Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30003 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30003 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nato a SAN PIETRO VERNOTICO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/01/2024 del TRIBUNALE di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto PG NOME COGNOME, il quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
AVV_NOTAIO COGNOME NOME in difesa di NOME insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME ricorre per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, avverso l’ordinanza del 22/01/2024 (dep. 12/03/2024) del Tribunale di Lecce con cui, in accoglimento dell’appello del Pubblico ministero, è stata al ricorrente applicata la misura della custodia cautelare in carcere in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.
1.1. Con il primo motivo,la difesa deduce il vizio di motivazione con riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza volti ad asseverare la perdurante partecipazione del ricorrente all’associazione mafiosa denominata RAGIONE_SOCIALE (frangia brindisina, San NOME Vernoti(o, facente capo a COGNOME NOME, per conto del quale l’indagato avrebbe diretto ed organizzato il settore del narcotraffico insistente in quel territorio).
In particolare, si censura:
l’assenza di un vaglio di attendibilità del dichiarato del collaboratore COGNOME NOME, il quale era l’unico ad avere indicato il ricorrente quale partecipe dell’associazione mafiosa e riferimento di COGNOME NOME su San NOME COGNOME; peraltro, si trattava di circostanza appresa da un terzo, ossia COGNOME NOME; il collaborante neppure citava il comune di San NOME COGNOME tra quelli su cui il NOME eserciterebbe la funzione di capo indiscusso; né indica alcun particolare con riferimento alla conoscenza diretta dell’indagato, pur riconosciuto in sede di individuazione fotografica;
l’assenza di qualunque vaglio comparativo tra il propalato del COGNOME con quello scaturente da altri più recenti ed autorevoli collaboratori (NOME COGNOME ed NOME COGNOME), i quali t pur riferendo su circostanze inerenti al territorio di riferimento, nulla avevano dichiarato nei confronti del ricorrente;
errato era il riferimento alla valenza indiziaria della precedente condanna per associazione mafiosa che il ricorrente aveva riportato dal Tribunale di Brindisi n. 908 del 6/12/2011 (confermata da Corte di appello di Lecce n. 672 del 25/03/2014), in quanto, lungi dall’aver fatto parte della frangia RAGIONE_SOCIALE capeggiata da NOME COGNOME a cui competeva il controllo del territorio di San NOME Vernotito e paesi limitrofi dal marzo 2008 ad aprile 2009, era stato invece condannato quale affiliato a NOME NOME prima e, successivamente, al fratello NOME NOME, fino all’aprile del 2009 e con permanenza, cessata con la sentenza di primo grado al 6/12/2011. Al riguardo, si precisa, altresì, che,in quel procedimento, i vari collaboratori riferivano dell’affiliazione del ricorrente al fratello NOME, q intraneo al clan RAGIONE_SOCIALE, responsabile dell’estromissione proprio di NOME NOME dalla compagine associativa, il cui nominativo non compariva
neppure incidentalmente negli atti del processo; a conferma della cessazione della permanenza deponeva anche il dichiarato del collaboratore COGNOME NOME, il quale, nell’interrogatorio del 7/04/2014, aveva riferito del ricorrente come soggetto non affiliato ma che sapeva essere vicino al fratello NOME.
Analoghe doglianze in punto di vizio di motivazione vengono svolte con riguardo alla lettura e all’interpretazione del contenuto delle intercettazioni.
In particolare, si era dato per scontato che la destinazione delle somme (quale quota parte), che pur si ricava dal contenuto delle intercettazioni, fosse dovuta al ruolo svolto dal ricorrente all’interno dell’associazione mafiosa, quando, invece, anche in ragione degli elementi di contesto declinati dalla difesa, dovevano piuttosto ricondursi ad una destinazione di parte degli utili frutto dello spaccio di sostanze stupefacenti all’indagato o, tutt’al più, ad un suo astratto coinvolgimento, in concorso, nelle stesse attività.
Peraltro, l’affermazione del Tribunale che, nel disattendere la censura difensiva, aveva escluso che tali somme potessero essere confuse come una ripartizione di profitti comuni derivanti dal traffico di droga, risult contraddittoria con gli esiti, noti al Tribunale, relativi al fatto che il ricorrent stato attinto da o.c.c. del Gip del Tribunale di Brindisi il 26/04/2022 per concorso in attività di spaccio di sostanze stupefacenti dal 9/09/2020 al 12/10/2020, vicenda per la quale aveva anche riportato condanna in primo grado.
