Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 38752 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 38752 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a NAPOLI il 24/11/1989 NOME nato a NAPOLI il 06/10/1957 NOME COGNOME nato a NAPOLI il 03/04/1971 NOME nato a NAPOLI il 02/06/1946 NOME COGNOME nato a NAPOLI il 03/05/1960 DI COGNOME NOME nato a NAPOLI il 12/09/1992 COGNOME NOME nato a NAPOLI il 16/01/1951
avverso la sentenza del 16/06/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità di ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e COGNOME NOME e il rigetto dei ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME; e DI
udito l’Avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME, che ha insistito nei motivi di ricorso e della memoria depositata;
udito l’Avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME il quale ha insistito per l’annullamento della sentenza impugnata;
udito l’Avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
Udito gli Avv. COGNOME e NOME COGNOME difensori di CALIENNO, i quali hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi;
Udito gli Avv. COGNOME e NOME COGNOME difensori di COGNOME i quali hanno insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso e della memoria depositata;
Udito l’Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso;
udito l’Avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei motivi del ricorso e della memoria depositata;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 16 giugno 202 rideterminava la pena alla quale era stato condannato NOME COGNOME in anni v di reclusione, riconosciuta la continuazione con i fatti di cui alla senten Corte di appello di Napoli del 29 settembre 2011, riduceva la pena inflitt confronti di COGNOME COGNOME ad anni tredici e mesi sei di reclusione, previa conce delle attenuanti generiche riconosciute equivalenti alle contestate aggra escludeva le aggravanti di cui all’art. 629 commi 1 e 2 cod, pen, nei confro COGNOME NOME e confermava la sentenza di primo grado nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME..
1.1 Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME condannato quale partecipe dell’associazione di tipo mafioso denomina “clan COGNOME” per i seguenti motivi:
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto il materiale indiziario agli atti non poteva ritenersi sufficiente a su l’ipotesi accusatoria: in particolare, non risultavano riscontrate le interc così come non era stata provata in alcun modo la qualità criminale del ricorr la condotta illecita era stata descritta in modo generico (anche in consider della mancanza di reati fine), non era dato conoscere la data di ingresso di A nell’associazione e vi era mancata correlazione tra l’imputazione contestat sentenza emessa; COGNOME, secondo l’accusa, era alle dipendenze della COGNOME di COGNOME, ma non risultava mai coinvolto in fatti o atti insieme a ultimi ed i testi nulla avevano riferito in proposito; l’unico teste che av riferimento ad COGNOME era il maresciallo COGNOME che aveva relazionato sol merito alle conversazioni intercettate.
Il difensore rileva che in appello era stata mossa una gravissima censura sentenza di primo grado nella parte in cui assumeva (pag.219) che gra all’allegazione della sentenza in merito alla vicenda RAGIONE_SOCIALE era sostanzialmente acclarata la tipologia mafiosa del lavoro di Alfano; tale as non rispondeva al vero, in quanto dalla semplice lettura della sentenza c risultava essere stata esclusa l’aggravante mafiosa; nessuna risposta sul aveva fornito la Corte di appello, che aveva inoltre utilizzato il contenuto ca in maniera concisa e confusa; in particolare, lo stesso COGNOME aveva chiarit non aveva mai usato il termine “mesata” con riferimento ad NOME; quanto a questione dei 600 euro che COGNOME non avrebbe consegnato a COGNOME Rosa, in cui sarebbe stato coinvolto COGNOME, dalla conversazione n. 2339 de novembre 2012, ore 18.52 si evinceva chiaramente l’assenza fisica di COGNOME e
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la condotta era stata posta in essere a sua insaputa, e la riprova si av contenuto della intercettazione n.2331 del 10 novembre 2012 ore 18.06 e dal dichiarazioni di Vetrano in sede di controesame’
1.2 mancanza e manifesta illogicità della motivazione anche in tema riscontri ai profili attinenti la figura dei collaboratori di giustizia e m apparente: le dichiarazioni di COGNOME NOME non avevano ottenuto alcu preliminare vaglio di credibilità, ed COGNOME non aveva mai militato né dichiarazioni a carico del cd. “clan Confini”, essendo inserito nel clan COGNOME cui il difensore non aveva prestato il consenso all’acquisizione dei verb interrogatorio resi dal collaboratore innanzi al Pubblico Ministero, chiedendo c procedesse ad esame e controesame dibattimentale; vi era quindi stata violazi di legge, in quanto il Tribunale aveva affermato che vi era stato il consenso difesa alla utilizzazione dei contenuti dell’interrogatorio; la Corte di appel evidenziato che in sede di esame e controesame il collaboratore ave espressamente richiamato quanto già dichiarato in precedenza, omettendo d motivare in diritto sull’utilizzo integrale nella motivazione della sentenza d grado dei verbali acquisiti senza il consenso della difesa; inoltre COGNOME aveva mai operato una collocazione esatta dei fatti nel tempo, aveva f riferimento al collaboratore COGNOME che invece non aveva mai riferito nul Alfano, rendendo propalazioni insensate ed incredibili e con dichiarazioni riscontrate da quelle del collaboratore COGNOME NOME COGNOME anche quest’ultimo ave reso dichiarazioni che non confermavano il capo di accusa, contraddicendosi p volte e facendo confusione a causa di omonimie; del resto COGNOME NOME parte di NOMECOGNOME non aveva mai parlato di Alfano, così come nessun alt collaboratore; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.3 impugna l’ordinanza emessa il 20 gennaio 2023 dalla Corte di appello riferimento alla impugnazione dell’ordinanza emessa dal Tribunale il 21 otto 2021 a seguito di richieste ex art. 507 cod. proc. pen. e conseguente rinnovazione dibattimentale; era stata chiesta l’escussione del teste NOME COGNOME indispensabile per accertare il contesto lavorativo di COGNOME e per acq elementi necessari per valutare l’attendibilità del collaboratore di giustizia NOMECOGNOME richiesta su cui il Tribunale non aveva dato alcuna risposta e riproposta in appello, era stata rigettata senza motivazione:,
1.4 violazione di legge in relazione all’individuazione del tempus commissi delicti ed all’applicazione del principio del favor rei in tema di trattamento sanzionatorio.;
1.5 inosservanza della legge in merito all’esclusione delle circost aggravanti di cui all’art. 416-bis commi 4 e 6 cod. pen., visto che n riscontrabile in sentenza alcuna motivazione circa l’accertamento del pro soggettivo.
Il difensore presentava poi motivi nuovi con i quali eccepiva:
1.6 violazione di legge in relazione all’individuazione del tempus commíssi delicti ed all’applicazione del principio del favor rei in tema di trattamento sanzionatorio; il procedimento a carico di COGNOME era il medesimo di cui alle ult posizioni processuali di altri coimputati, che avevano scelto di definire il p con rito abbreviato, nei riguardi dei quali era stata emessa da questa Co sentenza n. 49341/23, che aveva accolto il motivo relativo alla medesi questione.
Propone ricorso il difensore di NOME COGNOME condannato quale partec dell’associazione di tipo mafioso denominata “clan COGNOME” per i seguenti mot
2.1 erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 416-bis pen. 7 nonché illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione medesima fattispecie: la Corte di appello non si era confrontata co problematiche sollevate dalla difesa circa la possibilità di ritenere il p intraneo alla consorteria criminale di cui al capo 1), tanto da pervenire sintesi, alquanto scarna, della pronuncia di primo grado: il collegio giud aveva fatto riferimento a due episodi estorsivi, quello al Bar Rosa, oggetto del presente procedimento, e quello narrato da NOME MarcoCOGNOME dimostrando non tenere in alcuna considerazione non solo quanto emergeva dai verbali dibattimento, ma nemmeno delle allegazioni difensive, ossia la sentenza Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Napoli del 25 febbraio 2022, aveva assolto NOME per l’episodio estorsivo raccontato da COGNOME Marc difensore rileva inoltre che le dichiarazioni dei vari collaboratori di acquisite al fascicolo erano tutte antecedenti ai fatti contestati e si collo epoca molto distante rispetto alla contestazione; per quanto riguar l’estorsione al Bar Rosa, la Corte di appello, pur avendo riconosciut l’istruttoria non aveva consentito di provare l’avvenuta perpetrazione richiesta estorsiva, assumeva che le indagini esperite avevano accerta presenza dell’imputato nell’occasione dell’alterco avvenuto presso il sud esercizio commerciale, obliterando le dichiarazioni del teste COGNOME; né p assumersi quel ruolo pregnante riconosciuto prima dal Tribunale e poi dalla Co di appello sulla base di alcune conversazioni intercorse tra COGNOME, esponente del clan COGNOME, e la moglie di NOME (NOME), riferite dal
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COGNOME, ma non trascritte, in cui si sarebbe rilevata la dazione di dena alcuni viveri destinati da COGNOME ad NOME tramite la consorte: sul punto a evidenziato che NOME era stato tratto in arresto in data 7 marzo 2013, p tale collegamento si sarebbe dovuto esplicitare sia in epoca antecedente a qu asserito dal teste COGNOME sia successivamente a quanto ripor nell’annotazione di servizio acquisita agli atti, ovvero dopo aprile 201 considerazione prendeva le mosse anche dalla circostanza che COGNOME era stat arrestato nel marzo 2016 per violazione dell’art. 74 D.P.R. n. 309/90 aggra ex art. 416-bis.1 cod. pen. che, vista la tipologia di contestazione ed il territoriale dell’attività di spaccio, appariva in contrasto con il ruolo att NOME;
2.2 erronea applicazione dell’art. 2 comma 4 cod. pen. relativamente a permanenza del reato ed all’applicazione della nuova disciplina sanzionato prevista dalla legge 27.05.2015 n. 69: la Corte di appello aveva affermato che onere delle difese provare che la condotta non si era protratta per tutto il contestato, e non aveva considerato che NOME era stato arrestato nel m 2013, tanto che al momento del provvedimento cautelare relativo al presen procedimento era ancora ristretto presso il carcere di Spoleto i per cui aveva patito uno stabile isolamento dal gruppo in forza della detenzione; inoltre, gli propalanti avevano collocato un suo inserimento nella associazione negli anni e non era stata fornita la prova della permanenza di un contributo oggettivame apprezzabile alla vita ed alla organizzazione del gruppo stesso; non appa quindi condivisibile l’applicazione del trattamento sanzionatorio introdott legge n. 69/2015.
Propone ricorso il difensore di COGNOME, condannato quale partec dell’associazione di tipo mafioso denominata “clan COGNOME” e per i reati di capo 67 (artt. 61-bis, 110, 453 e 416-bis.1 cod. pen.) e 71 (artt. 110 cod 10 e 14 I.n.497/74, 416-bis.1 cod. pen.) per i seguenti motivi:
3.1 violazione dell’art. 438 cod. proc. pen. in relazione al punto in respingeva la questione relativa alla impugnazione dell’ordinanza del Tribunal Napoli dell’8 settembre 2020, con la quale era stata rigettata la richi ammissione al giudizio abbreviato condizionato alla escussione del teste NOME COGNOME ovvero del deposito delle investigazioni difensive con le q quest’ultimo era stato assunto a sommarie informazioni testimoniali, non dell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli maggio 2020 con la quale era stata rigettata medesima istanza di ammissione giudizio abbreviato condizionato; rileva l’omessa motivazione in punto di rig
relativamente alla richiesta di ammissione a giudizio abbreviato condiziona lamenta l’assenza di motivazione in punto della sentenza della Corte di appello aveva rigettato la richiesta di applicazione della riduzione premiale; premett l’architrave portante dell’ipotesi di accusa era costituito anche dalla disponi COGNOME a fornire il piazzale per il ricovero dei mezzi con all’interno la s stupefacente per conto del clan COGNOME e COGNOME, che aveva disponibilità di lo nella stessa zona dove c’era il deposito di COGNOME avrebbe potuto chiarire deposito e la persona cui si riferivano COGNOME e COGNOME in una conversaz intercettato non erano né di COGNOME né COGNOME
3.2 errata dosimetria della pena e violazione dell’art. 587 cod.proc. pen punto in cui fissava la pena base in misura superiore a quella del primo grad Tribunale aveva fatto riferimento al minimo edittale previsto, mentre la Cort appello si era discostata dal suddetto minimo alla luce della risalenza affiliazione, malgrado il Tribunale avesse parlato di condotte poste in essere arco di tempo limitato, e di poliedricità del contributo, che doveva essere comp nella riconducibilità al contesto associativo; nessuna motivazione vi er sull’aumento per continuazione con i reati contestati ai capi 67) e 71), ident tutte e due le fattispecie malgrado la differenza delle pene previste per gl (da tre a dodici anni per il reato sub 67, da uno a otto anni per il reato su
3.3 violazione degli art. 2 comma 4 cod. pen. e 416-bis cod. pen. e l’illo della motivazione in relazione al tempus commissi delicti: la condotta contestata a COGNOME sub 67) era circoscritta dal novembre 2013 al gennaio 2014, quella 71) il 9 ottobre 2014, e COGNOME era stato arrestato nel 2015, data in cui sicur doveva ritenersi cessata la condotta, e la Corte di appello aveva posto un probatorio a carico dell’imputato relativo al fatto che la condotta criminosa si protratta anche dopo la modifica normativa; non vi era un solo indizio consentisse di affermare che COGNOME avesse dato un contributo al sodalizio d l’autunno del 2014;
3.4 violazione di legge in relazione alla confisca allargata ex art. 240-bis cod. pen., omessa motivazione in punto di acquisizione temporale dei beni, violazio del criterio di ragionevolezza temporale: per i beni acquisiti negli anni 2005 la presunzione di provenienza illecita dei beni non poteva che essere relati quanto trovava un limite nel dato temporale, e a Barra era stato riconosc l’ingresso nel contesto associativo a partire dal settembre 2013, per cui non p certo essere disposta la confisca per beni acquistati ben 7-8 anni prima commissione del reato; inoltre, l’immobile nella titolarità formale della mog COGNOME era stato acquistato dalla stessa in data 24 ottobre 2005 e non ris
alcuna contestazione di intestazione fittizia; non era poi stata compiuta a indagine patrimoniale esaustiva per dimostrare la sproporzione redditua soprattutto per quanto riguardava l’immobile acquistato nel 2013 a mezzo asseg bancari tratti sul conto corrente di COGNOME (titolare di una attività di com che consentivano di verificare e tracciare la provenienza del denaro;
3.5 insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. r al reato di cui al capo 71), ritenuta provata dal solo possesso di un’arma i a Barra; stessa censura veniva svolta in relazione al reato di cui al ca laddove la spendita di monete false, se anche dimostrata, non poteva d certamente commessa in favore del clan; quanto al primo aspetto, mai COGNOME aveva affermato di avere utilizzato o di dover utilizzare l’arma per finalità all’associazione;
3.6 violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. con riferimento al reato di capo 1) della rubrica e illogicità della motivazione in punto di riconoscimento responsabilità in ordine alle condotte relative agli stupefacenti: si evidenziato in appello che il doppio ruolo ascritto a COGNOME poteva far pensa un concorso esterno, e il collegio giudicante non aveva letto nella giusta ot dichiarazioni che COGNOME aveva reso in ordine alla sua posizione di vitti estorsione da parte di componenti del clan COGNOME, posizione di pe incompatibile con quella di partecipe; la Corte di appello aveva anche rite provato un fatto storico inesistente, cioè che COGNOME fosse stato a casa di Mal il difensore passa poi in rassegna gli elementi probatori scrutinati e, in part la sentenza della Corte di appello di Perugia, che aveva chiarito che i rappo COGNOME con COGNOME erano leciti e che non vi era alcuna attività che riguar l’importazione di stupefacenti dall’Olanda; la sentenza del Giudice per l’ud preliminare del Tribunale di Napoli nella quale si registrava l’assenza coinvolgimento di COGNOME nel narcotraffico (nel quale vi erano le st intercettazioni del presente procedimento) e il tempus commissí delicti di quel processo, in cui era contestato un reato associativo finalizzato al narcotr coincideva con lo stesso periodo in relazione al quale veniva contesta partecipazione al sodalizio ex art. 416-bis cod. pen.; le dichiarazioni di NOME COGNOME dalle quale non si rinveniva alcun accenno, se non generico, ad eventuale coinvolgimento di COGNOME nel settore della droga, comunque prive riscontri esterni; le conversazioni ambientali intercettate, in merito alle q emergeva che il soprannome “o cecato” identificasse NOME e che erano sta travisate nella parte in cui non si era osservato che si parlava di un canc si apriva con il telecomando, mentre al locale di Barra si accedeva trami
cancello apribile a mani (come confermato anche da COGNOME NOMECOGNOME la cui testimonianza era oggetto di abbreviato condizionato).
Il difensore esamina poi la posizione della Corte di appello in relazio passaggio in cui la stessa Corte aveva ritenuto non incidente la questione re alla associazione per il reato di cui all’art. 74 D.P.R. n.309/90 in concor COGNOME (asse portante della ipotesi accusatoria circa il ruolo di importator partecipazione di COGNOME al clan COGNOME con il ruolo di gestire i rapporti tra c rilevando l’assenza di una stabile messa a disposizione in favore di cla contatti assidui; inoltre, NOME NOME, nel corso di una conversazione con Gr aveva indicato i nomi di coloro che costituivano l’ossatura del sodalizio, e tra non vi era COGNOME
Propone ricorso per cassazione l’Avv. NOME COGNOME nell’interesse COGNOME NOMECOGNOME condannato quale partecipe dell’associazione di tipo mafio denominata “clan Contini” per i seguenti motivi:
4.1 violazione di legge per contraddittorietà ed illogicità della motiva per quanto attiene alla valutazione della prova, nonché assoluta mancanza motivazione; il difensore rileva che le dichiarazioni dei collaboratori COGNOME e COGNOME NOME erano non solo contrastanti tra di loro, ma anc smentite da fatti processuali che non erano stati valutati ex art. 192 cod. proc. pen., derivanti da due provvedimenti giurisdizionali: la sentenza del 25 ma 20222 emessa nei confronti di COGNOME NOME e della moglie NOME entrambi assolti dal reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. e l’archiviazione il 25 gennaio 2021 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Na nei riguardi dell’avv. NOME COGNOME provvedimenti non valutati d Corte di appello, che aveva motivato per relationem senza considerare che i due provvedimenti erano successivi alla sentenza di primo grado; il difensore lame inoltre che la motivazione della sentenza impugnata era affetta da illogi contraddittorietà anche per quanto concerneva l’altro ruolo che era addebitato al ricorrente, quello di esattore, visto che era stato tra contenuto della conversazione che COGNOME aveva avuto con la compagna NOME; illogica e contraddittoria era anche la valutazione che era stata fat conversazione intercettata il 15 aprile 2017.
4.2 violazione di legge in riferimento al tempus commíssi delicti.
Propongono ricorso gli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME NOME per i seguenti motivi:
5.1 né nella sentenza di primo grado, né in quella di appello, vi era un passaggio dal quale evincere che COGNOME svolgeva il ruolo di esattore: a Cali
veniva imputato di essere latore di messaggi tra esponenti di vertice del clan ed altri affiliati o che procedesse alla elargizione di stipendi; quanto al primo aspetto, COGNOME NOME era stato assolto dal parallelo processo, non essendo emersa alcuna prova che inviasse messaggi verso l’esterno del carcere, analogamente a quanto accaduto per l’avv. COGNOME nei cui confronti era stato emesso provvedimento di archiviazione.
I difensori censurano inoltre un palese travisamento della prova, laddove si esaminavano le chiamate in correità di COGNOME NOME e COGNOME NOME, ritenendo che si ricontrassero vicendevolmente, quando invece vi era un contrasto insanabile tra le stesse e con le due pronunce sopra richiamate; tra l’altro COGNOME NOME aveva affermato di conoscere da anni il ricorrente, salvo poi non riconoscerlo in fotografia; relativamente poi al reperimento del denaro per le “mesate”, dalla lettura della conversazione del 10 ottobre 2022 non emergeva che ci si rivolgesse a Calienno per reperire i soldi per l’avvocato, ma esattamente il contrario; parimenti laddove si analizzava la conversazione tra COGNOME NOME e la cognata NOMECOGNOME dove non si parlava di una somma che doveva giungere alla donna, bensì destinata all’avvocato, con estromissione di COGNOME; anche la vicenda relativa a tale COGNOME NOME era stata male interpretata, non essendo stato considerata la testimonianza di COGNOME NOME.
Relativamente poi all’interfacciarsi COGNOME con gli avvocati, i difensori rilevano che occorre chiedersi quale sia l’apporto che un soggetto reca al sodalizio criminoso se si interfaccia solo con alcuni avvocati per comprendere l’andamento dei processi di alcuni sodali;
5.2 nullità della sentenza in riferimento alla sussistenza del comma 6 dell’art. 416-bis cod. pen. per erronea applicazione delle norme sostanziali e procedurali e per non coerente motivazione;
5.3 nullità della sentenza in riferimento alla norma disciplinante le pene del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. ante luglio 2015, considerato che l’ultima emergenza probatoria per Calienno era precedente al suddetto periodo;
5.4 nullità della sentenza in riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed alla pena irrogata in concreto.
Propongono ricorso i difensori di COGNOME condannato quale organizzatore e promotore dell’associazione di tipo mafioso denominata “clan COGNOME” per il reato di cui al capo 1 (art. 416-bis commi 1,2,3,4,5,6 e 8 cod. pen.) per i seguenti motivi:
6.1 mancanza e manifesta illogicità della motivazione; inattendibilità intrinseca delle dichiarazioni rese da NOME e NOME COGNOME, da NOME
NOME e NOME COGNOME NOME in ordine alla qualifica di COGNOME quale dirigente ed organizzatore del clan COGNOME; la motivazione con la quale erano state eluse le osservazioni difensive al riguardo era illogica, anche considerando che la sentenza di questa Corte n. 23890 del 2021 aveva correttamente osservato che “la figura di COGNOME ed il suo ruolo non fossero a tutti noti all’esterno della cerchia di soggetti che gravitavano più direttamente nel clan COGNOME“, mentre i due COGNOME avevano più volte ribadito che COGNOME era ben conosciuto, nell’ambiente camorristico napoletano, quale capo indiscusso del clan COGNOME; inoltre, oggetto di dimostrazione era la permanente qualifica di organizzatore della compagnia camorristica di COGNOME tra il 2011 e il 2016, periodo in ordine al quale né COGNOME NOME (che non faceva più parte del clan COGNOME dal 2010, essendosi trasferito ad Udine), né il figlio NOME (mai ritenuto partecipe) potevano sapere alcunchè; era poi impossibile che COGNOME COGNOME come riferito da NOME COGNOME avesse concordato con COGNOME e COGNOME NOME di compiere un attentato ai danni di COGNOME NOME nel 2011, visto che COGNOME era stato detenuto presso la Casa di reclusione di Milano Opera dal 2007 al 2015.
Quanto alle dichiarazioni di NOME NOME e COGNOME NOME, le stesse erano estremamente generiche, non avendo precisato il periodo della loro frequentazione con COGNOME, né tanto meno il ruolo da questi ricoperto nel clan COGNOME; quanto al riscontro secondo cui COGNOME sarebbe stato investitore dei proventi illeciti conseguiti dalla nuova federazione “Alleanza di Secondigliano” dalla conversazione del 15 ottobre 2014 tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, il capo di uno dei clan di cui il ricorrente avrebbe gestito il patrimonio, risultava che quest’ultimo non conosceva COGNOME.
Relativamente all’estorsione ai danni dei fratelli COGNOME, i difensori osservano che era stata ignorata la sentenza del Tribunale di Napoli da cui risultava che COGNOME Salvatore, autore materiale dell’estorsione, non aveva avuto un rapporto diretto con l’imputato; relativamente alle minacce all’avvocato COGNOME, era frutto di mera illazione che l’avvocato fosse stato minacciato da COGNOME, tanto che nella lettera sequestrata presso l’abitazione di Piscopo ed indirizzata a COGNOME non si coglieva alcun riferimento a pregresse minacce subite dal legale, che invece si rivolgeva al ricorrente confidando nella sua comprensione; inoltre, sulle utenze telefoniche di COGNOME non era stato registrato neanche un colloquio con il ricorrente.
6.2 erronea applicazione degli artt. 416-bis cod. pen. e 5, comma 1 lett. c) I. n. 69/2015, nonché manifesta illogicità della motivazione in quanto: a) COGNOME era stato tratto in arresto il 10 ottobre 2014; b) il provvedimento di
applicazione del regime detentivo previsto dall’art. 41-bis l.n.354/75 era stato revocato dal Tribunale di Roma, che aveva osservato “…non si evincono dopo il 2014 ulteriori contatti tra il COGNOME e gli appartenenti all’associazione criminale…”; con riferimento al periodo successivo al suo arresto dell’ottobre 2014, COGNOME era stato condannato per organizzazione e direzione di associazione mafiosa in assenza della minima motivazione che desse atto di della presenza di qualsiasi elemento di sospetto che potesse convalidare la mera ipotesi di una sua perdurante ingerenza negli affari del clan COGNOME; anche a voler dare per accertata la partecipazione del ricorrente, l’onere probatorio di dimostrare la permanenza del suo ruolo apicale non poteva essere eluso in base a presunzioni, come avevano fatto i giudici di merito.
I difensori presentavano motivi aggiunti con i quali allegavano la pagina 42 dell’informativa di reato del 6 febbraio 2017 e rilevavano:
6.3 la collusione emergente dalle dichiarazioni di NOME e NOME COGNOME, risultante dalle intercettazioni in carcere tra NOME COGNOME, la moglie ed il fratello NOME;
6.4 l’importanza del certificato storico di detenzione di NOME COGNOME per smentire il narrato di NOME COGNOME (in riferimento al primo motivo di ricorso);
6.5 il travisamento di una circostanza decisiva oggetto di deduzione difensiva, relativamente al tema del possibile scambio di persona di cui poteva essere stato vittima il ricorrente, in quanto il COGNOME delegato a investire le risorse del clan non era il ricorrente, ma NOME COGNOME, zio e fratello di chi aveva nascosto il capo di quel clan il cui denaro, in ipotesi accusatoria, andava reinvestito;
6.6 erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione relativamente alla questione dell’applicabilità del più severo regime sanzionatorio, risolta da questa Corte con l’accoglimento del motivo di ricorso proposto dai coimputati che avevano scelto il rito abbreviato; visti i contrasti esistenti sul tema, si chiedeva di rimettere la questione alle Sezioni Unite, nel caso non si ritenesse di aderire al principio applicato dalla Prima sezione di questa Corte.
Propone ricorso il difensore di COGNOME NOMECOGNOME condannato per il reato di cui al capo 69 (artt. 81, 110, 628 comma 1 e 3 n.1 cod. pen.) per i seguenti motivi:
7.1 premesso che a COGNOME non era addebitato alcun contributo materiale nella esecuzione della rapina contestata, ma soltanto di aver noleggiato un furgone sul quale sarebbe stato trasportato il ciclomotore attraverso il quale sarebbe stata commessa la rapina, e che la Corte di appello aveva respinto le censure difensive
relative al fatto che i rapinatori si erano avvicinati a piedi alla vittima affermando che non si poteva escludere che gli stessi avessero utilizzato i ciclomotori per spostarsi in un territorio lontano a quello di provenienza, la motivazione era manifestamente illogica, visto che aveva ignorato la deposizione del teste COGNOME che aveva affermato un dato contrario a quello congetturato dalla Corte di appello; la Corte aveva individuato nella condotta del COGNOME un contributo causale del tutto inesistente nella rapina, commessa in un territorio dove egli non si era mai recato e in assenza dei mezzi che lo stesso avrebbe fornito;
7.2 violazione dell’art. 62 -bis cod. pen.: nell’atto di appello si era evidenziato il ruolo minoritario svolto dell’imputato, ma la Corte di appello aveva motivato in via generica sulla gravità dei fatti contestati.
7.3 inosservanza o erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riferimento agli artt. 133 cod. pen. e 27 Cost., osservando che non erano stati tenuti in alcuna considerazione i criteri oggettivi e soggettivi indicati dalle disposizioni richiamate.
Propone ricorso il difensore di COGNOME NOMECOGNOME condannato per il reato di cui al capo 75 (artt. 110, 81 cpv., 629, 416-bis.1 cod. pen.) per i seguenti motivi:
8.1 vizio di motivazione per omessa valutazione della prova dichiarativa consistente nella deposizione del dott. NOME COGNOME in relazione alla questione afferente il luogo di consumazione delle condotte del reato di cui al capo 75): in particolare dalle conversazioni intercettate e dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME COGNOME aventi ad oggetto l’attività di COGNOME NOME si era appurato che costui era responsabile di estorsioni commesse in danno dei commercianti ambulanti di Borgo SINDIRIZZOAntonio e le intercettazioni azionate sull’utenza in uso a Mendozzi, che vedevano lo stesso colloquiare con COGNOME per le vicende del mercato, unitamente alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME rappresentavano la base probatoria che fondava la statuizione di responsabilità del ricorrente; nell’atto di appello si era rilevato che COGNOME operava come rappresentante degli ambulanti nel mercato di INDIRIZZO, area mercatale diversa da quella di Borgo INDIRIZZO, per cui il ragionamento della Corte di appello era errato, visto che il teste COGNOME aveva chiarito che i mercati di INDIRIZZO e quello di INDIRIZZO erano diversi;
8.2 vizio di motivazione con riferimento alla omessa valutazione di prove decisive in ordine alla attendibilità del collaboratore di giustizia NOME COGNOME nonché omessa valutazione di prove decisive e la manifesta illogicità della sentenza in ordine ai criteri inferenziali utilizzati con riferimento alle intercettazioni telefoniche: la sentenza impugnata aveva affermato che i testi della difesa non
,v-ArN
avevano smentito le dichiarazioni del collaboratore COGNOME quando invece le circostanze narrate dagli stessi erano inconciliabili con quanto detto da COGNOME il quale aveva anche aggiunto di aver saputo alcune circostanze da COGNOME che negava di averle mai riferite ad COGNOME
Quanto alle intercettazioni telefoniche, la Corte di appello non aveva risposto alle censure della difesa relative alla interpretazione delle conversazioni e del loro contenuto;
8.3 erronea applicazione dell’art. 629 cod. pen. e dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. contestata nelle forme del metodo e della agevolazione mafiosa, visto che in nessuna della conversazioni richiamate nelle sentenze vi erano minacce, esplicite o implicite, né riferimenti espliciti o in forma larvata al sodalizio denominato clan COGNOME; inoltre, la Corte di appello aveva ritenuto che la sentenza di primo grado avesse escluso le aggravanti di cui ai numeri 1 e 3 dell’art. 628 cod. pen., esclusione che incideva in maniera diretta sulla tenuta logica della sentenza, in relazione alla suddetta aggravante, visto che le aggravanti originariamente contestate postulavano la presenza di più persone, e in particolare di uno dei soggetti appartenenti ad un sodalizio mafioso (COGNOME), per cui da una parte di sosteneva che la presenza di COGNOME era atta a radicare il metodo mafioso, mentre dall’altra si escludeva proprio la specifica aggravante che fondava l’assunto; quanto al profilo della agevolazione, la sentenza affermava apoditticamente che i soggetti condividevano fini e modalità dell’associazione.
8.4 erronea applicazione dell’art. 81 cod. pen., visto che non vi era motivazione sulla continuazione interna applicata, non precisando quale episodio aveva portato all’aumento di pena.
Il difensore presentava memoria nella quale rilevava che:
8.5 le deposizioni dei testimoni COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME erano inconciliabili con il narrato di COGNOME NOMECOGNOME
8.6 la Corte di appello non aveva risposto alle doglianze relative alla valutazione della prova avente ad oggetto le intercettazioni telefoniche e i criteri adottati per l’interpretazione delle stesse;
8.7 la motivazione della Corte di appello era contraddittoria relativamente all’aggravante di cui all’art.416-bis.1 cod. pen. sotto il profilo sia del metodo mafioso che dell’agevolazione mafiosa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Prelminarmente, si deve affrontare il tema relativo alla disciplina applicabile.
Come noto, la legge 27 maggio 2015 n. 69 entrata in vigore il 14 giug 2015, ha disposto un inasprimento delle pene per quanto riguarda il reato d all’art. 416-bis cod. pen., contestato ad COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME; sul punto, si deve premettere che questa Sezione ha più volte affer che “in presenza di una contestazione del delitto di partecipazione ad associa di tipo mafioso in forma “chiusa”, che abbracci un lungo arco temporale nel co del quale sia intervenuta una modifica “in peius” del trattamento sanziona (nella specie, la legge 27 maggio 2015, n. 69), l’applicazione della nuova co sanzionatoria non richiede la dimostrazione, da parte dell’accusa, che la con si sia protratpta anche dopo detta modifica, in quanto, accertata l’es dell'”offerta di contribuzione permanente” dell’affiliato all’associazione, deve ritenersi valida e produttiva di effetti fino alla dimostrazione del spontaneo o provocato “ah externo” (Sez.2, n. 1688 del 26/10/2021, de 17/01/2022, COGNOME, Rv. 282516 – 03); è stato anche precisato che “in tema associazione per delinquere di stampo mafioso, il sopravvenuto stato detent non esclude la permanenza della partecipazione al sodalizio, che viene meno s in caso di cessazione della consorteria criminale ovvero nelle ip positivamente acclarate, di recesso o esclusione del singolo associat motivazione la Corte ha precisato che la rescissione del legame può ess desunta, a titolo meramente esemplificativo, da un lungo periodo di detenzion assenza di contatti con la consorteria, dal trasferimento in luogo distante da della sua operatività, o da una contrapposizione interna al sodalizio s dall’allontanamento di uno dei sodali, elementi in relazione ai quali sull’interessato un mero onere di allegazione e che non devono essere contras da altri significativi dati di segno contrario)” (Sez.6, n. 1162 del 14/10/20 13/01/2022, COGNOME, Rv. 282661 – 02); ciò presuppone, però, che si sia d comunque la prova, da parte della pubblica accusa, dell’esistenza dell’associaz fino alla data indicata nel capo di imputazione; in altri termini, giacché è l’ stessa dell’ente, composto da soggetti che offrono il proprio contrib perseguimento dei fini sociali, che pone in pericolo l’ordine pubblico, è nece che la pubblica accusa quanto meno deduca che l’associazione permaneva dopo l’entrata in vigore della nuova normativa (vedi, sul punto, Sez.2, n. 2264 10/05/2024, COGNOME e altri). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel caso in esame, la pubblica accusa ha scelto di formulare una imputazion cd. “chiusa”, indicando nel capo di imputazione “per tutti con condotta perdur a tutto il 2016”; tale scelta porta quindi a ritenere che dopo il 2016 l’asso non fosse più operante (posto che altrimenti la contestazione avrebbe dov
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essere effettuata in forma “aperta” con permanenza del reato fino alla sentenza di primo grado), il chè può avvenire per i più svariati motivi, quale cessazione per sopravvenuta carcerazione degli affiliati o creazione di una nuova associazione.
In altri termini, una volta effettuata una contestazione “chiusa”, seppure si possa ritenere che l’offerta di partecipazione dell’affiliato duri fino a che l’associazione esista, deve essere precisato da parte dell’accusa il criterio in base al quale si è ritenuto di fissare una determinata data quale termine finale del commesso reato -potendosi altrimenti indicare date sganciate da qualsiasi accadimento (perché un anno anziché un altro?) in maniera del tutto arbitraria- e se l’associazione in questione abbia o meno continuato ad operare dopo la data indicata nel capo di imputazione.
Ciò premesso, nel caso in esame non si evince né dal capo di imputazione, né dalle sentenze di merito per quale motivo sia stato indicato il 2016 quale data finale di commissione del reato, visto che non è riportato alcun episodio successivo ad aprile 2015, e quindi non si è neppure a conoscenza del perdurare dell’associazione dopo l’ultimo episodio indicato; sono pertanto fondate le eccezioni dei difensori secondo cui non vi è adeguata motivazione da parte della Corte di appello sulle ragioni che impedivano di applicare ai ricorrenti il trattamento sanzionatorio antecedente alla novella del 2015, posto che la Corte di appello si è limitata ad affermare che nessun onere probatorio gravava sull’accusa; la sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata limitatamente alla determinazione della pena relativamente ai ricorrenti COGNOME e COGNOME con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio sul punto.
Si passa ora ad esaminare le rimanenti doglianze dei singoli ricorsi.
1.1 Ricorso nell’interesse di COGNOME: il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, posto che la Corte di appello ha richiamato gli elementi già evidenziati dal giudice di primo grado, e il ricorso è meramente reiterativo di quanto già eccepito nell’atto di appello; a tale proposito si deve ribadire che secondo il consolidato e condivisibile orientamento di legittimità è inammissibile per difetto di specificità il ricorso che riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello (al più con l’aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza impugnata) senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti. Si è, infatti, esattamente osservato che la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica
argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (vedi Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521).
In particolare, la condotta di COGNOME è stata delineata sia nel capo di imputazione che con riferimento a singoli episodi contestati, per cui COGNOME è stato posto in grado di difendersi da quanto a lui contestato (si vedano in particolare, pagg.217 in avanti della sentenza di primo grado, in cui sono evidenziate le singole intercettazioni e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia riguardanti i ricorrent4 e le pagine da 13 a 18 della sentenza della Corte di appellai; a tale proposito, si deve ribadire che in tema di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e oggetto della statuizione di sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (cfr. Cass., sez. un., 19/06/1996, n.16, COGNOME).
La Corte di appello ha evidenziato l’esito dell’attività di captazione dei colloqui in carcere di COGNOME, da cui emergeva il ruolo di COGNOME quale tramite per la diffusione all’esterno dei messaggi mandati dal carcere (pag. 13), il suo coinvolgimento nel recupero della somma da COGNOME NOME quale corrispettivo per la sua assunzione presso un garage riferibile a Botta (AM Prking, pag.14), il suo intervento nella vicenda relativa all’ammanco di una “mesata”) (pag.14), lo stipendio per le attività svolte (pag.14), le dichiarazioni di COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME.
1.2 Quanto alla attendibilità dei collaboratori di giustizia ed alle dichiarazioni del ricorrente, la Corte di appello ha motivato su entrambi i profili (pag.15 e 16); analogamente, sulla richiesta di rinnovazione dibattimentale, la Corte di appello ha risposto con la motivazione contenuta a pag.18, segnalando l’assoluta
inconferenza del tema di prova proposto, rimandando all’ordinanza del 20 gennai 2023.
Come già rilevato, già la sentenza di primo grado aveva evidenziato intercettazioni che tratteggiavano la figura di COGNOME (pag.217 e seguenti sentenza di primo grado), a partire da quella del 10 ottobre 2022 in cui NOME viene designato da COGNOME NOME, detenuto, quale soggetto che doveva f uscire dal carcere le “imbasciate”, per proseguire con l’sms che aveva inviat COGNOME NOME ad COGNOME, allora fidanzato della figlia di COGNOME e della Di COGNOME, c l’intercettazione ambientale in cui veniva spiegato ad COGNOME come avrebbe dovu recuperare i soldi da COGNOME per l’assunzione nella RAGIONE_SOCIALE (conferma anche dalla conversazione intercettata il 20 novembre 2012) e con quelle rela al recupero dei 600 euro mancanti dalla “mesata” e del 12 dicembre 2021, da c risulta che COGNOME era “stipendiato dal clan; quanto alla conversazione ripor pag. 224 della sentenza di primo grado, il motivo di ricorso è inammissibile, p che n materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valut del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindac in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragion della motivazione con cui esse sono recepite (vedi Sez. 2, n. 50701 04/10/2016, COGNOME e altri, Rv. 268389); pertanto, le dichiarazioni di COGNOME ed COGNOME NOME relative all’inserimento di COGNOME nel clan COGNOME sono state ampiamente riscontrate, non solo dalle intercettazioni sopra richiam ma anche dai controlli sul territorio nel corso dei quali COGNOME era con alcu componenti del clan (pag.223 sentenza primo grado).
Anche a voler ammettere un travisamento della prova relativamente alla intercettazione sopra richiamata ed al fatto che le dichiarazioni del collabo COGNOME siano state acquisite senza il consenso della difesa, si deve rilevare le suddette eccezioni non superino comunque la cd. “prova di resistenza”; inf secondo l’orientamento di questa Corte allorché con il ricorso per cassazion lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di ricorso deve il a pena di inammissibilità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del pre elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, essendo in ogni necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l’espunzione di q inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (S 18764 del 05/02/2014, Rv. 259452); l’applicazione del suddetto principio al c in esame comporta proprio l’inammissibilità del primo motivo di ricorso posto c la prova di cui il ricorrente lamenta l’inutilizzabilità non ha avuto in
determinante nel giudizio di colpevolezza affermato concordemente dai giudici di merito sulla base dei numerosi elementi di prova a carico del ricorrente sopra richiamati.
