Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7501 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7501 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 16/01/2025
R.G.N. 38219/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME COGNOME nato a PALERMO il 05/05/1962 avverso l’ordinanza del 10/04/2024 del TRIBUNALE del RIESAME di Milano udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigeto del ricorso uditi i difensori, che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 10 aprile 2024 il Tribunale del riesame di Milano, accogliendo l’appello proposto dal pubblico ministero contro l’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano in data 26 settembre 2023, ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere a carico di NOME COGNOME indagato, insieme a molti altri soggetti, per il reato di cui all’art. 416bis , commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6 cod. pen., commesso dal 2019 e con permanenza attuale, per avere egli fatto parte, quale esponente della famiglia mafiosa COGNOME, di un’associazione mafiosa operante nei territori di Milano e Varese e delle rispettive province, costituita da soggetti appartenenti alle tre diverse organizzazioni di stampo mafioso denominate ‘Cosa nostra’, ”ndrangheta’ e ‘camorra’, che avrebbero contribuito alla creazione di un ‘sistema mafioso lombardo’ avente lo scopo di commettere gravi delitti, inteso come costituzione di una nuova associazione composta dai singoli membri uniti in un rapporto non verticistico ma orizzontale e collaborativo, autonoma rispetto alle mafie storiche ma ad esse collegata.
Il G.i.p. aveva escluso la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza circa la sussistenza di tale delitto, e in ordine al COGNOME aveva sottolineato la modesta gravità dei suoi precedenti penali, la mancanza di intercettazioni tra lui ed esponenti mafiosi di elevata caratura, la scarsa rilevanza delle conversazioni di terzi relative alla sua persona, e infine la mancanza di prova dell’esistenza di un
sodalizio di tipo confederativo quale quello ipotizzato dalla pubblica accusa.
Il Tribunale del riesame, ribaltando la decisione del G.i.p., ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza circa la sussistenza del delitto associativo e la partecipazione ad esso del predetto indagato, in primo luogo criticando l’esame parcellizzato degli indizi da parte del G.i.p. Ha, quindi, ritenuto che costituissero indizi rilevanti della sussistenza del delitto gli accertati collegamenti di singoli indagati con le mafie storiche, essendo irrilevante la eventuale risalenza nel tempo degli accertamenti giudiziari di tali collegamenti stanti i pronunciamenti della giurisprudenza di legittimità in merito al cosiddetto ‘tempo silente’, e le conversazioni intercettate, dalle quali emergerebbe l’esistenza di una struttura associativa stabile, dotata di adeguati mezzi per la realizzazione dei propri scopi criminosi, ed autonoma rispetto alle compagini di riferimento dei singoli appartenenti ad essa, autonomia particolarmente evidente nell’attività legata allo sviluppo di società da utilizzare per varie operazioni illecite.
1.1. L’ordinanza ha, quindi, ricostruito sommariamente la centralità di alcuni indagati nell’ambito di tale associazione e la struttura del sodalizio, al fine di ribadire la natura di quest’ultimo di associazione unitaria, distinta dalle singole compagini storiche, e finalizzata alla realizzazione di un programma comune e al soddisfacimento di interessi almeno in parte condivisi, come evidenziato, in particolare, dalla costituzione e dalla gestione, sin dal 2018, di società con cui svolgere affari in commistione tra i vari partecipi, operazioni compiute con modalità sempre analoghe, applicando quindi regole e logiche condivise, e dirette alla continua ricerca di nuove opportunità di profitto, nei settori piø disparati (principalmente l’edilizia, accedendo agli incentivi statali), profitto da conseguire anche con metodi illeciti, e a cui potessero accedere tutti i vari partecipi. Tra le operazioni significative in merito all’esistenza dell’indicato sodalizio stabile l’ordinanza cita la costituzione, nel 2021, della RAGIONE_SOCIALE da parte di soggetti appartenenti alle diverse associazioni di riferimento, la collaborazione di alcuni indagati in operazioni finanziarie illecite gestite da gruppi operativi diversi, alcune vicende estorsive, la gestione condivisa di un’arma da sparo.
E’ stato dato rilievo agli incontri tra vari sodali, sottolineando che, diversamente da quanto affermato dal G.i.p., per molti di tali incontri Ł stato accertato il contenuto, dimostrativo del loro essere finalizzati all’organizzazione delle attività del sodalizio, sia quelle apparentemente lecite ma poi svolte con metodi illeciti, sia quelle sin dall’inizio di natura criminosa, come il traffico di stupefacenti, oppure, in alcuni casi, finalizzati a dirimere le controversie interne. Infine Ł stato dato rilievo alla provata esistenza di una cassa comune, destinata principalmente al sostentamento dei sodali detenuti e delle loro famiglie, ma anche ad investimenti comuni in attività criminose, come l’acquisto di stupefacenti o l’acquisizione di attività commerciali con metodi estorsivi.