Inconferenti, infine, erano le ulteriori intercettazioni tra COGNOME NOME (che viene indicato quale soggetto delegato ad agire in sua vece in costanza di detenzione) e la madre del ricorrente e con il fratello, in quanto non attinenti all’oggetto del procedimento.
1.2. Con il secondo motivo, si deduce l’inosservanza e la violazione dell’art. 273 cod. proc. pen. con riferimento ai gravi indizi di colpevolezza.
La censura attiene all’assenza di quel necessario livello di consistenza probatoria – inteso, pur nella sua natura e valenza indiziaria, quale qualificata probabilità di condanna -necessario per il legittimo esercizio del potere cautelare. I vizi e le carenze motivazionali evidenziate nel motivo precedente rendevano il supporto indiziario evocato dall’ordinanza impugnata privo dei connotati di necessaria gravità tale da consentire l’applicazione della misura cautelare gravata.
1.3. Con il terzo motivo,si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 274 e 275, comma 3, cod. proc. pen.; insussistenza delle esigenze cautela ri .
Si era svalutato il dato costituito dall’assenza di qualsiasi contatto tra l’indagato e colui che è indicato essere il capo del sodalizio territoriale d riferimento e di elementi dimostrativi dell’esercizio da parte di quest’ultimo del
potere COGNOME mafioso ivi COGNOME insistente; COGNOME tutt’al COGNOME più emergevano condotte di compartecipazione ad attività di spaccio di lieve entità (rectius compartecipazione agli utili, modesti e detratti i debiti), svincolate da ogni logica di tipo associati mafioso (quali l’imposizione dei canali di rifornimento, l’imposizione di regole, la risoluzione di controversie, ecc.).
Inoltre, il tempo trascorso dai fatti oggetto di contestazione – risalenti ad almeno tre anni or sono – integrava un sufficiente lasso temporale idoneo ad incidere sulle valutazioni in ordine alla presunzione di pericolosità sociale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato.
1.1. La questione posta dalla difesa investe anzitutto il giudizio di attendibilità del collaboratore di giustizia NOME, il quale addita l’indagato di una condotta di persistente partecipazione nell’ambito del sodalizio di stampo mafioso della RAGIONE_SOCIALE di cui è risultato giudizialmente avere fatto parte (con sentenza della Corte di appello di Lecce irrev. il 1/10/2014), in quel di San NOME COGNOME e paesi limitrofi, capeggiato da NOME COGNOME di cui il ricorrente sarebbe uno dei referenti.
Il rilievo difensivo, secondo cui tale precedente affiliazione non va riferita al gruppo capeggiato dal COGNOME, bensì al fratello NOME, peraltro ritenuto intraneo al c.d. clan dei “RAGIONE_SOCIALE“, responsabile proprio dell’estromissione del NOME, è priva di allegazione. Peraltro, è lo stesso collaboratore a riferire dell vicende che hanno riguardato le scissioni nell’ambito del gruppo RAGIONE_SOCIALE, l’estromissione del NOME e le circostanze che hanno condotto a nuove alleanze in virtù delle quali NOME è venuto a svolgere il ruolo di capo indiscusso sul territorio di Mesagne e paesi limitrofi. Lo stesso capo di imputazione richiama i legami del ricorrente col fratello NOME, già affiliato al clan “RAGIONE_SOCIALE” e l’ordinanza impugnata cita anche dei passaggi della sentenza della Corte di appello di Lecce che, richiamando le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, dà conto della partecipazione con ruolo sovraordinato dell’imputato alla RAGIONE_SOCIALE operante sul territorio di San NOME COGNOME.
La persistente collocazione del ricorrente nell’ambito di quella frangia brindisina della RAGIONE_SOCIALE che esercita il suo predominio anche sul territorio indicato e, in particolare, nel settore degli stupefacenti, non si pone, quindi, in antitesi con quanto giudizialmente accertato, alla luce anche della nota evoluzione delle dinamiche che hanno interessato le rispettive consorterie, essendo la RAGIONE_SOCIALE. caratterizzata da una struttura federata nella quale operano diversi clan che, nel tempo, hanno avuto tra loro rapporti conflittuali, ma anche solidali.
