Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 7014 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 7014 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2023
SENTENZA
nei confronti di NOME COGNOME NOME, nato a Caraffa di Catanzaro il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro del 09/05/2023
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; sentito il Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato rigettato; sentito il difensore dell’indagato, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Catanzaro con ordinanza del 9 maggio 2023 (motivazione depositata il successivo 12 giugno) ha respinto la richiesta di riesame presentata da NOME nei confronti dell’ordinanza genetica emessa dal Gip il 3 aprile 2023 con la quale è stata applicata al predetto la custodia cautelare in carcere in relazione all’addebito provvisorio di cui ,all’art. 416 bis cod. pen.
In particolare all’indagato si contesta di aver fatto parte, “in posizione apicale, del “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, costituito da soggetti nomadi stanziali in Catanzaro, organizzati con le medesime modalità delle associazioni ‘ndranghetiste, e operante nel territorio di Pistoia, Corvo, Aranceto, Germaneto e Catanzaro Lido, attraverso plurime condotte delittuose in materia di armi, stupefacenti, estorsioni, furti, posti in essere con metodo mafioso”.
Avverso l’ordinanza del riesame l’indagato ha presentato, per mezzo del proprio difensore, ricorso nel quale deduce due motivi.
3.1. Con il primo motivo si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in riferimento alla contestazione cautelare riferita alla fattispecie associativa ex art. 416-bis cod. pen. In particolare, si rileva che l’ordinanza impugnata non chiarisce quali siano le condotte concretamente addebitate all’indagato, e che lo individuerebbero come soggetto “in posizione apicale”, e su quale piattaforma indiziaria queste si fondino. Al riguardo, si eccepisce che, da un lato, che la principale collaboratrice di giustizia (COGNOME NOME) ha reso dichiarazioni – in ordine alla partecipazione dell’indagato ad alcune riunioni con esponenti delle RAGIONE_SOCIALE del crotonese nelle quali sarebbero state pianificate estorsioni – per le quali non vi è alcun riscontro, mentre altro collaboratore, COGNOME NOME, si è limitato a riferire di conoscere i COGNOME NOME come “soggetto dedito al traffico della droga senza alcuna specificazione a suo carico quale soggetto ricadente in ambiti mafiosi”. Peraltro, secondo il ricorrente, ulteriori elementi che militano per escludere l’appartenenza all’associazione di stampo mafioso si ricavano dalle dichiarazioni di un terzo collaboratore (tale COGNOME) il quale, nell’indicare i soggetti che avevano ricevuto “doti ‘ndranghetiste” (ossia i gradi interni alla compagine associativa), non fa alcun cenno al ricorrente; da ciò, si rileva, la implausibilità di altre dichiarazioni de COGNOME (secondo la quale all’indagato era stata attribuii:a la possibilità di conferire ai sodali “doti di ‘RAGIONE_SOCIALE“). Ancora, in riferimento alle riunioni (due solamente, avvenute nell’ottobre del 2018) alle quali l’indagato avrebbe partecipato, si evidenzia che non vi è alcun elemento da cui inferire che nel corso delle stesse si siano trattati gli interessi relativi alla pianificazione di quest
mafiose, così come è del tutto apodittico ricavare dal fatto che la riunione avrebbe avuto inizio dopo l’arrivo sul luogo del ricorrente che a costui veniva riconosciuto un “ruolo apicale”. In merito, poi, alla circostanza (valorizzata dall’ordinanza impugnata) che il ricorrente avrebbe ricevuto assistenza da alcuni soggetti durante la sua latitanza, si rileva che i predetti non sono indagati per partecipazione all’associazione di stampo mafioso.
