Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14124 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14124 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOMECOGNOME nato a Guastalla il 23/04/1997 avverso l’ordinanza del 17/10/2024 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione sentite le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilita’.
udito il difensore Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei motivi del ricorso; l’Avv. NOME COGNOME si riporta ai motivi e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 17 ottobre 2024 il Tribunale di Catanzaro ha confermato l’ordinanza emessa il 16 settembre 2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro con la quale è stata, tra gli altri, applicata a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis, commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto, ottavo, cod. pen., per aver fatto parte, con il ruolo di partecipe, all’articolazione territoriale d ‘ndrangheta operante nel territorio del Comune di Cutro, con compiti nell’attività estorsiva, nell’eseguire le direttive del padre NOME e nell’intrattenere rapporti co le consorterie criminali limitrofe (capo 1) e per aver commesso i reati fine di estorsione, contestati ai capi 2), 4) e 5) dell’imputazione provvisoria, aggravati dall’essere state commesse da persone appartenenti al gruppo ‘ndranghetistico,
nonché con l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. sotto il duplice profilo del metodo e dell’agevolazione.
Avverso l’indicata ordinanza i difensori di fiducia del COGNOME avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, la difesa lamenta vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione agli artt. 273, 273, comma 1-bis e 192 cod. proc. pen. per omessa valutazione dei motivi nuovi.
Si lamenta apparenza della motivazione, travisamento per omissione, anche rispetto alla prova dichiarativa resa dai collaboratori di giustizia, nonché omesso confronto con i molteplici rilievi posti a fondamento dei motivi nuovi.
In particolare, richiamando i presupposti oggettivi che dettano le basi per l’esistenza di una associazione mafiose, si assume che l’ordinanza impugnata non spiega l’esistenza di una nuova cellula di ‘ndrangheta sotto l’egida della famiglia COGNOME e la partecipazione, in qualità di mero aderente, di NOME COGNOME, che non è stato destinatario di alcun provvedimento definitivo tra quelli enucleati nell’ordinanza, così come non individua, con riferimento a tale nuova cellula, i connotati tipici dell’associazione ‘RAGIONE_SOCIALE.
Mancano in tale “nuova” cellula il requisito dell’organizzazione efficiente; quello della forza di intimidazione nonché quello dell’assoggettamento e dell’omertà; in una parola, la presunta cosca difetterebbe della capacità intimidatoria esteriorizzata nell’ambito territoriale di operatività.
Manca una unità strutturale ed organizzativa come si evidenza dal fatto che non c’è una cassa comune o un contabile; non esiste uno schema direttivo; non vi è qualsivoglia tipo di riconoscimento da parte delle alte cosche.
Anche l’incendio doloso dell’auto del ricorrente, avvenuto il 28 dicembre 2021, per il quale la famiglia si è rivolta alla giustizia e non ha regolato la vicenda secondo logiche interne criminali, è espressione di estraneità alla consorteria mafiosa.
Dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ma anche da una serie di conversazioni a discarico, non considerate nell’ordinanza genetica, si ricava che non esiste alcuna struttura capeggiata dai Martino e che le motivazioni del tribunale del riesame a sostegno della configurabilità di tale associazione non assumono rilievo.
2.2 Con il secondo motivo, la difesa deduce vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione agli artt. 629, comma primo e secondo, in concorso con l’art. 416-bis.1 cod. pen.
Si afferma che vi sia anche in questo caso omessa motivazione sui temi posti a fondamento dei motivi nuovi, limitandosi il Tribunale ad un richiamo per relationem.
Si osserva che in relazione al delitto di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso nei confronti di NOME COGNOME, di cui al capo 2) dell’imputazione provvisoria, difetterebbe il presupposto del metodo mafioso, stante la carenza di una struttura organizzativa idonea (si cita a tal proposito Sez. 2, n. 19245 del 30/03/2017) e non opererebbe neanche il metodo del “messaggio intimidatorio silente”, per la mancanza di forza intimidatrice.
Quanto al capo 4) – estorsione con metodo mafioso ai danni della RAGIONE_SOCIALE, azienda appartenente alla famiglia COGNOME di Cutro – fa difetto il cosiddetto “metodo mafioso”.
In relazione al delitto di estorsione ai danni di NOME COGNOME– capo 5) dell’imputazione provvisoria – va esclusa l’aggravante, in quanto i fatti oggetto della conversazione captata, che si svolge in modo colloquiale, non presentano i requisiti idonei a qualificarli come fatti di stampo mafioso e mancano gli elementi che dimostrano l’esistenza di un’organizzazione criminale ben strutturata.
2.3 II terzo motivo di gravame denuncia vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen.
Si assume che il Tribunale recepisce acriticamente l’ordinanza cautelare e la richiesta del Pubblico ministero, omettendo ogni considerazione rispetto alle argomentazioni poste a fondamento dei motivi nuovi, non considerando il tempo trascorso dai fatti; il fatto che NOME COGNOME era sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, con braccialetto elettronico, per deli ontologicamente connessi e collegati; l’offerta reale, che denota una forma di resipiscenza, di recesso e rappresenta l’equipollente della confessione.
Con requisitoria scritta il Sost. Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
In relazione al primo motivo di ricorso, premessi gli orientamenti di questa Corte in relazione alla “nuove” mafie che si contrappongano o nascano in continuità con le “mafie storiche” e in relazione alla figura del partecipe, evidenzia come il Tribunale del riesame abbia illustrato i plurimi elementi indicativi della sussistenza dell’associazione e di come i Marino si siano affrancati dal gruppo in declino dì Grande Aracri fino a divenire entità autonoma.
3.1 Si afferma che la difesa non si confronta con l’ampio ed articolato apparato argomentativo dell’ordinanza impugnata, attestante la progressiva affermazione dei NOME sul territorio di operatività, i contrasti con gli altri clan locali predominio e l’impegno costante nei settori della droga, delle armi e delle estorsioni nonché la posizione rilevante di NOME NOME, impegnato in delicate attività di collaborazione o di contrasto con altri clan allo scopo rafforzare la propria organizzazione di riferimento. Il ricorso, secondo la Procura Generale, risulta unicamente diretto a sollecitare una non consentita rivalutazione
–,
e/o alternativa rilettura delle fonti indiziarie, al di fuori dell’allegazione di spec inopinabili e decisivi travisamenti di emergenze processuali (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944) ed in presenza, comunque, di un apparato motivazionale che, nel suo complesso, non si espone a rilievi di illogicità di macroscopica evidenza (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794).
3.2 Quanto all’analisi dei reati estorsivi ed al secondo motivo di ricorso, si evidenzia che nelle tre vicende in esame si evincono agevolmente i presupposti della contestata aggravante, risultando impiegati metodi attinenti alla forza intimidatrice della ‘ndrangheta per la loro idoneità a coartare psicologicamente le vittime e costringerle ad una dazione ripetuta nel tempo, come emerso tra l’altro dai riferimenti ai soggetti del sodalizio presenti in carcere e dalla collaborazione di altri familiari nella perpetrazione dei propositi criminosi.
3.3 In relazione al terzo motivo si evidenzia che il Tribunale del riesame ha illustrato in modo esauriente ed analitico che non sussistevano elementi idonei a superare la doppia presunzione di pericolosità di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e ha sottolineato l’inidoneità del mero decorso del tempo a ritenere diminuite le esigenze cautelari, occorrendo quindi una prova positiva dell’effettivo recesso dell’indagato dall’associazione de qua. I giudici della cautela hanno poi evidenziato il coinvolgimento del COGNOME in ulteriori procedimenti penali per gravi reati.
Con memoria di replica gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione al punto 1) della requisitoria del Procuratore generale evidenziano che la stessa non si confronta con il contenuto del ricorso principale e, reiterando i motivi di ricorso, insistono nel loro accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso va rigettato in quanto infondato.
Rileva questa Corte che, diversamente da quanto affermato dalla difesa laddove sostiene che il Tribunale non avrebbe valutato i motivi nuovi contenuti nella memoria depositata in sede di riesame, gli stessi risultano essere stati oggetto di disanima da parte dei giudici della cautela.
1.1 Giova fornire una premessa in diritto, al fine di dare conto del criterio di valutazione che ha guidato il Collegio nel reputare le censure infondate.
Si ritiene infatti condivisibile la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state
espresse le ragioni difensive (Sez. 5, n. 51117 del 21/09/2017, COGNOME, Rv. 271600 – 01 quanto all’omessa valutazione di una memoria da parte del Tribunale del riesame; Sez. 2, n. 14975 del 16/03/2018, Tropea e altri, Rv. 272542 – 01; Sez. 4, n. 18385 del 09/01/2018, COGNOME e altro, Rv. 272739 – 01; Sez. 5, n. 4031 del 23/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267561 – 01; Sez. 6, n. 18453 del 28/02/2012, COGNOME e altri, Rv. 252713, in ordine al giudizio di cognizione).
Tale esegesi non trova sbarramenti applicativi nel procedimento cautelare, rispetto al quale si è condivisibilmente sostenuto che la disposizione di cui all’art. 292, comma 2-ter, cod. proc. pen. – in base alla quale l’ordinanza di applicazione della custodia cautelare deve contenere, a pena di nullità, anche la valutazione degli elementi a favore dell’imputato – non impone al giudice l’indicazione di qualsiasi elemento che sia ritenuto favorevole dal difensore, né tantomeno gli prescrive, in sede di riesame, la confutazione, punto per punto, di qualsivoglia argomento difensivo di cui appaia manifesta l’irrilevanza o la pertinenza, restando circoscritto l’obbligo motivazionale alla disamina di specifiche allegazioni difensive oggettivamente contrastanti con gli elementi accusatori: invero, nella nozione di “elementi di favore” rientrano solo i dati di natura oggettiva aventi riliev concludente, mentre restano escluse le mere posizioni difensive negatorie e gli assunti chiaramente defatigatori o le prospettazioni di tesi interpretative alternative, le quali restano assorbite nell’apprezzamento complessivo cui procede il giudice de libertate (Sez. 5, n. 44150 del 13/06/2018, M. Rv. 274119 – 01, in motivazione; Sez. 2, n. 13500 del 13/03/2008, Rv. 239760; Sez. 6, n. 12442 del 09/03/2011, Rv. 249641).
Ispirandosi a detto fronte interpretativo, il Collegio ritiene, dunque, che i Giudice di legittimità non sia legato al dato “secco” e formale della mancata menzione ed espressa considerazione di questa o quella argomentazione presente nella memoria, ma che debba operare un apprezzamento in concreto. Tale accertamento deve avere ad oggetto, da una parte, la capacità del dato esaltato nella memoria e trascurato dal Giudice di mettere in discussione la completezza, la tenuta logica o l’univocità del percorso argomentativo del provvedimento impugnato; dall’altro, deve soppesare la consistenza intrinseca della memoria, onde neutralizzare la portata scardinante di enunciati difensivi ripetitivi ovvero privi di uno specifico ancoraggio al thema decidendum ovvero, ancora, sforniti della capacità di incidere sulla regiudicanda.
1.2 Tanto chiarito in diritto, va rilevato, nello specifico, che sui connotati tip dell’associazione ‘ndranghetistica, che, secondo la difesa, non sarebbero stati individuati dal giudice della cautela, nonostante venisse in rilievo una nuova cellula, non solo il Tribunale si dilunga da pag 2 dell’ordinanza, ma espressamente dà conto della necessità di operare una breve ricostruzione degli elementi
essenziali della associazione, avendo la difesa avanzato contestazioni in ordine all’esistenza della stessa.
Su quanto afferma il giudice della cautela la parte non si confronta, obliterando del tutto la ricostruzione, contenuta nell’ordinanza impugnata, in ordine all’ascesa criminale del gruppo capeggiato da NOME COGNOME, dopo la violenta distruzione della cosca contrapposta “Dragone”; all’inserimento del padre del ricorrente, NOME COGNOME e della moglie di costui, COGNOME COGNOME, nella cosca cutrese COGNOME; della partecipazione dei figli dei componenti della cosca alla vita della stessa, quando i rispettivi genitori venivano arrestati, come è accaduto per il ricorrente allorchè il padre NOME è stato condannato alla pena di sedici anni di reclusione; alla nascita della cosca NOME, originatasi da una costola della cosca “Grande COGNOME“, contrapposta a quella dei Ciampà, all’esito ed in conseguenza delle operazioni di polizia che hanno inferto un duro colpo ai gruppi “storici”, con il pentimento proprio del capo NOME COGNOME; all’indebolimento del gruppo storico con l’inevitabile creazione di vuoti di potere, di cui ha approfittato proprio la cosca COGNOME, affrancatasi dal gruppo, ormai in declino, dei Grande Aracri; all’ascesa della cosca NOME, capeggiata dal padre NOME, costantemente informato dai figli durante la detenzione in carcere; al mantenimento dell’influenza e della supremazia sul territorio di Cutro da parte dei Martino, evitando che all’indebolimento della cosca Grande Aracri seguisse il predominio della contrapposta cosca Ciampà, servendosi della mediazione dei COGNOME, una famiglia autorevole e terza rispetto al territorio di Cutro.
Di tale ricostruzione, emergente dalle plurime convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, per altro intranei alla cosca, la difesa non tiene cont censurando il provvedimento impugnato sull’assunto che non abbia valutato i motivi di cui alla memoria prodotta, che vertevano proprio su questi aspetti, ossia sulla nascita e sulla esistenza di questa nuova cosca, di cui il giudice della cautela non solo ha tenuto conto ma ha fornito una valutazione che non presenta profili di illogicità o vizi di diritto, sia quanto alla ascesa criminale della famiglia, sia in or all’affrancamento della stessa.
1.3 Anche con riferimento alla capacità intimidatoria esteriorizzata nell’ambito territoriale di operatività della nuova cosca COGNOME, che costituiva oggetto dei motivi nuovi rassegnati in sede di riesame, che, in tesi, non sarebbero stati vagliati dai giudici della cautela, nessun rilievo può essere mosso a questi ultimi, che risultano aver vagliato, con motivazione congrua e giuridicamente corretta, anche questo aspetto.
1.4 Va sul punto premesso che, in base all’orientamento espresso da questa Corte, il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. è configurabile – con riferimento a una nuova articolazione periferica (c.d. “locale”) di un sodalizio mafioso radicato
nell’area tradizionale di competenza – anche in difetto della commissione di reatifine e della esteriorizzazione della forza intimidatrice, qualora emerga il collegamento della nuova struttura territoriale con quella “madre” del sodalizio di riferimento, ed il modulo organizzativo (distinzione di ruoli, rituali di affiliazio imposizione di rigide regole interne, sostegno ai sodali in carcere, ecc.) presenti i tratti distintivi del predetto sodalizio, lasciando concretamente presagire una già attuale pericolosità per l’ordine pubblico (Sez. 2, n. 24850 del 28/03/2017, COGNOME, Rv. 270290 – 01); che nel caso di un’articolazione territoriale di una mafia storica, è configurabile il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. allorché la stes per effetto del collegamento organico-funzionale con la casa-madre, dotato del carattere della riconoscibilità esterna e non limitato, pertanto, a forme di collegamento che si consumino soltanto al suo interno sul piano dell’adozione di moduli organizzativi e di rituali di adesione, si avvalga di una forza di intimidazione intrinseca che, pur non necessitando di forme eclatanti di esteriorizzazione del metodo mafioso, non consiste nella mera potenzialità, non esercitata e quindi meramente presuntiva, dell’impiego della forza, ma nella spendita d’una vera e propria fama criminale ereditata dalla casa-madre (Sez. 1, n. 51489 del 29/11/2019, Albanese, Rv. 277913 – 01) e che, mentre per le mafie “storiche” l’esistenza del sodalizio è già giudizialmente acclarata, di modo che è sufficiente accertare la sussistenza della condotta partecipativa dei singoli imputati alla consorteria, nel caso delle “nuove mafie” o “mafie atipiche” il thema probandum involge, in primo luogo, in carattere mafioso dell’associazione e dunque, principalmente, l’avvalimento del metodo mafioso e il programma criminale mafioso ex art. 416-bis, terzo e sesto comma, cod. pen. (Sez. 2, n. 2159 del 24/11/2023, dep. 2024, Casamonica, Rv. 285908 – 02).
Si è anche, da ultimo, affermato, che la figura del “gruppo mafioso a soggettività differente”, per la particolarità della formazione, per l’inserimento a suo interno, con ruolo organizzativo, di soggetto già condannato, in via definitiva, per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. e per il carattere intimidatori confronti della collettività derivante da tale presenza, integra una fattispecie associativa intermedia tra mafie nuove e mafie storiche, necessariamente dotata di capacità di esteriorizzare il potere intimidatorio e di imporre una nuova e diffusa condizione di omertà, mutuante, per gemmazione, i caratteri tipici dell’organizzazione in passato operante sullo stesso territorio. (Sez. 2, n. 24901 del 17/05/2024, De, Rv. 286689 – 02).
1.5 Di tali principi i giudici della cautela hanno fatto corretta applicazione evidenziando che nel caso di specie la cosca NOME nasce da appartenenti alla cosca “storica” e la sua ascesa coincide con il declino di quest’ultima, falcidiata dalle operazioni di polizia ed indebolita dal pentimento del capo NOME COGNOME
Aracri, fattori, questi, che consentono alla nuova articolazione di approfittare del vuoto di potere e subentrare negli affari illeciti, contestati come reati fine n presente procedimento.
Non viene, dunque, in rilievo una neoformazione che si presenta quale struttura autonoma ed originale, ma una nuova articolazione collegata a quella madre, il cui modulo organizzativo presenta i tratti distintivi del predetto sodalizio
Con motivazione immune da censure i giudici hanno analizzato i requisiti della “nuova” cellula, quali l’efficiente organizzazione, la forza di intimidazione l’assoggettamento e l’omertà, ricostruendone le caratteristiche alla luce delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME che aveva fatto parte proprio della cosca COGNOME, riscontrate da quelle degli altri collaboratori, COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME e dal contenuto delle conversazioni captate e alla luce, altresì, del materiale indiziario acquisito, che danno conto dell’unità strutturale ed organizzativa e dello schema direttivo della nuova cosca COGNOME.
1.6 Anche con riferimento alla partecipazione del ricorrente alla cosca NOME, il provvedimento impugnato (da pag. 14), con motivazione congrua e priva di vizi di illogicità o di diritto, individua gli elementi indiziari specifici, emergenti dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME e dal contenuto delle conversazioni, da cui risulta che NOME COGNOME oltre ad essere attivo negli affari del gruppo, prendeva anche il posto dei fratelli NOME e NOME, durante le rispettive carcerazioni.
Il ricorrente risultava infatti impegnato in plurime attività estorsive per cont del clan; informava costantemente il padre delle principali questioni riguardanti il comportamento dei rivali, le condotte degli altri sodali e riceveva indicazioni sulle attività da porre in essere al fine di preservare l’egemonia della famiglia, mantenendo i rapporti coi sodali e con le famiglie limitrofe (NOME e COGNOME), in contrapposizione con la famiglia COGNOME; curava gli affari durante la detenzione dei fratelli; apportava un fattivo contributo causale al perseguimento degli scopi dell’associazione.
Anche su questi specifici aspetti, la difesa non si confronta, censurando il provvedimento impugnato negli elementi di fatto indicati e nella ricostruzione che ne dà il giudice della cautela, chiedendo a questa Corte una rivalutazione diversa del fatto, non suffragata da alcun elemento che sia idoneo a neutralizzare il grave quadro indiziario.
2 n secondo motivo di doglianza risulta manifestamente infondato, con conseguente inammissibilità del motivo di censura.
2.1 Valgono per esso le stesse considerazioni fatte con riferimento al primo motivo di doglianza: diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, i giudici della cautela hanno ampiamente motivato su quanto lamentato nei motivi aggiunti ——
prodotti innanzi al Tribunale in sede di riesame, relativi, nello specifico, all aggravanti nei reati di fine di cui ai capi 2, 4 e 5 dell’imputazione provvisoria.
2.2 Va sul punto premesso che in tema di estorsione, l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen., può concorrere con quella prevista dall’art. 628, comma terzo, n. 3), cod. pen., richiamata dall’art. 629, comma secondo, cod. pen., posto che la prima presuppone che la condotta sia stata tenuta con modalità mafiose, pur non essendo necessario che il soggetto agente appartenga a un sodalizio criminale di tal genere, mentre la seconda postula la provenienza della violenza o della minaccia da persona appartenente ad associazione mafiosa, senza che sia necessario il concreto accertamento delle modalità di esercizio di tali violenza e minaccia, né che esse siano state attuate mercé l’utilizzo della forza intimidatrice derivante dall’appartenenza all’associazione mafiosa. (Sez. 2, n. 20320 del 15/05/2024, COGNOME, Rv. 286426 01).
Si è anche sul punto affermato, sempre in tema di estorsione, che nel caso in cui il metodo mafioso si concretizzi in una minaccia “silente”, posta in essere da soggetto appartenente ad un’associazione di tipo mafioso ed evocativa della capacità criminale del sodalizio, l’aggravante di cui all’art. 628, comma terzo, n. 3, cod. pen, richiamata dall’art. 629, comma secondo, cod. pen., può concorrere con quella di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., sotto il profilo dell’utilizzo del met mafioso, posto che la prima è volta a punire la maggiore pericolosità dimostrata, in concreto, dall’associato dedito anche alla consumazione di rapine ed estorsioni, mentre la seconda sanziona la maggiore capacità intimidatoria della condotta, realizzabile anche da chi non è associato. (Sez. 2, n. 21616 del 18/04/2024, Armenio, Rv. 286433 – 01).
2.3 I giudici del riesame hanno fatto corretta applicazione dei suindicati principi, valorizzando, con riferimento al capo 2) dell’imputazione provvisoria – la tentata estorsione aggravata ai danni di NOME COGNOME -le dichiarazioni della persona offesa e il contenuto della minaccia posta in essere, con la pretesa di un posto di lavoro e quindi di un regalo, che danno contezza tanto della forza intimidatrice della minaccia stessa, quanto della struttura organizzativa che c’è dietro quella condotta; con riferimento ai capi 4) e 5) – relativi rispettivamente all’estorsione ai danni di Verdoro del Marchesato e di COGNOME – il contenuto delle intercettazioni telefoniche.
2.4 Con il grave compendio indiziario che connota le estorsioni ascritte al ricorrente la difesa non si confronta, né fornisce una chiave interpretativa diversa delle conversazioni captate, che ne dimostri la manifesta illogicità o la irragionevolezza limitandosi a ribadire l’assenza di carattere intimidatorio delle pretese e la mancanza di una struttura organizzativa, senza tuttavia fornire
spiegazioni alternative di tali comportamenti idonee a porre in dubbio l’impianto accusatorio.
Infondato è infine il terzo motivo di doglianza.
3.1 Premesso che in tema di misure cautelari, pur se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di un’esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condott dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, del codice di rito. (Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, Tavella, Rv. 286202 – 02), va rimarcato che nel caso in esame non viene in rilievo un arco temporale rilevante, trattandosi di reati con condotte tuttora perduranti e, nello specifico, di una associazione criminale egemone sul territorio di competenza.
Correttamente, dunque, i giudici della cautela hanno ritenuto la sussistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza del presidio cautelare apprestato, così applicando i principi espressi da questa Corte secondo cui in tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., l presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibil allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un’attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari. (Sez. 2, n. 38848 del 14/07/2021, Giardino, Rv. 282131-01).
A fronte di tali valutazioni, la difesa, oltre a valorizzare il fattore tempo – c in applicazione di quanto appena detto non assume rilevanza – indica, in modo assolutamente generico, alcuni elementi – dalla sottoposizione per fatti ontologicamente commessi agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, ad una non meglio precisata offerta reale, all’essere padre di figli piccoli – omettendo qualunque argomentazione sulla capacità degli stessi ad incidere sulla adeguatezza delle esigenze cautelari, con conseguente infondatezza anche di questo motivo di doglianza.
4. Per tutte le indicate ragioni il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.
Così deciso il 05/03/2025.