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Associazione mafiosa: la Cassazione e la custodia cautelare

La Suprema Corte ha respinto il ricorso di un individuo ultraottantenne, confermando la sua custodia cautelare in carcere per partecipazione ad associazione mafiosa (‘ndrangheta) con ruolo di vertice ed estorsione. La Corte ha stabilito che per una ‘filiale’ delocalizzata di una mafia storica, la forza intimidatrice può essere intrinseca, ereditata dall’organizzazione madre, senza necessità di atti di violenza palesi. Ha inoltre ritenuto sussistenti le ‘esigenze cautelari di eccezionale rilevanza’ che giustificano la detenzione per un anziano, dato il ruolo apicale e l’elevato rischio di recidiva.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione Mafiosa: Custodia Cautelare anche per Anziani e in Assenza di Violenza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato temi cruciali in materia di associazione mafiosa, confermando la custodia cautelare in carcere per un indagato di oltre ottant’anni con un ruolo di vertice. La decisione ribadisce principi fondamentali sulla ‘delocalizzazione’ delle mafie e sulla valutazione delle esigenze cautelari, offrendo spunti di riflessione sull’efficacia degli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata.

Il Caso: Ricorso Contro la Custodia in Carcere

Il caso riguarda un uomo, indagato per partecipazione ad un’articolazione territoriale della ‘ndrangheta con ruolo apicale e per due episodi di estorsione. Il Tribunale del Riesame di Torino aveva confermato la misura della custodia in carcere disposta dal GIP. La difesa ha proposto ricorso in Cassazione basandosi su otto motivi, contestando principalmente:

* La prova dell’esistenza di una ‘locale’ mafiosa e il suo legame con le ‘ndrine storiche calabresi.
* La sussistenza del numero minimo di associati richiesto dalla legge.
* La mancanza di una ‘forza intimidatrice’ esterna, ritenendo le condotte frutto del carattere dell’indagato e non di un metodo mafioso.
* L’inadeguatezza della valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
* L’insussistenza degli elementi del reato di estorsione.
* L’inapplicabilità della custodia in carcere a un soggetto ultraottantenne in assenza di esigenze cautelari di eccezionale gravità.

La ‘Mafia Silente’ e la Forza di Intimidazione Intrinseca

Uno dei punti più rilevanti della sentenza riguarda la nozione di ‘forza intimidatrice’ in contesti di delocalizzazione mafiosa. La difesa sosteneva che mancassero atti di violenza o minaccia espliciti che dimostrassero il potere del gruppo.

La Cassazione, richiamando un orientamento consolidato, ha smontato questa tesi. Ha spiegato che un’articolazione territoriale di una mafia storica, come la ‘ndrangheta in Piemonte, non ha bisogno di manifestazioni eclatanti di violenza per esercitare il proprio potere. Essa si avvale di una forza di intimidazione intrinseca, ereditata direttamente dalla ‘casa madre’. La ‘fama criminale’ dell’organizzazione è sufficiente a generare un clima di assoggettamento e omertà, permettendo al gruppo di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale. Questo fenomeno è noto come ‘mafia silente’: opera senza clamore, ma con la stessa efficacia, per controllare appalti, attività economiche e il territorio.

L’Associazione Mafiosa e i Requisiti per la Custodia Cautelare

La Corte ha rigettato anche gli altri motivi di ricorso, chiarendo aspetti importanti sulla configurabilità del reato e sulle misure cautelari.

Numero di associati e ruolo apicale

La censura sul mancato raggiungimento del numero minimo di associati è stata superata evidenziando che l’imputazione provvisoria faceva riferimento anche a soggetti in corso di identificazione e, soprattutto, che l’affiliazione a una mafia storica integra il reato a prescindere dal numero di membri della singola ‘locale’. Il ruolo di vertice dell’indagato è stato confermato sulla base di elementi concreti: la sua capacità di proteggere altri affiliati, di intervenire per escludere concorrenti da appalti e il fatto che suo figlio ne seguisse le direttive nell’espansione delle attività criminali.

Custodia cautelare per gli anziani

Particolarmente significativa è la decisione sulla misura cautelare per l’indagato ultraottantenne. L’art. 275, comma 4, c.p.p. vieta la custodia in carcere per gli ultrasettantenni, salvo ‘esigenze cautelari di eccezionale rilevanza’. La Corte ha ritenuto che in questo caso tali esigenze sussistessero. Il Tribunale aveva correttamente bilanciato il diritto alla salute dell’indagato con la tutela della collettività, facendo prevalere quest’ultima. Gli elementi decisivi sono stati il ruolo apicale nell’associazione mafiosa, la caratura criminale dimostrata da precedenti condanne (anche per omicidio) e l’elevato pericolo concreto e attuale di recidiva e di inquinamento probatorio.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato in ogni sua parte. Ha ribadito che il suo giudizio è limitato alla violazione di legge e alla manifesta illogicità della motivazione, senza poter entrare nel merito della ricostruzione dei fatti. Nel caso specifico, le valutazioni del Tribunale del Riesame sono state ritenute logiche, coerenti e giuridicamente corrette.

Le conversazioni intercettate tra l’indagato e il figlio sono state considerate una prova solida del loro legame con le cosche di origine, escludendo l’ipotesi difensiva della semplice ‘millanteria’. La Corte ha inoltre valorizzato le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ritenute credibili e riscontrate da numerosi altri elementi probatori.

Per quanto riguarda le estorsioni, è stato chiarito che costringere i fornitori, attraverso pressioni, a concedere dilazioni di pagamento o a rinunciare ad azioni legali costituisce un danno patrimoniale e un ingiusto profitto, integrando pienamente il reato.

Infine, la motivazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari eccezionali è stata giudicata congrua, poiché basata sulla personalità dell’indagato, sul suo ruolo di spicco e sulla continuità della sua attività criminale, non interrotta neppure da precedenti periodi di detenzione.

Le Conclusioni: Implicazioni della Sentenza

Questa sentenza consolida principi giurisprudenziali di fondamentale importanza nella lotta alla criminalità organizzata. In primo luogo, conferma l’efficacia degli strumenti investigativi contro le forme di ‘mafia silente’ e delocalizzata, che non necessitano di violenza esplicita per imporre il proprio controllo. In secondo luogo, ribadisce che l’età avanzata non costituisce uno scudo automatico contro la custodia in carcere quando si è di fronte a figure di vertice di un’associazione mafiosa e a un concreto e altissimo pericolo per la collettività. La decisione sottolinea la necessità di un’attenta ponderazione caso per caso, ma afferma con chiarezza che la tutela della società può prevalere, anche di fronte a soggetti anagraficamente molto anziani.

Può esistere un’associazione mafiosa senza evidenti atti di violenza?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che un’articolazione ‘delocalizzata’ di una mafia storica può avvalersi di una ‘forza intimidatrice intrinseca’, ereditata dall’organizzazione madre. La sua ‘fama criminale’ è sufficiente a creare un clima di assoggettamento, configurando il reato anche in assenza di violenze palesi (c.d. ‘mafia silente’).

Un soggetto di oltre 80 anni può essere tenuto in custodia cautelare in carcere?
Sì, ma solo in presenza di ‘esigenze cautelari di eccezionale rilevanza’. Nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto giustificata la misura detentiva considerando il ruolo apicale dell’indagato all’interno dell’associazione, la sua notevole caratura criminale e l’elevato rischio concreto di reiterazione dei reati e di inquinamento delle prove.

Come viene provata la partecipazione a un’associazione mafiosa in un territorio non tradizionale?
La prova può derivare da una serie di elementi, tra cui il collegamento organico e funzionale con la ‘casa madre’, l’adozione dei suoi modelli organizzativi e rituali, e lo sfruttamento della sua reputazione criminale. Nel caso specifico, sono state decisive le conversazioni intercettate, le dichiarazioni di collaboratori di giustizia e le condotte volte a infiltrare l’economia locale e a gestire illecitamente appalti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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