3.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta esistenza delle esigenze cautelari e alla scelta della misura carceraria, evidenziandosi il “tempo silente” (l’indagato è stato arrestato nel 2018 e non emergono elementi dai quali poter dedurre dopo tale data una continuità o stabilità del vincolo associativo) profilo, questo, affrontato da numerose pronunce di questa Corte e sul quale l’ordinanza impugnata non ha fornito adeguata motivazione, essendosi limitata a sostenere che “solo la prova positiva dell’intervenuta rescissione dal vincolo associativo consente di superare la presunzione ex art. 275 comma 3 cod. proc. pen.”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Preliminarmente, ritiene il Collegio che la contestazione relativa al “ruolo preminente” dell’indagato (contemplata nel ricorso e riproposta nell’odierna discussione orale dal difensore) non risulta rilevante in questa sede. Invero, «In tema di procedimento cautelare, sussiste l’interesse concreto e attuale dell’indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per cassazione quando l’impugnazione sia volta ad ottenere l’esclusione di un’aggravante ovvero una diversa qualificazione giuridica del fatto, nel solo caso in cui ciò incida sull'”an” sul “quomodo” della misura. (Fattispecie relativa ad associazione per delinquere di tipo mafioso, in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso, in quanto finalizzato alla sola esclusione del ruolo apicale dell’indagato all’interno del sodalizio, elemento privo di riflessi su presupposti della misura cautelare e sulla sua durata)» (Sez. 2, n. 17336 del 21/12/2022 – dep. 2023, Renna, Rv. 284489 – 01).
L’ordinanza impugnata motiva in modo adeguato in ordine alla configurabilità dell’addebito associativo a carico dell’indagato.
Premessa, sulla base di quanto riferito da tre collaboratori di Giustizia (COGNOME, COGNOME e COGNOME), la descrizione della nascita del c.d. “RAGIONE_SOCIALE” – che viene indicata come “un’articolazione ‘ndranghetista autonoma, con a capo l’indagato e dopo il suo arresto COGNOME NOME – e delle modalità operative dallo stesso adottate (che ne dimostrano la “mafiosità”), il Tribunale del
riesame precisa che ad alcuni esponenti di detto RAGIONE_SOCIALE (tra cui l’indagato) erano state conferite le “doti di ‘RAGIONE_SOCIALE“.
3.1. In particolare, a pag. 9 ss., l’ordinanza del riesame evidenzia come il ricorrente aveva il ruolo di direzione, con compiti di decisione, pianificazione RAGIONE_SOCIALE obiettivi da perseguire, in collegamento con la “RAGIONE_SOCIALE“, prendeva parte alle riunioni del sodalizio alla presenza di COGNOME NOME, detto “NOME tubu” e COGNOME NOME; provvedeva anche quando si trovava in stato di irreperibilità – in quanto ricercato perché colpito da ordine di esecuzione della pena per il reato di associazione mafiosa – a impartire direttive nella gestione delle estorsioni, verificando se gli imprenditori fossero sottoposti alla protezione dei RAGIONE_SOCIALE isolitani in modo da non creare problemi nei rapporti tra il gruppo “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” e quello “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘; dava disposizioni per la riscossione, anche mentre era latitante, di somme di denaro di provenienza estorsiva.
3.2. Quali elementi indiziari a sostegno della contestazione cautelare, il Tribunale del riesame ha indicato: a) le indagini alle quali il ricorrente è stato sottoposto per il reato di associazione mafiosa (“Maniscalco” e “Revenge”); b) le propalazioni accusatorie di diversi collaboratori di giustizia: COGNOME NOME lo ha riconosciuto come “capo-zona relativamente agli accampamenti di Catanzaro Lido nonché dedito al traffico di stupefacenti”; COGNOME NOME ha riferito di “riunioni di mafia che avvenivano tra NOME, referente delle RAGIONE_SOCIALE isolitane e i referenti del RAGIONE_SOCIALE, quali … COGNOME NOME … precisando che “questi vertici del RAGIONE_SOCIALE nomade avevano a loro volta il potere di “battezzare” i loro affiliati, conferendo delle cariche analoghe a quelle delle RAGIONE_SOCIALE, denominate “prima e seconda” … ma questi gradi non erano riconosciuti dalla ‘Aldrangheta, invero si trattava di conferirnenti che avevano valore solo all’interno del sodalizio criminale nomade”; il collaboratore NOME COGNOME durante un interrogatorio espletato nell’ottobre 2020 ha riconosciuto il ricorrente come soggetto che “si occupava del traffico di droga ed estorsioni all’interno del quartiere Lido ed è fratello di NOME, a quest’ultimo secondo il collaboratore 914./è stata conferita la dote di “NOME“; c) la riscontrata partecipazione a riunioni (in data 15 e 18 ottobre 2018) “RAGIONE_SOCIALE associati del RAGIONE_SOCIALE, nel loro quartiere Pistoia, immortalate dal sistema di videosorveglianza, in particolare in INDIRIZZO“, riunioni che avevano inizio solo dopo l’arrivo del ricorrente, fatto, questo, dal quale – non illogicamente – si deduce che “la sua figura autorevole, in quanto prima delle riunioni gli affilia attendevano il suo arrivo”; d) la circostanza che l’indagato – sottoposto a condanna definitiva per associazione mafiosa e altro – è stato aiutato a sottrarsi alla cattura rimanendo latitante per cinque mesi e godendo di una “rete di
protezione” composta da vari soggetti legati all’ambiente criminale di provenienza – i quali riconoscevano che comunque egli rimaneva il “capo” del sodalizio e quindi aveva diritto a somme di denaro di sua spettanza – nonché suoi parenti.
3.3. L’ordinanza esamina poi (pag. 14 ss.) le contestazioni mosse dalla Difesa dell’indagato e le supera in modo non illogico , precisando che dagli elementi indicati emerge chiaramente il ruolo svolto dall’indagato nell’ambito associativo, (ruolo evidenziato anche dalla protezione ricevuta durante la latitanza a seguito di condanna definitiva per mafia). In tal modo, il Tribunale cautelare ha fatto buon governo del principio affermato da questa Corte (Sez. 5, n. 2640 del 23/09/2021 – dep. 2022, Aquino, Rv. 282770 – 02), in base al quale «In tema di associazione di tipo mafioso, la latitanza assume una valenza indiziaria della partecipazione qualificata a tale genere di sodalizio, necessitando la stessa di significativi appoggi e di una rete di omertà e protezione saldamente radicata nel territorio controllato. (In motivazione, la Corte ha precisato, altresì, che la latitanza assume un particolare rilievo sintomatico della forza intimidatrice del vincolo associativo, giacché contribuisce a rafforzare la diffusa sensazione di impunità dell’attività della consorteria e di pericolo in chiunque pensi di ostacolare il raggiungimento dei fini associativi)». E sotto tale profilo non assume rilievo la circostanza, dedotta dal ricorrente, secondo cui le persone che ne hanno favorito la latitanza non sarebbero stati indagati per associazione di stampo mafioso ma solo per procurata inosservanza di pena. A prescindere dalla fluidità della contestazione provvisoria, va rilevato che, in tema di rapporti tra le due fattispecie, si è chiarito che integr comunque il reato di cui all’art. 390 cod. pen. la co dotta posta in essere dal soggetto che abbia consapevolmente aiutato l’esponente mafioso a sottrarsi all’esecuzione della pena laddove essa non si sia tradotta in un’attività di sostegno, dotata di reale efficacia causale per la vita del sodalizio (Sez. 1, n. 21642 del 08/01/2016, Caravello, Rv. 266886 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Infondato è il ricorso anche in riferimento alle esigenze cautelari. La sussistenza delle stesse è stata fondata al Tribunale del riesame sulla “doppia presunzione”, correlata alla fattispecie di cui all’art. 416-bis cod. pen., sull’assenza di elementi idonei a provare la definitiva rescissione dalla associazione di stampo mafioso da parte dell’indagato.
4.1. L’ordinanza evidenzia, con argomentazione non illogica, la natura della consorteria in esame. In particolare (pag. 5 s.) si precisa che in origine gli esponenti del “RAGIONE_SOCIALE” erano in posizione di assoluta subalternità rispetto alle RAGIONE_SOCIALE ‘ndranghetiste dalle quali venivano utilizzati come “manovalanza” per commettere reati in materia di stupefacenti, furti ed estorsioni “minori”; successivamente, essi cercarono di “mettersi in proprio” scatenando la feroce reazione delle RAGIONE_SOCIALE che assassinarono prima COGNOME NOME (“Toro
seduto”) nel 2005 e quindi nel 2017 Viceloque NOME, che aveva continuato a svolgere l’attività illecita in area di pertinenza di una RAGIONE_SOCIALE. “Questo segnale frenò la bramosia di espansione del RAGIONE_SOCIALE i quali negli anni a venire continuarono a sottostare alle disposizioni dei RAGIONE_SOCIALE crotonesi agli imprenditori del capoluogo”. Tuttavia, aggiunge il Tribunale del riesame, dopo l’arresto di alcuni sodali che fungevano di intermediari con le RAGIONE_SOCIALE italiane “il gruppo RAGIONE_SOCIALE si è distaccato completamente dalle RAGIONE_SOCIALE predette e agisce autonomamente mediante la forza di intimidazione mafiosa per il perseguimento di un proprio programma associativo”.
