Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14125 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14125 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOMECOGNOME nato a Guastalla il 06/07/1992 avverso l’ordinanza del 15/10/2024 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione sentite le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto.
udito il difensore Avv. NOME COGNOME ha chiesto l’accoglimento dei motivi del ricorso; l’Avv. NOME COGNOME si riporta ai motivi e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 15 ottobre 2024 il Tribunale di Catanzaro ha confermato l’ordinanza emessa il 16 settembre 2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro con la quale è stata applicata, tra gli altri, a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis, commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto, ottavo, cod. pen., per aver preso parte con il ruolo di organizzatore all’articolazione territoriale dell ‘ndrangheta operante nel territorio del Comune di Cutro con compiti nell’attività estorsiva, nell’eseguire le direttive del padre NOME e nell’intrattenere rapporti co le consorterie criminali limitrofe (capo 1) e per aver commesso i reati fine di estorsione, contestati ai capi 3), 4), 5), 8) dell’imputazione provvisoria, aggravate dall’essere state commesse da persone appartenenti al gruppo ‘ndranghetistico,
nonché con l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. sotto il duplice profilo del metodo e dell’agevolazione; i reati fine di danneggiamento a mezzo incendio (capo 9) e di armi (capo 13) e per aver partecipato, con il ruolo di promotore ed organizzatore, alla parallela attività di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 (cap 13) facente capo alla medesima cosca di ‘ndrangheta.
Avverso l’indicata ordinanza i difensori di fiducia del COGNOME, avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, la difesa lamenta vizio di violazione di legge, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 416 bis cod. pen.
In particolare, richiamando i presupposti oggettivi che dettano le basi per l’esistenza di una associazione mafiose, si assume che l’ordinanza impugnata non spiega la nascita e l’esistenza di una nuova cellula di ‘ndrangheta sotto l’egida della famiglia COGNOME e la partecipazione, in qualità di promotore ed organizzatore, di NOME COGNOME, così come non individua, con riferimento a tale nuova cellula, i connotati tipici dell’associazione ‘ndranghetistica.
Si evidenzia che sono state del tutto disattese le censure difensive contenute nella memoria, in cui si rappresentava che era asserita ma indimostrata la sparizione della cosca Grande Aracri, egemone in quel territorio, e altrettanto indimostrata era la creazione della nuova cosca NOME, di cui non è dato sapere quando e come sia nata.
Si assume che l’ordinanza è viziata nella parte in cui ritiene che costituiscano una base indiziaria adeguata le pregresse operazioni antimafia, che hanno invece sempre riguardato lo storico clan Grande Aracri e si evidenzia l’illogicità del percorso motivazionale laddove ritiene che i coindagati NOME abbiano costituito una nuova cosca, forti del ruolo di spicco che aveva il padre NOME (detenuto da oltre vent’anni) già nella famiglia Grande Aracri.
A dimostrazione di quanto affermato si indicano una serie di conversazioni, che danno contezza della attuale esistenza del clan Grande COGNOME.
Mancano in tale “nuova” cellula il requisito della forza di intimidazione nonché quello dell’assoggettamento e dell’omertà.
2.2 Con il secondo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 416-bis, comma secondo, cod. pen. con riferimento al ruolo di organizzatore attribuito a NOME COGNOME
Dopo aver premesso le connotazioni di tale qualifica, si evidenzia che con riferimento a quest’ultimo non è dato rinvenire né il segno, né il sintomo della possibilità di ricoprirne la posizione nei termini segnati dalla giurisprudenza di questa Corte.
2.3 Il terzo motivo deduce vizio di violazione di legge, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’associazione di cui all’art. 7 d.P.R. n. 309 del 1990.
Si contestano, nello specifico, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che l’ordinanza impugnata pone a base della sua decisione, sia sotto il profilo della genuinità delle dichiarazioni, sia in riferimento agli elementi di riscontro.
In relazione a tale delitto, si assume che anche le conversazioni intercettate non forniscono alcun elemento a sostegno del costrutto accusatorio e si evidenzia che il ricorrente risponde di un solo reato fine.
Con requisitoria scritta il Sostituto Procuratore generale ha chiesto rigettarsi il ricorso.
In relazione al primo ed al secondo motivo di ricorso, premessi gli orientamenti di questa Corte in relazione alla “nuove” mafie che si contrappongano o nascano in continuità con le “mafie storiche” e in relazione alla figura del capo, evidenzia come il Tribunale del riesame abbia illustrato i plurimi elementi indicativi della sussistenza dell’associazione e di come i Marino si siano affrancati dal gruppo in declino di Grande Aracri fino a divenire entità autonoma.
3.1 Si afferma che la difesa non si confronta con l’ampio ed articolato apparato argomentativo dell’ordinanza impugnata, attestante la progressiva affermazione dei NOME sul territorio di operatività, i contrasti con gli altri clan locali predominio e l’impegno costante nei settori della droga, delle armi e delle estorsioni nonché la posizione apicale di NOME NOME, diretto referente del padre NOME, impegnato in delicate attività di collaborazione o di contrasto con altri clan allo scopo di rafforzare la propria organizzazione di riferimento. Secondo l’Ufficio di Procura, le doglianze difensive, benché formalmente dirette a denunciare la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata, si esauriscono in realtà in una contestazione, nel merito, di alcuni singoli elementi di fatto e delle risultanze d’indagine che il giudice a quo giudicava idonei a integrare il compendio indiziario, senza valutare la complessiva logica ricostruzione della vicenda criminosa.
3.2 Quanto al terzo motivo di ricorso, si evidenzia che il coinvolgimento di NOME nell’associazione dedita al traffico di droga (capo n. 14) si evince innanzitutto dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME ed COGNOME che l indicavano quale soggetto inserito in tale ambito unitamente agli altri sodali, dal pregresso coinvolgimento del predetto nel procedimento penale “Golgota” e dal materiale intercettativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso va rigettato in quanto infondato.
1.1 Sui connotati tipici dell’associazione ‘ndranghetistica, che, secondo la difesa, non sarebbero stati individuati dal giudice della cautela, nonostante venisse in rilievo una nuova cellula, il Tribunale si dilunga da pag 3 dell’ordinanza e su quanto affermato la parte non si confronta efficacemente, obliterando del tutto la ricostruzione, contenuta nell’ordinanza impugnata, in ordine all’ascesa criminale del gruppo capeggiato da NOME COGNOME, dopo la violenta distruzione della cosca contrapposta “Dragone”; all’inserimento del padre del ricorrente, NOME COGNOME e della moglie di costui, COGNOME, nella cosca cutrese Grande Aracri; della partecipazione dei figli dei componenti della cosca alla vita della stessa, quando i rispettivi genitori venivano arrestati, come è accaduto per il ricorrente allorchè il padre NOME è stato condannato alla pena di sedici anni di reclusione; alla nascita della cosca NOME, originatasi da una costola della cosca “Grande Aracri”, contrapposta a quella dei COGNOME, all’esito ed in conseguenza delle operazioni di polizia che hanno inferto un duro colpo ai gruppi “storici”, con il pentimento proprio del capo NOME COGNOME; all’indebolimento del gruppo storico con l’inevitabile creazione di vuoti di potere, di cui ha approfittato propri la cosca NOME, affrancatasi dal gruppo, ormai in declino, dei COGNOME; all’ascesa della cosca NOME, capeggiata dal padre NOME, costantemente informato dai figli durante la detenzione in carcere; al mantenimento dell’influenza e della supremazia sul territorio di Cutro da parte dei COGNOME, evitando che all’indebolimento della cosca Grande Aracri seguisse il predominio della contrapposta cosca COGNOME, servendosi della mediazione dei COGNOME, una famiglia autorevole e terza rispetto al territorio di Cutro.
Di tale ricostruzione, emergente dalle plurime convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, per altro intranei alla cosca, la difesa non tiene conto censurando il provvedimento impugnato sull’assunto che non abbia evidenziato quale sia stata la nascita della nuova cosca, cosa sia successo a quella storica, elementi, questi, che il giudice della cautela ha tenuto in debito conto, fornendo una ricostruzione che non presenta profili di illogicità o vizi di diritto, sia quan alla ascesa criminale della famiglia, sia in ordine all’affrancamento della stessa.
1.2 Anche, nello specifico, con riferimento alla capacità intimidatoria esteriorizzata nell’ambito territoriale di operatività della nuova cosca COGNOME, nessun rilievo può essere mosso ai giudici della cautela, che risultano aver vagliato, con motivazione congrua e giuridicamente corretta, anche questo aspetto.
1.3 Va sul punto premesso che, in base all’orientamento espresso da questa Corte, il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. è configurabile – con riferimento a una nuova articolazione periferica (c.d. “locale”) di un sodalizio mafioso radicato
nell’area tradizionale di competenza – anche in difetto della commissione di reatifine e della esteriorizzazione della forza intimidatrice, qualora emerga il collegamento della nuova struttura territoriale con quella “madre” del sodalizio di riferimento, ed il modulo organizzativo (distinzione di ruoli, rituali di affiliazio imposizione di rigide regole interne, sostegno ai sodali in carcere, ecc.) presenti i tratti distintivi del predetto sodalizio, lasciando concretamente presagire una già attuale pericolosità per l’ordine pubblico (Sez. 2, n. 24850 del 28/03/2017, COGNOME, Rv. 270290 – 01); che nel caso di un’articolazione territoriale di una mafia storica, è configurabile il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. allorché la stess per effetto del collegamento organico-funzionale con la casa-madre, dotato del carattere della riconoscibilità esterna e non limitato, pertanto, a forme di collegamento che si consumino soltanto al suo interno sul piano dell’adozione di moduli organizzativi e di rituali di adesione, si avvalga di una forza di intimidazione intrinseca che, pur non necessitando di forme eclatanti di esteriorizzazione del metodo mafioso, non consiste nella mera potenzialità, non esercitata e quindi meramente presuntiva, dell’impiego della forza, ma nella spendita d’una vera e propria fama criminale ereditata dalla casa-madre (Sez. 1, n. 51489 del 29/11/2019, Albanese, Rv. 277913 – 01) e che, mentre per le mafie “storiche” l’esistenza del sodalizio è già giudizialmente acclarata, di modo che è sufficiente accertare la sussistenza della condotta partecipativa dei singoli imputati alla consorteria, nel caso delle “nuove mafie” o “mafie atipiche” il thema probandum involge, in primo luogo, in carattere mafioso dell’associazione e dunque, principalmente, l’avvalimento del metodo mafioso e il programma criminale mafioso ex art. 416-bis, terzo e sesto comma, cod. pen. (Sez. 2, n. 2159 del 24/11/2023, dep. 2024, Casamonica, Rv. 285908 – 02).
Si è anche, da ultimo, affermato, che la figura del “gruppo mafioso a soggettività differente”, per la particolarità della formazione, per l’inserimento al suo interno, con ruolo organizzativo, di soggetto già condannato, in via definitiva, per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. e per il carattere intimidatori confronti della collettività derivante da tale presenza, integra una fattispecie associativa intermedia tra mafie nuove e mafie storiche, necessariamente dotata di capacità di esteriorizzare il potere intimidatorio e di imporre una nuova e diffusa condizione di omertà, mutuante, per gemmazione, i caratteri tipici dell’organizzazione in passato operante sullo stesso territorio. (Sez. 2, n. 24901 del 17/05/2024, De, Rv. 286689 – 02).
1.4 Di tali principi i giudici della cautela hanno fatto corretta applicazione evidenziando che nel caso di specie la cosca NOME nasce da appartenenti alla cosca “storica” e la sua ascesa coincide con il declino di quest’ultima, falcidiata dalle operazioni di polizia ed indebolita dal pentimento del capo NOME COGNOME
Aracri, fattori, questi, che consentono alla nuova articolazione di approfittare del vuoto di potere e subentrare negli affari illeciti, contestati come reati fine ne presente procedimento.
Non viene, dunque, in rilievo una neoformazione che si presenta quale struttura autonoma ed originale, ma una nuova articolazione collegata a quella madre, il cui modulo organizzativo presenta i tratti distintivi del predetto sodalizio.
Con motivazione immune da censure i giudici hanno analizzato i requisiti della “nuova” cellula, quali l’efficiente organizzazione, la forza di intimidazione, l’assoggettamento e l’omertà, ricostruendone le caratteristiche alla luce delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME che aveva fatto parte proprio della cosca COGNOME, riscontrate da quelle degli altri collaboratori , COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME e dal contenuto delle conversazioni captate e alla luce, altresì, del materiale indiziario acquisito, che danno conto dell’unità strutturale ed organizzativa e dello schema direttivo della nuova cosca COGNOME.
Quanto al secondo motivo di censura, inerente la qualifica di organizzatore attribuita al ricorrente, il provvedimento impugnato (da pag. 13), con motivazione congrua e priva di vizi di illogicità o di diritto, individua gli elementi indi specifici, emergenti dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME e dal contenuto delle conversazioni, da cui risulta che NOME COGNOME rivestiva una posizione apicale all’interno del sodalizio.
2.1 Va sul punto premesso che in tema associazione di tipo camorristico, il ruolo direttivo e la funzione di capo di cui all’art. 416-bis, comma secondo, cod. pen., vanno riconosciuti solo a chi risulti al vertice di una entità criminal autonoma, sia essa famiglia, cosca o “clan”, dotata di propri membri e regole, mentre il ruolo di organizzatore solo a chi sia posto a capo di un settore delle attività illecite del gruppo criminale con poteri decisionali e deliberativi autonomi (Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Buono, Rv. 279476 – 03) e va altresì evidenziato che, secondo un orientamento consolidato e condivisibile – espresso in una fattispecie simile a quella in esame, relativa ad un soggetto che, come NOME COGNOME, promuoveva l’azione di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, investendo notevoli risorse economiche e mettendo a disposizione del sodalizio plurimi canali esteri di approvvigionamento – in tema di reato associativo, riveste il ruolo di promotore non solo chi sia stato l’iniziatore dell’associazione, coagulando attorno a sé i primi consensi partecipativi, ma anche colui che, rispetto ad un gruppo già costituito, provochi ulteriori adesioni, sovraintenda alla complessiva attività di gestione o assuma funzioni decisionali. (Sez. 3, n. 45536 del 15/09/2022, COGNOME, Rv. 284199-01; in termini conformi anche Sez. 6, n. 45168 del 29/10/2015, COGNOME, Rv. 265524-01) o che contribuisca alla potenzialità pericolosa del gruppo già
costituito, provocando l’adesione di terzi all’associazione ed ai suoi scopi attraverso un’attività di diffusione del programma (Sez. 2, n. 52316 del 27/09/2016, Riva, Rv. 268962 – 01).
2.2 I giudici della cautela hanno fatto corretta applicazione degli esposti principi di diritto, avendo ritenuto il ricorrente un organizzatore, valorizzando le propalazioni dei collaboratori di giustizia e gli ulteriori elementi intercettativi c danno conto di come NOME COGNOME costituisse il referente dell’attività di spaccio esercitata dai COGNOME, circostanza questa comprovata anche dalle conversazioni in cui i NOME si lamentano della gestione della cassa comune e dei rapporti con i fornitori da parte di NOME COGNOME c1.88, fino ad arrivare all’espulsione di quest’ultimo dall’organigramma.
Con motivazione priva di profili di illogicità, l’ordinanza impugnata valorizza che l’assunzione del ruolo sovraordinato da parte di NOME COGNOME sia una circostanza che risulta essere stata riferita direttamente dal ricorrente, che nell’approfondire con la madre i motivi che lo avevano indotto ad allontanare NOME COGNOME cl. 88, sosteneva di essersi talmente fidato di lui da avergli affidato la gestione del mercato della droga nelle more della sottoposizione alla misura alternativa alla detenzione (misura cui il ricorrente era effettivamente sottoposto). Indicativo del ruolo apicale assunto anche il rapporto con il canale mesorachese, nell’ambito dei quali, a causa di comportamenti truffaldini apparentemente assunti dal Muto, il Martino meditava di intervenire.
Alcuna censura può muoversi al provvedimento impugnato laddove afferma che i caratteri individuati dalla giurisprudenza di legittimità come sintomatici del ruolo di organizzatore sono pacificamente riscontrabili nel contributo associativo del ricorrente, che è colui che, oltre ad aver determinato lo sviluppo dei traffici nel settore degli stupefacenti, ha costituito la struttura associativa affidandone la gestione dapprima a NOME COGNOME cl. 88 e in seguito a NOME “il piccolo”, nonché dalle plurime conversazioni nelle quali è proprio l’indagato a rivendicare tale ruolo sostenendo di aver consentito ai sodali di sostenersi con la rete di spaccio da lui edificata e ampliata.
Parimenti, l’ordinanza impugnata dà conto della circostanza che il ricorrente è dotato anche del potere di vigilanza sulle attività associative e sugli associati, potendo deliberarne l’allontanamento allorquando i loro comportamenti rischiavano di pregiudicare l’organizzazione ed è colui che intrattiene i rapporti con le altre cosche del territorio, in particolare con i Diletto e anche con i Ciampà, dettando la linea da tenere in occasione dei contrasti proprio con questi ultimi, così orientando criminalmente il comportamento di tutti gli associati, ivi compresi i membri della sua stessa famiglia, che venivano richiamati all’ordine quando necessario, assicurandosi che qualunque loro azione non pregiudicasse il gruppo.
Indicative del ruolo assunto dal ricorrente nella cosca familiare di appartenenza, anche le conversazioni nelle quali indirizza i sodali sulle modalità con cui taglieggiare le vittime e discute con gli altri esponenti mafiosi della zona in ordine alle dinamiche di spartizione del territorio, forte anche del fatto di essere stato preposto dal padre alla gestione esclusiva delle problematiche più delicate e alle interlocuzioni con la cosca dei COGNOME.
Anche su questi specifici aspetti, la difesa non si confronta, censurando il provvedimento impugnato negli elementi di fatto indicati e nella ricostruzione che ne dà il giudice della cautela, chiedendo a questa Corte una rivalutazione diversa del fatto, non suffragata da alcun elemento che sia idoneo a neutralizzare il grave quadro indiziario.
Manifestamente infondato è il terzo motivo di doglianza, per il quale valgono le considerazioni sopra espresse laddove si è analizzato il ruolo assunto dal ricorrente nella gestione della droga.
3.1 II ricorrente risulta essere infatti a capo del traffico delle sostanze stupefacenti (capo 14) – circostanza questa che, unitamente agli elementi sopra valorizzati, qualifica il suo ruolo come organizzatore e non mero partecipe – e su tale attività il giudice della cautela si dilunga diffusamente dando contezza degli elementi indiziari costituiti dalle convergenti e plurime dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, nonché dalle conversazioni captate da cui emerge lo sviluppo dei traffici nel settore degli stupefacenti, da lui personalmente curato, e la costituzione da parte del ricorrente di una struttura associativa, nella quale aveva anche previsto l’affidamento della sua gestione, durante il periodo in cui era sottoposto a misura alternativa, dapprima a NOME COGNOME cl. 88, poi estromesso, e in seguito a NOME “il piccolo”.
L’ordinanza impugnata valorizza in proposito l’intervento del ricorrente nell’ambito dei rapporti con il canale di rifornimento di Roggiano Gravina e con soggetti contigui alla cosca COGNOME di Cosenza, con i quali NOME COGNOME risultava avere ottimi rapporti.
Significativo, in questo senso, l’episodio descritto a pag 23 dell’ordinanza impugnata che fornisce diretta conferma dell’inserimento del ricorrente nelle dinamiche di approvvigionamento coltivate dai sodali e certifica in maniera inequivocabile la posizione di supremazia assunta dal ricorrente nelle gerarchie interne nonché il conseguente obbligo dei sodali di rendicontargli le movimentazioni di denaro
Comprovano il ruolo egemone assunto nel settore dal ricorrente le numerose conversazioni da cui risulta che al Martino andavano devoluti parte dei proventi illeciti dello spaccio, finanche a titolo di pagamento delle stese legali; l conversazioni registrate con lo zio NOME COGNOME nelle quali, oltre a confrontarsi sul
prezzo al dettaglio praticato dal gruppo COGNOME lo zio si proponeva di reperire un acquirente a Catanzaro Lido per una partita di cocaina che il NOME attendeva di
acquisire da San Luca nonché le conversazioni con NOME COGNOME nelle quali il
NOME disponeva la restituzione al fornitore di una partita di marijuana di scarsa qualità non ritenendone redditizie alla vendita.
3.2 Con il grave compendio indiziario che connota il delitto associativo di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 contestato al capo 14) la difesa non si confronta,
né fornisce una chiave interpretativa diversa delle conversazioni captate, che ne dimostri la manifesta illogicità o la irragionevolezza, limitandosi a bollare come del
tutto inconsistenti le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia e ribadendo l’assenza di elementi a carico, senza tuttavia fornire spiegazioni alternative idonee
a porre in dubbio l’impianto accusatorio.
4. Per tutte le indicate ragioni il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. disp.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, att. cod. proc. pen. Così deciso il 05/03/2025.