Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 15123 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 15123 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/01/2025
nulla avesse osservato in merito con riferimento a questo reato; anche in relazione al capo 16, infine, rileva che le doglianze del pubblico ministero erano generiche, e che il Tribunale del riesame le ha accolte offrendo un’interpretazione distonica delle emergenze istruttorie e trascurando di considerare quanto riferito dalla stessa persona offesa e quanto documentalmente provato dalla difesa.
Con il terzo motivo deduce che il Tribunale del riesame avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello del pubblico ministero in relazione alle esigenze cautelari, ovvero, in subordine, rigettarlo; rileva che l’impugnazione non conteneva, così come prescritto, l’indicazione analitica, precisa ed individualizzante delle doglianze mosse all’ordinanza impugnata, essendosi il pubblico ministero limitato a riprodurre pedissequamente la sua richiesta, interpolandola con l’aggiunta di un inciso relativo alla attualità del pericolo di recidivanza alla luce delle note integrative prodotte; l’impugnazione, peraltro, non conteneva, nella parte relativa alle esigenze cautelari, alcun riferimento alla posizione del Vestiti, poichØ il pubblico ministero si Ł limitato ad esporre concetti generici, rivolti indistintamente a tutti gli indagati; contesta, infine, l’intervenuto riconoscimento del pericolo di inquinamento probatorio, essendo già stato emesso dal pubblico ministero l’avviso di conclusione delle indagini preliminari.
3. Il Sostituto Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo dichiararsi il ricorso inammissibile, in quanto strutturato in termini meramente contestativi di quanto sostenuto dal Tribunale: si argomenta in ordine alla impossibilità di configurare l’associazione trasversale ipotizzata dal pubblico ministero e delineata dal Tribunale del Riesame, ma non vengono forniti elementi concreti per contrastare tale ricostruzione, basata su una motivazione che appare adeguata e logica, «in quanto analizza le diverse affermazioni contenute nell’ordinanza del gip e le confuta con precisi elementi di segno contrario, ritenendo, in ossequio all’orientamento consolidato della giurisprudenza, che la valutazione degli indizi debba essere svolta in termini di insieme e non frazionata. I gravi indizi in ordine alla sussistenza dell’associazione sono compendiati in una motivazione ampia, dettagliata e priva di illogicità, che ha dato conto degli importanti elementi acquisiti attraverso delle conversazioni intercettate e che ha evidenziato i legami tra gli associati, lo scopo perseguito dall’associazione in diversi settori, ed in particolare in quello economico,
evidenziando le operazioni compiute nelle numerose società coinvolte oggetto di specifiche indagini. La motivazione appare immune da vizi anche in merito al ruolo centrale attribuito al COGNOME NOME che viene indicato specificamente quale ‘epicentro di molti equilibri’ (v. intercettazioni a pag.265 e ss.), legato ai Senese da un rapporto assolutamente fiduciario, si fa riferimento alla sua attività di risoluzione delle controversie tra gli associati (RAGIONE_SOCIALE), nonchØ nella commissione di reati in materia di armi, la vita e la incolumità individuale, traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni, riciclaggio e intestazioni fittizie. Infine, i gravi indizi in ordine ai reati di cui ai capi 5, 13 , 14 e 16 sono ricostruiti da pag. 272 e ss., sulla base delle conversazioni intercettate puntualmente riportate nell’ordinanza, il cui eloquente significato le generiche doglianze contenute nei motivi di ricorso non paiono scalfire. Anche con riferimento alle aggravanti contestate, in particolare quella del metodo mafioso oggetto del motivo di ricorso, la motivazione adottata appare congrua e corretta (v. pagine 278 e ss)».
All’odierna udienza il Sostituto Procuratore generale si Ł riportato alle conclusioni rassegnate nella memoria in atti; i difensori del COGNOME hanno illustrato i motivi posti a fondamento del ricorso, chiedendone l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
Occorre premettere che, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o l’assenza delle esigenze cautelari, Ł ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito: tra le doglianze proponibili non rientrano, infatti, quelle relative alla mera interpretazione degli indizi e delle prove, ancorchØ implicanti la ricomposizione di dissensi o contrasti sul loro reale significato, ovvero la scelta tra divergenti versioni e ricostruzioni (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623 – 01), non integrando manifesta illogicità della motivazione nØ la prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali, ritenuta piø logica, nØ minime incongruenze, nØ la mancata confutazione, nel provvedimento impugnato, di un’argomentazione difensiva, non essendo tenuto, il giudice del merito, a compiere un’analisi dettagliata di tutte le deduzioni delle parti e di ogni risultanza processuale, essendo sufficiente una valutazione globale tale da esplicitare le ragioni della decisione, specie laddove queste siano incompatibili con quanto sostenuto da parte ricorrente; solo quando il dato probatorio asseritamente trascurato o travisato abbia una chiara e decisiva forza dimostrativa, tale da scardinare l’intero ragionamento su cui si fonda il provvedimento impugnato, Ł possibile riconoscere un vizio motivazionale (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168 – 01).