Pertanto, deve ritenersi non illogica la conclusione secondo cui la “RAGIONE_SOCIALE” può ricondursi pienamente al tipo di “mafia storica” (l’ordinanza la qualifica come “un’articolazione ‘ndranghetista autonoma”: pag. 6). A ciò consegue che all’indagato risulta applicabile il principio secondo cui «In tema di sostituzione o revoca di misure cautelari applicate per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., ove la condotta sia riconducibile alla partecipazione ad una associazione mafiosa “storica”, caratterizzata da un risalente radicamento e da una riconosciuta stabilità, grava sul giudice un onere motivazionale attenuato in ordine alla persistenza del pericolo cautelare, anche nei casi in cui sussista una significativa distanza temporale tra l’applicazione della misura e la richiesta di sostituzione della stessa, posto che l’attualità delle esigenze è immanente a tale tipo di reato, potendo essere esclusa solo in presenza di prove della rescissione di ogni rapporto dell’accusato con il sodalizio» (da ultimo, Sez. 2, n. 12197 del 14/12/2022 – dep. 2023, Bella, Rv. 284474 – 01).
4.2. Sotto tale profilo, il Tribunale cautelare (pag. 17) ha rilevato, qual elementi ostativi all’applicazione di misura meno afflittiva, “la notevole potenzialità delinquenziale dimostrata dal COGNOME, l’intensità del dolo, l’esistenza di precedenti giudiziari specifici nonchè l’assenza di elementi idonei a provare l’effettivo ed irreversibile allontanamento dall’ambiente criminale in cui sono maturate le vicende illecite”, escludendo cha tal fine la mera carcerazione possa risultare sufficiente per ritenere scisso il pactum sceleris. In relazione a tale ultimo aspetto, questa Sezione ha precisato come «In tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, il sopravvenuto stato detentivo non esclude la permanenza della partecipazione al sodalizio, che viene meno solo in caso di cessazione della consorteria criminale ovvero nelle ipotesi, positivamente acclarate, di recesso o esclusione del singolo associato» (Sez. 6, n. 1152 del 14/10/2021 – dep. 2022, COGNOME, Rv. 282661 – 02, ove in motivazione si è precisato che “la rescissione del legame può essere desunta, a titolo meramente esemplificativo, da un lungo periodo di detenzione in assenza di contatti con la consorteria, dal trasferimento in luogo distante da quello della sua operatività, o
da una contrapposizione interna al sodalizio seguita dall’allontanamento di uno dei sodali, elementi in relazione ai quali grava sull’interessato un mero onere di allegazione e che non devono essere contrastati da altri significativi dati di segno contrario”).
4.3. Anche alla luce di tale orientamento giurisprudenziale – che il Collegio condivide – il motivo dedotto dal ricorrente risulta infondato. Nella specie, l’unico elemento allegato – oltre alla carcerazione – consiste nel tempo trascorso dalle condotte dell’indagato. Tale dato risulta però “neutralizzato” dalla circostanza rappresentata dal ruolo di sicuro rilievo rivestito dal COGNOME nella consorteria ‘ndranghetista dimostrato anche dal fatto – obiettivamente significativo – che il predetto ha potuto contare durante la latitanza su una rete di protezione illecita che per diversi mesi gli ha assicurato la libertà; periodo nel quale ha continuato a essere considerato dagli altri sodali come “capo” dell’associazione.
All’infondatezza del ricorso segue la condanna dell’indagato al pagamento delle spese processuali. La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M .
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Il AVV_NOTAIO estensore
GLYPH
Presilente
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2023