Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10174 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10174 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CASSANO ALLO IONIO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 09/08/2023 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG ALDO COGNOME A. Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità dei ricorsi.
uditi i difensori
L’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
L’avvocato NOME AVV_NOTAIO si riporta ai motivi di ricorso e chiede l’annullamento dell’ordinanza gravata.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Catanzaro ha confermato l’ordinanza con la quale, il 20 giugno 2023, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso contestatole provvisoriamente nel capo 1.
L’ordinanza attingeva una serie di soggetti, gravemente indiziati di appartenere ad una cosca di RAGIONE_SOCIALE, più o meno variamente accusati anche della commissione di una serie di reati-scopo.
Alla ricorrente, invece, è contestato il solo reato associativo: ella, moglie del boss a suo tempo latitante NOME COGNOME, si sarebbe prestata, dopo l’arresto di lui, a fungere da custode del denaro riconducibile alla cosca, rapportandosi anche con il nuovo capo-cosca, NOME COGNOME, nelle decisioni inerenti la distribuzione del denaro.
Avverso la decisione sono stati proposti dalla COGNOME due distinti ricorsi per cassazione: il primo depositato il 20 ottobre 2023 e firmato digitalmente dall’AVV_NOTAIO (anche per conto del collega AVV_NOTAIO) ed il secondo depositato il 26 ottobre 2023, firmato digitalnnente dall’AVV_NOTAIO, anche per conto della collega COGNOME.
Le argomentazioni sviluppate nei due distinti ricorsi sono in larga misura sovrapponibili.
2.1. Con il primo motivo del ricorso a firma AVV_NOTAIO si deduce violazione di legge sostanziale e processuale con riferimento agli artt. 192 e 273, comma 1, cod. proc. pen. e 416-bis, comma 1, cod. pen., con riguardo alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza circa l’appartenenza dell’indagata ad un sodalizio mafioso. La motivazione sarebbe del tutto carente in ordine agli elementi dimostrativi di qualcosa d’altro rispetto alla mera contiguità compiacente; la ricorrente ricorda pure di essere stata assolta, perché riconosciuta a suo favore la causa scusante di cui all’art. 384 cod. pen., dal delitto di favoreggiamento personale concretizzatosi nell’aiuto prestato al compagno durante la latitanza.
Il Tribunale del riesame avrebbe valorizzato esclusivamente alcune conversazioni intercettate, la cui lettura sarebbe del tutto parziale. In particolare il Tribunale avrebbe desunto che le somme di denaro nella disponibilità della donna fossero ingenti e riconducibili al sodalizio criminale, dati tutt’affatto leggibili ne telefonate valorizzate dal Tribunale, il cui contenuto viene ritrascritto nel ricorso.
Ai fini della sussistenza del delitto associativo ascritto sarebbe del tutto irrilevante l’eventuale considerazione che della ricorrente, magari in quanto moglie di un boss indiscusso, avessero altri sodali; dovendo invece essere dimostrati ulteriori elementi quali la stabile ed organica compenetrazione con il tessuto organizzativo dell’associazione, il ruolo dinamico e funzionale, la condivisione di una comune finalità criminosa, senza contare che alla donna non è ascritto alcun reato-fine e che non vi è traccia di alcun rito di affiliazione cui ella si sia sottoposta
2.2. Con il secondo motivo del ricorso a firma AVV_NOTAIO e con il primo motivo a firma AVV_NOTAIO si deducono violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza, a livello di gravità indiziaria, del delitto associazione per delinquere di stampo mafioso anziché, eventualmente, di quello meno grave di favoreggiamento personale.
AVV_NOTAIO sviluppa argomenti che sono indicati anche nel citato primo motivo del ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, deducendo anche il vizio di motivazione.
Evidenzia un errore nel quale sarebbero incorse l’ordinanza impugnata come pure l’ordinanza genetica (l’argomento è sviluppato anche nel secondo ricorso, in termini analoghi), laddove si desume da una telefonata la sicura origine illecita del denaro nella disponibilità dell’indagata, attribuendo a lei una frase che è invece pronunciata dalla cugina. Poiché, però, la cugina è stata accusata solo di favoreggiamento personale, l’errore rende manifesta l’illogicità della motivazione che ascrive alla ricorrente un ruolo contabile diverso e più grave, tale da costituire elemento significativo di intraneità al sodalizio criminale, rispetto a quello della cugina che pure sarebbe in posizione analoga.
La motivazione sarebbe illogica anche laddove pretende di desumere l’appartenenza al sodalizio dalle confidenze di NOME COGNOME circa l’atteggiamento della suocera della ricorrente, che si sarebbe lamentata dello “stipendio” ricevuto.
Dalle stesse intercettazioni valorizzate dal Tribunale si evidenzia come, all’indomani dell’arresto del compagno, la ricorrente abbia parlato al proprio fratello di somme lasciatele dal compagno; come pure risulta chiaro che la donna abbia accettato di disporre solo di quelle somme, perché appartenevano a lui. Dunque, in assenza della commissione di reati-scopo o comunque di “atti di militanza”, sarebbe del tutto arbitraria l’attribuzione alla ricorrente del ruolo d associata.
Ulteriore profilo di illogicità manifesta della motivazione sarebbe rinvenibile nel passaggio in cui il Tribunale valorizza un colloquio intervenuto in carcere tra NOME e NOME COGNOME, inerente l’indennizzo ricevuto a titolo di riparazione per ingiusta detenzione da NOME COGNOME, colloquio al quale per definizione la donna era estranea. In quello stesso colloquio, osserva la difesa, si discute della
necessità di far avere alla ricorrente alcune centinaia di euro, circostanza incompatibile con la disponibilità in capo a lei di ingenti somme, che le viene contestata.
2.3. Con il secondo motivo del ricorso a firma AVV_NOTAIO si deducono violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari di massimo grado. L’associazione, a seguito dell’arresto dei suoi appartenenti, sarebbe cessata e ciò comporterebbe l’impossibilità di applicare la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Si è proceduto a discussione orale.
Il Procuratore generale, richiamando la requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi.
AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, e l’AVV_NOTAIO hanno chiesto l’accoglimento delle impugnazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Gli atti di impugnazione presentati nell’interesse di NOME COGNOME sono inammissibili.
Va sgombrato il campo dalle considerazioni circa la possibile riconducibilità della condotta addebitata alla ricorrente nella fattispecie di favoreggiamento personale, per una sorta di par condicio rispetto alla contestazione mossa ad NOME COGNOME, il cui apporto materiale non sarebbe molto diverso.
Non è nemmeno il caso di approfondire la questione circa l’astratta configurabilità del favoreggiamento personale con riguardo ad un reato presupposto di natura associativa.
E’ stato detto che «la configurabilità del favoreggiamento personale con riguardo ad un reato presupposto di natura permanente (nella specie associazione per delinquere di stampo mafioso) presuppone che si sia già verificata la sua cessazione, costituita dallo scioglimento del sodalizio, ricorrendo altrimenti la partecipazione all’associazione mafiosa o il concorso esterno alla stessa, a seconda che risulti o meno dimostrato lo stabile inserimento del soggetto nella struttura associativa» (Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, COGNOME, Rv. 281217).
A tale orientamento se ne contrappone, anche in dottrina, uno diverso, che ammette la configurabilità del favoreggiamento personale con riguardo ad un reato associativo la cui permanenza sia ancora in atto e sempreché il reato presupposto abbia raggiunto una soglia minima di rilevanza penale (Sez. 6, n. 33753 del 25/05/2023, Bulla, Rv. 285152).
La questione, però, è del tutto irrilevante in questa sede.
Il favoreggiamento personale è ascritto ad NOME COGNOME perché, come emerge dall’ordinanza genetica, costei avrebbe favorito la latitanza di NOME COGNOME. All’odierna ricorrente, invece, è contestato un ruolo diverso, di intraneità all’associazione, cui avrebbe fornito i propri servigi attraverso la custodia di denaro del sodalizio.
La motivazione in ordine all’appartenenza della ricorrente al sodalizio ed in ordine alla rilevanza causale della sua condotta non è manifestamente illogica, come si vedrà, sicché l’ipotesi delittuosa ascritta appare correttamente contestata (pur ovviamente nella fluidità della presente fase e a livello di gravità indiziaria) e non è possibile nemmeno, come è stato suggerito nel corso della discussione dai difensori, ravvisare invece gli estremi del favoreggiamento reale (cfr. Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, Cicciari, Rv. 275583).
2. La Corte di cassazione non può rivalutare la ricostruzione del quadro indiziario alla base del provvedimento cautelare (genetico e del riesame), poiché in tale ambito il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canori della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, Paviglianiti, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 2/3/2017, COGNOME, Rv. 269884; Sez. 6, n. 11194 del 8/3/2012, COGNOME, Rv. 252178), spettando, al più, al giudice di legittimità la verifica dell’adeguatezza della motivazione sugli elementi indizianti operata dal giudice di merito e della congruenza di essa ai parametri della logica, da condursi sempre entro i limiti che caratterizzano la peculiare natura del giudizio di cassazione (per tutte Sez. U, n. 11 del 22/3/2000, Audino, Rv. 215828).
