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Associazione mafiosa: la custodia del denaro del clan

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10174/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di una donna accusata di essere partecipe di un’associazione mafiosa. La ricorrente, moglie di un boss, era accusata di custodire e gestire il denaro del clan dopo l’arresto del marito. La Corte ha stabilito che tale ruolo, implicando un contatto diretto con i vertici e una funzione fiduciaria nella gestione delle finanze, costituisce un grave indizio di intraneità al sodalizio, superando la mera contiguità o il favoreggiamento.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione mafiosa: la Cassazione sul ruolo di custode del denaro

La recente sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sezione V, n. 10174 del 2024, offre un’importante analisi sui criteri per determinare la partecipazione a un’associazione mafiosa. Il caso esaminato riguarda la posizione della moglie di un boss, accusata di aver assunto un ruolo attivo nella gestione delle finanze del clan dopo l’arresto del consorte. La Corte ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere, ritenendo che la custodia e la distribuzione del denaro del sodalizio costituiscano un grave indizio di intraneità e non un semplice aiuto esterno.

I fatti del caso

Una donna, coniuge di un noto esponente di un clan ‘ndranghetista, veniva raggiunta da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso. Secondo l’accusa, dopo l’arresto del marito, ella si sarebbe prestata a fungere da custode del denaro riconducibile alla cosca, rapportandosi direttamente con il nuovo capo per le decisioni inerenti alla sua distribuzione. La difesa della donna presentava ricorso per cassazione, sostenendo che la sua condotta dovesse essere inquadrata, al più, come favoreggiamento personale e che gli elementi a carico non dimostrassero una stabile e organica compenetrazione nel tessuto associativo.

La distinzione tra partecipazione e favoreggiamento nell’associazione mafiosa

La difesa ha tentato di tracciare un parallelo con la posizione di un’altra parente, accusata solo di favoreggiamento per aver aiutato il boss durante la latitanza. Tuttavia, la Corte ha rigettato questa argomentazione, sottolineando la differenza sostanziale dei ruoli. Mentre il favoreggiamento si configura come un aiuto estemporaneo a un associato, la partecipazione all’associazione mafiosa richiede un inserimento stabile e funzionale nella struttura. Nel caso di specie, il ruolo della ricorrente non era occasionale, ma sistematico e di cruciale importanza per la vita del clan: la gestione della cassa comune.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, ritenendo la motivazione del Tribunale del riesame logica e coerente. I giudici di legittimità hanno ribadito che non possono rivalutare nel merito il quadro indiziario, ma solo verificare la correttezza logico-giuridica del ragionamento del giudice di merito.

Il Tribunale aveva correttamente valorizzato una serie di intercettazioni dalle quali emergeva chiaramente il ruolo della donna. Le conversazioni dimostravano la sua piena consapevolezza dell’origine illecita del denaro e il suo coinvolgimento diretto nelle decisioni sulla sua destinazione, come il pagamento degli “stipendi” agli altri sodali e alle loro famiglie. Questo, secondo la Corte, è un elemento che prova un’effettiva “intraneità” al sodalizio.

La stabile frequentazione del nuovo capo-cosca, i contatti costanti e la gestione del denaro su suo incarico sono stati considerati elementi sufficienti a fondare la gravità indiziaria della partecipazione all’associazione, anche in assenza di un’investitura formale o della commissione diretta di reati-fine.

Le conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale: per essere considerati partecipi di un’associazione mafiosa, non è necessario commettere atti violenti o partecipare a riti di affiliazione. Ruoli apparentemente “secondari”, come quello di custode delle finanze, sono in realtà vitali per la sopravvivenza e l’operatività del clan. La gestione fiduciaria della cassa comune implica un’adesione stabile e consapevole al programma criminale, integrando così la fattispecie di cui all’art. 416-bis del codice penale. La Corte ha quindi confermato che, in presenza di gravi indizi per tale reato, la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere opera pienamente, a meno che non emergano elementi concreti che dimostrino la rescissione dei legami con il sodalizio.

Custodire il denaro di un clan mafioso è sufficiente per essere accusati di associazione mafiosa?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il ruolo di custode delle somme di denaro di un’associazione mafiosa, che implica la loro distribuzione ai sodali e alle famiglie, costituisce un elemento indiziante dell’intraneità al sodalizio criminale, non un mero favoreggiamento.

È necessaria un’affiliazione formale per essere considerati membri di un’associazione mafiosa?
No. La sentenza chiarisce che la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso può essere desunta da elementi concreti come la stabile frequentazione del capo, i contatti costanti e lo svolgimento di compiti fiduciari (come la gestione del denaro), anche in assenza di una cerimonia di investitura formale.

Qual è la differenza tra partecipazione ad un’associazione mafiosa e favoreggiamento?
La partecipazione implica un inserimento stabile e organico nella struttura del sodalizio, con la condivisione delle finalità criminali. Il favoreggiamento, invece, è un aiuto prestato al singolo associato per eludere le investigazioni, senza che chi aiuta sia inserito stabilmente nell’organizzazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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