Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11772 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11772 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a TARANTO COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a TARANTO DI BELLA NOME nato il DATA_NASCITA a TARANTO COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a TARANTO COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a TARANTO COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a TARANTO BASILE NOME nato il DATA_NASCITA a TARANTO avverso la sentenza in data 12/10/2022 della CORTE DI APPELLO DI LECCE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
ascoltata la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
ascoltato l’AVV_NOTAIO che, anche per delega dell’AVV_NOTAIO e nell’interesse di BASILE NOME, ha illustrato i motivi dei ricorsi e ne ha chiesto l’accoglimento;
ascoltato l’AVV_NOTAIO che, per delega dell’AVV_NOTAIO e nell’interesse di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, si è riportato ai motivi dei ricorsi e ne ha chiesto l’accoglimento;
ascoltata l’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che, nell’interesse di COGNOME RAGIONE_SOCIALE, ha illustrato i motivi del ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
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RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, per il tramite dei rispettivi difensori e con separati ricorsi, impugnano la sentenza in data 12/10/2022 della Corte di appello di Lecce che -in seguito ad annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione con sentenza n. 36555 del 10/12/2020-, in riforma della sentenza in data 16/01/2018 del G.u.p. del Tribunale di Lecce e in accoglimento dell’appello del Procuratore generale, ha ritenuto gli odierni ricorrenti responsabili del reato di cui all’art. 416-bis, commi primo e quarto, cod. pen..
Deducono:
COGNOME NOME.
1.1. Violazione di legge in relazione all’art. 416-bis cod. pen., inosservanza di norma processuale in relazione agli artt. 192 e 546 cod. proc. pen. e vizio di mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Il ricorrente denuncia sostanzialmente l’apparenza della motivazione in relazione al reato associativo, in quanto la Corte di appello si è limitata a richiamare le argomentazioni dell’ordinanza cautelare, ritenendole generalmente convincenti, senza tuttavia spiegare le ragioni della condivisione, così attuando una trasposizione acritica del provvedimento cautelare nella sentenza.
Denuncia altresì il travisamento della prova, in quanto la Corte di appello ha ritenuto la natura mafiosa del gruppo vicino a COGNOME NOME detto “COGNOME” trasferendo sul gruppo la mafiosità di quest’ultimo, già condannato con sentenza definitiva per il reato di associazione mafiosa, così attribuendo al gruppo la qualità del capo, là dove era necessario acquisire -tra l’altro- il requisito dell’avvalersi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva.
Specifica come tale requisito non si sia esteriorizzato al di fuori del gruppo e come a tal fine non siano idonee le vicende di usura ed estorsione e quelle relative ai venditori ambulanti NOME e NOME, così come non lo sono né il prestigio criminale di NOME, né quanto accaduto in occasione della morte di quest’ultimo.
Aggiunge che non sono idonee a dimostrare la mafiosità dell’associazione la conversazione intercorsa tra COGNOME e COGNOME NOME il 23/04/2013, la previsione di gradi, i riti per avanzare di grado, il vincolo di solidarietà e assistenza per i detenuti e l’esistenza di una cassa comune.
1.2. Con riferimento alla disponibilità di armi, osserva che la circostanza doveva essere conosciuta dai sodali mentre non era sufficiente una generica “non ignoranza”; aggiunge che comunque le armi non erano mai state utilizzate per la commissione di reati-fine, tranne che per l’attentato a COGNOME NOME, ossia per un episodio che si assume inidoneo a provare l’associazione, atteso che si tratta di
un’azione isolata e individuale ascrivibile al solo NOME COGNOME.
1.3. Quanto alla partecipazione di COGNOME all’associazione, si denuncia l’omessa motivazione sul punto, in quanto la Corte di appello si limita a riportare quanto esposto nell’appello del Procuratore generale in relazione alle posizioni accomunate di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in relazione all’asserito controllo dell’esercizio di alcune attività economiche svolte in forma ambulante.
Denuncia l’illogicità della motivazione in relazione alle intercettazioni n. 1870 del 19/06/2013, della conversazione n. 937 del 25/04/2013 e a quella n. 3028 del 19/04/2013.
COGNOME NOME.
Il ricorso è sostanzialmente sovrapponibile a quello di COGNOME NOME, cui si rimanda.
DI BELLA NOME.
3.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’esistenza dell’associazione mafiosa denominata RAGIONE_SOCIALE e della partecipazione a essa di COGNOME.
Secondo il ricorrente, la Corte di appello è pervenuta all’affermazione della responsabilità sula base di una motivazione carente, illogica e contraddittoria e in forza di un travisamento della prova, in quanto costituita dalla mera trasposizione di alcune argomentazioni del giudice di primo grado ovvero dalla pedissequa riproduzione del contenuto delle conversazioni intercettate, senza argomentazioni utili o comprendere l’iter logico seguito per addivenire alla decisione.