Tanto premesso, a corredo della permanenza del vincolo associativo e a riscontro del propalato del collaboratore, l’ordinanza impugnata ha fatto riferimento, come già evidenziato, alla precedente condanna riportata dall’indagato con la sentenza resa dalla Corte di appello di Lecce e alle conversazioni in atti oggetto di captazione, dimostrative del ruolo assunto dal ricorrente, avente diritto sia alla percezione di somme di denaro a titolo di “punto” (quota parte degli introiti derivanti dal traffico di stupefacenti operato da COGNOME NOME, NOME, NOME e COGNOME NOME), quale rappresentante dell’associazione RAGIONE_SOCIALE sul territorio di San NOME COGNOME. Sempre dalle intercettazioni si è ricavato come le somme fossero materialmente raccolte da COGNOME NOME, indicato come delegato all’uopo dal ricorrente nel corso del periodo di detenzione di quest’ultimo presso la casa di lavoro di Vasto. A conferma che la percezione del denaro fosse dovuta al ruolo di supremazia territoriale riconosciuto all’indagato quale partecipe della cosca investigata e del legame intercorrente con COGNOME, sono state richiamate altre conversazione in cui la madre del ricorrente rimprovera il primo per non essersi fatto sentire, portando i saluti del figlio detenuto e ricevendo assicurazioni che sarebbe stata aggiornata sull’andamento delle attività (v. pagg. 68 dell’ordinanza impugnata).
Se questo è, dunque, il contesto di fatto descritto dai giudici di merito – che non si pone in termini affatto distonici rispetto alle fonti di prova indicate sostegno – il rilievo difensivo, secondo cui le intercettazioni sembrano per lo più fare riferimento ad una destinazione di parte degli utili frutto dello spaccio di sostanze stupefacenti all’indirizzo dell’indagato o, tutt’al più, ad un suo astratto coinvolgimento in concorso nelle stesse attività, risulta smentito dal richiamo operato dal Tribunale alla particolare natura dei versamenti, da effettuarsi anche sotto forma di “punto” e alla circostanza dell’assenza di un diretto coinvolgimento dell’indagato, in forza del suo stato detentivo, nei traffici di droga da cui deriv l’esazione.
Peraltro, l’ulteriore rilievo difensivo, secondo cui le somme di denaro destinate al ricorrente potrebbero ricondursi alla suddivisione di proventi rimasti in sospeso per un pregresso coinvolgimento del ricorrente nell’ambito di ripetuti traffici di droga che hanno visto coinvolti i soggetti parte dei dialoghi, per come si ricaverebbe dalla sentenza del Gup del Tribunale di Brindisi del 24/01/2023 allegata in stralcio al ricorso che quelle violazioni ha accertato, non solo è questione nuova, in quanto non risulta essere stata introdotta in sede di riesame (v. memoria difensiva depositata all’udienza del 9/01/2024), ma risulta generica e volta a prefigurare una alternativa lettura delle fonti di prova.
Lo stralcio della sentenza allegata (capi di imputazione e dispositivo) non risolve affatto il tema della natura della causale sottesa al ‘punto”, in quanto l’esistenza di traffici di droga che vedono coinvolti l’indagato e gli stessi soggett che coadiuvavano il COGNOME nel settore degli stupefacenti, curandone la distribuzione e, tramite terzi, la immissione finale sul mercato, è asseverata anche dall’ordinanza impugnata quale presupposto delle dazioni comunque dovute al ricorrente in funzione della sua appartenenza alla RAGIONE_SOCIALEU. e soggetto deputato, in tale veste, a conseguire la ripartizione dei profitti delle attività illecite in territorio svolte. Del resto, il fatto che le conversazioni oggetto del presente giudizio in cui si parla del punto siano successive alla data di consumazione dei traffici per cui è intervenuta condanna del ricorrente da parte del GUP del Tribunale di Brindisi (fatti commessi in San NOME COGNOME e zone limitrofe dal 12/09/2020 al 9/10/2020) confina necessariamente in un alveo di merito la censura difensiva, volta, per l’appunto, ad introdurre in sede di legittimità, non consentiti profili valutazione propri del giudice della cautela.