A fondamento della decisione il Tribunale ha valorizzato un compendio indiziario costituito essenzialmente da intercettazioni, ritenute dimostrative sia del ruolo svolto dalla ricorrente, custode delle somme di denaro dell’associazione mafiosa, sia della capacità dell’indagata di confrontarsi direttamente con i vertici del sodalizio su questioni di particolare rilevanza, prendendo parte alle decisioni concernenti le movimentazioni delle somme e la loro attribuzione nei confronti dei beneficiari.
La ricorrente tenta, con argomentazioni in parte generiche e in parte manifestamente infondate, di ottenere una rivalutazione del contenuto delle intercettazioni.
Occorre ricordare che, in materia di intercettazioni, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715; conf., tra le tante, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337).
Il Tribunale ha correttamente e logicamente dato conto, nella motivazione, del significato ritraibile dal contenuto delle conversazioni esaminate, giungendo a conclusioni che non risultano obiettivamente scalfitte dai rilievi difensivi, in quanto non manifestamente illogiche.
Così, la difesa si intrattiene nell’osservare che nella conversazione riportata alla pagina 4 dell’ordinanza non è la ricorrente, bensì la cugina NOME COGNOME, a menzionare i “COGNOME“, a testimonianza del fatto che il denaro che le due donne stavano conteggiando non fosse quello “personale” del marito della ricorrente stessa. L’osservazione, però, non consente di ritenere che il Tribunale abbia indiscutibilmente, e con carattere di decisività, misconosciuto il “significante” del dialogo intercettato. Infatti, subito dopo che NOME COGNOME dice “qua ci sono i COGNOME, se li è presi l’avvocato”, la ricorrente soggiunge “l’avvocato già lo sa”, sicché il dialogo vede le due donne perfettamente consapevoli dell’argomento del quale si sta parlando. Che sia stata l’una o l’altra a menzionare i “COGNOME“, quel che è chiaro dalla conversazione è che si stia parlando di denaro della cosca (e che la COGNOME non si occupi affatto, come la difesa sostiene, dell’esclusiva custodia del denaro personale del marito) e che le donne stiano sfogliando banconote, accordandosi sul da farsi e sulle direttive ricevute in ordine alla destinazione del denaro.
Ancora di denaro si parla, pacificamente, nell’intercettazione del 20 luglio 2018 che il Tribunale si limita a menzionare a pagina 3 e che la ricorrente ritrascrive per dimostrarne la natura di non autoevidenza: certo il linguaggio è criptico, ma ancora una volta si parla di denaro con “NOME” che dice “diecimila.., e abbiamo finito i soldi”. La critica della ricorrente non consente di ritenere né il carattere di decisività di un ipotetico travisamento della prova né l’illogicità manifesta della motivazione.
Ulteriore elemento che il Tribunale ha valorizzato, in modo non manifestamente illogico, è il ruolo della COGNOME quale custode delle somme da distribuire a titolo di “stipendio” ai sodali e alle loro famiglie, ruolo svolto in dir collaborazione con il nuovo capo-cosca e a stretto dimostrato contatto con lui (v. conversazioni richiamate a pagina 5 dell’ordinanza).
Si tratta di elemento di per sé indiziante dell’intraneità al sodalizio (cfr. Sez. 5, n. 35997 del 05/06/2013, Caglioti, Rv. 256947) e, del resto, la stabile frequentazione del capo-cosca, i costanti contatti con lui e la movimentazione di denaro su suo incarico costituiscono elementi sui quali può ragionevolmente fondarsi la gravità indiziaria della partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso, anche in assenza di investitura formale o della commissione di reati-fine (Sez. 5, n. 4864 del 17/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269207).
Sotto il profilo delle esigenze cautelari, la Difesa si limita a dolersi in modo generico della applicazione in concreto della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., correttamente impiegata in relazione alla posizione della ricorrente in assenza di elementi da cui risulti la non configurabilità delle stesse. Il Tribunale della cautela, attenendosi al dato normativo, ha infatti rilevato l’assenza di elementi da cui desumere la recisione dei rapporti con il sodalizio mafioso di riferimento (la cui definitiva cessazione è solo genericamente affermata nel ricorso), osservando come le condotte contestate ed accertate in termini di gravità indiziaria siano significative del pericolo di reiterazione: giudizio fattuale e di merito, questo, congruamente motivato e perciò insindacabile in sede di legittimità.
Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 10/01/2024