Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 12133 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 12133 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 14/03/1965
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Palermo il 31/10/2023;
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME
udito il Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che concluso chiedendo i rigetto del ricorso;
udita l’Avv.ta NOME COGNOME difensore della parte civile Associazione Nazionale per l lotta contro la illegalità e le mafie” NOME COGNOME“, che ha concluso chiedendo i rigetto del ricorso;
udito l’Avv. NOME COGNOME, difensore delle parti civili “RAGIONE_SOCIALE– onlu dell’Associazione RAGIONE_SOCIALE” e quale sostituto dell’Avv. NOME COGNOME, difensore della parte civil RAGIONE_SOCIALEPalermo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’Avv. NOME COGNOME, difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE (Federazione del Associazioni antiracket e antiusura italiane) nonchè sostituto dell’avv. NOME COGNOME difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, e dell’Avv. NOME COGNOME, difensore del parte civile “RAGIONE_SOCIALE“, che ha concluso chiedendo il rigetto de ricorso;
udito l’avv. NOME COGNOME difensore dell’imputato, che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Palermo, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis, comma 6, cod. pen., ha sostanzialmente confermato la sentenza con cui COGNOME NOME è stato condannato per il delitto di associazione mafiosa e di quello di cui agli artt. 73 – 80 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 per avere acquistato, trasporta detenuto a fini di spaccio, offerto e/o ceduto a più persone sostanza stupefacente (In Palermo, negli anni 2013- 2014) (capo 10).
All’imputato, quanto al reato associativo, si contesta di essere stato responsabile dalla fine del 2013 e fino al suo arresto, avvenuto il 30.3.2015, della famiglia mafio dell’associazione denominata “Cosa Nostra” operante nel quartiere INDIRIZZO di Palermo.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato articolando tre motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità per il reato associativo, fatto derivare dalla ritenuta prova di un acco sinallagmatico che avrebbe previsto per il ricorrente il pagamento di 3000 euro al mese in favore del sodalizio mafioso, operante in quel determinato territorio della città cambio della possibilità di trattare in esclusiva il commercio di stupefacenti nella zo d’interesse.
Si tratta, secondo l’imputato, di una inferenza probatoria in contrasto con quanto riferito dal collaboratore COGNOME il “maggiormente addentrato e personalmente coinvolto nella situazione” che di detto patto non avrebbe riferito.
COGNOME, si aggiunge, non avrebbe riferito che COGNOME fosse il responsabile del quartiere Zen: il termine “responsabile” sarebbe stata una suggestione introdotta dal Pubblico ministero (si riporta un brevissimo passo dell’interrogatorio), che avrebbe di fatto suggerito la risposta.
COGNOME si sarebbe limitato a riferire che ci si rivolgeva a “NOME” solo perch originario dello Zen e non perché responsabile del sodalizio mafioso.
Lo stesso meccanismo induttivo della risposta sarebbe avvenuto anche quanto all’assunto accusatorio secondo cui a Chianchiano sarebbe stato mandato per la commissione delle estorsioni allo Zen (anche in tal caso si riporta un breve stralcio dell dichiarazioni dello stesso COGNOME)
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al capo 10).
Il tema attiene innanzitutto al rigetto della Corte di appello del motivo relativo nullità della richiesta di rinvio a giudizio per omessa indicazione della imputazione
forma chiara e precisa, non essendo stato nella specie contestato nessun concreto e specifico episodio attribuibile all’imputato.
Una nullità assoluta che, secondo l’imputato, attiene alla iniziativa del pubbli ministero dell’azione penale.
Sotto altro profilo, la sentenza sarebbe viziata quanto al giudizio di responsabilità p il capo in esame, fondato su due dichiarazioni di collaboratori estremamente generiche, e quindi non riscontrabili, nonché su alcune conversazioni intercettate e intercorse tr terzi.
Quanto al primo profilo il dichiarante COGNOME Silvio avrebbe reso solo una chiamata in reità generica, avendo ammesso di non avere avuto contatto con la sostanza stupefacente asseritamente trafficata da Chianchiano e di non avere nemmeno certezza sul tipo di sostanza ceduta dal ricorrente.
Non diversamente, sarebbero generiche le dichiarazioni rese sul punto da COGNOME, avendo questi riferito solo de relato “per quello che ho saputo” che l’imputato avesse corrisposto tremila euro al mese a tale NOME COGNOME per la vendita della droga, senza, tuttavia, indicare nessun episodio specifico.
Né a riscontro delle dichiarazioni avrebbero potuto essere utilizzate le conversazioni intercettate tra terzi.
Sotto ulteriore profilo la sentenza sarebbe viziata quanto alla ritenuta sussistenz dell’aggravante di cui all’art. 416 bis. 1 cod. pen. – sotto il profilo della agevolaz in relazione alla imposizione del versamento mensile di cui si è detto.
Il pizzo sarebbe stato imposto dall’associazione mafiosa e ciò non consentirebbe di configurare l’aggravante nei riguardi di chi deve sottostare.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritemuta aggravante del carattere armato dell’associazione mafiosa, ritenuta sussistente “per inerzia”, “come se ogni affiliato potesse avere libero accesso gl arsenali dell’intero universo mafioso”, avendo invece l’esperienza dimostrato come la disponibilità delle armi costituisca per ogni sodalizio mafioso “il segreto impenetrabile e meglio custodito”.
Una motivazione “di posizione” tenuto peraltro conto che la disponibilità della armi deve essere funzionale al conseguimento delle finalità dell’associazione.
Nel caso di specie, non sarebbero state trovate armi e i reati fine sarebbero stat realizzati con minaccia implicita “derivante dall’appartenenza alla associazione” e dunque, la disponibilità delle armi non sarebbe stata funzionale al conseguimento delle finalità dell’associazione; nè sarebbe rilevante la circostanza che il ricorrente in pas abbia riportato condanna per omicidio commesso con armi essendosi trattato di una vicenda personale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
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ricorso è infondato, ai limiti della inammissibilità.
1.1. Secondo i principi consolidati dalla Corte di cassazione la sentenza non può essere annullata sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettura orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovve nell'assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferire rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perché conside maggiormente plausibili, o perché assertivamente ritenuti dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata ( Sez n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, rv. 234148).
L'odierno ricorrente ha riproposto con il ricorso per cassazione la versione dei fat dedotta in primo e secondo grado e disattesa dai Giudici del merito; compito del giudice di legittimità nel sindacato sui vizi della motivazione non è tuttavia quello di sovrappo la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano forni una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nell sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
E' possibile che nella valutazione sulla "tenuta" del ragionamento probatorio, la struttura motivazionale della sentenza di appello si saldi con quella precedente per formare un unico corpo argomentativo, atteso che le due decisioni di merito possono concordare nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, (cfr., in tal senso, tra le altre, Sez. 3, n. 44418 del 16/07 Argentieri, rv. 2574595; Sez. 2, n. 5606 dell'8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez. 1, n. 8868 dell'8/8/2000, COGNOME, rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, COGNOME, rv. 209145).
Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorché i giudici di secondo grad come nel caso in esame, esaminino le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con riferimenti alle determinazioni ed a passaggi logico-giuridici della decisione di primo grado e, a maggior ragione, ciò è legittimo quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione del primo giudice (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, COGNOME, Rv. 221116).
1.2. Nel caso di specie, i giudici di appello, che pure hanno fatto riferimento a argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado, hanno fornito una valutazione estremamente analitica ed autonoma sui punti specificamente indicati nell'impugnazione
di appello, di talché la motivazione risulta esaustiva ed immune dalle censure proposte (cfr., in particolare, pagg. 90 e ss. sentenza impugnata e 58 e ss. sentenza di primo grado).
In particolare, si tratta di motivazioni che spiegano ampiamente le ragioni per cui l'imputato deve considerarsi partecipe del sodalizio attraverso riferimenti specifici non solo alle dichiarazioni puntuali dei collaboratori di giustizia, ma anche ad alt emergenze istruttorie, quali il servizio di osservazioni dell'incontro avvenuto 13.3.2014, e, soprattutto, a numerose conversazioni intercettate, obiettivamente di significato chiaro.
Nulla di specifico è stato dedotto, essendosi il ricorrente, da una parte, non confrontato con la motivazione della sentenza impugnata, e, dall'altra, limitato a reiterare le considerazioni già espresse e adeguatamente valutate, a sollecitare un nuovo esame delle emergenze istruttorie e, sostanzialmente, a sollecitare una nuova ricostruzione de fatti.
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo al capo 10) della imputazione, è infondato.
La Corte ha spiegato correttamente, con ampi riferimenti giurisprudenziali, perché non sussiste la ventilata nullità.
La Corte di cassazione ha in più occasioni chiarito che il fatto deve ritenersi enunciato in forma chiara e precisa quando i suoi elementi strutturali e sostanziali sono descritt in modo tale da consentire un completo contraddittorio e il pieno esercizio del diritto d difesa da parte dell'imputato, che viene a conoscenza della contestazione non solo per il tramite del capo d'imputazione, ma anche attraverso gli atti che fanno parte del fascicolo processuale, consentendo in tal modo all'imputato di difendersi (cfr., da ultimo, Sez. 3, n. 9314 del 16/11/2023, P., Rv. 286023, ma anche, tra le altre, Sez. 5, n. 6335 del 18/10/2013, Rv 258498).
Anche la parte del motivo relativa al giudizio di responsabilità e alla sussistenza della circostanza aggravante prevista dall'art. 416 bis.1. cod. pen. è infondata: a fronte di una motivazione puntuale in cui si rivisitano le molteplici fonti probatorie e si descrivo con rigore gli specifici elementi di prova – obiettivamente anche in questo caso evidenti – nulla di specifico è stato dedotto, essendosi limitato l'imputato ad affermazion generiche senza spiegare in nessun modo alcunchè (cfr. pagg. 70 e ss. sentenza impugnata in cui si si spiega come i profitti derivanti dal traffico di sostanze stupefacen fossero, almeno in parte, destinati al sodalizio mafioso, nel cui interesse l'imputat operava.
È infondato anche il terzo motivo di ricorso relativo al ritenuto carattere armato dall'associazione mafiosa.
Sul tema è consolidato il principio secondo cui, in tema di associazione di tipo mafioso, la circostanza aggravante della disponibilità di armi, prevista dall'art. 416-bis comma quarto, cod. pen., è configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa, per l'accertamento della quale assume rilievo anche il fatto notorio della stabile detenzione di tali strument di offesa da parte del sodalizio mafioso. (tra le altre, Sez. 2, n. 50714 del 07/11/2019 Capito, Rv. 278010; Sez. 1, n. 44704 del 5.5.2015, Lana, Rv. 265254, in cui si è ritenuto che, quantomeno il profilo di ignoranza colposa, sia da ritenersi dimostrato in relazione alla notoria disponibilità di strumenti del genere per la realizzazione degli scop associativi).
Nulla di specifico è stato dedotto.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
L'imputato deve altresì essere condannato al pagamento delle spese processuali in favore della costituite parti civili, indicate nel dispositivo, che si liquidano per cias di esse in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili RAGIONE_SOCIALE (Federazione delle Associazioni antiracket e antiusura italiane), RAGIONE_SOCIALE, Centro Studi Pio La Torre – onlus RAGIONE_SOCIALE", Associazione Nazionale per la lotta contro la illegalità e le mafie " NOME COGNOME", "RAGIONE_SOCIALE", RAGIONE_SOCIALEPalermo, che liquida per ciascuna di esse in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge. Così deciso in Roma il 6 novembre 2024.