Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 309 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 309 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME NOMECOGNOME nato a Biancavilla (ME) il 24/05/1991
avverso l’ordinanza del 01/03/2024 del Tribunale di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; uditi i difensori dell’indagato, avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del riesame di Messina ha respinto il ricorso di NOME COGNOME COGNOME confermandone la custodia cautelare in carcere in relazione al delitto di partecipazione all’associazione mafiosa dei “batanesi”, operante in quella provincia.
Egli avrebbe avuto il ruolo di stretto collaboratore del capo indiscusso del sodalizio, ovvero NOME COGNOME, detto “COGNOME“, con particolare riferimento alla gestione occulta di un canale irriguo, attraverso l’imposizione ai relativi utenti di prestazioni economiche superiori a quelle dovute, così finanziando la cosca.
Tanto si ricava – secondo il Tribunale – dalle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, NOME COGNOME e NOME COGNOME, e dalle intercettazioni delle conversazioni degli indagati, dalle quali emergono due episodi ritenuti significativi dello stretto legame tra il ricorrente e NOME COGNOME. Uno è quello in cui quest’ultimo, rifugiatosi a Catania dopo essere rocambolescamente sfuggito all’arresto in occasione di un fallito acquisto di due chilogrammi di stupefacente, ha chiamato telefonicamente NOME COGNOME per farsi venire a prendere. L’altro consiste nell’ordine perentoriamente impartito dal COGNOME al NOME affinché questi non desse corso al proprio manifestato intento di impedire l’accesso alla condotta irrigua a tale NOME COGNOME a suo dire allacciatosi abusivamente a quella: nei loro dialoghi, riportarti per esteso nell’ordinanza, il “capo” reiteratamente intima all’odierno ricorrente di non assumere iniziative, ribadendogli che spetta a lui ogni decisione ed ammonendolo che, altrimenti, «domani mattina ti licenzi (…) e te ne vai a lavorare».
Il ricorso contesta il giudizio di gravità indiziaria espresso dal Tribunale, ritenendo che lo stesso sia stato formulato in violazione della legge penale e processuale e con una motivazione illogica.
Anzitutto si rappresenta che a prelevare COGNOME da Catania in occasione del mancato arresto non sia stato il ricorrente ma un’altra persona.
Quanto, poi, alla vicenda del controverso allacciamento del COGNOME alla condotta, dalle conversazioni valorizzate nell’ordinanza non emergerebbero né la consapevolezza del NOME COGNOME di una gestione parallela ed illecita del canale da parte del clan del COGNOME, né il riconoscimento a quest’ultimo di alcuna autorità, essendosi il ricorrente determinato ad informarlo soltanto per evitare un contenzioso giudiziario e non avendo provveduto immediatamente al distacco soltanto per il timore di ritorsioni personali; del resto, l’interruzione del fornitura sarebbe stata da lui effettuata dopo qualche giorno e, nonostante la minaccia del COGNOME, l’indagato non sarebbe stato rimosso dal suo incarico.
Dal loro dialogo, dunque, non emergono la condivisione di un comune programma criminoso, né una qualsivoglia condotta agevolatrice del ricorrente in favore della cosca, essendosi egli curato, piuttosto, di tutelare gli interessi dei consorziati.
Nessuna compartecipazione nell’eventuale gestione illegale della struttura potrebbe perciò essergli addebitata. In proposito, si rileva che: nessuno dei collaboranti ha riferito di somme illecitamente da lui richieste o percepite, e così, pure, nessuno degli utenti consorziati; che l’asserita vendita “in nero” dell’acqua non è dimostrata; che la distribuzione degli avanzi economici di gestione è sempre stata discussa e deliberata in assemblea; che risulta comprovato per documenti come i lavori straordinari, per i quali era stato richiesto un contributo una tantum agli associati, siano stati realmente svolti; e che i pagamenti effettuati dai soci erano tutti contabilizzati, anche quelli avvenuti per contanti.
Infine, nella vicenda dei furti di bestiame subiti da NOME COGNOME COGNOME (persona non legata da parentela con il ricorrente, che si era rifiutata di versare il maggior prezzo richiesto per l’accesso al canale dai “batanesi”), riferita dai collaboranti a riprova della gestione illecita di quella struttura, mancherebbe qualsiasi dimostrazione della strumentalità di essa al finanziamento del clan, ma comunque del coinvolgimento del ricorrente nella stessa.
Il ricorso non è fondato e, perciò, dev’essere respinto, non ravvisandosi alcuna violazione di legge da parte dell’ordinanza, né incongruenze o salti logici nella sua motivazione.
È sufficiente osservare, in proposito:
che le dichiarazioni dei collaboranti sono concordi nell’indicare il ricorrente come stretto collaboratore del COGNOME Scavo, in particolare nella gestione di quel canale irriguo, di fatto operata dalla consorteria da costui capeggiata, e nen solo non trovano frontale smentita, ma anzi sono confortate da ulteriori emergenze congruenti;
che la telefonata in cui COGNOME e COGNOME discutono del contegno da assumere nei confronti dell’utente abusivo COGNOME COGNOME si presenta inequivoca nei contenuti e nei toni ed attesta che a decidere è il capo-cosca, benché privo di qualsiasi carica formale nel consorzio, mentre il ricorrente, quantunque controvoglia, deve soltanto eseguirne gli ordini;
che la considerazione compiuta dal Tribunale, per cui la gestione di tale canale, in quelle zone economicamente depresse e dedite ad agricoltura e pastorizia, costituisca un formidabile strumento di introiti economici e di controllo del territorio, risulta tutt’altro che manifestamente illogica;
che altrettanto dicasi per la valutazione di non decisività, ai fini di un diverso giudizio, della regolarità formale della contabilità o dell’assenza di accuse da parte dei consorziati, per il logico timore, da parte di questi ultimi, di possibi
ritorsioni, che, considerando la rilevanza primaria dell’accesso alle risorse idriche, sarebbero esiziali per le loro aziende;
che, infine, anche a voler ritenere – come afferma la sua difesa – che non sia stato il ricorrente ad andare a prendere a Catania il capo sfuggito all’arresto, il dato qualificante consiste piuttosto nel fatto che quest’ultimo a lui abbia telefonato per chiedere ausilio in quel frangente critico, così offrendo una dimostrazione eloquente del carattere fiduciario del rapporto intercorrente tra loro (sul punto, va precisato che la difesa contesta il dato, sostenendo che COGNOME abbia in realtà contattato una persona diversa dal ricorrente: l’affermazione, tuttavia, è sprovvista di specifico sostegno probatorio e, comunque, non è confortata da elementi tali da rendere manifesto un travisamento da parte del Tribunale, non potendo perciò tale risultato probatorio essere sindacato in questa sede).
Al rigetto del ricorso segue obbligatoriamente per legge la condanna al pagamento delle spese di giudizio (art. 616, cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2024.