Il Tribunale, diversamente dal G.i.p., ha ritenuto sussistenti anche gravi indizi circa la presenza dell’ affectio societatis , che nelle associazioni mafiose Ł connotata dalla funzionalità delle condotte dei singoli al perseguimento di almeno uno dei suoi scopi comuni, insieme all’interesse perseguito dal singolo partecipe, e non Ł quindi esclusa dalla presenza di controversie economiche tra i sodali, ritenute invece rilevanti, in senso negativo, dal G.i.p. Secondo il Tribunale, le intercettazioni dimostrano che tra i partecipi vi Ł la consapevolezza di avere costituito un’associazione funzionale a perseguire interessi comuni e a realizzare profitti a vantaggio di tutti loro, destinata perciò a durare nel tempo.
Tale associazione Ł caratterizzata, come tutte le associazioni di tipo mafioso, dall’uso del metodo mafioso e dalla esternazione della sua forza intimidatrice, che il Tribunale, diversamente dal G.i.p., ha ritenuto dimostrata dall’uso di minacce e violenze in molte delle operazioni compiute dall’associazione; peraltro ha ritenuto che tale associazione non avesse bisogno di gesti eclatanti, essendo composta da soggetti già noti come esponenti di criminalità organizzata e facenti ancora capo ai rispettivi sodalizi di origine, i quali perciò sfruttavano, per intimidire, anche la fama delle
rispettive consorterie storiche.
1.2. Infine, in ordine alla posizione del COGNOME, il Tribunale del riesame ha ritenuto che sussistano gravi indizi della sua partecipazione all’associazione, essendo egli consapevole dei suoi scopi criminali e delle modalità mafiose utilizzate per realizzarli, e partecipando egli attivamente a numerose operazioni così condotte, come risulta dalle intercettazioni: in particolare egli ha gestito un progetto per ottenere le agevolazioni fiscali sulle ristrutturazioni edilizie, iniziato riciclando denaro di provenienza illecita e da portare avanti mediante ulteriori attività criminose (false fatturazioni, intestazioni fittizie di società, riciclaggio di denaro), stante anche il suo rapporto familiare con NOME COGNOME, non ritenuto provato dal G.i.p. ed emergente, invece, da varie intercettazioni. Il suo ruolo non secondario all’interno dell’associazione sarebbe dimostrato anche dal fatto di avere partecipato a numerosi incontri aventi ad oggetto l’organizzazione di ulteriori attività criminose.
Secondo il Tribunale, il fatto che specifiche attività, come il trasferimento fraudolento di valori, fossero contestate al Mannino con autonome imputazioni, ai capi 69, 70, 71 e 72, di cui il G.i.p. ha escluso la sussistenza con una decisione non impugnata dal pubblico ministero, non ne preclude l’esame, in modo incidentale, al fine di valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato di cui all’art. 416bis cod. pen.
Il Tribunale ha, perciò, ritenuto applicabile la misura cautelare, non in virtø della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari stabilita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ma per il concreto pericolo di reiterazione dei reati e di fuga, dedotto dalla rilevanza della sua attività e dal grado di intraneità dell’indagato, e da alcune conversazioni da cui risulta il suo interessamento per trasferirsi all’estero, e precisamente in Mauritania in quanto Paese privo di estradizione.
La custodia cautelare in carcere Ł stata disposta, invece, in applicazione della presunzione assoluta stabilita per il reato ritenuto sussistente.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo, con il quale deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione.
L’accusa provvisoria individua a carico del ricorrente il ruolo di gestione delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, destinate ad ottenere le agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie e l’efficientamento energetico, società la cui intestazione fittizia Ł stata ritenuta un fatto non grave dal G.i.p., perchØ finalizzato solo a far apparire sussistenti i requisiti necessari per ottenere tali agevolazioni, e la cui attività Ł stata ritenuta lecita dal medesimo giudice. Queste condotte erano contestate come reato ai capi 69 e 70, ma il G.i.p. ne ha escluso la rilevanza penale senza che il pubblico ministero impugnasse tale parte della sua decisione. Esse, quindi, non possono essere valutate come condotte illecite, al fine di ritenere sussistente il reato di cui all’art. 416bis cod. pen., trattandosi di attività che, nell’ambito cautelare, sono ormai ritenute lecite.
Il Tribunale del riesame, inoltre, non ha fornito una motivazione rafforzata, necessaria anche nel giudizio cautelare, in quanto si Ł limitato ad esprimere una lettura degli atti alternativa a quella del G.i.p., senza giustificarla con argomentazioni piø persuasive, in particolare con riferimento proprio alla ritenuta illiceità delle società amministrate dal COGNOME o dai suoi figli, sia quanto alla loro costituzione, sia quanto al loro impiego per riciclare denaro di provenienza delittuosa. Analogamente, la parentela del ricorrente con COGNOME o con COGNOME Ł asserita dal Tribunale sulla base degli stessi elementi esaminati dal G.i.p. e ritenuti evanescenti.
L’ordinanza impugnata non si confronta, poi, con la valutazione del G.i.p. secondo cui non sono emersi gli elementi necessari per configurare l’eventuale associazione come ‘di tipo mafioso’, mancando anzi la prova della esteriorizzazione della forza intimidatrice e dell’uso di metodi mafiosi, quanto meno con riferimento ai reati-fine contestati al COGNOME e al gruppo appartenente alla mafia
palermitana, che consistono esclusivamente in operazioni di intestazione fittizia di beni e società, e non nei reati piø tipicamente appannaggio delle consorterie mafiose.
Il percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata Ł privo del necessario carattere individualizzante circa la posizione del Mannino, in quanto non possono ricadere su di lui, a cui Ł contestato solo di avere svolto attività nel settore del ‘Superbonus 110%’, peraltro ritenute lecite, le dinamiche interne dell’associazione relative ad altre attività, come la consumazione di altri delitti da parte di altri soggetti o i legami con le mafie storiche di alcuni dei partecipi all’associazione.
Il difensore avv. NOME COGNOME in data 03 gennaio 2025, ha depositato una memoria con la quale, riportandosi ai motivi del ricorso, ha ribadito l’insussistenza della necessaria motivazione rafforzata, in particolare quanto alla genesi e alla operatività della srl RAGIONE_SOCIALE e quanto all’asserita, ma non dimostrata, parentela con il cognato di NOME COGNOME, fatti per i quali l’ordinanza rinvia in modo generico alle intercettazioni e all’appello del pubblico ministero. Anche in ordine alle esigenze cautelari, il Tribunale del riesame si Ł limitato a richiamare la gravità del reato contestato, senza evidenziare i gravi indizi del reato di cui all’art. 416bis cod. pen. e senza compiere una valutazione personologica, pur essendo il ricorrente censurato solo per fatti risalenti e non tipici delle consorterie mafiose, e non accusato neppure di alcun reato-fine della presunta associazione, mentre il tempo trascorso dalla richiesta di misura cautelare senza che egli sia fuggito evidenzia la insussistenza del pericolo di fuga.
Il Procuratore generale, nella discussione orale, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato, e deve essere rigettato.
Il motivo di ricorso, pur essendo dichiaratamente articolato secondo lo schema della violazione di legge, si sostanzia nella descrizione di un vizio motivazionale relativo alla ricostruzione del fatto adottata dal tribunale del riesame, che sarebbe carente perchØ non sarebbe stata fornita una motivazione rafforzata, pur ribaltandosi l’opposta valutazione del G.i.p. in merito alla esistenza dei gravi indizi di colpevolezza circa la sussistenza del reato associativo. Il motivo, in tal modo, finisce con il prospettare una censura riferita al criterio di valutazione degli elementi indiziari.
2.1. Deve ricordarsi che risale alla sentenza delle Sezioni Unite n. 11 del 23/02/2000, Audino, Rv. 215828 l’insegnamento secondo cui «in tema di misure cautelari personali, allorchØ sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie». L’arresto costituisce, ormai, patrimonio comune della giurisprudenza di legittimità che lo ha ribadito, fra le molte, con Sez. 2 n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME Rv. 276976 e Sez. 1, n. 30416 del 25/09/2020, in motivazione.
Occorre avere anche riguardo alla specificità della valutazione compiuta nella fase cautelare, dovendosi sempre tenere conto della «diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza, rispetto a quella
di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato» (Sez. 2, n. 11509 del 14/12/2016, dep. 2017, Rv. 269683; Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014, Rv. 264213, tra le molte conformi).
Inoltre questa Corte, in particolare nelle sentenze Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965, ha chiarito che «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicchØ sono inammissibili tutte le doglianze che ‘attaccano’ la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento».
2.2. La necessità di una motivazione rafforzata in tema di misure cautelari, invece, non costituisce un principio giurisprudenziale del tutto consolidato, dal momento che pronunce anche recenti affermano che «In caso di ribaltamento, da parte del tribunale del riesame in funzione di giudice dell’appello “de libertate”, della precedente decisione del primo giudice reiettiva della domanda cautelare, non Ł richiesta una motivazione rafforzata, in ragione del diverso “standard cognitivo” che governa il procedimento incidentale, ma Ł necessario un confronto critico con il contenuto della pronunzia riformata, non potendosi ignorare le ragioni giustificative del rigetto, che devono essere, per contro, vagliate e superate con argomentazioni autonomamente accettabili, tratte dall’intero compendio processuale» (Sez. 3, n. 31022 del 22/03/2023, Rv. 284982 – 04; vedi anche Sez. 5, n. 28580 del 22/09/2020, Rv. 279593).
Il collegio intende, però, aderire all’indirizzo maggioritario, secondo cui «In tema di appello cautelare, la riforma in senso sfavorevole all’indagato della decisione impugnata impone al tribunale, in assenza di mutamenti del materiale probatorio acquisito, un rafforzato onere motivazionale, valevole a superare le lacune dimostrative evidenziate dal primo giudice, essendo necessario confrontarsi con le ragioni del provvedimento riformato e giustificare, con assoluta decisività, la diversa scelta operata. (In motivazione, la Corte ha precisato che, pur non essendo necessaria la dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, della insostenibilità della decisione riformata, ogni divergente valutazione adottata dal tribunale deve essere comunque dotata di maggiore persuasività e credibilità razionale)» (Sez. 1, n. 47361 del 09/11/2022, Rv. 283784).
3. L’ordinanza impugnata contiene una motivazione rafforzata rispetto all’ordinanza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Milano, in quanto riesamina in maniera piø dettagliata tutti gli indizi già oggetto dell’ordinanza genetica, approfondendo l’esame del contenuto delle intercettazioni, dalle quali emerge, ad esempio, in piø occasioni, il contenuto degli incontri tra i vari indagati (come motivato dalla pag. 133), individuando gli episodi in cui il tribunale del riesame ha ritenuto essersi manifestata la forza intimidatrice e l’uso di metodi mafiosi, e soprattutto valutando tali indizi in modo unitario e complessivo, senza parcellizzarli e senza svilirli, come effettuato in varie parti dell’ordinanza genetica, secondo la critica mossa a quest’ultima dalla pag. 54, e infine prendendo in esame anche le risultanze delle indagini captative compendiate nelle integrazioni trasmesse dal pubblico ministero in data 08/05/2023 e 13/06/2023, del tutto trascurate dal G.i.p.
Sulla base di tale esame ha ritenuto sussistenti i gravi indizi del delitto contestato al capo 1), inteso come costituzione di una associazione, legata ad uno specifico territorio, tra soggetti già appartenenti o comunque collegati alle mafie ‘storiche’ denominate Cosa Nostra, ‘ndrangheta e
camorra, autonoma rispetto a queste anche se i singoli associati manterrebbero continui rapporti con i sodalizi di origine, dalla struttura non verticistica ma orizzontale, dotata di una cassa comune e dedita sia alla commissione dei reati tipici dei sodalizi mafiosi, dalla estorsione al traffico di sostanze stupefacenti, sia soprattutto alla costituzione di società dedite ad attività lecite, in particolare nel settore dell’edilizia, compiute però, in molti casi, con modalità illecite, sia quanto alla provenienza del denaro investito, sia quanto alla gestione e al raggiungimento dello scopo di profitto.
I caratteri specifici di un’associazione di tipo mafioso sono individuati in modo preciso dalla norma stessa, secondo cui un’associazione Ł di tipo mafioso quando «coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti». Perciò, secondo la giurisprudenza di legittimità, «Ai fini della qualificazione ai sensi dell’art. 416-bis cod. pen. di una nuova ed autonoma formazione criminale Ł necessario accertare se il sodalizio: a) abbia conseguito fama e prestigio criminale, autonomi e distinti da quelli personali dei singoli partecipi, in guisa da esser capace di conservarli anche nel caso in cui questi ultimi fossero resi innocui; b) abbia in concreto manifestato capacità di intimidazione, ancorchØ non necessariamente attraverso atti di violenza o di minaccia, nell’ambito oggettivo e soggettivo, pur eventualmente circoscritto, di effettiva operatività; c) abbia manifestato una capacità di intimidazione effettivamente percepita come tale ed abbia conseguentemente prodotto un assoggettamento omertoso nel “territorio” in cui l’associazione Ł attiva» (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Rv. 279555-17).
L’ordinanza impugnata si Ł conformata al dettato della norma, valutando la sussistenza di gravi indizi relativi non solo alla sussistenza di un vincolo associativo, ma altresì all’esercizio e alla esternalizzazione del metodo mafioso per affermarsi sul territorio.
4.1. Quanto alla sussistenza di gravi indizi relativi all’esistenza di un gruppo associato, stabilmente costituito e tendenzialmente permanente, che non si esaurisce nella consumazione di singoli reati, il tribunale del riesame ha valorizzato, in particolare, la continuità e frequenza degli incontri e degli accordi, l’apporto comune di capitali e mezzi al fine di perseguire un comune fine di profitto, l’esistenza di una cassa comune, la consapevolezza delle condotte criminose, anche gravi, commesse da altri sodali, e il frequente richiamo degli indagati stessi all’esistenza di un’associazione costituita in quel territorio, e di cui sarebbero partecipi (così, ad esempio, dalla pagina 83, in relazione alla creazione della RAGIONE_SOCIALE, e, in piø parti della motivazione, le affermazioni di singoli indagati sull’attività di RAGIONE_SOCIALE quale ‘epicentro di molti equilibri’, sulla costruzione di ‘un’associazione che non finisce mai’, sulla necessità di ‘trovare una quadra per guadagnare tutti’, sulla non operatività di Sicilia, Roma e Napoli perchØ ‘Qua Ł Milano … le cose giuste qua si fanno’, sulla scomparsa della distinzione tra le tre mafie storiche di provenienza, laddove NOME COGNOME dice ad Amico ‘qua siamo tutti e tre, siamo tutti insieme, siamo tutti una cosa’).
Da questi elementi, approfonditamente valutati dalla pag. 195 dell’ordinanza, il tribunale ha dedotto la sussistenza della necessaria affectio societatis , negando la rilevanza dei contrasti interni, sulla base dei quali il G.i.p. aveva, principalmente, escluso la sussistenza di un’associazione, ed anzi evidenziando gli sforzi dei vari associati per risolvere ogni contesa, in vista del perseguimento della comune finalità di profitto. Quest’ultimo aspetto, che l’ordinanza impugnata esamina in particolare dalla pag. 140, in relazione alla controversia tra i COGNOME e NOME COGNOME, sottolineando il coinvolgimento di esponenti dei diversi gruppi criminali al fine di comporre la diatriba nell’interesse di tutti, Ł stato piø volte ritenuto costituire, dalla giurisprudenza di legittimità, un elemento significativo dell’esistenza di un vincolo associativo, affermandosi che «In tema di associazione per delinquere, l’esistenza di scopi personali diversi e contrapposti tra i singoli associati, operanti nell’ambito di strutture imprenditoriali autonome e concorrenti, non Ł ostativa al
riconoscimento del vincolo associativo, ove tali divergenze trovino composizione in un progetto generale, da realizzare mediante le attività delittuose, finalizzato a perseguire un utile da ripartire tra le diverse imprese» (Sez. 3, n. 23335 del 28/01/2021, Rv. 281589-01; si veda anche Sez. 3, n. 25994 del 22/07/2020, Rv. 279825-01). Analogo rilievo Ł stato dato, dalla pag. 155, all’esistenza di una cassa comune, destinata soprattutto ad assicurare l’assistenza giudiziaria ed economica ai detenuti e alle loro famiglie, sottolineando che ad essa contribuiscono tutti i gruppi, così evidenziando l’esistenza di un vincolo di mutua solidarietà, in base al quale tutti provvedono a fornire tale assistenza a prescindere dalla compagine di provenienza del singolo (ad esempio concorrendo i Pace, i Crea e i Fidanzati a far fronte al sostentamento di NOME COGNOME e dei suoi familiari).
La motivazione dell’ordinanza impugnata, pertanto, su questo punto Ł logica e completa, tenuto conto del livello di gravità indiziaria che deve essere ritenuto sufficiente per l’emissione di una misura cautelare; lo stesso G.i.p., peraltro, nelle sue conclusioni dalla pag. 918 dell’ordinanza genetica, non ha radicalmente escluso la possibilità di configurare, alla luce della comune organizzazione di mezzi e di persone, l’esistenza di un’associazione semplice quanto meno tra alcuni dei soggetti indagati, pur dubitando della sussistenza, tra tutti, di una reale affectio societatis . Deve, pertanto, ritenersi sufficientemente accertata, allo stato e nei limiti propri del giudizio cautelare, la sussistenza di gravi indizi in merito alla configurabilità di un’associazione a delinquere, con le caratteristiche evidenziate nell’ordinanza impugnata.
4.2. La sussistenza del necessario utilizzo del metodo mafioso e della sua esternalizzazione viene valutata dalla pag. 203 dell’ordinanza impugnata. Il tribunale del riesame ha approfonditamente esaminato gli indizi relativi a tale elemento, valorizzando i singoli episodi di effettivo impiego di violenza e minaccia, ma soprattutto ribadendo, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, come la capacità intimidatoria non debba necessariamente estrinsecarsi in simili atti, ma sia sufficiente la spendita della fama criminale precedentemente acquisita, o l’acquisizione dell’assoggettamento omertoso del territorio mediante piccoli soprusi, prevaricazioni o, al contrario, illeciti privilegi. Secondo il tribunale, Ł rilevante il fatto che la spendita della fama criminale delle mafie storiche di appartenenza avvenga, talvolta, da parte di sodali affiliati, in realtà, ad una diversa associazione storica, evidentemente con il consenso degli altri associati (come emergerebbe dalla conversazione tra Amico e Vestiti, dalla pag. 212), in quanto dimostrazione della particolarità ed autonomia dell’associazione qui contestata.
L’ordinanza ha ritenuto dimostrata l’avvenuta acquisizione della forza intimidatrice, sul territorio lombardo, da vicende come quella che coinvolge tale COGNOME (sempre da pag. 212 dell’ordinanza, nella già indicata conversazione in cui COGNOME si compiace del fatto di raggiungere ‘senza spari’ lo scopo che l’associazione si Ł prefissata), quella che coinvolge la segretaria generale del Comune di Abbiategrasso che, pur non assoggettandosi ad essa, comprende facilmente la natura mafiosa della richiesta avanzatale da COGNOME, e la qualità mafiosa del soggetto o dei soggetti di cui questi avrebbe fatto il nome (da pag. 218), quella relativa alla gestione del bar e dei parcheggi dell’ospedale di Desio da parte della RAGIONE_SOCIALE, le cui modalità avrebbero allarmato i dipendenti, tra i quali correva la voce che tali attività fossero in mano a ‘mafiosi’ (da pag. 226), e in generale dall’atteggiamento omertoso di molte vittime di estorsioni, che avrebbero omesso di denunciare i fatti commessi in loro danno, o li avrebbero esposti in termini riduttivi rispetto a quanto emerge dalle intercettazioni (pag. 224). L’incapacità, per gli abitanti del territorio, di individuare con precisione l’associazione criminale che sta esercitando tale forza intimidatrice non Ł stata ritenuta rilevante, ed anzi si Ł affermato che ciò potrebbe essere interpretato come una conferma della diversità e autonomia dell’associazione qui contestata, rispetto ai gruppi storici di riferimento dei vari associati.
L’ordinanza afferma specificamente, con motivazione logica e consequenziale alle vicende
esaminate, che la forza intimidatrice promana dall’associazione stessa ed Ł ad essa «immanente» , in virtø delle azioni che essa compie e dell’assoggettamento che ha realizzato nel territorio, e non deriva dai singoli associati o dalle mafie storiche a cui questi ultimi fanno riferimento (così dalla pag. 234, ed esplicitamente alla pag. 239). Secondo il tribunale del riesame, quindi, l’associazione qui delineata ha una propria ‘mafiosità’, derivante anche dalla partecipazione ad essa di soggetti dalla già accertata caratura mafiosa, ma soprattutto la manifesta all’esterno in modo autonomo, pur avvalendosi anche dell’assoggettamento già realizzato nel territorio lombardo, in passato, dalle singole mafie storiche, in quanto opera in modo distinto rispetto a queste ultime e mantiene, rispetto ad esse, una propria autonomia.
L’ordinanza non si esprime sulla qualificazione di detta associazione come una mafia ‘nuova’, o ‘atipica’, o ‘a soggettività differente’, o addirittura come un ‘ tertium genus ‘, dichiarando anzi esplicitamente di sottrarsi all’«afflato definitorio» presente nell’ordinanza genetica e nell’appello del pubblico ministero (pag. 237), e sottolinea solamente che il fenomeno mafioso Ł in continua evoluzione e che la peculiarità della struttura associativa così come descritta non ne esclude la mafiosità, in quanto la ritiene accertata, in via indiziaria, con le medesime caratteristiche richieste dalla giurisprudenza di legittimità.
Anche questa parte della motivazione Ł logica, approfondita e non contraddittoria, e pertanto sufficiente, anche sotto il profilo della immanenza ed esternalizzazione del metodo mafioso, per ritenere presenti indizi gravi circa la sussistenza del delitto di cui all’art. 416bis cod. pen., quanto meno allo stato, e con riferimento agli elementi sufficienti per il giudizio cautelare.
Con riferimento alla sussistenza di gravi indizi della partecipazione del ricorrente al reato associativo, l’ordinanza impugnata esamina approfonditamente, dalla pag. 239, gli elementi a suo carico.