Osserva che la partecipazione dell’imputato all’associazione viene giustificata sulla base di singoli episodi, per lo più non contestati direttamente a COGNOME e rispetto ai quali non compare o compare come soggetto terzo.
Aggiunge che tanto avveniva senza ampliare la piattaforma di elementi che aveva condotto alla sua assoluzione in primo grado, mentre gli elementi valorizzati dalla Corte di appello non sono idonei a dimostrare la partecipazione di COGNOME al sodalizio, quali le intercettazioni relative all’attività della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per la vicenda è stato anche assolto.
Elementi che vengono compendiati e illustrati.
Anche COGNOME sostiene l’assenza dei requisiti richiesti per ritenere configurata l’associazione mafiosa.
COGNOME NOME.
4.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 416-bis cod. pen..
Il ricorso è sostanzialmente sovrapponibile a quello di COGNOME NOME e COGNOME NOME quanto all’esistenza del sodalizio e alla disponibilità di armi.
Con riguardo alla partecipazione di COGNOME al sodalizio sono compendiati e
illustrati gli elementi valorizzati dalla Corte di appello, al fine di evidenziarne l’inidoneità probatoria, concentrandosi particolarmente sulla inidoneità dimostrativa della condanna riportata separatamente per il fatto contestato al capo M), visto che un singolo reato fine non è sufficiente al fine di ritenere NOME partecipe dell’associazione con il ruolo di autista e detentore di armi nell’interesse della stessa.
COGNOME NOME.
5.1. Con l’AVV_NOTAIO.
5.1.1. Vizio di motivazione in relazione all’art. 416-bis cod. pen..
Il ricorrente sostiene che dall’apparato argomentativo della sentenza impugnata non è possibile evincere con chiarezza sulla scorta di quali argomentazioni i giudici di merito sono pervenuti all’affermazione della responsabilità di COGNOME.
Le censure si rivolgono in particolar modo al valore probatorio attribuito alla conversazione n. 1870 del 19/06/2013 e alla vicenda relativa ai venditori ambulanti, alla conversazione del 04/04/2014 relativa al servizio di guardianìa, alla conversazione n. 2 del 04/04/2014 riferita alla vicenda relativa alla RAGIONE_SOCIALE“, al cui riguardo si assume che da esse non si può evincere la sussistenza degli elementi necessari per integrare una stabile ed effettiva partecipazione di Di COGNOME al gruppo organizzato, anche alla luce degli orientamenti espressi dalla Corte di cassazione, che a tal fine pretendono la prestazione di un effettivo contributo alla realizzazione dei fini associativi, mentre risulta insufficiente una mera condivisione psicologica.
5.1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio.
Il ricorrente si duole anzitutto dell’omessa motivazione sulla ritenuta recidiva, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo ai precedenti penali evocati dal giudice di primo grado, peraltro risalenti nel tempo.
Aggiunge che la motivazione è erronea nella parte in cui esclude che l’imputato abbia fornito un contributo minimo, mentre avrebbe dovuto considerare che COGNOME è stato assolto per due reati, ossia per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 (associazione dedita agli stupefacenti) e per un reato satellite.
5.2. Con l’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
5.2.1. Mancata valutazione di una prova decisiva e omessa motivazione in relazione all’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen..
Con il motivo in esame la difesa sostiene che la motivazione è la mera trasposizione delle argomentazioni esposte dal pubblico ministero nell’atto di appello, e si risolve nell’elencazione degli elementi a carico di COGNOME, senza tuttavia spiegare la loro valenza probatoria.
Quanto all’omessa valutazione di una prova decisiva, il ricorrente si riferisce
all’ordinanza cautelare emessa nei confronti di COGNOME in altro procedimento, nella quale questi viene considerato a capo di altra associazione operante nello stesso territorio di quello per cu si trova imputato, così emergendo un dato inconciliabile, ossia che COGNOME è a capo di due organizzazioni di due associazioni concorrenti.
Aggiunge che la Corte di appello è incorsa nel medesimo vizio per cui è stato pronunciato l’annullamento dalla Corte di cassazione, atteso che anche in questo caso non si rinvengono i caratteri della c.d. motivazione rafforzata, visto che la Corte di appello si limita a esporre una valutazione della medesima piattaforma probatoria in maniera diversa da quella ritenuta dal giudice di primo grado.
Secondo il ricorrente, infine, nel caso in esame ricorrevano le condizioni per la rinnovazione obbligatoria dell’istruttoria, vertendosi in ipotesi di sentenza di proscioglimento pronunciata con il rito abbreviato e riformata in pejus, in ossequio agli insegnamenti della sentenza delle Sezioni unite c.d. Troise (Sez. U, Sentenza n. 14800 del 21/12/2017 Ud. (dep. 03/04/2018 ) Rv. 272430 – 01).
Lamenta, altresì, la mancata valutazione della produzione documentale, nella specie di ordinanze di custodia cautelare tese a dimostrare l’insussistenza della condotta di partecipazione al reato associativo nell’ambito della stessa realtà locale.
COGNOME NOME.
6.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 416-bis cod. pen. e violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 6 CEDU.
Secondo il ricorrente la sentenza non risulta adeguatamente motivata in ordine alla ritenuta sussistenza del sodalizio mafioso, in quanto la Corte di appello non offre un quadro chiaro quanto alla genesi della nuova compagine, non spiegando se sia la prosecuzione della precedente associazione ovvero si tratti di un nuovo e autonomo gruppo, così non risolvendo il problema temporale.
Precisa come l’adesione all’una o all’altra ipotesi muti il regime probatorio richiesto per verificare l’esistenza di un’associazione preesistente ovvero una nuova compagine mafiosa, visto che in tale ultimo caso occorre dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi previsti dall’art. 416-bis cod. pen., che vengono enucleati nel ricorso e al cui riguardo si assume l’omessa motivazione, con particolare riferimento alla posizione e al ruolo di COGNOME.
6.2. Motivazione illogica o apparente per la mancanza di un’effettiva valutazione delle risultanze processuali. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125, comma 3, 546, comma 1 cod. proc. pen., all’art. 111 Cost. e all’art. 6 CEDU.
In questo caso il ricorrente si duole della mancata considerazione delle argomentazioni difensive esposte in relazione alla congruità del trattamento sanzionatorio, visto che la Corte di appello si riportava alle motivazioni del giudice di primo grado, in assenza di una necessaria rivisitazione critica delle stesse.
Tanto si sottolinea in relazione agli aumenti di pena per la continuazione, al cui riguardo si sottolinea l’apparenza della motivazione, anche avendo riguardo alla sua entità, pari a un anno e sei mesi di reclusione.
7. BASILE NOME.
7.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 416-bis cod. pen. e agli artt. 192, 527 e 649 cod. proc. pen..
Anche in questo caso viene denunciata la mancanza di una motivazione rafforzata.
A sostegno dell’assunto viene riportata e compendiata la motivazione della sentenza che aveva portato all’assoluzione in primo grado, al fine di risaltare l’apparenza della motivazione della Corte di appello, i cui contenuti vengono illustrati.
Aggiunge che la Corte di appello non ha fornito la prova della funzione di “cassiere” e di “esattore” del sodalizio, non essendovi la prova della esclusività delle sue condotte in favore dell’associazione.
Il ricorrente assume altresì che la Corte di appello ha escluso la violazione del divieto di bis in idem con il solo riferimento al dato temporale, inidoneo a eliminare l’assenza di elementi che potessero confermare l’esistenza della affectio societatis in dialoghi che contenevano solo disistima, intenzioni di vendetta e mancanza totale di fiducia.
Osserva che, comunque, la Corte di appello non ha individuato elementi dimostrativi della partecipazione contemporanea di NOME a due distinte associazioni, l’una dedita agli stupefacenti e l’altra di tipo mafioso, sulla base dell’identica piattaforma probatoria.
Secondo il ricorrente la Corte di appello non ha raggiunto la prova neanche della partecipazione di NOME alla consorteria mafiosa, avendo anche riguardo al breve arco temporale in cui si sarebbero manifestate le condotte.
Lamenta la mancata considerazione degli elementi di favore esposti dalla difesa già in primo grado.
7.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen.
A tale proposito si assume che la Corte di appello non ha fornito la prova della riferibilità alla consorteria della disponibilità delle armi e non piuttosto a singol individui.
7.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 62 bis e 133 cod. pen..
Secondo il ricorrente la Corte di appello ha negato le circostanze attenuanti generiche con motivazione illogica e contraddittoria, facendo riferimento ai precedenti penali -poi sminuiti in relazione alla recidiva- e senza considerare che
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anche per fatti gravi è possibile riconoscere circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili, per le ragioni che si vanno a specificare, procedendosi a trattare unitariamente e congiuntamente i temi comuni a tutti i ricorrenti, ossia quelli correlati alle denunce di violazione di legge e di vizio di motivazione in relazione all’esistenza di una motivazione rafforzata, alla prova e ai requisiti di un’associazione per delinquere di tipo mafioso e alla disponibilità di armi. Dipoi saranno trattati i temi esclusivamente riferibili alla posizione di ogni singolo ricorrente, così come sollecitati con i rispettivi atti d’impugnazione.
1.1. GLYPH La denuncia di violazione di legge per l’insussistenza di una motivazione rafforzata è inammissibile perché manifestamente infondata.
