniale, alla luce di elementi di fatto ulteriori rispetto all’atto del trasferimento, idonei a consentire la ricostruzi dell’elemento soggettivo della fattispecie» (Sez. 1, n. 39846 del 23/05/2023, Salerno, Rv. 285368 – 02; Sez. 1, n. 49970 del 19/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 265408; Sez. 1, n. 4703 del 09/11/2012, dep. 2013, Lo Giudice, Rv. 254528; Sez. 1, n. 17064 del 02/04/2012, Ficara, Rv. 253340).
Peraltro, si tratta di aspetto ricostruttivo del quale la stessa sentenza si è fatt carico affrontando e risolvendo la questione del rapporto tra le discipline di cui si sta trattando in termini completi e persuasivi a pag. 143 della motivazione.
15.5. È inammissibile, altresì, il quinto motivo in quanto strutturato trascurando i principi, in punto di allegazione della decisività del dato probatorio omesso, richiamati al paragrafo che precede.
Non è stato espressamente illustrato il motivo per cui la disamina delle dichiarazioni rese dai due imputati COGNOME e COGNOME.
Inoltre, con riferimento alla asseri0 lecita provenienza dei fondi che hanno consentito l’avvio dell’attività commerciale oggetto della fittizia intestazione, evidenza che la critica è, per certi versi, eccentrica rispetto alla ratio decidendi che attiene, non già alla illiceità delle risorse che hanno contribuito all’inizio dell’att commerciale, bensì alle modalità di intestazione della stessa e alla sua effettiva titolarità.
Peraltro, il dato è stato preso in considerazione dai giudici di merito che, sul punto, hanno spiegato per quale ragione non produce effetti favorevoli alla tesi difensiva l’allegazione della provenienza delle risorse iniziali dell’impresa commerciale dall’azienda fornitrice di caffè.
15.6. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile.
Oltre a richiamare quanto illustrato al par. 14.7. si osserva quanto segue.
La sentenza ha adeguatamente illustrato tutte le ragioni per le quali la violenza nei confronti di NOME COGNOME è stata ritenuta aggravata non solo dal metodo mafioso, come ritenuto in ricorso (pag. 18), ma anche dalla finalità di agevolazione dell’associazione di cui al capo 1).
Si tratta del sodalizio mafioso ritenuto configurabile con motivazione che, anche in questa sede, viene ritenuta esente da qualsiasi vizio di violazione di legge o difetto motivazionale.
L’aggravante, sotto tale profilo, è stata ricostruita anche con riguardo al ruolo di indiscusso capo ricoperto da NOME COGNOME e della finalizzazione della sollecitata falsa testimonianza a favorire la stessa associazione (così, esplicitamente a pag. 131 e 132 della sentenza impugnata).
Si tratta di elementi univoci e congruamente illustrati, tenuto conto anche che il contesto nel quale è avvenuta l’azione minacciosa è certamente inquadrabile in quello proprio del consorzio mafioso di cui al capo 1) della rubrica.
D’altronde, il reato è stato commesso in concorso con il promotore e organizzatore dell’associazione mafiosa e per favorire un altro associato, con modalità chiaramente evocative della esistenza e della forza di intimidazione del gruppo, tenuto anche conto dei termini ossequiosi con i quali COGNOME ha fatto pervenire la propria adesione alla richiesta di COGNOME e COGNOME («non si preoccupi signor COGNOME, a disposizione»).
Deve, pertanto, ritenersi che anche la modalità con la quale la condotta minacciosa è stata posta in essere (nessun ostacolo è stato ravvisato nel fatto che COGNOME fosse detenuto e che, dunque, la richiesta della deposizione favorevole avrebbe dovuto raggiungerlo in carcere; la stessa richiesta è stata formulata da un soggetto comunemente riconosciuto come boss di una zona di Messina in favore di altro associato), ha favorito la consumazione del reato.
Risulta correttamente applicato, di fatto, il principio per cui “l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., è configurabile nel caso di condotte eziologicannente collegate all’azione criminosa, in quanto logicamente funzionali alla più pronta e agevole commissione del reato e non in quello di mera connotazione mafiosa dell’azione o mera ostentazione, evidente e provocatoria, dei comportamenti dell’organizzazione mafiosa” (Sez. 1, n. 37621 del 14/07/2023, C., Rv. 285761 – 01).
Alla luce di tali considerazioni il motivo di ricorso è inammissibile giacché parziale e generico.
15.7. Il settimo motivo è inammissibile.
Il criterio utilizzato dalla Corte di appello per determinare il trattament sanzionatorio è stato indicato a pag. 190 della sentenza impugnata.
Nella quantificazione della pena base per il reato più grave di cui al capo 9) i giudici di merito hanno applicato una pena prossima al medio edittale avendo individuato la pena base per il reato più grave di cui all’art. 611 cod. pen. nella misura di quattro anni e sei mesi di reclusione, comprensiva dell’aumento ai sensi dell’art. 416bis.1. cod. pen.
Nel compiere tale operazione i giudici di merito hanno certamente avuto presente il ruolo di COGNOME nel contesto malavitoso messinese e la sua personalità, siccome risultante dal suo coinvolgimento in numerose (eterogenee) fattispecie di delitto di cui al presente procedimento.
Pertanto, proprio alla luce di tali elementi, deve ritenersi che la modalità di calcolo della pena sia esente da vizi che, peraltro, ancora una volta, il ricorrente ha dedotto in termini estremamente generici.
Giova, infine sul punto, richiamare l’arresto secondo cui «la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, i quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pen congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale» (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243).
15.8. L’ottavo motivo è, anch’esso, generico, per le ragioni già illustrate in precedenza con riferimento alla (eccepita) mancata disamina delle considerazioni svolte dal consulente di parte COGNOME.
I rilievi difensivi esibiscono, peraltro, tutta la loro genericità anche laddove s pone attenzione al puntuale percorso motivazionale adottato dalla Corte messinese per motivare la confisca del compendio costituito dalle due attività commerciali per le quali sono state ritenute perfezionate le fattispecie di cui all’art 512-bis cod. pen.
In estrema sintesi, i giudici di merito hanno valorizzato, oltre a quanto sopra esposto, l’inconsistenza della tesi difensiva (proposta anche attraverso l’apporto tecnico del consulente COGNOME, espressamente menzionato a pag. 144 della motivazione) secondo cui vi sarebbe stata una sostanziale capacità di autofinanziamento delle imprese riferibili a Sparacio sulla scorta dei ricavi ottenuti dopo il loro avvio, oltre che sulla scorta dei finanziamenti iniziali provenienti dall imprese fornitrici del caffè.
La Corte di appello ha evidenziato l’inconsistenza delle tesi difensive richiamando, in primo luogo, la rilevanza degli investimenti iniziali per l’avvio dell’attività; rilevanza certamente non compatibile con il solo finanziamento iniziale da parte di fornitori di materia prima.
Si tratta di profilo già richiamato dalla sentenza di primo grado (pag. 355 e seguenti) sul quale il ricorrente ha svoto considerazioni meramente generiche richiamando, ancora una volta, la consulenza COGNOME senza spiegare per quale ragione le valutazioni dei giudici di merito dovrebbero ritenersi manifestamente illogiche o contraddittorie.
Ha, altresì, richiamato le considerazioni già esposte dal Tribunale di Messina riferite alla volontà elusiva di COGNOME, siccome emergente dal complesso delle attività dallo stesso poste in essere anche relativamente ad altre imprese per le quali sono emerse plurime indicazioni circa la sistematica dedizione dell’imputato alle intestazioni fittizie proprio con lo scopo di creare delle titolarità apparent funzione proprio della elusione delle disposizioni in materia di misure di prevenzione.
A fronte di tale motivazione, il ricorso si limita a segnalare alcuni vizi limita ad alcuni passaggi della motivazione, senza operare una disamina completa delle ragioni poste a fondamento della decisione impugnata.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
16.1. Il primo motivo propone censure generiche.
Va, in primo luogo, richiamato quanto esposto al par. 15.3. per il coimputato NOME COGNOME.
La motivazione adottata dalla Corte di appello in relazione alla fattispecie di cui all’art. 512-bis cod. pen. di cui al capo 12) relativa all’internet point RAGIONE_SOCIALE è stata solo lambita dal primo motivo di ricorso proposto nell’interesse del ricorrente che tende a sollecitare una rinnovata valutazione del compendio delle intercettazioni, proponendo una lettura alternativa delle stesse dalle quali ricavare la tesi della titolarità effettiva dell’esercizi commerciale in capo allo stes COGNOME.
I profili della disponibilità economica e della breve durata dell’attività sono stat presi in considerazione e spiegati con motivazione priva di vizi evidenti, tenuto conto che non si tratta, comunque, di elementi decisivi in senso favorevole alla tesi difensiva.
Inoltre, con riguardo all’elemento soggettivo, la censura si caratterizza per estrema genericità, in quanto, a fronte della spiegazione circa la consapevolezza della caratura criminale di COGNOME, per come desunta anche da comportamenti concreti tenuti dallo stesso COGNOME unitamente all’interponente (viene
menzionato l’episodio dell’«imbonimento» nei confronti dei fratelli COGNOME su segnalazione di NOME COGNOME, imputato del reato di cui al capo 14), il ricorso si pone in termini meramente avversativi privi di effettivo confronto con l’orientamento più recente di questa Corte secondo cui secondo cui «l’intestatario fittizio del bene risponde del reato a titolo di .concorso, ex art. 110, cod. pen. qualora sia consapevole della finalità elusiva o agevolativa perseguita dall’autore della condotta sanzionata dalla norma incriminatrice, non essendo necessario che sia animato dal dolo specifico dell’interponente» (Sez. 6, n. 19108 del 15/02/2024, COGNOME, Rv. 286662 ed altre conformi).
16.2. Analoga la sorte del secondo motivo riferito alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Infatti, la motivazione sul punto è effettiva in quanto la Corte di appello ha fatto riferimento sia alla mancanza di elementi positivamente valutabili, sia alla «portata e alla gravità della condotta».
Si tratta di argomentazione solo genericamente contestata con il riferimento allo stato di incensuratezza del ricorrente (di per sé inidoneo a giustificare la mitigazione sanzionatoria) e l’avvenuta determinazione della pena in misura contenuta ai fini della concessione della sospensione condizionale della
Si tratta di profili generici, oltre che parzialmente rivalutativi, inidonei, an solo in astratto, a mettere in crisi la congruità della motivazione della sentenza impugnata.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è fondato limitatamente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e deve essere, nel complesso, rigettato nel resto.
L’imputato ha riportato condanna per il solo reato associativo mafioso di cui al capo 21), ossia quale partecipe del sodalizio al cui vertice era collocato NOME COGNOME operante nel quartiere INDIRIZZO di Messina.
17.1. Il primo motivo che afferisce alla mancata pronuncia del dedotto bis in idem tra i fatti per i quali si procede e quelli giudicati nel diverso procedimento denominato RAGIONE_SOCIALE è inammissibile in quanto generico.
In effetti, risulta documentalmente dimostrato che, in sede di discussione davanti alla Corte di appello di Messina, il ricorrente ha chiesto la pronuncia di preclusione processuale per precedente giudicato.
Risulta, parimenti, che i giudici di appello hanno escluso la identità dei fatti oggetto dei due giudizi nel pronunciarsi sulla questione sollevata (anche) dalla difesa di COGNOME ai fini della prospettata incompatibilità di una parte del Collegio giudicante in appello.
Sul punto la sentenza si è ampiamente soffermata a pag. 96 riprendendo, in
seguito, i medesimi concetti a pag. 173.
In sintesi, i giudici hanno escluso l’identità dei fatti «non rilevandosi piena completa identità di evento, condotta e nesso di causalità nel raffronto tra i medesimi».
I fatti di cui al diverso procedimento sono stati assunti, quindi, quali elementi sintomatici della configurabilità del diverso delitto associativo.
Si tratta di motivazione effettiva che si pone in termini totalmente incompatibili con la prospettata violazione del bis in idem; motivazione totalmente trascurata dal ricorrente che, in ricorso, ne ha omesso ogni riferimento.
Deve applicarsi anche alla questione in esame il principio per cui «l’omesso esame di un motivo di appello da parte del giudice dell’impugnazione non dà luogo ad un vizio di motivazione rilevante a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. allorché, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente assorbito e disatteso dalle spiegazioni svolte nella motivazione in quanto incompatibile con la struttura e con l’impianto della stessa nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la “ratio decidendi” della sentenza medesima» (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593 – 01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260841 – 01).
17.2. Anche il secondo motivo, avente ad oggetto la violazione dell’art. 649 cod. proc. pen., è inammissibile in quanto generico.
Invero, come esposto al punto precedente, nell’illustrare la struttura e gli ambiti di operatività del sodalizio di cui al capo 21) (punto sul quale si richiama anche quanto esposto al par. 10.2 della presente sentenza) la Corte di appello di Messina ha ampiamente illustrato le ragioni per cui il COGNOME, lungi dal potersi ritenere responsabile dei soli reati fine, è inquadrabile nel contesto della struttura organizzata del sodalizio della cui attività ha beneficiato essendone spalleggiato per imporsi come buttafuori nei locali notturni, divenendo parte attiva delle condotte estorsive poste in essere dalla stessa associazione.
A fronte delle copiose argomentazioni illustrate in sentenza, il ricorrente si colloca in posizione meramente confutativa affermando, in termini assertivi, l’identità dei fatti per i quali è stato condannato rispetto a quello associati omettendo, tuttavia, di considerare la motivazione resa nel provvedimento impugnato.
La censura si rivela, pertanto, aspecifica e, peraltro, alla luce di quanto esposto a proposito del primo motivo, manifestamente infondata.
17.3. La censura di cui al terzo motivo è infondata.
Con riguardo alla questione della natura armata dell’associazione mafiosa di cui al capo 21) possono essere richiamate le considerazioni esposte al par. 10.4. con riguardo ai coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME (cl. 1989).
Dalla ricostruzione della parte generale della sentenza dedicata all’associazione e da quella avente ad oggetto la posizione di COGNOME, è agevole comprendere che l’uso delle armi faceva parte dell’ordinario modo di operare dell’associazione, essendo emersa plasticamente la loro utilizzazione per la commissione dei reati fine indicativi della sussistenza dell’associazione e, stante l’assidua frequentazione di COGNOME dell’abitazione del capo NOME COGNOME, con conseguente congruità della motivazione anche in punto di conoscenza della natura armata dell’associazione propri da parte dell’imputato.
17.4. È fondato il quarto motivo avente ad oggetto il difetto di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62-bis cod. pen.
Risulta che il ricorrente aveva chiesto, sin dalla proposizione dell’atto di appello, il riconoscimento delle predette circostanze alla luce della giovane età e dell’incensuratezza.
La Corte di appello di Messina, a fronte della specifica indicazione di due profili riguardanti la posizione del ricorrente, ha omesso di provvedere sul punto e non ha indicato (nel riportare i motivi di appello, pagg. 62 e 63 della sentenza) la relativa richiesta.
Ne consegue che la sentenza deve essere annullata con rinvio, sul punto, per carenza grafica della motivazione alla quale dovrà provvedere il giudice incaricato della trattazione del procedimento ai sensi dell’art. 627 cod. proc. pen.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è fondato limitatamente alla recidiva ed è infondato nel resto.
L’imputato è stato ritenuto responsabile del delitto di partecipazione all’associazione dedita al narcotraffico di cui al capo 15) della rubrica.
18.1. Il primo motivo relativo all’affermazione della penale responsabilità è infondato, ponendosi ai limiti della inammissibilità.
Il ruolo associativo del ricorrente è stato ricostruito dalla sentenza impugnata alle pagg. 160 – 161 nelle quali si richiama il contenuto di intercettazioni ambientali.
Si tratta di captazioni che, secondo la ricostruzione di cui alle sentenze di merito, hanno avuto univocamente ad oggetto sostanza stupefacente e denaro, oltre a specifiche condotte del ricorrente ritenute indicative della sua attività, f l’altro, di collettore di somme dovute dai debitori all’associazione svolgendo tale ruolo con funzioni interscambiabili con il coimputato COGNOME.
Si tratta di soggetto che interloquiva direttamente con COGNOME su questioni che interessavano il gruppo come la qualità della sostanza stupefacente commercializzata e i pagamenti da erogare agli spacciatori, occupandosi, anche, della relativa dislocazione sul territorio.
La circostanza che le conversazioni indizianti avessero ad oggetto sostanza stupefacente, è stata motivata alla luce del contenuto oggettivo delle stesse, sicché è stata esclusa la fondatezza della tesi secondo cui le captazioni avevano ad oggetto scommesse clandestine.
A fronte di tale lineare percorso motivazionale, il ricorrente ripropone questioni già sollevate con l’atto di appello e ciò si desume dalla stessa sentenza impugnata che, nel sintetizzare le censure sollevate nella fase di merito, indica proprio la deduzione della mancanza di intercettazioni dirette, l’assenza di contestazione di reati fine, l’insufficienza delle intercettazioni indizianti (in numero di tre) e i contenuto non univoco.
Si tratta di profili estremamente generici, da un lato, perché riproduttivi di censure già prese in considerazione e, dall’altro, perché contenenti istanze rivalutative di profili di stretto merito.
La motivazione, sul punto è completa e non esibisce alcun difetto motivazionale, né violazioni di legge.
In ordine al contenuto delle intercettazioni e all’attività interpretativa del giudic di merito, in punto di limiti di sindacabilità in sede di legittimità, si richiam giurisprudenza anche a Sezioni Unite riportata al par. 12.4.2., con particolare riferimento a Sez. U, n. 22471 del 2015, Sebbar, cit.
18.2. Con il secondo motivo viene contestata la ritenuta recidiva sulla quale la Corte di appello avrebbe reso una motivazione aspecifica e, comunque, omissiva di considerazioni sul ruolo secondario avuto da NOME all’interno dell’associazione.
Dalla disamina dell’atto di appello, risulta che il ricorrente, in quella sede, ha chiesto l’esclusione dell’aumento della pena per la circostanza aggravante in esame, richiamando le affermazioni rinvenibili nella sentenza n. 185 del 2015 della Corte costituzionale e nella più recente giurisprudenza di questa Corte.
A fronte dell’analiticità della contestazione nella fase di merito e della specificit della condotta ascritta (e ritenuta in capo) a Romano, non si ritiene che la motivazione della sentenza rinvenibile a pag. 190 soddisfi i parametri richiesti per argomentare la configurabilità, alla luce dei precedenti penali dell’imputato e tenuto conto della condotta allo stesso ascritta nel presente procedimento, l’incrementata pericolosità sociale che giustifica l’aumento della pena.
Oltre ai principi già ricordato al par. 11.3., si ribadisce che «ai fini de rilevazione della recidiva, intesa quale sintomo di un’accentuata pericolosità
sociale dell’imputato e non come mera descrizione dell’esistenza a suo carico di precedenti penali per delitto, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale della loro realizzazione, ma deve esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in qual misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto, che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice”» (Sez. 2, n. 10988 del 07/12/2022, dep. 2023, Rv. 284425 ed altre conformi precedenti).
Ne consegue che la sentenza, relativamente alla posizione di COGNOME deve essere annullata con rinvio limitatamente alla recidiva, affinché venga soddisfatto l’obbligo motivazionale imposto alla luce del contenuto delle contestazioni svolte con il motivo di appello sollevato sul punto.
NOME COGNOME ha riportato condanna per il reato associativo mafioso di cui al capo 1) e per quello di concorso, con il fratello NOME COGNOME, in assenza di licenza, nella organizzazione e gestione della raccolta di scommesse su eventi sportivi di cui al capo 5).
L’impugnazione, complessivamente infondata, è stata proposta dalla ricorrente per il solo delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.
19.1. Con il primo motivo si eccepisce violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla ritenuta condotta di partecipazione al sodalizio al cui vertice s collocava NOME COGNOME.
In ordine alla sussistenza dell’associazione, rispetto alla configurabilità della quale, peraltro, la ricorrente non ha sollevato alcuna censura, possono essere richiamate le considerazioni svolte al par. 5.1.con riguardo alla posizione dell’altro partecipe NOME COGNOME.
Gli elementi posti a fondamento dell’affermazione della condotta di partecipazione in capo alla COGNOME sono stati desunti essenzialmente dalla circostanza che la base operativa del sodalizio si trovava proprio nel bar gestito dall’imputata.
La tesi (ripetuta anche con il ricorso introduttivo) secondo cui la ricorrente non era a conoscenza degli affari gestiti dal fratello è stata smentita con argomenti privi di vizi evidenti, siccome basati sul contenuto di intercettazioni (emblematica quella con il titolare dell’impresa «RAGIONE_SOCIALE») e sulla base della circostanza che nei medesimi locali venivano svolte altre attività illecite come quelle descritte al capo 5) per il quale, come segnalato, non è stata proposta impugnazione alcuna.
Anche nell’attività di procacciamento di risorse economiche evitando di impegnare eccessivamente il fratello la Corte di appello messinese ha desunto la dimostrazione della configurabilità della partecipazione all’associazione.
Ancora, è stata valorizzata l’attività consistita nel dare denaro ed altri beni agl associati ed ai familiari, anche con forme di sostentamento in favore dei detenuti.
È stata ritenuta dimostrata anche l’attività di messaggera consistente nella diramazione delle convocazioni provenienti dal fratello verso sodali e conoscenti.
A fronte di tali elementi, i giudici di merito hanno escluso la presenza di condotte, in qualsiasi forma, dissociative o di «presa di distanze», qualificando, piuttosto, le perplessità nutrite verso l’attività del fratello come una forma d preoccupazione per la propria attività commerciale.
Si tratta di una motivazione effettiva, lineare, priva di vizi evidenti e sviluppat senza frizione alcuna rispetto ai principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte in punto di individuazione degli elementi costitutivi del delitto d partecipazione ad associazione mafiosa.
Oltre a quanto illustrato al par. 5.1. in punto di elementi costitutivi del condotta di partecipazione al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., si richiam l’ulteriore principio secondo cui «integrano la condotta di partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso la fornitura di mezzi materiali a membri di detta associazione e l’attività di trasmissione di messaggi scritti tra membri influenti della medesima, in quanto esse ineriscono al funzionamento dell’organismo criminale, sia sotto il profilo della disponibilità di risorse materi utilizzabili per l’attività di questo, sia sotto quello del mantenimento di cana informativi tra i suoi membri, che è incombenza di primaria importanza per il funzionamento dell’associazione per delinquere» (Sez. 1, n. 13008 del 28/09/1998, COGNOME, Rv. 211900 – 01, proprio in relazione alla consegna, da parte dell’imputato , a vari associati, di messaggi segreti; sostanzialmente conformi, fra le altre, Sez. 2, n. 7872 del 28/01/2020, COGNOME, Rv. 278425 – 01; Sez. 6, n. 3595 del 04/11/2020, dep. 2021, T., Rv. 280349 – 01).
In termini ineccepibili, quindi, è stata illustrata la sussistenza della condotta d partecipazione di NOME COGNOME il cui ruolo non può essere classificato in termini di mera connivenza non punibile, essendosi sostanziata la condotta in un contributo effettivo e concreto al rafforzamento del gruppo sulla scorta di plurime azioni positive volte a garantire il raggiungimento degli obiettivi del sodalizi mafioso.
Il ruolo dell’imputata è stato ricostruito proprio con quei connotati di concretezza e dinamicità solo genericamente stigmatizzati nel motivo di ricorso in esame che, pertanto, deve essere rigettato in quanto infondato.
19.2. Con il secondo motivo i medesimi vizi di cui al punto precedente sono stati eccepiti in relazione alla circostanza aggravante della natura armata dell’associazione.
Il motivo è inammissibile in quanto fondato sulla mera circostanza fattuale secondo cui la ricorrente non era a conoscenza del possesso di armi da parte degli associati.
Sul punto possono essere mutuate le considerazioni svolte ai parr. 5.2. e 7.2. del considerato in diritto in relazione alle posizioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME
Nel caso di specie, la spiegazione fornita a pag. 106 della sentenza è priva di profili di criticità evidenti.
La Corte di appello infatti, prendendo anche spunto dalla vicenda dell’arma di cui al capo 7) della rubrica della quale sono stati ritenuti responsabili NOME COGNOME e NOME COGNOME, ha evidenziato, in punto di riferibilità soggettiva della circostanza aggravante a tutti i soggetti coinvolti nella partecipazione al sodalizio, che «è chiaro come associati che stavano a strettissimo contatto familiare col COGNOME ed il COGNOME (primi fra tutti le “donne di mafia” COGNOME NOME e COGNOME NOME, ma anche soggetti quali NOME COGNOME, figlio della seconda e “protetto” da NOME COGNOME , nonostante le critiche al suo comportamento), non avrebbero potuto non sapere del possesso di tali armi e della loro utilizzabilità per fini associativi, foss’anche solo di protezione delle persone coinvolte nelle attività illecite del gruppo».
Si tratta di motivazione che correla, secondo massime di esperienza, ai dati fattuali rilevati, la conseguenza della conoscenza della disponibilità delle armi, senza che tale conclusione sia scalfita da alcun elemento processualmente acquisito e senza che la linearità del percorso logico sia incrinata dalla generica asserzione della ricorrente.
Il motivo in esame deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
19.3. Con riferimento al terzo motivo avente ad oggetto il diniego delle circostanze attenuanti generiche, devono essere richiamate le considerazioni sviluppate ai parr. 5.5., 7.3. e 10.8.
A fronte della segnalata gravità delle condotte e della mancanza di elementi positivamente valutabili, la ricorrente si è limitata a porsi in termini meramente confutativi opponendo meri argomenti di merito quali la soggezione al fratello, la mancata condivisione delle iniziative criminali del fratello, l’estraneità ai delitti materia di stupefacenti.
Il motivo, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
20. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
20.1. La censura di cui al primo motivo, con il quale sono stati eccepiti violazione di legge e vizio di motivazione mancante in relazione all’affermazione della penale responsabilità per il reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. contestato al capo 12), risulta promiscuamente articolata e contiene la deduzione dei vizi di violazione di legge e mancanza di motivazione.
Va richiamato quanto esposto, a proposito della posizione di NOME COGNOME (coimputato del ricorrente ed effettivo titolare dell’attività ASD RAGIONE_SOCIALE) al pa 15.3. e al par. 16.1. in relazione alla posizione di NOME COGNOME con riguardo alla diversa (ma assimilabile) fattispecie di cui al capo 13).
In particolare, s’intende fare riferimento alla parte di motivazione riferita all suscettibilità dell’ASD di avere beni patrimoniali e dell’elemento soggettivo del fittizio intestatario ai fini della configurabilità della fattispecie di cui all’art. cod. pen.
Il motivo di ricorso è, pertanto, inammissibile in quanto generico.
20.2. Il secondo motivo relativo all’intervenuta prescrizione del reato per effetto della esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. perì. ha contenuto identico a quello proposto nell’interesse del coimputato COGNOME con la conseguenza che può operarsi integrale rinvio alle considerazioni rassegnate ai parr. 6.2.e 6.3. del considerato in diritto della presente sentenza.
Anche il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
21.1. Il primo motivo riguarda i vizi di violazione di legge e difetto d motivazione relativamente al reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. contestato al capo 14).
Sul punto, oltre a quanto esposto a proposito del quinto motivo di ricorso proposto nell’interesse del coimputato NOME COGNOME (par. 15.5.), si osserva quanto segue.
Rimane sostanzialmente incontestata la natura fittizia dell’intestazione dell’attività commerciale «RAGIONE_SOCIALE» a NOME COGNOME; attività della quale, ancora una volta, era effettivo titolare COGNOME.
La ricostruzione sul punto è stata effettuata dalle convergenti sentenze di merito alla luce di un corposo compendio costituito da intercettazioni dalle quali risulta la riferibilità certa al predetto Sparacio sia delle risorse economich impiegate per l’acquisizione dell’attività, sia dei più importanti poteri decisionali ordine alla sua concreta gestione (potendosi qualificare la figura di COGNOME quale semplice lavoratore subordinato).
Richiamato l’orientamento più accreditato della giurisprudenza di questa Corte in punto di elemento soggettivo del reato in esame, va evidenziato come la
sentenza impugnata si sia fatta carico di un preciso onere motivazionale sul punto e lo abbia assolto in termini congrui ed esenti dai vizi lamentati.
A tale proposito, i giudici di merito hanno descritto precisi indici dell consapevolezza della provenienza di COGNOME dagli ambienti criminali segnalando la condotta posta in essere (unitamente a COGNOME) nei confronti dei fratelli COGNOME che avevano minacciato lo stesso COGNOME, l’investimento di circa 50.000 euro, da parte di COGNOME, nell’avvio dell’attività commerciale, nonostante questi fosse nullatenente e privo di redditi significativi.
Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, risulta illustrata senza vizi evidenti la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. contestato al ricorrente.
Con riguardo all’elemento soggettivo, si richiamano inoltre le considerazioni svolte a proposito degli imputati COGNOME e COGNOME.
21.2. In ordine al secondo motivo, si evidenzia che, anche per l’imputato COGNOME, la motivazione sulla mancata concessione delle attenuanti generiche è effettiva in quanto la Corte di appello ha fatto riferimento sia alla mancanza di elementi positivamente valutabili, sia alla «portata e alla gravità della condotta».
Si tratta di motivazione contestata sollecitando a questa Corte la valutazione di elementi fattuali quali la breve durata dell’attività aziendale, l’assenza di profitt il contegno processuale, l’assenza di precedenti specifici.
Si tratta di argomenti totalmente rivalutativi e inidonei, anche solo in astratto, a mettere in crisi la congruità della motivazione della sentenza impugnata che si è conformata, sul punto, alla giurisprudenza costante di questa Corte di legittimità già richiamata ai parr. 5.5., 7.3. e 10.8.
22. Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME è fondato limitatamente alla censura dedotta con il terzo motivo in punto di pena, essendo infondato nel resto.
Il ricorrente ha riportato condanna per il reato di cui al capo 16) della rubrica, ossia per avere colpito al volto NOME COGNOME provocandogli la rottura del setto nasale.
22.1. Il primo motivo di ricorso ha ad oggetto i vizi di violazione di legge e difetto di motivazione in punto di procedibilità del reato oggetto dell’imputazione di cui al capo 16).
Si tratta del delitto di cui all’art. 583, comma secondo, n. 4, cod. pen. (lesioni gravissime) avendo riportato la vittima la rottura del setto nasale, tanto da essere costretto a sottoporsi ad un intervento di rinosettoplastica per il quale ha eseguito il prericovero presso l’Ospedale INDIRIZZO di Messina,
La circostanza relativa all’entità e alla natura della lesione risulta, altresì, dal incontestata ricostruzione fattuale di cui allo stesso ricorso introduttivo nel quale
si fa riferimento alla frattura del setto nasale che, pacificamente, secondo una giurisprudenza risalente e mai superata, integra la nozione di deformazione (Sez. 5, n. 430 del 14/11/1984, dep. 1985, COGNOME, Rv. 169994).
È integrata, pertanto, una fattispecie che, sia secondo la normativa vigente al momento del fatto (commesso in epoca prossima al 23 gennaio 2018), sia per effetto della normativa sopravvenuta (art. 583 quinquies cod. pen.), integra reato procedibile d’ufficio.
Sul punto, correttamente, la sentenza impugnata ha segnalato l’arresto della giurisprudenza di questa Corte secondo cui «in tema di lesioni personali, sussiste continuità normativa tra la circostanza aggravante della “deformazione” o dello “sfregio permanente al viso”, abrogata dall’art. 12, legge 19 luglio 2019, n. 69, e il delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso» (Sez. 5, n. 6401 del 23/01/2024, M., Rv. 286054 – 01).
Il motivo di ricorso è, pertanto, infondato.
22.2. Il secondo motivo è inammissibile.
Ha ad oggetto i medesimi vizi di violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla ritenuta recidiva motivata dalla Corte di appello richiamando la natura violenta della condotta come espressione dell’acuirsi della pericolosità sociale e una forma di intensificazione della propensione a delinquere.
Si tratta di una motivazione che tiene adeguatamente conto del contesto in cui è avvenuto il fatto.
Va, infatti, tenuto conto della specificità della condotta ascritta all’imputato consistita in un’aggressione fisica che ha provocato significative lesioni e della circostanza che l’azione è stata commessa per ragioni inerenti a dissidi aventi ad oggetto l’attività dell’associazione dedita al narcotraffico.
Alla luce di tali circostanze, siccome emergenti dalla ricostruzione in fatto della sentenza, il richiamo operato nella parte finale della sentenza (pag. 188) alla pericolosità sociale dell’imputato appare idoneo a supportare l’affermazione della configurabilità della contestata recidiva.
22.3. È fondato il terzo motivo di ricorso.
Con la censura il ricorrente lamenta che la sentenza ha operato gli aumenti per le circostanze ad effetto speciale della natura gravissima della lesione e della recidiva in violazione del limite di cui all’art. 63, comma quarto, cod. pen.
Tale disposizione prevede che «se concorrono più circostanze aggravanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla».
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno operato sulla pena già aumentata per effetto dell’aggravante ad effetto speciale derivante dalla natura delle lesioni (anni sei di reclusione), l’ulteriore aumento per l’altra circostanza ad effetto
speciale della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale determinando la pena in anni dieci di reclusione all’esito di un aumento ulteriore di due terzi.
Avrebbero dovuto, invece, individuare quale fra le due circostanze ad effetto speciale era la più grave, applicare il solo aumento per tale circostanza ed, eventualmente, aumentare ulteriormente la pena.
Dalla violazione della regola stabilita nell’art. 63, comma quarto, cod. pen. discende l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata in punto di determinazione dell’aumento di pena per le circostanze aggravanti ad effetto speciale.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME deve essere complessivamente rigettato.
L’imputato ha riportato condanna per la sua partecipazione all’associazione dedita al narcotraffico di cui al capo 15).
23.1. Con riguardo al primo motivo, in relazione alla contestata sussistenza dell’associazione dedita al narcotraffico, è sufficiente richiamare quanto esposto al par. 10.5.
In riferimento al ruolo specifico di COGNOME all’interno del sodalizio, la censura, peraltro di natura prettamente rivalutativa, non coglie significative criticit motivazionali.
Invero, pure a fronte del mancata disponibilità materiale diretta di sostanza stupefacente, la sentenza ha ampiamente illustrato la condotta partecipativa del ricorrente valorizzando l’attività di supervisione, certamente non occasionale, al trasporto di sostanza stupefacente dalla Calabria, materialmente posta in essere da NOME COGNOME così come la partecipazione ad attività decisamente qualificanti per il sodalizio, come le minacce rivolte al padre dello stesso COGNOME a ragione dei debiti contratti dal figlio.
Si tratta di condotta per la quale COGNOME ha riportato condanna definitiva e che quindi, del tutto congruamente, stante la sua significatività in chiave associativa, siccome espressione del precipuo interesse dell’imputato per questioni di interesse comune, è stata assunta ad elemento pregnante ai fini della dimostrazione dell’adesione al sodalizio.
Sul punto la contestazione del ricorrente non va oltre l’assertività, essendosi limitata alla mera affermazione dell’irrilevanza della condanna in chiave associativa, senza considerare, in termini completi, quanto esposto in sentenza proprio in relazione al profilo della non occasionalità della relazione tra COGNOME e COGNOME, anche in relazione agli stretti legami emersi tra lo stesso COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il motivo è, pertanto, infondato.
23.2. Manifestamente insussistente il vizio di motivazione eccepito al secondo con riguardo alla mancata configurabilità dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 74 comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990.
Contrariamente a quanto ritenuto in ricorso, la sentenza ha affrontato la questione e reso, sul punto, una congrua motivazione avendo valorizzato l’ampiezza dei traffici, l’entità degli approvvigionamenti, l’articolazione del attività, l’estensione della piazza di spaccio, il rilievo criminale dei soggetti operan nel gruppo.
Deve ricordarsi che «in tema di stupefacenti, la fattispecie associativa prevista dall’art. 74, comma 6, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, è configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità e che, in concreto, l’attività associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990» (Sez. 6, n. 1642 del 09/10/2019, dep. 2020, Pg, Rv. 278098 – 01).
Inoltre, va ribadito che, «ai fini della configurabilità del reato di associazion finalizzata al traffico di stupefacenti di lieve entità, non è sufficiente considera la natura dei singoli episodi di cessione accertati in concreto, ma occorre valutare il momento genetico dell’associazione, nel senso che essa deve essere stata costituita per commettere cessioni di stupefacente di lieve entità, e le potenzialità dell’organizzazione, con riferimento ai quantitativi di sostanze che il gruppo è in grado di procurarsi (Sez. 3, n. 44837 del 06/02/2018, COGNOME, Rv. 274696 – 01).
Applicando tali principi alla presente fattispecie, tenuto conto degli elementi di fatto valorizzati in sentenza, così come sopra esposti, il motivo di ricorso deve ritenersi privo di fondamento.
23.3. Il terzo motivo è, parimenti, inammissibile.
La censura ha ad oggetto la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche che la Corte di appello di Messina ha negato a Marra sulla scorta della medesima motivazione utilizzata per gli altri imputati, ossia in ragione della gravissima portata delle condotte, siccome descritte in motivazione, e per l’assenza di elementi valorizzabili in senso positivo.
Così come già segnalato ai parr. 5.5., 7.3. e 10.8., da intendersi richiamati per la posizione in esame anche per i principi di diritto in essi riportati, i giudici merito hanno fatto buon governo della discrezionalità loro assegnata in relazione al profilo della dosimetria della pena, anche con riguardo alla determinazione di non concedere la mitigazione della pena ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen.
A fronte della indicazione specifica delle ragioni del diniego, il ricorrente oppone ragioni generiche lamentando l’omessa valutazione delle «caratteristiche dell’associazione in argomento» segnalando, così, un elemento già esaminato dalla
sentenza ih esame che, alla luce di elementi fattuali puntualmente indicati nel descrivere la posizione di Marra all’interno del sodalizio ha ritenuto quei fatti invece, connotati da particolare gravità.
Né ha pregio il riferimento alla circostanza che i giudici di appello hanno adottato moduli decisori e motivazionali comuni, atteso che il riferimento, per ogni ricorrente, alla gravissima portata della condotta implica un richiamo alla specificità della posizione da ciascuno assunta nelle vicende oggetto del procedimento.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOMEanch’egli ritenuto partecipe dell’associazione dedita al narcotraffico di cui al capo 15) è infondato.
24.1. La deduzione dei vizi di violazione di legge e difetti della motivazione riferita alla condotta di partecipazione al sodalizio di cui al primo motivo di ricors poggia, essenzialmente, sull’affermata natura estemporanea ed occasionale della commissione del reato di detenzione di sostanza stupefacente trasportata dalla Calabria meglio descritta al capo 19) per il quale COGNOME ha riportato condanna definitiva.
L’azione troverebbe origine in un rapporto di debito del ricorrente con l’associazione che, per ottenere il pagamento del proprio credito, avrebbe richiesto a COGNOME di trasportare la sostanza destinata alla vendita nel mercato messinese.
Si tratta di profili già presi in considerazione nella sentenza impugnata che ha deciso sia sulla dedotta unicità della condotta di approvvigionamento del 29 giugno 2018 (quando COGNOME è stato tratto in arresto perché in possesso di quattro chili di marijuana trasportata dalla Calabria, fatto di cui al capo 19) che, in questa sede, è contestato al solo NOME COGNOME e per il quale COGNOME ha riportato condanna definitiva), sia sulla asserita esistenza di un rapporto di debito verso COGNOME e COGNOME.
La tesi difensiva è stata smentita alla luce di un corposo compendio indiziario che ha consentito ai giudici di merito di ricostruire il ruolo associativo di COGNOME quale soggetto incaricato di trasportare, frequentemente, non già in una, isolata, occasione, sostanza stupefacente dalla Calabria, grazie ai buoni rapporti che aveva con il fornitore NOME COGNOME.
Sono emersi e sono stati illustrati i rapporti intrattenuti da COGNOME con altri associati quali COGNOME COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME.
Conferma di tale rapporto e del vincolo associativo, e dunque stabile, di COGNOME con gli altri sodali, si è ricavata anche dalle vicende estorsive delle quali è rimasto vittima insieme al padre NOME COGNOME.
In termini privi di evidenti illogicità o contraddittorietà, i giudici di merito ha ravvisato proprio in quegli episodi in cui NOME e il genitore sono stati vittime di
aggressioni fisiche o comportamenti estorsivi l’ulteriore dimostrazione di una sorta di «richiamo all’ordine» allo scopo di mantenere quel vincolo associativo e quella disponibilità alle esigenze del gruppo che potevano essere messe in pericolo da iniziative autonome (e dunque non tollerate, proprio alla luce di quel vincolo) da parte di COGNOME.
Tale schema motivazionale è totalmente esente dalle censure motivazionali sollevate dal ricorrente.
24.2. Plurime ragioni depongono per l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di COGNOME, ossia di quello avente ad oggetto la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Brescia in punto di entità della pena per il reato ascritto all’imputato.
Al netto della formulazione meramente ipotetica della censura, se ne segnala l’estrema genericità stante l’omessa specificazione di quali siano i profili potenzialmente destrutturanti della decisione assunta in punto di trattamento sanzionatorio per effetto della decisione sulla menzionata questione di legittimità costituzionale.
Difetta una indicazione specifica delle conseguenze derivanti dalla pronuncia della Consulta sulla vicenda in esame.
Si tratta, peraltro, di questione che è stata dichiarata inammissibile con sentenza n. 239 del 2024 con la conseguenza che neppure l’ipotesi alla quale era stata subordinato l’accoglimento della censura non si è, in concreto, verificata.
Alla luce delle considerazioni che precedono, devono ritenersi fondati i ricorsi di:
NOME COGNOME, quanto al riconoscimento della recidiva;
NOME COGNOME con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche;
NOME COGNOME, quanto al riconoscimento della recidiva;
NOME COGNOME in ordine alla determinazione dell’aumento di pena per le circostanze aggravanti ad effetto speciale;
NOME COGNOME, quanto al mancato riconoscimento della sospensione condizionale.
Limitatamente a tali profili, pertanto, la sentenza impugnata viene annullata, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d’appello di Messina; vanno disattesi, quanto al resto, i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
Parimenti da rigettare sono le impugnazioni di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME
COGNOME, ciascuno dei quali va condannato, ex lege,
al pagamento delle spese processuali. Sono invece da dichiarare inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME
NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME
COGNOME; consequenzialmente, ciascuno di tali ricorrenti va condannato al pagamento delle spese processuali e – non ravvisandosi profili di esonero – della
somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME,
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME
COGNOME e NOME COGNOME vengono condannati alla rifusione delle spese di assistenza e difesa affrontate – nel corso del giudizio di legittimità – dalla part
civile Associazione “RAGIONE_SOCIALE“; tale somma viene liquidata in complessivi euro 1.844,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata: a) nei confronti di COGNOME UgoCOGNOME limitatamente al riconoscimento della recidiva; b) nei confronti di COGNOME
NOME, limitatamente al diniego delle circostanze attenuanti generiche; c) nei o 2 ,3 c3 GLYPH o 3 (D GLYPH 22 cg cci confronti di NOME COGNOME limitatamente al riconoscimento della recidiva; d) nei confronti di COGNOME NOME, limitatamente alla determinazione dell’aumento di pena per le circostanze aggravanti ad effetto speciale; e) nei confronti di NOME COGNOME, limitatamente al mancato riconoscimento della sospensione condizionale; con rinvio per nuovo esame su tali punti ad altra sezione della Corte d’appello di Messina. Rigetta nel resto i ricorsi di COGNOME Ugo, COGNOME Domenico, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME. Rigetta i ricorsi di COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME, Soffli NOME, COGNOME Francesco, COGNOME Antonio, COGNOME Carlo e condanna ciascuno di tali ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Condanna COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Francesco, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Kevin alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile Associazione “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, che liquida in complessivi euro 1.844,00, oltre accessori di legge. = 5
Così deciso in Roma, 4 febbraio 2025.