1.3 Manifestamente infondato, infine, è il quinto motivo di ricorso relativo alla sussistenza delle aggravanti, in merito al quale (fermo restando che la disponibilità di armi e gli interessi in attività economiche del clan COGNOME sono già state ritenute sussistenti dalla sentenza n. 23890/21 di questa Corte) la Corte di appello ha osservato (come per gli altri appellanti che hanno proposto il medesimo motivo): per quanto riguarda l’aggravante di cui all’art. 416-bis comma 4 cod. pen., che lo stretto legame di COGNOME con uno degli esponenti di vertice del clan (COGNOME) e la natura degli incarichi che gli venivano affidati, tra cui quello recupero crediti in relazione ai quali l’uso delle armi è piuttosto comune, rendevano COGNOME consapevole della disponibilità di armi in capo al clan COGNOME di cui faceva parte; quanto all’aggravante di cui all’art. 416-bis comma 6 cod. pen., che visto l’intervento di COGNOME in questioni strettamente connesse alle attività commerciali riferibili a COGNOME, non poteva ritenersi all’oscuro degli investimenti del clan; inoltre, la su tale ultimo aspetto, si deve rilevare che il motivo di appello relativo alle aggravanti contestate era estremamente generico, in quanto si limitava a riportare massime giurisprudenziali, per cui nessun onere di motivazione aveva la Corte di appello sul punto.
1.4 Fondato è, invece il motivo di ricorso relativo alla individuazione del tempus commissi delicti, di cui si è già detto in precedente, per cui la sentenza deve essere annullata limitatamente alla determinazione della pena.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME Alberto è fondato soltanto relativamente alla disciplina applicabile.
2.1 Quanto al primo motivo di ricorso, la Corte di appello ha ritenuto che la l’affiliazione di NOME al clan sia stata dimostrata dall’episodio estorsivo in cui è stato coinvolto (pag.19, NOME è stato riconosciuto dal teste di Polizia giudiziaria COGNOME) e che NOME era stato riconosciuto quale responsabile della zona Vasto-Arenaccia per la gestione degli stupefacenti non solo da COGNOME NOME, ma anche da COGNOME NOME, COGNOME COGNOME, COGNOME, NOME COGNOME, NOMECOGNOME COGNOME NOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME, COGNOME Salvatore ed COGNOME NOME (si vedano le dichiarazioni degli stessi, riportate alle pagg. 240 e 241 della sentenza di primo grado); la Corte di appello ha inoltre rilevato che la suddetta circostanza era corroborata dalla sentenza, passata in giudicato, con la quale NOME è stato condannato per violazione dell’art. 74 D.P.R. n. 309/90 aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen., in cui era stata accertata la sua
appartenenza al clan COGNOME e il suo ruolo di capozona del rione Vasto-Arenaccia, argomento quest’ultimo con il quale il ricorso non si confronta affatto; i motivi di ricorso non superano, pertanto, la cd. prova di resistenza.
Peraltro, con riferimento all’episodio del Bar Rosa, anche se il ricorrente non è stato condannato per estorsione (si rileva che il titolare del bar, malgrado il figlio fosse stato picchiato, aveva comunque riferito di avere avuto richieste somme di denaro), lo stesso non ha fornito alcuna spiegazione alternativa alla sua presenza in occasione di quella che gli inquirenti avevano ritenuto essere non una rissa, ma un episodio di estorsione, per cui corrette sono state le valutazioni dei giudici di merito che hanno ritenuto essere prova della partecipazione del ricorrente al clan COGNOME.
2.2 Fondato il secondo motivo di ricorso relativo al tempus commissi delicti, per quanto si è già precisato.
Il ricorso di COGNOME è fondato soltanto limitatamente alla eccezione sulla disciplina applicabile, essendo infondato nel resto.
3.1 Relativamente al primo motivo, deve essere ribadito che, in tema di giudizio abbreviato, la prova sollecitata dall’imputato con la richiesta condizionata di accesso al rito, che deve essere integrativa e non sostitutiva rispetto al materiale già raccolto ed utilizzabile, può considerarsi “necessaria” allorquando risulti indispensabile ai fini di un solido e decisivo supporto logico-valutativo per la deliberazione in merito ad un qualsiasi aspetto della regiudicanda (SU, n. 44711 del 27/10/2004, Wajib, Rv. 229173). Peraltro, ai fini dell’ammissione al giudizio abbreviato condizionato, la necessità dell’integrazione probatoria presuppone, da un lato, l’incompletezza di un’informazione probatoria in atti, insussistente nel caso concreto, e, dall’altro, una prognosi di oggettiva e sicura utilità, o idoneità, del probabile risultato dell’attività istruttoria richiesta ad assicurare il completo accertamento dei fatti del giudizio (Sez. 5, n. 600 del 14/11/2013, V., Rv. 258676
Per tali ragioni, il giudice dibattimentale che debba sindacare il provvedimento di rigetto, deve operare una valutazione “ex ante”, di verifica della ricorrenza dei requisiti di novità e la.decisività della prova richiesta dall’imputato alla luce della situazione esistente al momento della valutazione negativa, tenendo tuttavia conto, come criterio ausiliario, e di per sé non risolutivo, anche delle indicazioni sopravvenute dall’istruttoria: la mancanza, constatata ex ante, dei requisiti dell’incompletezza dell’informazione probatoria in atti ovvero della necessità e decisività anche di una sola delle prove ulteriori richieste dall’imputato
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per la deliberazione in merito ad un qualsiasi aspetto della “regiudicanda”, giustifica il rigetto dell’istanza.
Né può essere considerata meritevole di accoglimento la censura secondo la quale il giudice di appello avrebbe dovuto comunque procedere “alla riduzione premiale della pena illegittimamente inflitta” (pag.11 ricorso), posto che non risulta che il teste COGNOME sia stato citato in dibattimento, con la conseguenza che nessuna valutazione avrebbe potuto fare la Corte in ordine all’importanza della sua audizione; si veda la già citata Sez. U. n. 44711 del 27/10/2004, COGNOME, Rv. 229173 – 01, che in motivazione ha chiarito che può parlarsi di violazione dei criteri legali di quantificazione della pena solo quando la preclusione del rito sia dipesa dall’erronea deliberazione del giudice, e non dall’inerzia del soggetto cui la legge rimette in via esclusiva la possibilità di attivare il procedimento speciale, cosicché, nel caso in cui l’imputato non rinnova “in limine litis” una richiesta già respinta dal giudice preliminare, non può farsi più questione della eventuale erroneità del provvedimento reiettivo.
Alla stregua di quanto precede, le doglianze articolate sul punto dal ricorrente debbono ritenersi aspecifiche, in quanto non si confrontano con la parte della motivazione della sentenza nella quale si sottolinea l’irrilevanza di sentire come teste COGNOME sia alla luce della motivazione sul coinvolgimento di COGNOME nel traffico di stupefacenti (che faceva ritenere che avesse offerto il suo locale per ricoverare un camion di sostanza stupefacente), sia perché non vi era certezza sulla esatta ubicazione del deposito.
3.2 Il secondo motivo di ricorso è infondato: il giudice di primo grado, nel condannare COGNOME ad una pena contenuta nel minimo edittale, aveva espressamente motivato tale decisione “tenuto conto dell’aumento già previsto dalla circostanza speciale di cui all’art. 416 bis comma VI c.p.”(pag.303 sentenza primo grado); pertanto, una volta concesse le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, il giudice di appello era libero di determinare la pena base senza attenersi al minimo edittale, avendo comunque fissato la pena finale in misura inferiore a quella del giudice di primo grado (sul punto si veda Sez.U., 33752 del 18/04/2013, dep. 02/08/2013, Papola, Rv. 255660 – 01: “Il giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un’ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall’imputato, può, senza incorrere nel divieto di “reformatio in peius”, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purchè questo sia accompagnato da adeguata motivazione.”) ed avendo motivato adeguatamente sulla misura della pena (pag.38 sentenza della Corte di appello).
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3.3 Fondato è il terzo motivo di ricorso relativo alla disciplina applicabil quanto sopra precisato; il motivo relativo ai diversi aumenti per la continuaz con i due ulteriori reati contestati deve ritenersi assorbito.
3.4 Manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso: è vero che presunzione di illegittima acquisizione da parte dell’imputato deve es circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale, dovendosi dar conto che beni non siano “ictu oculi” estranei al reato perché acquistati in un peri tempo eccessivamente antecedente alla sua commissione, ma la Corte di appello ha rilevato che la risalenza del rapporto criminale di COGNOME con gli COGNOME ris sia dal tenore delle conversazioni intercettate che dall’affermazione dello COGNOME che la sua famiglia era alle dipendenze degli Aieta da oltre trenta anni giustificando il principio di ragionevolezza temporale sopra richiamato.
Irrilevante è poi il fatto che l’acquisto dell’immobile in data 24.10.200 stato effettuato dalla moglie di COGNOME posto che è stata accertata la spropo tra i redditi e le spese necessarie per le comuni esigenze di vita quotidiana n solo COGNOME, ma dell’intero nucleo familiare; né appare rilevate che l’acquis 2013 sia avvenuto con assegni, e quindi con modalità che consentivano d verificare la tracciabilità e la provenienza del denaro, posto che semmai si do fornire proprio la prova della provenienza del denaro confluito poi negli asseg
3.5 Manifestamente infondata è anche la censura sulla sussistenz dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. relativa ai reati di cui e 71; quanto al primo, la Corte di appello ha rilevato che il reato di spen monete false è stata svolta in concorso con altri associati, quanto al secon deve rilevare che la sentenza di primo grado ha osservato che nella conversazio n.17167 delle ore 16.59 del 9 ottobre 2014 COGNOME aveva confessato di av detenuto e portato fuori dalla propria abitazione un’arma (non vi è contestaz nel ricorso sul punto) “utilizzata al fine di consentirgli di svolgere al meglio i che gli venivano delegati” (pag.257 sentenza primo grado) con una deduzione de tutto logica, considerato che COGNOME non ha fornito alcuna spiegazione alterna del perché fosse in possesso di un’arma, che quindi non poteva che servire agevolare l’associazione di cui faceva parte.
3.6 Relativamente al sesto motivo di ricorso, si deve rilevare che la sent di appello ha confermato quella di primo grado, e il motivo pretende di fornire ricostruzione alternativa rispetto a quella dei giudici di merito, senza cons che nel caso in esame si è di fronte ad una c.d. “doppia conforme” e cioè dop pronuncia di eguale segno per cui il vizio di travisamento della prova può es rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rapprese
specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è s per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione della motivazione provvedimento di secondo grado; il vizio di motivazione può infatti essere f valere solo nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione ha riformato quella di grado nei punti che in questa sede ci occupano, non potendo, nel caso di “doppia conforme”, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alle cr motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati primo giudice (Sez. 4, n. 19/10/2009, COGNOME, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 15/6/2007, COGNOME, Rv. 237207; Sez. 2, n. 5223 del 24/1/2007, Medina, Rv 236130; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258432).
Nel caso in esame, invece, il giudice di appello ha esaminato lo ste materiale probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo aver preso atto censure dell’appellante, è giunto, con riguardo alla sua posizione, alla mede conclusione della sentenza di primo grado evidenziando, in particolare, il contestato accompagnamento di COGNOME e COGNOME da COGNOME, con l’ammissione da parte dello stesso ricorrente di essere “consapevole di partecipato a dei summit di camorra” (così nell’interrogatorio del 17 giugno 2 prodotto dal difensore), il chè è sufficiente per ritenere COGNOME par dell’associazione, non vedendosi a quale altro titolo si potrebbe ascriv suddetta partecipazione; la Corte di appello ha anche ritenuto “poco incide l’esito del giudizio di revisione in relazione alla vicenda COGNOME e l’esisten contributo nella vicenda del motorino di illecita provenienza che COGNOME dove fornire a COGNOME; quanto alla questione del cancello che secondo la dife aprirebbe solo con il telecomando, trattasi di questione di fatto non esamin nella presente sede e quanto alla assoluzione di COGNOME dal reato di cui all’ D.P.R. n. 309/90, la Corte di appello ha valutato, con un giudizio qui sindacabile, che se anche le condotte di COGNOME non erano idonee ad integrar suddetta fattispecie di reato, delineavano comunque il ruolo di COGNOME all’intern clan. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il ricorso proposto dall’Avv. COGNOME nei confronti di COGNOME fondato soltanto relativamente alla disciplina applicabile.
4.1 Il primo motivo di ricorso non si confronta assolutamente con la pa della motivazione della sentenza nella quale si fa riferimento al colloquio in c nel quale COGNOME Salvatore dava indicazioni alla moglie di mettersi in contatto COGNOME affinchè recuperasse i soldi da corrispondere al difensore di fiduci alle ulteriori conversazioni elencate alle pagine 40 e 41,che delineavano il ru
COGNOME come persona incaricata dal sodalizio di assicurare il flusso di informazioni tra gli esponenti del clan detenuti e quelli in stato di libertà e di distribuire la paga settimanale ai membri del clan, come descritto dai collaboratori di giustizia.
4.2 Fondato è il secondo motivo di ricorso relativo al tempus commissí delicti, per quanto si è già precisato.
5 Il ricorso proposto dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME fondato soltanto relativamente al terzo motivo proposto.
5.1 Il primo motivo di ricorso è analogo al primo motivo del ricorso precedente; quanto alla contraddizione tra le dichiarazioni di NOME e NOME, si deve rilevare che l’eccezione sul punto è generica, non essendo stato precisato in quale parte delle dichiarazioni sussisterebbe il contrasto; viene poi contestata l’interpretazione di conversazioni, operazione non consentita nella presente sede.
5.2 Il motivo relativo alla erronea applicazione del comma 6 dell’art. 416-bis cod. pen. è inammissibile, posto che, a parte l’estrema genericità dello stesso, non era stato sollevato negli atti di appello, essendo noto che non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione, ad eccezione di quelle rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio e di quelle che non sarebbe stato possibile proporre in precedenza (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745): possono comunque essere richiamate le considerazioni già svolte al punto 1.3 precedente.
5.3 Quanto all’ultimo motivo di ricorso, si deve rilevare che in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è proprio la suindicata meritevolezza che necessita, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta,
per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (così, ex plurimis, Sez.1, Sentenza n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986 – 01); nel caso in esame, il motivo di ricorso non indica alcun elemento per il quale sarebbe meritevole del beneficio, con conseguente manifesta infondatezza del motivo.
Il ricorso di COGNOME è fondato soltanto relativamente al motivo relativo alla disciplina applicabile.
6.1 Quanto al primo motivo di ricorso, si deve rilevare che “In tema di valutazione delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia già esaminato in altro procedimento, il giudice, pur non essendo vincolato dalle valutazioni positive espresse in precedenti sentenze irrevocabili, deve, comunque, tenerne conto fornendo una puntuale motivazione ove intenda discostarsi dal precedente giudizio” (Sez.2, n. 13604 del 28/10/2020, PG/Torcasio Rv. 281127 – 04).
Relativamente alla eccezione sulle discrasie tra le dichiarazioni dei COGNOME nel precedente processo e quelle successive, si deve rilevare che tale discrasia non sussista, alla luce delle affermazioni di COGNOME NOME COGNOME riportate a pag. 49 della sentenza impugnata: “Il signor NOME COGNOME non è stato un personaggio, fino ad un certo punto è stato una persone di profilo basso e nessuno lo conosceva…”; non sussiste pertanto alcuna discrasia tra le dichiarazioni precedenti e quelle del presente giudizio, posto che dalle stesse si evince che la “notorietà” di COGNOME è emersa in un periodo successivo alle prime dichiarazioni; si deve comunque rilevare che in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove, estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale, come avvenuto nel caso in esame, in cui si riportano singole dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, sganciate dal contesto complessivo
Il fatto che COGNOME e COGNOME abbiano reso dichiarazioni generiche è affermato anche dalla Corte di appello, ma la pronuncia di condanna si basa su altri elementi, tra i quali le intercettazioni a casa COGNOME citate a pag.270 della sentenza di primo grado, in cui si parla di investimenti fatti da COGNOME, e le minacce all’avvocato COGNOME di cui si dirà in seguito.