A tale riguardo, va ricordato che «in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’obbligo di motivazione rafforzata prescinde dalla rinnovazione dell’istruttoria, prevista dall’art.603, comma 3-bis, cod.proc.pen., in quanto trova fondamento nella mera necessità di dare una spiegazione diversa rispetto a quella cui era pervenuta la sentenza di primo grado)», (Sez. 6 – , Sentenza n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056 – 01).
La motivazione della sentenza impugnata ha rispettato i criteri ora indicati, in quanto i giudici della Corte di merito hanno previamente illustrato le argomentazioni sviluppate dal giudice di primo per poi spiegare le ragioni per cui quelle venivano ritenute non condivisibili, così -peraltro- ottemperando all’obbligo di uniformarsi alla sentenza di annullamento della Corte di cassazione, per come richiesto dall’art. 627, comma 3, cod. proc. pen..
Il contrario assunto difensivo si presenta manifestamente infondato e, prima ancora, generico, in quanto si risolve in una mera enunciazione prp .va di corrispondenza nella lettura del provvedimento impugnato.
1.2. Con riguardo al tema della sussistenza dell’associazione per delinquere di tipo mafioso, occorre premettere che secondo l’ipotesi d’accusa ritenuta fondata dalla Corte di appello, il sodalizio criminoso di che trattasi sarebbe di pregressa costituzione (in ragione dei precedenti giudiziali che ne avevano certificato l’esistenza) e avrebbe trovato una sorta di reviviscenza in seguito al
ritorno di NOME nel territorio di Taranto, dopo un periodo di carcerazione.
A fronte di tale ipotesi, al fine di individuare i criteri da applicare per ritenere la sussistenza di un’associazione mafiosa, occorre richiamarsi a quanto già affermato da questa Corte, là dove ha puntualizzato che «il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. è configurabile anche nel caso di “ricostituzione” di un gruppo criminale a distanza di tempo da parte di noto capo mafia, di dimostrata caratura criminale, inserito in ambito di mafie storiche (nel caso di specie “RAGIONE_SOCIALE“), senza che sia necessaria un’esteriorizzazione della forza di intimidazione, considerato il capitale criminale della associazione mafiosa di riferimento e il diffuso riconoscimento della capacità di aggressione di persone e patrimoni da parte della stessa, anche nel caso di riferimento “implicito o contratto” alla forza criminale del sodalizio mafioso», (Sez. 2 – , Sentenza n. 27808 del 14/03/2019, COGNOME, Rv. 276111 – 01).
1.2.1. La sentenza impugnata ha ampiamente rispettato i canoni di valutazione così delineati.
Va infatti osservato che, alla luce di tale principio di diritto, al fine di soddisfare l’obbligo di motivazione circa l’esistenza della consorteria mafiosa, sarebbe stato sufficiente richiamare i precedenti giudiziali che attestavano la pregressa esistenza di una consorteria di tipo mafioso nel territorio di Taranto, Statte e comuni viciniori e risaltare la figura di COGNOME NOME, la cui caratura e notorietà criminale erano stati già fissati in precedenti sentenze irrevocabili, evidenziando -al contempo. il nuovo coagulo del gruppo attorno alla sua persona, una volta rientrato nel territorio in cui già era operativa la frangia della sacra Corona Unita da lui capeggiata.
La Corte di appello, invece, è andata oltre e ha anche indicato tutta una pluralità di elementi, dalla cui lettura congiunta emerge la dimostrazione -oltre che la riaggregazione del gruppo attorno a NOME– del riconoscimento a livello sociale della forza intimidatrice di tale gruppo e della sua capacità di condizionamento, della esteriorizzazione di tale forza intimidatrice, che si è sostanzialmente riespansa con il ritorno sul territorio di COGNOME NOME detto COGNOME.
La motivazione della sentenza della Corte di appello, in effetti, fa emergere il principale vizio della sentenza di primo grado, da rinvenirsi nella mancata considerazione della acclarata preesistenza di una c.d. mafia storica -con le conseguenti ricadute in punto di statuto probatorio applicabile- oltre che nella valutazione parcellizzata e slegata della molteplicità di elementi versati in atti, la cui lettura congiunta e reciprocamente collegata restituisce il quadro probatorio correttamente individuato dalla Corte di appello.
Proprio la lettura parcellizzata dei plurimi elementi pure individuati dal G.i.p. (e di seguito richiamati) ha prodotto l’intrinseca contraddittorietà della sentenza di
primo grado, da rinvenirsi nel fatto che quel giudice riconosceva l’esistenza del gruppo e del sodalizio coagulato attorno alla figura di NOME, ma non vi attribuiva la valenza mafiosa, ma neanche alcun altra valenza, così lasciando irrisolto il tema delle finalità perseguita da tale sodalizio, di cui pure -si ribadisce- aveva riconosciuto l’esistenza.
Tanto vale a dimostrare ulteriormente la manifesta infondatezza della doglianza difensiva secondo cui la sentenza impugnata sarebbe priva di una motivazione rafforzata.
1.2.2. La Corte di appello -dunque- richiama anzitutto i numerosi precedenti giudiziali dai quali è scaturita la storicizzazione della pregressa esistenza del sodalizio mafioso, così come acclarato nell’ambito dei procedimenti denominati RAGIONE_SOCIALE e Cruise definiti, rispettivamente, della Corte di assise d’appello di Taranto, con sentenza in data 13/10/1999 (irrevocabile il 26/10/2001) e con la sentenza del Tribunale di Taranto in data 16/02/2004 (irrevocabile il 01/11/2005), cui si aggiungono anche la sentenza in data 21/12/1992 (irrevocabile il 31/01/1994) pronunciata dalla Corte di appello di Lecce nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME e altri, oltre che i procedimenti denominati Duomo e Alias.
In tale contesto -sottolinea la Corte di appello- emerge la figura criminale (oltre che di COGNOME NOME e COGNOME NOME, pure imputati e condannati nell’odierno procedimento) di COGNOME NOME, risultato affiliato dapprima al RAGIONE_SOCIALE, con il ruolo di braccio armato, rendendosi responsabile dell’omicidio di COGNOME NOME e partecipando al gruppo d fuoco che attentò alla vita di COGNOME NOME, in contrasto con il RAGIONE_SOCIALE capeggiato dai fratelli. Successivamente -annota ancora la Corte di appello- fece parte del RAGIONE_SOCIALE COGNOME (per come risulta dal procedimento denominato Due Mari), nel cui ambito si è reso responsabile di molteplici fatti di estorsione in danno di operatori commerciali, itticoltori, pescatori e miticoltori.
Da qui l’ascesa criminale attestata con la sentenza resa all’esito del già menzionato procedimento denominato Cruise, che delineava la sua posizione apicale e portava alla sua condanna all’ergastolo e a uno stato detentivo che si protraeva fino al luglio 2011, quando NOME faceva rientro a Taranto in esecuzione dell’ordinanza in data 08/07/2011 che, per motivi di salute, ne disponeva la detenzione domiciliare.
1.2.3. Da qui origina il coagulo attorno a NOME di quel gruppo, per come già riconosciuto dal giudice di primo grado, che lo ha rinvenuto e lo ha ritenuto provato dalla lettura del coacervo di intercettazioni pure dettagliatamente descritte nella sentenza di primo grado, dove non si dubitava dell’esistenza del sodalizio, ma si negava la connotazione mafiosa per la (ritenuta) mancata esteriorizzazione della capacità d’intimidazione.
Esteriorizzazione che -per come evidenziato, non era in realtà necessaria, alla luce del principio di diritto sopra richiamato, che -inoltre- fa emergere la manifesta infondatezza della censura esposta diffusamente dalle difese, secondo cui non sarebbe possibile trasmettere al gruppo la caratura criminale del capo.
1.2.4. A ciò si aggiunga che la Corte di appello ha poi evidenziato tutta una serie di elementi significativi delle finalità che il gruppo prefigurava di realizzare, facendo leva su quel potere di intimidazione che sapeva di possedere proprio in ragione del retaggio proveniente dalla caratura e dai trascorsi criminali di NOME, la cui presenza rappresentava la continuità con il gruppo già esistente su quel territorio.
In tal senso vengono evidenziati una pluralità di elementi da cui traspare il progetto di prendere il controllo di varie attività economiche: l’ipotizzato uso di esplosivo per attentati dinamitardi in danno di coloro che potevano contrastare la realizzazione dei progetti del gruppo, per come ricavato dalla conversazione del 23 aprile 2013 intercorsa tra COGNOME e COGNOME NOME; la possibilità rappresentata da NOME di appropriarsi dell’attività commerciale gestita da NOME COGNOME, per come emergente dalla conversazione intercettata il 07/12/2013 e intercorsa tra lo stesso NOME ed NOME COGNOME; la manifestata intenzione di occuparsi in via esclusiva della distribuzione del ghiaccio industriale all’interno del mercato ittico di Taranto, sostituendosi all’impresa dei fratelli COGNOME, per come emerso dalle conversazioni intercettate il giorno 11/10/2013; il proposito manifestato da COGNOME di subentrare nell’appalto per la concessione dell’area parcheggi; il programmato uso di modalità intimidatorie nei confronti di altra impresa di RAGIONE_SOCIALE per neutralizzarne la concorrenza rispetto a quella controllata dagli affiliati (le RAGIONE_SOCIALE), per come emerso dall’intercettazione della conversazione intercorsa tra COGNOME NOME e COGNOME nell’autovettura Rover 75; la decisione del sodalizio di imporre una guardianìa a un’impresa che doveva realizzare un cantiere edilizio. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In un tale contesto -per come sottolineato dalla Corte di appello nel riformare la sentenza di primo grado- risulta tutt’altro che trascurabile il valore dimostrativo che si rinviene nella distribuzione di “doti” e di “gradi”, ossia delle gerarchie tipicamente mafiose descritte da COGNOME nella conversazione registrata il 02/11/2013 e intercorsa con COGNOME, al quale spiegava i riti di affiliazione; il “grado” della “Santa”, peraltro, era stato riconosciuto a COGNOME il 16/11/2013, nel corso di una cerimonia tenutasi presso l’abitazione di NOME, al quale NOME non poteva assistere, ma partecipava al successivo festeggiamento. Tanto emergeva dalla conversazione intercettata il 19 novembre 2013 e intercorsa tra NOME e NOME.
Parimenti significativa è la solidarietà per i detenuti e per la famiglia dei
detenuti, così come descritta al paragrafo 2.9..
Il rapporto di solidarietà e di sostentamento dei detenuti e delle loro famiglie, invero, è una vera e propria pietra angolare dell’accordo consociativo, in quanto espressione manifesta dell’esistenza del gruppo.
L’appartenenza al gruppo si manifesta anche attraverso il comune riconoscimento del capo che -nel caso in esame- emerge ed è stato puntualmente descritto dalla Corte di appello in relazione all’incidente (prima) e alla morte (poi) di NOME, nelle quali occasioni si assiste alla fibrillazione interna del gruppo, che si preoccupa per il rischio che la perdita del capo comporti anche la perdita del potere di intimidazione discendente dalla sua caratura criminale (il tema viene trattato dalla Corte nel paragrafo 2.6.).
Tanto a ulteriore dimostrazione di come la caratura criminale e la capacità d’intimidazione del boss si propaghi a tutta la cosca e di come i sodali siano ben consci di tale evenienza, tanto da preoccuparsi in tal senso dell’eventuale venir meno del capo.
Non va dimenticato, infine, che è emersa anche la disponibilità di una cassa comune, per come acclarato esaminando le posizioni di COGNOME e di COGNOME, entrambi autori della sottrazione di somme di denaro appartenenti al sodalizio e loro affidate.
1.2.5. La Corte di appello, ancora, ha evidenziato una serie di emergenze che facevano trasparire sia la “considerazione” sociale e il riconoscimento del potere d’intimidazione della cosca, sia la stessa esteriorizzazione di tale potere d’intimidazione.
A tale riguardo la Corte di appello valorizza: le richieste di intervento da parte di alcuni cittadini e ai successivi interventi attuati dal sodalizio al fine di dirimere alcune controversie su certuni crediti, negli episodi emersi dalle intercettazioni nn. 2j e 2k i cui contenuti sono descritti nella sentenza impugnata al paragrafo 2.8.1.; gli episodi relativi alle usure descritte al paragrafo 2.8.4., da dove emerge il potere d’intimidazione esercitato dalla cosca al fine di portare a frutto gli accordi usurari intercorsi tra COGNOME (usuraio), da una parte e COGNOME e COGNOME (vittime dell’usura), dall’altra parte; le vicende relative ai venditori ambulanti, al cui riguardo -al netto delle condotte di COGNOME– emerge il controllo della cosca su tale categoria di commercianti, così come rappresentato al paragrafo 2.8.2..
1.2.6. La Corte di appello si è anche occupata dell’aggravante correlata alla disponibilità di armi da parte del sodalizio.
In particolare, i magistrati dell’appello hanno valorizzato l’intercettazione intercorsa tra COGNOME e la moglie il 25/04/2013, nel corso della quale quello confidava a questa la necessità di occultare una pistola che deteneva presso la loro abitazione, facendo presente che doveva chiedere il permesso a COGNOME NOME, così
lasciando intendere che deteneva l’arma per conto della cosca.
Va evidenziato che COGNOME è stato condannato in questo procedimento per la detenzione dell’arma, il cui reato è stato contestato al capo N).
Anche NOME NOME è stato condannato per il reato in materia di armi contestato al capo M) anche a NOME e COGNOME NOME. NOME, tuttavia, è stato condannato separatamente, perché arrestato nella flagranza del reato.
La vicenda è quella relativa al procacciamento di armi in Calabria, con l’intervento di COGNOME e con la partecipazione attiva di COGNOME che, insieme alla moglie, fungeva da “staffetta” per proteggere il trasporto di una pistola Smith & Wesson TARGA_VEICOLO Magnum e di una mitraglietta TARGA_VEICOLO. TARGA_VEICOLO SITES SPECTRE, entrambe con relativo munizionamento. La Corte di appello ha ricondotto tale vicenda e tale acquisto di armi alla cosca, in ragione del coinvolgimento diretto da parte dei vertici, così come emerso dalle intercettazioni che hanno preceduto il viaggio per l’acquisto e l’acquisto medesimo, così come descritti alle pagine 119 e seguenti della sentenza impugnata, dove si evidenzia che presso l’abitazione di NOME venivano rinvenute anche 50 cartucce marca Fiocchi TARGA_VEICOLO. TARGA_VEICOLO.
Nella direzione in esame, non va neanche trascurata la conversazione del 23 aprile 2013 intercorsa tra COGNOME e COGNOME NOME, i quali ipotizzavano di ricorrere all’uso di esplosivo al fine di perseguire gli interessi della cosca.
La Corte di appello, quindi, -diversamente da quanto sostenuto dalle difeseha puntualmente motivato circa la riconducibilità della disponibilità di armi al gruppo e non ai singoli. La Corte di appello ha altresì evidenziato più volte la partecipazione corale e coesa di tutti i consociati alle vicende interessanti il gruppo, dal che discende la consapevolezza di ciascuno circa la disponibilità delle armi ovvero l’ignoranza colpevole circa tale evenienza.
Da ciò discende che deve ritenersi correttamente applicato il principio di diritto secondo cui «in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, la circostanza aggravante della disponibilità di armi, prevista dall’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen., è configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa, per l’accertamento della quale assume rilievo anche il fatto notorio della stabile detenzione di tali strumenti di offesa da parte del sodalizio mafioso. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile l’aggravante sia per la notorietà della disponibilità delle armi da parte dell’associazione camorristica sia per l’essere stato l’imputato arrestato con altro esponente del sodalizio per detenzione di armi)», (Sez. 2 – , Sentenza n. 50714 del 07/11/2019, Caputo, Rv. 278010 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 44704 del 05/05/2015, lana, Rv. 265254 – 01).
2. Con riguardo alla partecipazione dei ricorrenti al sodalizio, va premesso che già il giudice di primo grado aveva ritenuto la loro comune appartenenza al
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medesimo sodalizio.
La Corte di appello ha comunque evidenziato gli elementi a carico di ciascuno:
2.1. Ha esaminato la posizione di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME al paragrafo 3.3., e ha ritenuto la loro partecipazione al sodalizio in ragione del loro inserimento nel controllo del commercio degli ambulanti, della loro conoscenza della volontà di COGNOME NOME e COGNOME NOME (posti al vertice della consorteria) di imporre la guardanìa di cui si è già detto, della loro conoscenza dell’episodio del danneggiamento a opera dei già menzionati COGNOME e COGNOME delle telecamere poste dalla polizia giudiziaria in occasione delle indagini a loro carico e della loro vicinanza a NOME. Ulteriori condotte di partecipazione vengono descritte ai paragrafi 3.3.3., 3.3.4. e 3.3.5..
2.2. Ha esaminato la posizione di COGNOME NOME al paragrafo 3.8., dove la partecipazione del ricorrente al sodalizio viene ricavata -tra l’altro- dall’episodio dell’arresto in flagranza per la detenzione delle armi -di cui già si è detto- e dalla valorizzazione dell’assistenza legale procurata e dell’aiuto economico prestato ai sodali detenuti.
2.3. Ha esaminato la posizione di COGNOME NOME al paragrafo 3.10. e ha ricavato la sua partecipazione al sodalizio -tra l’altro- dalla sua vicinanza a NOME, dalla sua piena conoscenza del conferimento a NOME NOME della “dote” della “Santa”, partecipando ai successivi festeggiamenti, dall’appropriazione dei soldi della cosca, oltre che da numerose intercettazioni da cui si evince la sua disponibilità all’esecuzione di condotte materiali in favore della consorteria.
2.4. Ha esaminato la posizione di COGNOME NOME, ritenendo la sua partecipazione alla cosca con la funzione di cassiere, emersa dall’episodio della sottrazione del denaro descritta alle pagine 63 e seguenti e dal conseguente rendiconto preteso dal capo della cosca, ossia COGNOME NOME.
La Corte di appello, dando risposta al correlato motivo sollevato dalla difesa, ha escluso che potesse configurarsi una violazione del divieto di bis in idem in quanto il COGNOME era stato condannato quale cassiere anche in relazione all’associazione di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990. A tale proposito la Corte osserva che l’episodio della sottrazione si verifica in un periodo certamente successivo alle condotte per cui ha riportato condanna per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, visto che quest’ultima era datata fino all’aprile 2013, mentre l’episodio valorizzato dalla Corte risale ai mesi di agosto e settembre del 2013, per come si evince dalla data dele intercettazioni. Secondo la Corte di appello la funzione di cassiere in favore dell’associazione mafiosa si evince proprio dalla fiducia che il ricorrente godeva presso NOME NOME, appunto, gli affidava la cassa. Tanto è vero che le condotte sottrattive di NOME si realizzano nel periodo in cui NOME era in pericolo di vita, a seguito dell’incidente stradale in cui era coinvolto.
Con riguardo al trattamento sanzionatorio, la Corte di appello:
3.1. Ha negato le circostanze attenuanti generiche a COGNOME NOME osservando che non erano stati prospettati elementi positivamente valutabili in suo favore.
A tal proposito va ribadito che «il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato», (Sez. 4, Sentenza n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01);
3.2. Ha giustificato la pena inflitta COGNOME per il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso, in continuazione con i reati per cui aveva già riportato condanna (capi AV, BB, BD, BU, BZ e CA) valorizzando la posizione di assoluto rilievo da lui ricoperta nella compagine associativa;
3.3. Ha escluso che la condotta di COGNOME NOME avesse i connotati della minima importanza, avendo riguardo alle condotte evidenziate trattando la sua posizione. La Corte di appello ha altresì risaltato gli aspetti della pericolosità sociale e della capacità a delinquere di COGNOME così come evidenziata dal giudice di primo e così come emersa dalle condotte per cui veniva incriminato (e condannato) nell’odierno procedimento, oltre che dai numerosissimi precedenti penali.
Il brano di motivazione così sunteggiata funge da motivazione -sia pure implicita- circa il riconoscimento dell’indice di maggior pericolosità necessario per ritenere correttamente la recidiva.
Va ricordato, infatti, che «l’applicazione della recidiva facoltativa contestata richiede uno specifico onere motivazionale da parte del giudice, che, tuttavia, può essere adempiuto anche implicitamente», (Sez. 6, Sentenza n. 14937 del 14/03/2018, De Bellis, Rv. 272803 – 01).
Va dunque rilevato che -a fronte di una motivazione che certamente non può dirsi mancante e che non presenta profili di manifesta illogicità o di contraddittorietà patologica- le doglianze articolate nel ricorso non sono volte a evidenziare violazioni di legge o mancanze argomentative e manifeste illogicità della sentenza impugnata, ma mirano a sollecitare un improponibile sindacato sulle scelte valutative della Corte di appello, basate e sviluppate lungo una lineare e adeguata motivazione, strettamente ancorata a una completa e approfondita disamina delle risultanze processuali, nel rispetto dei principi di diritto vigenti in materia.
Da ciò discende la principale causa di inammissibilità dei ricorsi, dovendosi ribadire che sono inammissibili tutte le doglianze che -come nel caso in esame-
“attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2 – , Sentenza n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 01; Sez. 2, Sentenza n. 5730 del 20/09/2019 ud-, dep. 13/02/2020, COGNOME e altro, non massimata; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
A ciò si aggiunga che i ricorsi sono altresì caratterizzati dalla genericità, in quanto si risolvono in mere evocazioni di principi che, tuttavia, non sono in concreto correlati alla motivazione impugnata che, invero, è in gran parte ignorata, in quanto le doglianze si rivolgono a singoli aspetti, ma non si confrontano con la motivazione complessivamente e unitariamente considerata.
Tale rilievo risalta che la sentenza è affetta da aspecificità, il quale vizio si configura non solo nel caso della indeterminatezza e genericità, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Rv. 268823; Sez. 2, Sentenza n. 11951 del 29/01/2014 Rv. 259425, Lavorato; Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, COGNOME, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, COGNOME, Rv. 237596).
L’ultima ragione d’inammissibilità riguarda la questione processuale sollevata dalla difesa di COGNOME, che si lamenta della mancata riapertura dell’istruttoria dibattimentale ai sensi dell’art. 603, comma 3 – bis, cod. proc. pen., con l’acquisizione di documentazione, in particolare di ordinanze cautelari.
L’eccezione si mostra manifestamente infondata al solo rilevare come sia affatto inconferente il richiamo all’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., che impone la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale solo nel caso in cui la riforma della sentenza assolutoria sia stata provocata da una rilettura delle fonti dichiarative.
Nel caso in ispecie, infatti, la riforma della sentenza di primo grado non si è avuta per una rilettura delle fonti dichiarative che, invero, risultano sostanzialmente assenti.
Ciò è tanto vero che, difatti, il ricorrente non si duole della mancata nuova escussione di eventuali testimoni, bensì della mancata acquisizione di documentazione, così ponendo un’istanza che si pone al di fuori dall’ambito applicativo della norma che si assume violata.
Da qui la manifesta infondatezza e l’inammissibilità anche di tale ultimo
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motivo.
Quanto esposto comporta la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 22/02/2024