Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5929 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 5929 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da INDIRIZZO, nato a Mileto il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/06/2023 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi gli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, difensori di NOME COGNOME, che hanno concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe indicato, il Tribunale di Catanzaro ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro dell’i giugno 2023 applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME per i reati di cui all’art. 416-bis cod. pen. e 629 cod. pen., ascritti rispettivamente ai capi 1) e 3) dell’imputazione provvisoria, per avere fatto parte dell’RAGIONE_SOCIALE operante nella provincia di Vibo Valentia, con il ruolo di capo, organizzatore e finanziatore della “locale” di
Mileto, ed aver concorso in una estorsione continuata in danno dell’imprenditore COGNOME incaricato della raccolta dei rifiuti nel Comune di Mileto, partecipando alla suddivisione dei proventi ripartiti con gli altri esponenti delle quattro divers articolazioni territoriali presenti nella organizzazione ‘RAGIONE_SOCIALE di Mileto, per la successiva destinazione al mantenimento delle famiglie degli affiliati detenuti in carcere.
1.1. Il Giudice dell’impugnazione cautelare ha premesso che il provvedimento custodiale poggia sugli esiti delle investigazioni – articolatesi in dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, intercettazioni, telefoniche e tra presenti – che hanno consentito di accertare la presenza nel territorio del Comune di Mileto e del suo circondario di un sodalizio mafioso radicato nel tempo, costituente l’aggregazione di più gruppi criminali di tipo ‘RAGIONE_SOCIALE alleati tra loro, per commettere vari delitti tra cui estorsioni, usure, gioco d’azzardo e traffico di stupefacenti
Quanto alla partecipazione del ricorrente si evidenzia come le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, COGNOME, COGNOME, COGNOME, convergono nella descrizione del ricorrente come di un soggetto inserito nel sodalizio criminale di cui trattasi, in linea con le intercettazioni che ne hanno attestato gli stretti rappor con altri affiliati ed in particolare per la rilevanza della diretta partecipazione a suddivisione dei proventi dell’estorsione quale prova del ruolo organizzativo rivestito nell’RAGIONE_SOCIALE, e sulla base di altre vicende ritenute sintomatiche del suo prestigio mafioso (recupero di un’autovettura oggetto di un furto sottratta ad un affiliato; ruolo di riferimento criminale svolto per sollecitare il mancato pagamento di un credito non pagato da una impresa operante a Mileto; appoggio fornito ad un latitante affiliato alla RAGIONE_SOCIALE).
La contestazione del capo 3) è incentrata sulle intercettazioni da cui emerge la vicenda della ripartizione dei proventi dell’estorsione ai danni del titolare della impresa RAGIONE_SOCIALE, che dovevano poi essere destinati al mantenimento dei detenuti.
In tema di esigenze cautelari, oltre a richiamare la doppia presunzione correlata al titolo di reato, si evidenzia il carattere di mafia storica del clan appartenenza, in relazione alla assenza di elementi da cui desumere che il tempo decorso dai fatti possa rilevare al fine di escludere l’attualità delle esigenze cautelari.
Nel ricorso a firma del proprio difensore di fiducia (AVV_NOTAIO), NOME COGNOME chiede l’annullamento del provvedimento per i seguenti motivi sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. che investono solo le valutazioni in punto di gravità indiziaria.
2.1. Con il primo motivo deduce vizio della motivazione in relazione al capo 3) sotto il profilo innanzitutto della incerta identificazione del ricorrente nel
persona indicata con il nome di “NOME” nella conversazione intercettata intercorsa tra COGNOME NOME e COGNOME NOME. In particolare, si osserva che nella conversazione intercettata oltre al nome di “NOME” si parla anche di “NOME” senza ulteriori specificazioni, sicchè anche sotto tale profilo non è detto che si tratti della stessa persona. Al riguardo si obietta che anche l’identificazione per il riferimento all’esercizio commerciale gestito dalla moglie dell’indagato appare dubbio, considerato che l’ulteriore riferimento all’episodio riferito dal collaboratore COGNOME ha una diversa collocazione temporale. Si rappresenta che anche la conversazione intercettata in quanto intercorsa inter alios non fornisce la prova del ruolo svolto dal ricorrente per la divisione e destinazione dei proventi dell’estorsione al mantenimento dei detenuti.
2.2. Con il secondo motivo deduce vizio della motivazione in relazione al capo 1) per ricaduta, in conseguenza delle già dedotte carenze di motivazione relative al reato di estorsione, anche per l’illogica valutazione degli ulteriori elementi tratt dalla vicenda del furto dell’autovettura e per la genericità delle dichiarazioni rese dai collaboratori COGNOME COGNOME COGNOME che non consentono di delineare un concreto fattivo ruolo svolto dal ricorrente in seno al sodalizio in ossequio ai criteri indicati dalle note sentenze delle Sezioni Unite, n. 33748 del 12/07/2005 (COGNOME) e n. 36958 del 27/05/2021 (Modaffari).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato per infondatezza dei motivi dedotti.
Con riguardo al primo motivo si deve osservare che contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente il Tribunale del riesame ha fornito una motivazione coerente ed immune da vizi logici sia rispetto alla identificazione di “NOME” e sia rispetto alla rilevanza del ruolo di NOME COGNOME nella ripartizione delle quote spettanti alle singole famiglie mafiose sui proventi dell’estorsione quale riscontro della sua veste di organizzatore e capo dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di riferimento.
Quanto alla identificazione di “NOME” nell’odierno ricorrente va rilevato che da un lato viene del tutto pretermessa la circostanza che tale soprannome è stato confermato dal riconoscimento fotografico eseguito dalla collaboratrice di giustizia NOME COGNOME, e dall’altro lato, che il riferimento esplicito a “NOME” nella conversazione intercettata intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME esclude la possibilità di equivoci circa l’attribuzione al predetto soggetto del compito di riscuotere la quota di sua spettanza dei proventi dell’estorsione ai danni della ditta di RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, nell’ordinanza impugnata la questione dedotta dal ricorrente è stata adeguatamente affrontata attraverso la valorizzazione dell’esplicito
riferimento a “NOME” per desumerne che anche il soggetto che viene poi indicato solamente con il nome di “NOME” si identifichi nello stesso soggetto, così da ritenere superati i dubbi prospettati dalla difesa, essendosi tenuto conto che anche uno dei due interlocutori intercettati si chiama NOME (NOME COGNOME).
Deve qui rammentarsi che in tema di valutazione della prova, con riferimento ai risultati delle intercettazioni di comunicazioni, «il giudice di merito deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati e assenza di ambiguità, di modo che la ricostruzione del significato delle conversazioni non lasci margini di dubbio sul significato complessivo della conversazione» (Sez. 6, n. 29530 del 3 maggio 2006, COGNOME, Rv. 235088; Sez. 5, n. 48286 del 12 luglio 2016, Cigliola, Rv, 268414).
Questa posizione ermeneutica è stata ulteriormente ribadita dalle Sezioni unite che hanno ribadito come in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22741 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
Va, inoltre, osservato che, in sede di legittimità, è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito « solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile» (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017 dep. 2018, Di Maro, Rv. 272558) sicché sono inammissibili, come nel caso in esame, le generiche censure sviluppate nel ricorso in merito alla presunta illogicità dell’interpretazione accolta nell’ordinanza impugnata.
2. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Le intercettazioni valorizzate nell’ordinanza impugnata descrivono il ruolo svolto da NOME COGNOME nella divisione dei proventi dell’estorsione ai danni della ditta RAGIONE_SOCIALE che prosegue immutata nel corso degli anni e che comporta la suddivisione dei relativi proventi tra le quattro articolazioni territoriali mafiose pe la successiva destinazione alle famiglie degli affiliati in carcere.
Trattasi di un profilo che attribuisce particolare pregnanza anche alle ulteriori e diverse fonti di prova costituite dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia supporto della riconosciuta qualità di organizzatore e capo della locale di Mileto.
Tutte le altre censure sono inammissibili, essendo volte a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudizio di merito.
Secondo l’incontrastata giurisprudenza di legittimità, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.
Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 22 dicembre 2023 Il ConOgli GLYPH estensore GLYPH