E’ poi irrilevante la circostanza, nella vicenda della estorsione ai danni dei fratelli COGNOME, che COGNOME non abbia avuto contatti con COGNOME, visto che
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l’elemento che è stato valorizzato è l’incontro tra COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nel corso del quale era stato stabilito che i fratelli COGNOME non avrebbero dovuto pagare la somma di 16.000,00 euro chiesta da Maggio, ma solo un quota mensile (pag.59 sentenza impugnata); la sentenza di primo grado (pag. 271) aveva anche sottolineato l’intercettazione relativa all’incontro tra COGNOME e COGNOME NOME
Quanto alla vicenda dell’avv. COGNOME, già la sentenza di primo grado aveva evidenziato che il legale temeva COGNOME proprio per la sua caratura criminale: si vedano la lettera inviata da COGNOME a COGNOME dove il primo si scusa per non avere investito i soldi e la conversazione n. 5623 del 6 aprile 2014, richiamata a pag.273 (“…gli mando gli amici di NOME COGNOME, gli mando COGNOME e tutti quanti, gli mando i camorristi più fetenti di Napoli…”
Si deve infine ribadire che “L’inammissibilità di un motivo del ricorso principale cui si colleghi un motivo aggiunto, idoneo, in astratto, a colmarne i difetti, travolge quest’ultimo, non potendo essere tardivamente sanato il vizio radicale dell’impugnazione originaria; e ciò vale anche nel caso in cui il ricorso non sia integralmente inammissibile perché contenente altri motivi immuni da vizi” (Sez. 5, n. 8439 del 24/01/2020), L., Rv. 278387; sono pertanto inammissibili i motivi elencati da 6.3 a 6.g. I-
6.2 Fondato è il motivo relativo alla disciplina applicabile, per quanto si è già detto.
7. Il ricorso di COGNOME deve essere dichiarato inammissibile.
7.1 Quanto al primo motivo di ricorso, non è contestato che COGNOME fosse in contatto con COGNOME e COGNOME, autori materiali della rapina, e che COGNOME avesse incaricato COGNOME di noleggiare il furgone; la Corte di appello ha quindi evidenziato non il solo aspetto indicato in ricorso (e cioè che i ciclomotori trasportati sul furgone potessero essere utilizzati per raggiungere il luogo della rapina), ma che COGNOME aveva noleggiato il furgone con il quale COGNOME si era recato sul luogo degli eventi, con ciò fornendo un mezzo per la realizzazione della rapina; inoltre, la sentenza di primo grado aveva rilevato che COGNOME era stato arrestato pochi giorni dopo per una rapina commessa con le identiche modalità di quella contestata (pag. 280 sentenza primo grado).
Ciò premesso, si deve rilevare la natura meramente fattuale delle censure proposte, in quanto con esse il ricorrente propone una mera rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in questa sede, stante la preclusione, per il giudice di legittimità, di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in
tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289).
7.2 Quanto al secondo motivo di ricorso, si deve ribadire quanto precisato a proposito dell’analogo motivo di ricorso proposto da COGNOME, posto che anche in questo caso il ricorrente non indica alcun motivo per il quale sarebbe meritevole del beneficio se non il minor ruolo organizzativo, in contrasto con la motivazione della Corte di appello, che ha sottolineato la predisposizione di uomini e mezzi per la realizzazione di una pluralità di azioni criminose, con motivazione congrua e coerente con le risultanze processuali.
7.3 Relativamente alla dosimetria della pena, è vero che l’irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’art. 133 cod. pen., ma l’onere motivazionale è stato adempiuto dal giudice di primo grado che ha evidenziato la trasgressiva personalità dell’imputato, gravato da quattro condanne per rapina, e la commissione di due rapine in poco meno di due settimane, aggravate dall’uso di un’arma e con elevate modalità organizzative (pag.305 sentenza di primo grado), motivazione richiamata dalla Corte di appello per confermare la pena inflitta.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di C 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Il ricorso di COGNOME NOME è fondato limitatamente al motivo sulla omessa motivazione per quanto riguarda l’art. 81 cod. pen.
8.1 La confusione di cui si parla nel primo motivo di ricorso tra il mercato di INDIRIZZO e quello di INDIRIZZO è assolutamente irrilevante: la sentenza di primo grado aveva evidenziato che COGNOME era intervenuto per dilazionare un pagamento (pag.292), che COGNOME aveva contattato COGNOME per informarlo che aveva consegnato ad un terzo il “foglio” sul quale erano riportate le somme che bisognava incassare, ricordandogli che doveva passare da un tale COGNOME per recuperare i soldi (intercettazione del 16 dicembre 2013, riportata a pag. 294), che COGNOME era il soggetto solitamente delegato a riscuotere i soldi presso gli ambulanti, che poi consegnava a COGNOME (soggetto che si occupava della
gestione delle estorsioni alle varie bancarelle del mercato, pag. 294), oltre alle altre intercettazioni riportate a pag.295, tutte indicative del ruolo di COGNOME come “addetto alla riscossione”, indipendentemente dalla zona in cui l’estorsione veniva operata; le intercettazioni costituivano quindi riscontro a quanto dichiarato dal collaboratore COGNOME che ha affermato di avere consegnato somme di denaro i soldi richiesti dal clan a COGNOME (indicato in un primo tempo come NOME COGNOME, presentatosi come responsabile del mercato; tale argomentazioni sono state riprese anche dalla Corte di appello, con argomentazioni esenti da censure.
8.2 Quanto alla minaccia, a parte la precisazione contenuta a pag. 296 della sentenza impugnata secondo cui COGNOME aveva precisato che “le somme erano richieste a nome del gruppo criminale del “Buvero”, non si vede quale altra giustificazione potesse esserci alla corresponsione di somme non dovute ad alcun titolo per poter occupare il mercato con le bancarelle; trattasi di un caso di estorsione ambientale, ove “per estorsione “ambientale” si intende quella particolare forma di estorsione, che viene perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali che spadroneggiano in un determinato territorio e che è immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell’associazione di appartenenza del soggetto agente, quand’anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a coartare la volontà della vittima” (Sez. 2, n. . 53652 del 10/12/2014, COGNOME e altri, Rv. 261632).
Relativamente alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., l’esclusione delle aggravanti di cui all’art. 628 comma 3 n.1 e 3 cod. pen. è del tutto irrilevante, considerato che la prima richiede la simultanea presenza, nota alla vittima, di non meno di due persone nel luogo e al momento di realizzazione della violenza o della minaccia, in modo da potersi affermare che queste siano state poste in essere da parte di ciascuno degli agenti, ovvero che la mera presenza di uno dei complici all’esercizio della violenza o della minaccia possa essere interpretata alla stregua di un rafforzamento delle medesime, e che per la seconda si deve ribadire che “in tema di estorsione, l’aggravante, soggettiva, di cui all’art. 628, comma terzo, n. 3), cod. pen., può concorrere con quella, oggettiva, dell’utilizzo di metodo mafioso, di cui all’art. 416 bis.1., nel caso in cui il delitto sia commesso, con minaccia “silente”, da soggetto appartenente ad associazione di tipo mafioso, posto che la prima circostanza è funzionale a sanzionare la maggiore pericolosità individuale dimostrata dall’associato che abbia consumato l’ulteriore delitto, mentre la seconda è volta a punire la maggior
capacità intimidatoria di condotte realizzate attraverso l’evocazione della capacità
criminale dell’associazione mafiosa, potendo essere agita anche da chi non è
associato” (Sez.2, n. 15429 del 08/03/2024, COGNOME, Rv. 286280)
8.3 Il motivo sulla omessa motivazione relativamente all’applicazione dell’art. 81 cod. pen. è fondato.
La censura contenuta nell’atto di appello era specifica, posto che rilevava che
“da tale vuoto si perviene all’applicazione di un anno di continuazione, senza tuttavia essere in grado di affermare quante estorsioni siano state commesse, a
quali l’imputato abbia partecipato, quanto abbia eventualmente estorto, se la stessa condotta sia suscettibile o meno di ulteriori attenuanti, quale ad esempio
l’art. 62 n.4 c.p.”; a fronte di tale censura, la Corte di appello si è limitata a affermare la congruità della dosimetria della pena come adottata dal primo
giudice, con una motivazione quindi mancante; la sentenza deve pertanto essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di
Napoli.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente all’aumento di pena per la continuazione e nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio su detti punti.
Rigetta nel resto il ricorso di COGNOME. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi di COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME,
Dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità nei confronti dei predetti.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 11/06/2024