Il coinvolgimento del COGNOME in attività economiche, in particolare la costituzione, avvalendosi di intestatari fittizi, e la gestione di società edilizie aventi per lo piø lo scopo di beneficiare degli aiuti statali in tema di ‘ecobonus’ e ‘superbonus’, Ł ampiamente dimostrato dalle intercettazioni a suo carico e tra terze persone ma a lui riferibili. Anche il suo rapporto con esponenti della famiglia COGNOME, come contestato al capo 1), emerge da queste in modo palese, e non risulta contestato dal ricorrente. L’ordinanza evidenzia che questo settore, cioŁ lo svolgimento di attività economiche apparentemente lecite mediante la costituzione di società che operano regolarmente sul mercato, pur potendo essere costituite con denaro di provenienza illecita e gestite commettendo altri reati, risulta di massimo interesse per l’associazione in questione, per cui il coinvolgimento del ricorrente in esso gli attribuisce un ruolo rilevante all’interno del sodalizio.
5.1. L’ordinanza, in ogni caso, offre una motivazione rafforzata circa la responsabilità del ricorrente per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen., l’unico oggetto di valutazione da parte del tribunale del riesame. Vengono, infatti, esposte e valutate intercettazioni, alcune non menzionate nell’ordinanza genetica, rilevanti per delineare la caratura del ricorrente e la stima a lui attribuita dagli altri sodali, ad esempio attraverso l’affermazione, fatta da alcuni di loro, che egli abbia rapporti di parentela con NOME COGNOME, affermazione di cui non Ł rilevante accertare la fondatezza, costituendo essa semplicemente l’esemplificazione della fama di cui egli gode all’interno dell’associazione. La centralità della sua attività, e la rilevanza di questa per il raggiungimento della finalità di profitto dell’associazione, sono ritenute dimostrate dalle intercettazioni da cui risulta che egli Ł stato indicato da NOME COGNOME e NOME COGNOME, esponenti di spicco del clan COGNOME, per operare unitamente ad NOMECOGNOME in quanto ciò proverebbe l’importanza di questo settore e l’interesse verso di esso dell’intera associazione. Le conversazioni che il ricorrente sostiene con NOMECOGNOME diretto apportatore della provvista necessaria per l’acquisto delle società RAGIONE_SOCIALE e
RAGIONE_SOCIALE in quanto detiene e gestisce il denaro dell’associazione, e quelle che egli sostiene con altri soggetti, dimostrano il suo effettivo coinvolgimento nella gestione di tali società ed anche la sua competenza in materia.
5.2. L’affermazione del ricorrente, secondo cui il tribunale del riesame non avrebbe potuto valutare gli indizi relativi ai reati di cui all’art. 512bis cod. pen., contestati ai capi 69, 70, 71 e 72, in quanto la decisione del G.i.p. circa la loro insussistenza sarebbe coperta dal giudicato stante la mancata impugnazione da parte del pubblico ministero, non Ł corretta. In primo luogo Ł noto che il giudicato cautelare ha una portata ridotta rispetto al giudicato conseguente al processo penale, coprendo solo le questioni effettivamente dedotte, e non si forma in caso di omessa impugnazione, come affermato da Sez. U, n. 11/1994 del 08/07/1994, Rv. 198213 e da Sez. U, n. 29952 del 24/05/2004, Rv. 228117. In secondo luogo, il tribunale del riesame non ha rivalutato la sussistenza dei reati sopra indicati, ma ha esaminato gli indizi idonei a dimostrare la responsabilità del ricorrente per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen., questione sottoposta al suo esame. La valutazione del G.i.p., circa la mancanza o la scarsa gravità di indizi diretti a dimostrare la rilevanza penale delle condotte contestate ai capi di imputazione 69, 70, 71 e 72, non esclude che tali indizi possano risultare rilevanti e gravi in relazione alla sussistenza del diverso reato valutato dal tribunale del riesame. La diversa valutazione di essi da parte di quest’ultimo non Ł, pertanto, in contraddizione con l’ordinanza genetica.