Dunque, in sede di legittimità va posto rimedio alle carenze, alle contraddizioni o alle argomentazioni palesemente illogiche su passaggi motivazionali essenziali ai fini della decisione, non potendosi richiedere di soppesare, diversamente dal provvedimento impugnato, le prove al fine di pervenire a una diversa ricostruzione sul merito della vicenda (Sez. 1, n. 19769 del 10/04/2024, S., n.m.).
Nel giudizio di legittimità, d’altro canto, sono rilevabili esclusivamente i vizi argomentativi che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso motivazionale svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione, poichØ il controllo di logicità deve rimanere
all’interno del provvedimento impugnato, senza possibilità di procedere ad una nuova ricostruzione dei fatti, ad una diversa valutazione degli elementi indizianti, o ad una diversa delibazione in merito all’attendibilità delle fonti, alla rilevanza ed allo spessore dei dati probatori, all’intensità delle esigenze cautelari (cfr. l’ancora attuale insegnamento di Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv 215828 – 01, come di recente ribadito, tra le altre, da Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01).
Il controllo di legittimità, infatti, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione, sicchØ il ricorso per cassazione può devolvere il vizio di motivazione solo rivolgendo le proprie censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, senza investire la valutazione ad essa sottesa, riservata al giudice di merito, ed estranea al perimetro cognitivo e valutativo di questa Corte, il cui sindacato rimane, pertanto, circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e la correttezza allo stato degli atti della qualificazione giuridica attribuita ai fatti e, dall’altro, l’assenza nelle argomentazioni di illogicità evidenti rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01), non potendo ritenersi ammissibili quelle censure che, pur formalmente investendo la motivazione, si risolvono, in realtà, nella sollecitazione a compiere una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 1, n. 22520 del 05/03/2024, COGNOME, n.m.).
Circa l’ulteriore aspetto della necessità di una motivazione rafforzata, stante l’ overturning decisionale che ha portato il Tribunale del riesame ad emettere il titolo cautelare, si ritiene di dare continuità al principio espresso da questa Corte, secondo il quale, in tema di appello cautelare, la riforma in senso sfavorevole all’indagato della decisione impugnata impone al tribunale, in assenza di mutamenti del materiale probatorio acquisito, un rafforzato onere motivazionale, valevole a superare le lacune dimostrative evidenziate dal primo giudice, essendo necessario confrontarsi con le ragioni del provvedimento riformato e giustificare, con assoluta decisività, la diversa scelta operata (Sez. 1, n. 47361 del 09/11/2022, COGNOME, Rv. 283784 – 01).
Ciò posto, si deve rilevare che – al netto delle doglianze attraverso le quali Ł stata criticata l’interpretazione degli elementi indiziari: doglianze che, come si Ł appena illustrato, sono platealmente estranee al perimetro cognitivo di questa Corte – i motivi di ricorso sono infondati.
Ineccepibili appaiono le argomentazioni sviluppate nel provvedimento impugnato, tanto per ricostruire i fatti oggetto di indagine, quanto per dare a quei fatti la piø corretta qualificazione giuridica; per converso, le ragioni di doglianza esposte dal ricorrente appaiono meramente rivalutative, e imperniate su una inammissibile valutazione parcellizzata degli elementi di prova, sicchØ le stesse non sono in grado di scalfire una motivazione esauriente, completa, convincente, e dotata di maggiore credibilità razionale.
3.1 Il provvedimento impugnato ha innanzitutto messo in luce le numerose criticità – che afferiscono tanto al metodo, quanto al momento valutativo – dell’apparato giustificativo utilizzato dal gip per escludere la sussistenza degli elementi costitutivi del reato associativo: dalla valutazione frazionata degli indizi alla parcellizzazione degli elementi offerti dall’accusa, dalla illogica svalutazione di dati di sicura rilevanza – ad esempio i plurimi summit attenzionati e captati dagli inquirenti, nel corso dei quali venivano stabilite le modalità di azione, definiti gli accordi e confermati i legami tra gli indagati; le precedenti condanne irrevocabili di molti indagati per violazione dell’art. 416 bis cod. pen. (la risalenza delle condanne enfatizzata dal gip non appare, invero, elemento decisivo, in assenza di elementi dimostrativi di un recesso, di un riscontrabile ed effettivo allontanamento dal contesto criminale mafioso); i contributi versati dagli indagati per il
sostentamento dei sodali detenuti e delle loro famiglie – alla altrettanto illogica sopravvalutazione di elementi in realtà sostanzialmente neutri, quali i fisiologici contrasti intervenuti tra i sodali o l’assenza di prova in merito a rituali di affiliazione degli indagati.
L’ordinanza impugnata contiene, dunque, la motivazione rafforzata pretesa, in caso di overturning, dalla preferibile giurisprudenza di legittimità, essendosi confrontata con le ragioni del provvedimento riformato ed avendo giustificato la diversa decisione – all’esito di un piø dettagliato riesame del compendio indiziario, della piø convincente e penetrante disamina del contenuto delle numerosissime conversazioni intercettate, della puntuale individuazione degli episodi nei quali si sono manifestati la forza intimidatrice e l’uso di metodi mafiosi da parte del sodalizio – con articolate argomentazioni che poggiano su una valutazione rigorosa e complessiva degli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari.