Quanto, poi, all’assenza di rilievo che, a detta della difesa, assumerebbero le dichiarazioni degli altri collaboratori pure citati nell’ordinanza impugnata, si tratta in realtà, di affermazioni a cui è stato attribuito valenza di riscontro, anche di contesto, in ragione dei rapporti e collegamenti accertati tra i diversi soggetti, per quanto anche poi appreso dal COGNOME, quale fonte principale dichiarativa di accusa.
Infine, inammissibili sono le doglianze con cui si censura l’operato del Tribunale per non avere messo a confronto le risultanze scaturenti dalle propalazioni del COGNOME con quelle dei più recenti – e ritenuti dalla difesa più autorevoli – collaboratori di giustizia (il riferimento è a NOME COGNOME e NOME COGNOME), posto che dalla memoria depositata in sede di riesame non risulta essere stato dedotto il relativo tema al Tribunale, né tali propalazioni sono riportate dall’ordinanza impugnata di talché la Corte di legittimità possa apprezzarne – nei limiti del sindacato conferito al giudice di legittimità e senza operare una non consentito accesso alle fonti di prova (che la difesa allega al ricorso) – la dedotta interferenza sulla tenuta e credibilità dell’accusa mossa dal COGNOME.
Le considerazioni sopra svolte escludono altrettanto rilievo al secondo motivo di ricorso con cui si è censurata la corretta applicazione della disposizione dell’art. 273 cod. proc. pen., che governa la gravità indiziaria.
L’ordinanza impugnata risulta, infatti, avere indicato puntuali elementi idonei, in questa sede, a fondare la persuasività probatoria della chiamata in correità e la razionalità della decisione cautelare, così sottraendosi ai vizi di legittimit denunciati. La chiamata in correità, infatti, risulta riscontrata da molteplici da
probatori, sia rappresentativi che logici, aventi anche valenza individualizzante, riguardando non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilità dello stesso all’indagato, e non essendo richiesto che i riscontri abbiano Io spessore di una prova “autosufficiente” perché, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità (Sez. 2, n. 35923 del 11/07/2019, Campo, Rv. 276744 – 01).
Anche il terzo motivo dedotto in ordine alle esigenze cautelari non risulta fondato.
Il Tribunale ha ricordato la doppia presunzione prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e l’assenza di segnali di dissociazione che neanche il ricorso mette in luce. In tema di applicazione di misure cautelari personali, anche a seguito della legge 16 aprile 2015, n. 47, l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. continua a prevedere una doppia presunzione, relativa quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari ed assoluta con riguardo all’adeguatezza della misura carceraria; ne consegue che, in presenza di gravi indizi di colpevolezza del delitto di partecipazione ad un’associazione mafiosa ancora operat va (contestazione aperta), il giudice non ha l’obbligo di dimostrare in positivo la ricorrenza dei “pericula libertatis” ma deve soltanto apprezzare gli eventuali segnali di rescissione del legame del soggetto con il sodalizio criminale tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto della presunzione, in mancanza dei quali va applicata in via obbligatoria la misura della custodia in carcere (Sez. 5, n. 51742 del 13/06/2018, Pergola, Rv. 275255; Sez. 2, n. 19283 del 03/02/2017, Cocciolo, Rv. 270062; Sez. 2, n. 19922 del 29/04/2022, La Mattina, non rnass.).
A tal riguardo, l’ordinanza impugnata è priva di censure anche in relazione alla valutazione del decorso del tempo dalla esecuzione della misura senza segnali di dissociazione. In tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato previsto dall’art. 416-bis cod. pen., ai fini del superamento della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., occorre distinguere tra associazioni mafiose storiche o comunque caratterizzate da particolare stabilità, quale quella in esame, in ordine alle quali è necessaria la dimostrazione del recesso dell’indagato dalla consorteria, non rilevando, ai fini dell’attualità delle esigenze cautelari, la distanza temporale tra l’applicazione della misura ed i fatti contestati, ed associazioni mafiose non riconducibili alla categorie delle mafie “storiche”, per le quali può rilevare a tali fi anche il decorso del tempo (Sez. 5, n. 36389 del 15/07/2019, COGNOME, Rv. 276905; Sez. 2, n. 26904 del 21/04/2017, COGNOME, Rv. 270626). Tanto assorbe ogni altra considerazione difensiva.
In conclusione, il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso, il 19 luglio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente