Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 18946 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 18946 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 02/05/1998
avverso l’ordinanza del 04/04/2024 del TRIBUNALE di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore del ricorrente Avv. NOME Giovanni COGNOME anche quale sostituto processuale dell’Avv. NOME COGNOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
2. I Giudici del riesame, attraverso un articolato percorso confutativo delle considerazioni del Giudice per le indagini preliminari nel senso dell’esclusione dei gravi indizi di colpevolezza, rilevavano che le risultanze acquisite – costituite prevalentemente da conversazioni intercettate e da attività di polizia giudiziaria volte ad interpretarne il contenuto e a riscontrarne gli aspetti più significativi consentivano di individuare un’associazione mafiosa, definita con espressione sintetica “sistema mafioso lombardo”, di cui facevano parte numerosi soggetti aventi collegamenti con clan mafiosi siciliani, della ndrangheta e della camorra. Tale associazione, da tempo operante nel territorio lombardo, presentava una struttura confederativa orizzontale, posto che i vertici di ciascuna delle sue componenti, di diversa provenienza, si trovavano sullo stesso livello. Si aveva così un consorzio fra diversi apparati che dava vita ad un’autonoma associazione, avente gli scopi e i metodi tipizzati dall’art. 416 -bis, cod. pen. Le manifestazioni e le dinamiche mafiose di tale sodalizio si coglievano, oltre che nelle relazioni trasversali fra numerosi associati e nei loro frequenti summit per l’adozione delle principali decisioni, nel concreto utilizzo della forza di intimidazione del vincolo associativo mafioso (con le conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà), per commettere, nelle città di Milano, Varese e nelle zone limitrofe, svariate attività delittuose (delitti contro il patrimonio, violazioni della discipl sugli stupefacenti e di quelle sulle armi) di comune interesse. Tali tratti operativi comparivano, altresì, in diverse iniziative volte a risolvere controversie scaturenti da affari leciti e illeciti, a mantenere contatti con esponenti del mondo politico ed economico, a condizionare il libero esercizio del voto, a infiltrare il tessuto sociale ed economico per alterare e condizionare il libero mercato, anche attraverso il controllo di attività economiche in svariati settori (ciascuno dei quali ampiamente ricostruito). L’unicità e autonomia organizzativa ed operativa del sodalizio risultavano, ancora, confermate dall’esistenza di una cassa comune, nella quale Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1. Con il provvedimento indicato in epigrafe, il Tribunale di Milano, accogliendo l’appello proposto dal Pubblico ministero avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale resa il 26 settembre 2023, applicava a NOME COGNOME la misura della custodia in carcere in relazione alle imputazioni provvisorie del reato di cui agli artt. 416-bis, primo, primo, quarto e sesto comma, cod. pen. (capo 1), dei reati di cui gli artt. 110, cod. pen., 10, 12 e 14 della legge 497 del 1974del -Fer-legtje-n-,–14-04141-.1-925, e 416-bis.1., cod. pen. (capo 5), nonché del reato di cui agli artt. 110, 629, primo e secondo comma in relazione al comma terzo nn. 1) e 2) dell’art. 628, 416-bis.1., cod. pen. (capo 16).
confluivano somme di denaro ricavate dalle attività associative e destinate, fra l’altro, al sostentamento dei sodali detenuti. Venivano, inoltre, alla luce modelli operativi volti a massimizzare i proventi illeciti avvalendosi di manovre finanziarie e di un complesso sistema di società intestate a prestanomi e destinate al reinvestimento dei profitti illeciti. Pertanto, i legami e i rapporti dei singoli associ con i gruppi criminali di originario riferimento non rappresentavano un ostacolo alla configurabilità del nuovo e diverso consesso mafioso: gli associati si muovevano all’interno di più articolazioni in ragione non dell’originaria appartenenza o vicinanza ad una delle “mafie storiche”, ma delle loro specializzazioni operative, mantenendo sempre un elevato grado di indipendenza e di libertà decisionale ed esecutiva, anche quando si rapportavano alle “case madri”. Il “capitale sociale”, rappresentato dalle ascendenze criminali di alcuni partecipi, era così messo a disposizione del nuovo sodalizio che lo spendeva per realizzare i propri scopi di tipo associativo mafioso. Nell’ambito di tale struttura organizzativa, operante in senso non verticistico ma orizzontale, gli appartenenti ai diversi gruppi, pur conservando un certo spazio di indipendenza operativa, si impegnavano di volta in volta al fine trovare la migliore sintesi tra gli interessi anche contrapposti, in modo da assicurare la continuità delle relazioni associative ed il massimo profitto, proprio in ragione della condivisione della ragione fondante dell’intero gruppo. Da ciò si aveva la conferma dei tratti dell’affectio societatis richiesta dal reato associativo. Significativa, a tal proposito, risultava la vicenda relativa alla controvert “RAGIONE_SOCIALE“, laddove, a prescindere dall’origine dei rapporti di debito credito in discussione, i soggetti coinvolti mostravano la consapevolezza di dovere accettare una composizione unitaria anche a discapito delle rispettive pretese, pur di “trovare la quadra” e continuare a “guadagnare tutti”. Il “sistema mafioso lombardo”, dunque, pur mutuando la natura mafiosa dell’organizzazione e dell’operatività dalla forza di intimidazione manifestata via via dai suoi singoli componenti, le cui prerogative mafiose erano già conosciute nei vari territori di operatività e di riferimento, costituiva un consesso associativo a sé stante avente i requisiti richiesti dall’art. 416-bis, cod. pen., risultand peraltro di ciò ben consapevoli i suoi componenti, i quali, pur essendo di estrazione criminale diversa, come emblematicamente confermato da alcune espressioni intercettate, non mancavano di riconoscere di far parte di “una famiglia unica”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto agli addebiti mossi a NOME COGNOME, il Tribunale, sulla base di considerazioni altrettanto articolate, rilevava che le risultanze delle indagini, da apprezzare in termini diversi da quelli esposti nel provvedimento di rigetto, davano conto della condotta di partecipazione al sodalizio mafioso svolta dal predetto, a fianco del padre NOME COGNOME, esponente di primo piano del sodalizio, nell’ambito del quale risultavano commessi da NOME COGNOME anche gli
ulteriori reati fine come contestatigli in concorso a mezzo dei capi 5) e 16).
Secondo quanto ancora apprezzato dal Tribunale, non risultando acquisiti elementi per ritenere insussistenti le esigenze cautelari, stante il titolo di reato, s imponeva, ai sensi dell’art. 27S, comma 3, cod. proc. pen., la custodia in carcere.
Avverso propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore Avv. NOME COGNOME per le ragioni esposte in tre motivi.
3.1. Con il primo lamenta erronea applicazione di legge e, cumulativamente, vizi di motivazione, con riguardo alla individuazione dell’associazione mafiosa e al riconoscimento dell’aggravante di cui al comma quarto dell’art. 416-bis, cod. pen.
Rileva che gli assunti circa l’esistenza del sodalizio di nuova costituzione non hanno considerato le vicende giudiziarie relative alla configurabilità del “clan COGNOME“, del quale, in termini assertivi, si è sostenuta l’operatività in Lombardia.
E’ mancata una motivazione effettiva circa la concreta esistenza di tutti gli estremi necessari ai fini della configurabilità della fattispecie di cui all’art. 416-b cod. pen., a cominciare da quello afferente all’esternazione del metodo mafioso.
Con riferimento alla figura del padre del ricorrente, il Collegio ha confuso il prestigio asseritamente criminale del singolo con la natura mafiosa del sodalizio.
3.2. Con il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 581 e 591, cod. proc. pen., per non essere stata rilevata l’inammissibilità dell’atto di appello proposto dal pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del G.I.P.
Deduce che, con riferimento all’addebito ascritto al capo 1), l’impugnazione aveva continuato a citare genericamente comunicazioni ricevute e trasmesse dal ricorrente, sicché sull’intero tema il Tribunale ha inteso byndividuare di iniziativa il contenuto di alcune conversazioni intercettate, peraltro in sé prive di rilevanza.
Analogamente per l’addebito di cui al capo 16), il Collegio ha seguito assertivi percorsi in termini del tutto avulsi da qualsiasi allegazione nell’atto di appello, laddove con riferimento a tale capo il ricorrente neppure era stato menzionato.
Quanto ai fatti contestati al capo 5), è sopraggiunto nel provvedimento impugnato un approccio motivazionale privo di ogni confronto con quello del GIP e inficiato da travisamento dei fatti, quanto al profilo del contributo del ricorrente.
Sempre relativamente alla contestazione di cui al capo 16), il nome del ricorrente compariva solo a proposito della conversazione in data 16 maggio 2020, senza che gli potesse essere attribuito alcun ruolo nella vicenda in esame, la cui ricostruzione dedotta del pubblico ministero era stata ampiamente smentita dal GIP in forza di considerazioni rimaste però anch’esse ignorate nell’atto di appello.
La lettura offerta dal Tribunale risulta assertiva e priva di un idoneo confronto
con tutte le deduzioni (anche documentali) idonee a smentire condotte estorsive.
Anche in relazione al riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1., cod. pen., l’impugnazione del pubblico ministero risultava priva di ogni specificità.
Con il terzo motivo eccepisce l’inammissibilità dell’appello del pubblico ministero, anche con riguardo all’esistenza dei presupposti cautelari della misura. In proposito, denunzia altresì omissione e illogicità della motivazione.
Rileva che sul punto le censure mosse nell’atto di impugnazione erano state del tutto generiche e cumulativamente svolte con riferimento a tutti gli indagati.
Il pericolo di recidiva si è desunto in forza di generiche e indimostrate asserzioni sulla veicolazione di direttive del padre del ricorrente detenuto.
Non si è così considerata in termini effettivi la posizione personale del ricorrente quale soggetto incensurato, né si è tenuto conto, quanto all’ipotetico inquinamento probatorio, dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Con motivi nuovi trasmessi il 3 febbraio 2025, la difesa illustra ancora le censure circa l’inammissibilità dell’appello del pubblico ministero con riguardo della sussistenza delle esigenze cautelari e correlativamente all’insussistenza di di elementi idonei a superare la presunzione ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Con memoria del 23 gennaio 2025, il Procuratore Generale presso questa Corte ha esposto ampie considerazioni a confutazione dei motivi del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito illustrate.
Quanto all’eccezione processuale che si riferisce nell’intero secondo motivo all’ammissibilità dell’impugnazione del pubblico ministero avverso l’ordinanza di rigetto, va osservato che tutti i rilievi in punto di specificità dei motivi (all dedotti dall’accusa) con riguardo al profilo dei gravi indizi di colpevolezza, mostrano di concentrare l’attenzione solo su parti dell’atto di gravame, laddove si erano riassunte le osservazioni critiche o focalizzati certi punti attinenti all posizione del ricorrente, ai singoli addebiti e alle risultanze per ciascuno di essi, così mancando la difesa di considerare l’intero iter argomentativo che via via si era opposto alla diversa impostazione della lettura della convergenza delle plurime acquisizioni, ivi comprese quelle relative ai presupposti delle ritenute aggravanti.
La stessa motivazione del provvedimento del Tribunale dà del resto conto, nelle tante parti riservate all’esame delle censure in sede di appello, di come esse si fossero precisamente e fondatamente contrapposte alle essenziali ragioni per cui era stato svalutato il quadro indiziario sull’intera ricostruzione avente diretta o indiretta refluenza sull’inquadramento dell’agire di NOME COGNOME secondo quanto ancora specificamente rappresentato in altre parti dell’appello, così da aversi il chiaro quadro alla luce del quale sono state diversamente interpretate, seguendo le critiche dell’accusa, le condotte associative e quelle relative a ciascun reato fine.
Né, per altro verso, i rilievi, sempre circoscritti all’ammissibilità dell’appello considerano come la sua specificità sia ravvisabile anche alla stregua dei richiami – ripercorsi da quanto rappresentato nella stessa ordinanza del Tribunale – al contenuto della richiesta di applicazione della misura cautelare di cui le deduzioni del pubblico ministero avevano lamentato l’omessa o solo parziale considerazione.
Dunque, le doglianze esposte nel secondo motivo, come rivolte ai requisiti dell’atto di appello e pertanto non alle motivate valutazioni del Tribunale sull’intero devoluto – seppur incidentalmente evocate dalla difesa, ma sempre attraverso improprie parcellizzazioni della lettura di certe risultanze sui singoli addebiti su cui si è incentrato il più ampio scrutinio di merito – non possono cogliere nel segno.
3. Il primo motivo, riferendosi alla ricostruzione dei tratti dell’associazione mafiosa di cui è stato ritenuto partecipe il ricorrente, come puntualmente rilevato nella memoria del Procuratore generale, non può in alcun modo dimostrare i vizi che lamenta, una volta che viene sempre e solo ad opporsi al ragionevole tessuto motivazionale di merito, a mezzo di parziali e assertive rivalutazioni, come quelle che, citando certi esiti decisionali in altri processi fondati soltanto su pregresse risultanze, intendono evocare rivisitazioni della plausibile lettura di alcune delle conversazioni riferite alla posizione di NOME COGNOME, al gruppo COGNOME, a NOME COGNOME e alla loro collocazione nell’intero sistema del sodalizio lombardo.
Seguendo sempre tale approccio, la difesa in tutto il motivo concentra l’attenzione su singoli passaggi motivazionali isolandoli impropriamente da quelli che li completano, al fine via via di smentire discorsivamente le ampie confutazioni del Tribunale che precisamente configurano i tratti dell’associazione mafiosa, anche sotto il profilo dell’effettiva manifestazione all’esterno del metodo mafioso.
A fronte delle chiare e puntuali spiegazioni in ordine alla diffusività e alla riconducibilità al pactum sceleris e al nuovo sodalizio dell’uso del metodo mafioso, il motivo non fa altro che introdurre ancora assertive e generiche censure a proposito della cassa comune, del dato numerico dei reati fine e delle reali ragioni per cui in occasione delle condotte estorsive ai danni di Sanfilippo fosse stato fatto riferimento da NOME COGNOME al gruppo di riferimento catanese, anziché Senese.
Tutte le doglianze di cui trattasi risultano, pertanto, prive di fondamento.
4. Il terzo motivo e i motivi nuovi, circoscrivendo le doglianze a vaglio di ammissibilità dell’appello del pubblico ministero in punto di esigenze cautelari, non
considerano come l’osservanza dei requisiti di specificità nel caso di cui trattasi debba rapportarsi al regime della presunzioni relative derivante dal titolo dei reati
contestati, sicché l’onere rappresentativo al riguardo può già ritenersi assolto alla stregua dei riferimenti alla situazione di permanenza del mancato superamento di
dette presunzioni, in rapporto al tipo di attualità attinente al pericolo prospettato.
Né d’altra parte le censure, quando fanno riferimento alle ampie parti dell’appello dedicate alle esigenze cautelari, illustrano specifici rilievi sul punto (gi
esposti nell’ordinanza del G.i.p.), che avrebbero dovuto precisamente confutarsi, avuto riguardo alla posizione del ricorrente per cui erano stati esclusi i gravi indizi.
Per il resto, il terzo motivo e i motivi nuovi, pur lamentando solo violazioni attinenti ai requisiti di ammissibilità dell’appello, mostrano inappropriatannente di
rivolgersi all’apparato motivazionale così come approntato nel provvedimento del
Tribunale (pagg. 233 e 234), introducendo mere rivalutazioni che vengono semplicemente ad opporsi alle ragionevoli considerazioni e confutazioni di merito. Ne consegue che anche i rilievi sul punto non possono trovare accoglimento.
Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 19/02/2025.