3.2 Quanto alla riconosciuta sussistenza dell’associazione di stampo mafioso contestata al primo capo dell’imputazione provvisoria, si osserva che ai fini della qualificazione ai sensi dell’art. 416 bis cod. pen. di una nuova ed autonoma formazione criminale Ł necessario accertare se il sodalizio: a) abbia conseguito fama e prestigio criminale, autonomi e distinti da quelli personali dei singoli partecipi, in guisa da esser capace di conservarli anche nel caso in cui questi ultimi fossero resi innocui; b) abbia in concreto manifestato capacità di intimidazione, ancorchØ non necessariamente attraverso atti di violenza o di minaccia, nell’ambito oggettivo e soggettivo, pur eventualmente circoscritto, di effettiva operatività; c) abbia manifestato una capacità di intimidazione effettivamente percepita come tale ed abbia conseguentemente prodotto un assoggettamento omertoso nel “territorio” in cui l’associazione Ł attiva (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555 – 17).
Nel valutare i gravi indizi, il Tribunale ha esaustivamente scandagliato le questioni relative alla sussistenza del vincolo associativo e alla esternalizzazione del metodo mafioso.
La stabilità del vincolo tra gli associati e la sua tendenziale permanenza, tale comunque da non esaurirsi nella consumazione di singoli reati-fine, sono state desunte dall’apporto comune di capitali e mezzi al fine di perseguire un comune fine di profitto, dall’esistenza di una struttura organizzativa dotata di proprie risorse finanziarie ed organizzative, dalla disponibilità dei luoghi necessari per ospitare summit o per porre in essere attività illecite, dalla continuità e dalla frequenza degli incontri e degli accordi, dall’esistenza di una cassa comune, destinata soprattutto ad assicurare l’assistenza giudiziaria ed economica ai detenuti e alle loro famiglie (sottolineandosi che ad essa hanno contribuito tutte le diverse anime del sodalizio, così mettendo in luce l’esistenza di un vincolo di mutua solidarietà, in base al quale tutti gli indagati si sono forniti tale assistenza a prescindere dalla compagine di provenienza dei singoli: se ne Ł avuta conferma, ad esempio, quando i Pace, i Crea ed i Fidanzati si sono attivati per far fronte al sostentamento di NOME COGNOME e dei suoi familiari), dalla consapevolezza delle condotte criminose, anche gravi, commesse da altri sodali, dal frequente richiamo degli indagati stessi all’esistenza di un’associazione costituita in quel territorio, dall’intento disvelato dal contenuto di numerose conversazioni intercettate – di intervenire nei settori piø disparati del tessuto economico, costituendo società ad hoc ovvero assumendo il controllo di strutture preesistenti, realizzando cospicui profitti grazie ai metodi tipici della mafiosità: elementi dai quali il Tribunale ha ragionevolmente dedotto l’esistenza di una struttura organizzativa articolata e complessa, la stabilità dei legami fra gli associati, la progettualità comune e la sussistenza dell’ affectio societatis , negando la rilevanza dei contrasti interni, sulla base dei quali il gip aveva escluso la sussistenza dell’associazione, ed anzi evidenziando gli sforzi dei vari associati per risolvere ogni contesa, in vista del perseguimento della comune finalità di profitto (cfr., ad esempio, la controversia tra i COGNOME e NOME COGNOME, ricomposta nel comune interesse grazie all’intervento
di esponenti dei diversi gruppi criminali), elemento, questo, che la giurisprudenza di legittimità ritiene significativo dell’esistenza del vincolo associativo (cfr. Sez. 3, n. 23335 del 28/01/2021, COGNOME, Rv. 281589-01: «In tema di associazione per delinquere, l’esistenza di scopi personali diversi e contrapposti tra i singoli associati, operanti nell’ambito di strutture imprenditoriali autonome e concorrenti, non Ł ostativa al riconoscimento del vincolo associativo, ove tali divergenze trovino composizione in un progetto generale, da realizzare mediante le attività delittuose, finalizzato a perseguire un utile da ripartire tra le diverse imprese»).
Il Tribunale del riesame ha poi approfonditamente esaminato gli indizi relativi all’impiego del metodo mafioso ed alla sua necessaria esternalizzazione, registrata in tutti i settori di operatività del sodalizio (reati contro il patrimonio, reati fiscali, narcotraffico, infiltrazione del sistema economico), valorizzando, ad esempio, le modalità esecutive dei numerosi episodi estorsivi, il piø delle volte consumati senza ricorrere a minacce espresse, ma semplicemente evocando l’appartenenza non ad un singolo gruppo ma – trasversalmente ed indifferentemente – a tutti quelli coinvolti nella nuova organizzazione, la cui forza di intimidazione era evidentemente conosciuta dalla comunità sociale di riferimento, anche dalle persone che non si erano mai direttamente confrontate con quel mondo criminale; Ł dimostrato in numerose vicende analiticamente ricostruite dall’ordinanza il costante impiego di minacce, violenze, soprusi, prepotenze per manifestare la forza intimidatrice del clan sul territorio lombardo (ad esempio, la vicenda che ha coinvolto NOME COGNOME nella quale NOME COGNOME in una conversazione intercettata, si compiace di aver raggiunto ‘senza spari’ lo scopo che i sodali si erano prefissati; ovvero la vicenda che ha coinvolto la segretaria generale del Comune di Abbiategrasso che, pur non assoggettandosi ad essa, ha compreso facilmente la natura mafiosa della richiesta avanzatale da COGNOME, e la qualità mafiosa del soggetto o dei soggetti di cui questi avrebbe fatto il nome; ovvero ancora la vicenda relativa alla gestione del bar e dei parcheggi dell’ospedale di Desio da parte della RAGIONE_SOCIALE per azioni , le cui modalità avrebbero allarmato i dipendenti, tra i quali correva la voce che tali attività fossero in mano a ‘mafiosi’; ancora, e piø in generale, l’atteggiamento omertoso di molte vittime di estorsioni, che hanno omesso di denunciare i fatti commessi in loro danno, o li avrebbero esposti in termini riduttivi rispetto a quanto emerge dalle intercettazioni), e per rinnovare la fama criminale già connessa al nome delle varie consorterie di riferimento dei singoli sodali, ma liberamente utilizzabile da tutti gli appartenenti in forza del patto associativo trasversale concluso dagli esponenti di diversa estrazione mafiosa; i verbali di sommarie informazioni di alcune delle numerose persone offese hanno fatto luce su questi metodi di intimidazione, lasciando chiaramente intendere che l’accettazione delle condizioni imposte dai sodali avrebbe consentito alle vittime, per un verso, di evitare le ritorsioni da parte degli stessi, e, per altro verso, di porsi sotto la loro ala protettiva, secondo un metodo tipico dell’agire mafioso; come ha ineccepibilmente rilevato il provvedimento impugnato, il sodalizio oggetto di investigazione si Ł giovato della diversa estrazione dei suoi componenti, autorizzati dalle rispettive organizzazioni mafiose di appartenenza – cui ognuno di essi Ł rimasto funzionalmente collegato – a dare vita e rendere operativo un nuovo ‘sistema’, caratterizzato dalla struttura organizzativa autonoma delle sue articolazioni o sottogruppi: in ragione di tale peculiare connotazione, il gruppo Ł stato in grado di esternare una sua immanente mafiosità, una sua capacità intimidatrice effettiva ed autonoma, sia pure derivante dal collegamento con le singole associazioni di appartenenza dei suoi sodali e dalla fama criminale acquista da queste ultime e dai singoli componenti nel territorio di interesse; l’incapacità, per gli abitanti del territorio, di individuare con precisione l’associazione criminale che ha esercitato tale forza intimidatrice non Ł stata ritenuta rilevante, ma, anzi, Ł stata correttamente interpretata come una indiretta conferma della diversità e autonomia dell’associazione contestata, rispetto ai gruppi storici di riferimento dei vari associati.
Il Tribunale del riesame non si Ł espresso sulla qualificazione di detta associazione come una
mafia ‘nuova’, o ‘atipica’, o ‘a soggettività differente’, o addirittura come un tertium genus , dichiarando anzi esplicitamente di sottrarsi all’«afflato definitorio» presente nell’ordinanza genetica e nell’appello del pubblico ministero, sottolineando che il fenomeno mafioso Ł in continua evoluzione, che la struttura associativa attenzionata dagli inquirenti ha esibito una mafiosità con le medesime caratteristiche richieste dalla giurisprudenza di legittimità, che la sua immanente mafiosità e la sua forza intimidatrice si sono manifestate all’esterno in modo autonomo attraverso le plurime azioni illecite dei sodali e attraverso l’assoggettamento dei consociati che Ł stato realizzato nel territorio.
Si tratta di una motivazione logica, approfondita e non contraddittoria, e pertanto sufficiente, anche sotto il profilo della immanenza ed esternalizzazione del metodo mafioso, per ritenere sussistenti i gravi indizi del delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen., quanto meno allo stato, e con riferimento agli elementi sufficienti per il giudizio cautelare.
Con tali convincenti e diffuse argomentazioni il ricorrente non si misura adeguatamente: a parte le generiche ed aspecifiche doglianze con le quali si mettono in dubbio l’esistenza della struttura organizzata e l’esteriorizzazione del metodo mafioso, si deduce che il provvedimento impugnato avrebbe assertivamente sostenuto l’esistenza, la mafiosità e l’operatività in territorio lombardo del ‘gruppo Senese’, ignorando peraltro che il piø recente pronunciamento dell’autorità giudiziaria su fatti riconducibili al predetto ‘gruppo’ (la sentenza della Corte di appello di Roma del 9 febbraio 2023) ha espressamente escluso la contestata circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis .1 cod. pen.; l’infondatezza della doglianza si evince, per un verso, dalla circostanza che l’esistenza e l’operatività del ‘RAGIONE_SOCIALE‘ Ł stata esaustivamente motivata nel provvedimento impugnato con il puntuale riferimento alle molteplici emergenze investigative sul punto (cfr., ad esempio , quanto illustrato alle pagine 74 e seguenti, sulle ‘visite’ a Milano di NOME COGNOME nel giugno 2020, nel corso delle quali l’odierno ricorrente aggiornava il suo referente romano sull’andamento delle attività illecite perpetrate nel territorio lombardo) ed alle numerosissime ed inequivocabili conversazioni intercettate, il cui contenuto rivela la stabile operatività nel territorio lombardo del gruppo facente capo a NOME COGNOME, e, per altro verso, dalla circostanza che questa Corte (Sez. 2, n. 19118 del 19/02/2024, COGNOME, n.m.) ha annullato con rinvio la sentenza con la quale la Corte di appello di Roma aveva escluso l’aggravante mafiosa con riferimento ai reati di riciclaggio, autoriciclaggio, usura, estorsione, impiego di denaro, beni o utilità di illecita provenienza, trasferimento fraudolento di valori commessi da NOME COGNOME, NOME COGNOME e da numerose altre persone, rilevando che la decisione era derivata da «una lettura atomistica e parcellizzata degli elementi probatori» (pag. 33), ed era pervenuta «ad esiti che negano rilevanza penale alla pur riconosciuta esistenza di un nucleo territoriale strutturato, direttamente collegato, per il tramite di NOME COGNOME, alla camorra napoletana» (pag. 36), svalutando altresì le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che «avevano riferito dell’esistenza del clan COGNOME, capeggiato da NOME COGNOME, originariamente affiliato al clan camorristico COGNOME operante in Afragola, nel cui ambito NOME aveva acquisito considerazione per le sue capacità di killer, aggiungendo che, trasferitosi a Roma, NOME COGNOME aveva dato luogo ad un gruppo criminale autonomo strutturato e dotato di armi, che si avvaleva dell’aura criminale del capo e di metodi violenti, così da imporsi nel territorio capitolino per ciò che concerne usura, estorsioni, spaccio di sostanze stupefacenti» (pag. 37)
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la motivazione dell’ordinanza impugnata Ł logica e completa, tenuto conto del livello di gravità indiziaria che deve essere ritenuto sufficiente per l’emissione di una misura cautelare: essa dà esaustivamente atto di come gli indagati – e tra essi anche il COGNOME – abbiano agito e si siano rapportati tra loro avendo come riferimento un gruppo omogeneo al quale tutti appartenevano, si siano dotati di mezzi, abbiano impiegato risorse economiche e personali, nella consapevolezza di una dimensione sovraindividuale in cui l’operatività del singolo andava ad inserirsi, operatività che si Ł manifestata nei settori piø disparati, sia di natura
illecita sia di natura, solo apparentemente, lecita, nell’ambito di un sodalizio che, associando soggetti provenienti dalle differenti mafie cd. storiche, ha concretamente dispiegato la propria capacità di intimidazione nel territorio lombardo.
3.3. Con riferimento alla sussistenza di gravi indizi della condotta partecipativa, il ricorrente deduce alle pagine 7 e seguenti del ricorso che «nulla viene argomentato per sviscerare, quantomeno a livello indiziario, come, dove e a partire da quale momento il ricorrente sarebbe divenuto esponente in Lombardia del gruppo Senese».
Ancora una volta manca un reale confronto con le analitiche motivazioni poste a fondamento dell’ordinanza impugnata, che ha esaminato approfonditamente i numerosi elementi acquisiti a carico del COGNOME, pervenendo alla conclusione, strettamente ancorata alle emergenze investigative, che lo stesso ha apportato un contributo, avente effettiva rilevanza causale, alla conservazione o al rafforzamento della consorteria; ed invero, il Tribunale del riesame ha valorizzato l’appartenenza dello stesso al clan camorristico COGNOME, la cui esistenza, come si Ł appena ricordato, Ł stata accertata in pregressi procedimenti penali, ed ha messo in luce gli strettissimi rapporti e le cointeressenze tra il COGNOME e i principali esponenti della famiglia COGNOME; ha evidenziato il «ruolo centrale» svolto dal COGNOME, «di collegamento e raccordo tra i vari gruppi criminali», ricavabile da numerose conversazioni intercettate, dalle quali si evinceva, tra l’altro, che anche nel corso della sua detenzione il COGNOME impartiva direttive, tramite la sua convivente ed i suoi due figli, «volte alla risoluzione di controversie tra gli associati (in particolare, controversia Amico-Pace) e alla commissione di una serie di delitti in materia di armi e munizionamento, contro la vita e l’incolumità individuale, traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni, riciclaggio, intestazioni fittizie»; ha richiamato le conversazioni intercettate che evidenziavano il suo coinvolgimento nel traffico di stupefacenti gestito dal sodalizio, «quanto meno nella spartizione dei guadagni»; ha sottolineato che il COGNOME ed il suo nucleo familiare, durante il periodo di detenzione dell’odierno ricorrente, avevano fruito del sostentamento del clan, citando, ad esempio, la conversazione n. 1079 del 30 settembre 2020, dalla quale si evinceva che NOME COGNOME aveva consegnato diecimila euro alla sua convivente NOME COGNOME, e quella n. 2788 del 30 novembre 2020, dalla quale si evinceva che l’COGNOME aveva versato quindicimila euro all’avvocato che difendeva il RAGIONE_SOCIALE; ne ha ricordato il diretto coinvolgimento nella gestione e nel controllo di alcune attività economiche riconducibili al sodalizio, operanti nei piø diversi settori (logistica, edilizia, trasporti, sanificazione); ha evidenziato che il Vestiti aveva partecipato ad alcuni nevralgici summit (ad esempio, quelli del 3 e del 18 giugno 2020); ha concluso osservando che «RAGIONE_SOCIALE NOME si Ł posto all’interno della compagine associativa quale vero e proprio uomo-chiave dell’associazione, che ha diretto mediante i familiari anche nel corso della sua carcerazione. Non c’Ł settore delle molteplici attività della compagine associativa di cui non si sia interessato, dalle estorsioni agli stupefacenti, alle attività edilizia al settore delle altre attività economiche, quali le ambulanze. La centralità del suo ruolo, la sua vera e propria immanenza, Ł efficacemente rappresentata tra le molte intercettazioni dalla espressione piø volte ricordata, di Crea Santo (‘voi siete l’epicentro di molti equilibri, per i figlioli, per noi tutti, NOME!’)».
Anche le doglianze relative alla condotta partecipativa del COGNOME appaiono, dunque, destituite di fondamento, avendo il Tribunale del riesame esaustivamente analizzato e correttamente valorizzato le emergenze investigative, prestando, peraltro, pieno ossequio ai consolidati orientamenti di legittimità in base ai quali «Ai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, non Ł necessario che il membro del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi del programma criminoso ovvero di altre condotte idonee a rafforzarne la struttura operativa, essendo sufficiente che lo stesso assuma o gli venga riconosciuto il ruolo di
componente del gruppo criminale» (Sez. 2, n. 18559 del 13/03/2019, COGNOME, Rv. 276122 – 01) e «In materia di associazione di tipo mafioso, sono elementi fattuali sufficienti a far ritenere integrata la condotta di partecipazione alla associazione, l’essere a conoscenza dell’organigramma e della struttura organizzativa delle cosche della zona, dell’identità dei loro capi e gregari, dei luoghi di riunione, degli argomenti trattati e l’essere stato ammesso a partecipare a degli incontri in contesti deputati all’inserimento di nuovi sodali» (Sez. 1, n. 4937 del 19/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254915 – 01).
3.4. Il motivo di ricorso relativo ai reati contestati al Vestiti ai capi 5), 13), 14) e 16) Ł destituito di fondamento.
Deve, innanzitutto, escludersi la dedotta inammissibilità dell’appello, essendo in proposito sufficiente richiamare i passaggi con i quali il pubblico ministero ha indicato con sufficiente chiarezza gli specifici motivi che sorreggevano il gravame, con riferimento:
al capo 5): il pubblico ministero ha contestato l’esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis .1 cod. pen., rilevando che «Il riconoscimento dell’esistenza del reato associativo di cui al capo 1), pertanto, consente il riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416 bis .1 c.p., in quanto, Ł evidente che la detenzione fosse funzionale al sistema mafioso lombardo» (pag. 772);
al capo 13): il pubblico ministero ha contestato l’esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis .1 cod. pen., rilevando che «Il Giudicante sottovaluta la circostanza che COGNOME abbia subito minacce, anche gravi, da parte degli estorsori, tanto da dover pagare una rilevante somma – definita come interessi – per il ritardo con cui salda il debito iniziale. La circostanza poi che: ‘COGNOME NOME e COGNOME, costoro non appartengono, neppure nella tesi accusatoria, ad alcun sodalizio’ non incide sulla sussistenza del metodo mafioso. Al riguardo si osserva come la giurisprudenza di legittimità ha statuito che la circostanza aggravante del cosiddetto ‘metodo mafioso’ Ł configurabile anche a carico di un soggetto che non faccia parte di un’associazione di tipo mafioso, ma ponga in essere, nella commissione del fatto a lui addebitato, un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente e alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga a un sodalizio del genere anzidetto (Sez. 2, n. 38094 del 05/06/2013; Sez. 1, n. 4898 del 26/11/2008) e non necessita che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia richiamino alla mente e alla sensibilità del soggetto passivo la forza intimidatrice tipicamente mafiosa del vincolo associativo (Sez. 2, n. 27548 del 17/05/2019; Sez. 2, n. 16053 del 25/03/2015)’. Il riconoscimento dell’esistenza del reato associativo di cui al capo 1), pertanto, consente il riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416 bis .1 c.p. Anche per questo capo di imputazione, pertanto, l’ordinanza va riformata con applicazione della misura cautelare per tutti gli indagati» (pagine 891 s.);
al capo 14): il pubblico ministero ha contestato l’esclusione dei gravi indizi ricostruendo i fatti e rilevando che «Anche in questa circostanza il Giudicante non tiene conto dell’insieme delle risultanze investigative a carico di COGNOME e COGNOME. Nella ricostruzione delle condotte, infatti, non emergono unicamente le confidenze fra i due creditori, seppur riconosciute dure dal decidente, bensì e di maggior interesse, si rilevano le frasi utilizzate proprio da COGNOME direttamente nei confronti della vittima COGNOME*; parole nelle quali emerge fortemente una condotta silente, fatta di messaggi velati, tipicamente mafiosa» (pag. 894), e che «Anche per questo capo di imputazione, pertanto, l’ordinanza va riformata, con applicazione della misura cautelare per tutti gli indagati» (pag. 896);
* al capo 16): il pubblico ministero ha contestato l’esclusione dei gravi indizi ricostruendo i fatti e rilevando che «In relazione al capo 16 di imputazione, il Giudice riconosce la caratura criminale degli autori ed il loro inserimento in contesti di criminalità organizzata, ritenendo, altresì, che in
assenza di una minaccia diretta ed esplicita, la condotta non possa assurgere a manifestazione estorsiva, così ignorando la valenza intimidatrice della mera appartenenza al contesto criminale riconosciuto, affermando testualmente ‘per di piø se si tiene conto della caratura criminale di appartenenza dei predetti (componente romana)’. Va evidenziato, inoltre, come il Giudicante non tenga minimamente conto del tenore delle intercettazioni piø rilevanti, dalle quali emerge con estrema chiarezza la condotta estorsiva posta in essere dagli odierni indagati Il Giudice ha omesso di valutare che l’episodio estorsivo in esame, quindi, Ł un chiarissimo esempio di come l’associazione mafiosa operi in modo silente (sul punto v. Cass. Pen., II Sez., pag. 257, sentenza n. 24851 «Sembra persino poco importare che l’impiego della forza intimidatoria del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento e di omertà abbia avuto maggiore o minore successo; tale impiego, anche minimo, Ł già di per sØ sufficiente ad integrare il delitto previsto dall’art. 416 bis c.p.»), vale a dire senza ricorrere a forme eclatanti, ma avvalendosi di quella forma di intimidazione che deriva dal non detto, dall’accennato, dall’evocazione di una potenza criminale cui si ritenga vano resistere, come emerge chiaramente dalle stesse parole di COGNOME NOME (ignorate del tutto dal decidente) nel colloquio intercorso con NOME COGNOME: ‘senza spari, hai visto com’Ł cambiato tutto?’. Anche per questo capo di imputazione, pertanto, l’ordinanza va censurata ed applicata la misura cautelare per tutti gli indagati con l’aggravante speciale» (pagine 907 s);
* alla aggravante mafiosa: «Nel caso di specie l’aggravante in esame ricorre indubbiamente nella forma dell’agevolazione dell’associazione mafiosa, vista la finalizzazione specifica delle attività contestate, nonchØ nella forma del metodo mafioso ogni qualvolta la condotta sia stata posta in essere avvantaggiandosi ed approfittando delle condizioni di assoggettamento ed omertà di cui il sistema mafioso lombardo si avvale (nelle singole articolazioni di riferimento). L’ordinanza del Gip va, pertanto, riformata anche sul punto» (pag. 1076).
Il pubblico ministero non si Ł, dunque, limitato a riproporre quanto già illustrato nella richiesta parzialmente disattesa dal giudice per le indagini preliminari, ma ha corredato l’atto di appello di una puntuale critica delle motivazioni con le quali il giudicante aveva escluso la gravità indiziaria in relazione ad alcuni reati ovvero ad alcune circostanze aggravanti.
Ciò posto, rimane da osservare che la doglianza sviluppata in relazione al capo 5) (esclusivamente con riferimento alla circostanza aggravante, non contestandosi la gravità indiziaria già riconosciuta dal giudice per le indagini preliminari) Ł generica ed aspecifica, avendo il Tribunale del riesame messo in evidenza la stretta correlazione tra le attività delittuose del sodalizio mafioso oggetto di investigazione e la disponibilità dell’arma in oggetto, con argomentazione sintetica ma esaustiva, non adeguatamente contrastata dal ricorrente.
Le doglianze sviluppate in relazione ai capi 13), 14) e 16) propongono, invece, una inammissibile ricostruzione alternativa degli elementi indiziari analiticamente illustrati dal Tribunale del riesame alle pagine 276 e seguenti del provvedimento impugnato.
In particolare, i giudici milanesi hanno ineccepibilmente valorizzato:
quanto al capo 13), le propalazioni della persona offesa NOME COGNOME* per ritenere sussistente la contestata circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis .1 cod. pen., essendosi in proposito ineccepibilmente rilevato che il reato Ł stato commesso allo scopo di agevolare il sodalizio, ed altresì che «per tutta la durata della condotta estorsiva, la p.o. ha visto evocare ai propri danni, da parte dei propri asseriti creditori, la contiguità degli stessi ad una associazione mafiosa, funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune»;
* quanto al capo 14), il contenuto delle conversazioni intercettate tra il Vestiti e la persona
offesa NOME COGNOME e tra il COGNOME e NOME COGNOME (cfr. conversazioni n. 744 e n. 751 dell’1 maggio 2020) e tra la convivente del COGNOME e NOME COGNOME (cfr. conversazione n. 4675 dell’11 gennaio 2021), nonchØ le deposizioni della persona offesa del delitto sub 13) NOME COGNOME non certo in maniera errata o illogica, come ipotizzato dal ricorrente, ma solo per evidenziare che il COGNOME era evidentemente noto quale soggetto al quale potevano rivolgersi imprenditori in difficoltà per ottenere prestiti di denaro, e, dunque, per mettere in luce la natura illecita dell’operazione economica sottostante alla contestata estorsione; il provvedimento impugnato ha, dunque, correttamente rilevato che il quadro indiziario rendeva evidente tanto che il credito vantato dal COGNOME nei confronti del COGNOME originasse da un pregresso illecito (usura o riciclaggio), quanto, e soprattutto, che il COGNOME ne aveva preteso la restituzione con «una condotta silente, fatta di messaggi velati, tipicamente mafiosa» (conversazione n. 744 dell’1 maggio 2020), evidenziando altresì che, dopo che l’arresto del COGNOME, avvenuto il 19 giugno 2020, aveva sostanzialmente vanificato l’operazione perfezionatasi con la cessione di azienda del 25 maggio 2020 (allorquando la RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto alla RAGIONE_SOCIALE un ramo d’azienda, per l’importo di € 42.000), alcuni sodali del RAGIONE_SOCIALE, tra i quali il Castiglia, erano ritornati alla carica con il COGNOME per ottenere la restituzione delle somme; l’estorsione doveva ritenersi aggravata ai sensi dell’art. 416 bis .1 cod. pen., tanto perchØ aveva agevolato il sodalizio, nel cui interesse era stata perpetrata, quanto per le modalità della condotta, ad esempio in relazione alle richieste di pagamento pronunciate, dopo l’arresto del COGNOME, da terzi estranei, anch’essi appartenenti al clan oggetto di indagine;
quanto al capo 16), il contenuto di alcune conversazioni intercettate ( in primis quelle tra il COGNOME e NOME COGNOME, nn. 286 e 288 del 16 maggio 2020) per ritenere sussistenti, nonostante le «caute» deposizioni della persona offesa, i gravi indizi dell’estorsione aggravata in contestazione, che consentiva agli indagati di assumere il controllo su un’attività imprenditoriale nella quale verranno poi coinvolti l’COGNOME ed i figli del COGNOME; in particolare, il provvedimento impugnato rilevava che il compendio indiziario rendeva evidente che il COGNOME aveva ottenuto dal Sanfilippo la cessione della sua attività di autonoleggio ad un prezzo assai inferiore rispetto a quello originariamente richiesto, non indirizzandogli esplicite minacce, ma facendo leva sulla caratura criminale sua e delle persone alle quali aveva riferito di essere legato; in proposito rimane da osservare che il bonifico effettuato da NOME COGNOME in favore del Sanfilippo, documentato dal ricorrente, non appare di per sØ solo idoneo, allo stato, a disarticolare il quadro indiziario, non potendosi escludere che quel versamento, e la conseguente assunzione del figlio del COGNOME (ovvero il suo formale ingresso nei ranghi sociali), rientrassero negli accordi illeciti ai quali il COGNOME* dovette sottostare per effetto della condotta estorsiva dell’odierno ricorrente.
3.4. Quanto, infine, alle doglianze relative alle esigenze cautelari, esse sono del tutto destituite di fondamento, essendo in proposito sufficiente rilevare che l’ultima parte dell’appello del pubblico ministero conteneva (a partire da pag. 1076) approfondite considerazioni in tema di esigenze cautelari (alcune delle quali relative proprio alla figura del Vestiti: cfr. pag. 1077, 1111), che andavano ad aggiungersi a quelle già sviluppate in sede di richiesta di misura; peraltro, si sarebbe senz’altro potuto invocare ancora maggiore specificità nei motivi sviluppati in relazione alle esigenze cautelari solo ove il pubblico ministero avesse presentato appello avverso un’ordinanza che, riconosciuti i gravi indizi di colpevolezza, aveva escluso la sussistenza di esigenze cautelri: il pubblico ministero ha, invece, impugnato un’ordinanza che ha escluso i gravi indizi della sussistenza del reato di associazione mafiosa, reato per il quale il legislatore ha previsto una presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, sicchØ, anche alla luce di questa considerazione, i motivi di appello sviluppati sul punto devono ritenersi sufficientemente specifici.
Sul punto va, infine, rilevato che il provvedimento impugnato non si Ł limitato a ricordare la
sicura operatività della appena richiamata presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (deve, in proposito, rammentarsi il consolidato orientamento di legittimità in base al quale «In tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente”, ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati, non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari»: Sez. 2, n. 38848 del 14/07/2021, Giardino, Rv. 282131 – 01), ma ha anche argomentato (cfr. pagine 299 e 300) sulla concreta configurabilità del pericolo di recidivanza in relazione al Vestiti, con motivazioni con le quali, ancora una volta, il ricorrente non si confronta in alcun modo.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 31/01/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente
NOME COGNOME