L’ordinanza peraltro, come già rilevato, contiene una motivazione rafforzata in merito alla responsabilità del ricorrente per il reato associativo, in quanto, ritenuta sussistente l’associazione descritta al capo 1) dell’imputazione provvisoria, ha evidenziato che dalle intercettazioni emerge che il COGNOME ha contribuito in modo attivo e continuativo alla realizzazione dell’attività propria dell’associazione consistente nella costituzione e gestione di società operanti nel settore edilizio, con le quali acquisire appalti pubblici o privati, beneficiare di sovvenzioni pubbliche, reinvestire denaro almeno in parte di provenienza illecita, fornito dall’associato COGNOME, e con le quali ricercare rilevanti profitti economici, e che egli era consapevole di svolgere tale attività per conto del clan COGNOME e di operare all’interno di un’associazione composta da questi ultimi, dal predetto COGNOME e da altri sodali collegati alla ‘ndrangheta e alla camorra. La deduzione che tali indizi siano gravi, e idonei a dimostrare la consapevole e volontaria commissione del reato associativo da parte del ricorrente Ł, pertanto, logica nonchØ conforme ai criteri valutativi richiesti per il giudizio cautelare, e non Ł pertanto suscettibile di censura da parte del giudice di legittimità.
5.3. Il ricorso, in realtà, non contesta specificamente alcuno degli indizi menzionati nell’ordinanza impugnata, ma si limita a sostenere che le condotte attribuite al COGNOME, quand’anche ritenute dimostrate, sono state ritenute lecite dal G.i.p. e non risultano, peraltro, rivestire alcuna rilevanza penale, trattandosi della gestione di società lecite, che hanno operato sul mercato senza l’utilizzo di metodi mafiosi o di operazioni illecite, in quanto non contestate.
Questa affermazione non Ł idonea a superare la gravità indiziaria ritenuta sussistente per configurare la responsabilità del COGNOME per il delitto associativo. La natura lecita delle società da lui gestite di fatto deve essere esclusa, essendo state le stesse costituite, secondo la ricostruzione del tribunale del riesame, con l’apporto di capitali almeno in parte di provenienza illecita e con la ulteriore finalità di ‘ripulire’ tale provvista (così alle pag. 240 e 248 dell’ordinanza). Inoltre deve ribadirsi la natura mafiosa di tali società, stante il diretto controllo operato su di esse dall’associazione stessa, in applicazione del principio di questa Corte, secondo cui «In tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, deve intendersi “impresa mafiosa” quella che, indipendentemente da chi ne sia formalmente il titolare, per le modalità del controllo su di essa operato dal sodalizio criminoso, o per il metodo mafioso utilizzato per affermarsi sul mercato, per conquistare e/o mantenere una posizione dominante, oppure per il conferimento o per la distrazione
di quote degli utili da parte o a favore dell’associazione criminale di riferimento, sia a quest’ultima completamente asservita, divenendone uno strumento operativo, sicchØ, per effetto di ciascuna delle predette condizioni, l’intera attività aziendale risulti inquinata dalla presenza di risorse illecite, rendendosi impossibile distinguere tra capitali leciti e illeciti, posta l’irreversibile contaminazione dell’accumulo di ricchezza» (Sez. 2, n. 34126 del 05/06/2024, Rv. 286921-02). Inoltre l’attività svolta dal COGNOME, come detto, costituisce l’attuazione di uno dei programmi dell’associazione criminosa ed Ł finalizzata al raggiungimento dei suoi scopi, elemento che costituisce un grave indizio della sua partecipazione al reato di cui all’art. 416bis cod. pen.
5.4. Con la memoria depositata in data 03 gennaio 2025 il ricorrente ha dedotto anche la violazione di legge penale e processuale in ordine alla valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari, per avere l’ordinanza affermato la gravità del reato a lui contestato senza valutarne i gravi indizi, e per non avere compiuto una valutazione personologica, nonostante la mancanza di una significativa capacità delinquenziale.
Questo motivo non si confronta con l’ordinanza impugnata, che ha valutato ampiamente la sussistenza dei gravi indizi relativi al reato associativo, come evidenziato al superiore paragrafo 4, e che ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari per il pericolo di reiterazione del reato da parte del ricorrente, logicamente dedotto dal suo inserimento nell’ambiente mafioso, che risulta caratterizzato da rapporti diretti e continuativi con esponenti di elevata caratura mafiosa, e dalla professionalità dimostrata nello svolgimento delle attività a lui affidate, finalizzate al raggiungimento degli scopi dell’associazione mafiosa, e per il pericolo di fuga, dedotto da concreti comportamenti attestanti il suo interessamento per trasferirsi in un Paese ove non ci sia rischio di estradizione. La memoria non si confronta affatto con queste valutazioni, e pertanto le relative deduzioni in essa contenute vanno ritenute inammissibili.
Per le ragioni esposte, il ricorso deve pertanto essere rigettato, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
La presente decisione rende esecutiva la misura cautelare della custodia in carcere, disposta dal tribunale del riesame. Deve pertanto disporsi la trasmissione, a cura della cancelleria, dell’estratto del provvedimento al pubblico ministero competente, ai sensi dell’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 16/01/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME