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Associazione mafiosa: la Cassazione sui gravi indizi

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato contro l’ordinanza di custodia cautelare per partecipazione ad un’associazione mafiosa. La difesa contestava la sufficienza degli indizi, basati sulle dichiarazioni di un collaboratore e su intercettazioni. La Corte ha ritenuto gli elementi probatori, inclusa la riscossione di una quota dei profitti illeciti (‘punto’), sufficienti a configurare i gravi indizi di colpevolezza richiesti per la misura. È stata inoltre confermata l’operatività della presunzione di adeguatezza della custodia in carcere per il reato di associazione mafiosa.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione Mafiosa: la Cassazione sui Gravi Indizi e la Custodia Cautelare

Con la sentenza n. 30003/2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un caso di associazione mafiosa, chiarendo i criteri per la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l’applicazione della custodia cautelare in carcere. La decisione offre importanti spunti sulla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, sull’interpretazione delle intercettazioni e sulla persistenza delle esigenze cautelari.

I Fatti del Caso

Il Tribunale riesaminava un’ordinanza e, in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero, applicava la misura della custodia cautelare in carcere a un soggetto indagato per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p. (associazione di tipo mafioso). Secondo l’accusa, l’indagato avrebbe partecipato a una frangia di un noto clan, dirigendo e organizzando il settore del narcotraffico in un determinato territorio per conto del capo clan.

La difesa dell’indagato presentava ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. I motivi del ricorso si concentravano su tre punti principali.

Le Censure Difensive

In primo luogo, la difesa contestava l’attendibilità delle dichiarazioni dell’unico collaboratore di giustizia che indicava l’indagato come partecipe dell’associazione. Si evidenziava che tali dichiarazioni erano de relato (apprese da un terzo) e non erano state confrontate con quelle di altri collaboratori più recenti, che non avevano menzionato l’indagato.

In secondo luogo, si criticava il riferimento a una precedente condanna per lo stesso reato, sostenendo che l’affiliazione passata fosse a un diverso clan, rivale di quello attuale. Infine, si contestava l’interpretazione delle intercettazioni, dalle quali emergeva che l’indagato, pur detenuto, riceveva somme di denaro. Secondo la difesa, tali somme erano da ricondurre a una semplice ripartizione di profitti derivanti da precedenti attività di spaccio, e non a un ruolo attivo nell’associazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sulla associazione mafiosa

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la validità dell’ordinanza cautelare. La motivazione della Corte si articola su diversi punti chiave.

Validità delle Prove e Associazione Mafiosa

La Suprema Corte ha ritenuto corretto il giudizio di attendibilità del collaboratore di giustizia. Le sue dichiarazioni, unite alla precedente condanna e alle risultanze delle intercettazioni, formavano un quadro indiziario solido. La Corte ha sottolineato che le dinamiche interne ai clan, con scissioni e nuove alleanze, rendevano plausibile la persistente collocazione dell’indagato nell’ambito della stessa macro-struttura criminale, seppur sotto una nuova leadership.

Fondamentale è stata l’interpretazione delle conversazioni intercettate. La Corte ha valorizzato il fatto che le somme di denaro venivano corrisposte all’indagato a titolo di “punto”, ovvero come quota parte degli introiti derivanti dal traffico di stupefacenti gestito da altri affiliati sul territorio di sua competenza. Questo, secondo i giudici, non rappresentava una mera divisione di vecchi profitti, ma la remunerazione per il suo ruolo di rappresentante dell’associazione su quel territorio, un ruolo che persisteva nonostante lo stato di detenzione.

La Presunzione di Pericolosità Sociale

Infine, la Corte ha affrontato la questione delle esigenze cautelari. Per il reato di associazione mafiosa, l’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale prevede una doppia presunzione: la sussistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza della sola custodia in carcere. Il giudice non deve dimostrare la pericolosità, ma solo valutare eventuali segnali di rescissione del legame con il sodalizio criminale, segnali che nel caso di specie erano del tutto assenti.

La Corte ha anche chiarito che, per le associazioni mafiose storiche e stabili, il semplice decorso del tempo dai fatti contestati non è sufficiente a far venir meno la presunzione di pericolosità, essendo necessaria una dimostrazione concreta del recesso dell’indagato dalla consorteria.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce la solidità dei principi giurisprudenziali in materia di misure cautelari per i reati di criminalità organizzata. La valutazione dei gravi indizi di colpevolezza deve essere complessiva, tenendo conto di tutti gli elementi a disposizione (dichiarazioni, intercettazioni, precedenti penali) e delle complesse dinamiche evolutive dei clan. Viene inoltre confermata la forza della presunzione cautelare prevista per il reato di associazione mafiosa, che può essere superata solo da prove concrete di dissociazione, non dal mero trascorrere del tempo.

Quando le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia sono sufficienti per una misura cautelare per associazione mafiosa?
Secondo la Corte, le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, anche se non esclusive, possono fondare un giudizio di gravità indiziaria se trovano riscontro in altri elementi probatori, come precedenti condanne specifiche e, soprattutto, risultanze di intercettazioni che confermano il ruolo e la persistenza del vincolo associativo del soggetto.

Come viene interpretata la ricezione di denaro da parte di un detenuto ai fini del reato associativo?
La ricezione di somme di denaro, definite nelle conversazioni come “punto”, non viene considerata una semplice ripartizione di profitti pregressi, ma la prova del mantenimento di un ruolo di supremazia territoriale all’interno del clan. Tale dazione dimostra che l’associazione riconosce e remunera il ruolo dell’affiliato anche durante la sua detenzione, a conferma della permanenza del vincolo.

Il tempo trascorso dai fatti può far venir meno le esigenze cautelari per il reato di associazione mafiosa?
No. La Corte ha specificato che per le associazioni mafiose ‘storiche’, caratterizzate da stabilità, il mero decorso del tempo non è sufficiente a superare la presunzione di pericolosità sociale. È necessaria la dimostrazione di un concreto e definitivo recesso dell’indagato dal sodalizio criminale, in assenza della quale la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere rimane pienamente operativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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