Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 17863 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17863 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato a Gitiano in Campania il 17/11/1956
avverso la ordinanza del 06/12/2024 del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile; uditi i difensori, avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Napoli, in sede di riesame, confermava l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli del 5 novembre 2024, che aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di partecipazione, con funzioni direttive, al clan camorristico COGNOME (art. 416-bis, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, cod. pen.).
(
Secondo la provvisoria imputazione, COGNOME avrebbe svolto il ruolo di referente dell’organizzazione criminale, con poteri direttivi e decisionali (reato commesso sino al 28 ottobre 2022).
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore, avv. NOME COGNOME denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 416-bis cod. pen. e alla ritenuta partecipazione del ricorrente al clan COGNOME.
La base indiziaria a carico del ricorrente si fonda su captazioni interpretate in modo illogico. Vizio che il Tribunale non ha superato nel replicare alle eccezioni difensive.
In particolare, l’ordinanza genetica ha sostenuto che il ricorrente, appena uscito dal carcere, avesse convogliato a sé gli uomini del clan e che NOME COGNOME, sino ad allora fedelissimo di NOME COGNOME, avesse assunto il ruolo di fiduciario del ricorrente. Peraltro, tali affermazioni sono tratte in modo apodittic dalle conversazioni intercettate.
Quanto al colloquio del 2 settembre 2021, il Giudice per le indagini preliminari non ha spiegato perché i conversanti facessero riferimento al ricorrente; parimenti immotivata è l’affermazione che dalla captazione del 6 settembre 2021 fosse emerso che NOME COGNOME avesse assunto il ruolo di fiduciario del ricorrente.
Si è poi affermato, sulla base di altro colloquio captato del 9 settembre 2021 tra il ricorrente, COGNOME e COGNOME, che il ricorrente avesse assunto le redin del clan: in tal senso deponevano sia la circostanza che il ricorrente aveva rimproverato affiliati che si erano comportati male, sia la creazione di una propria base operativa presso la concessionaria di NOME COGNOME.
Peraltro, il primo dato è motivato dal Tribunale in modo contraddittorio rispetto a quanto riportato dal Giudice per le indagini preliminari nella lettura della medesima captazione, secondo cui il ricorrente non aveva redarguito membri del clan ma “altri soggetti”.
Quanto al secondo dato, la motivazione è illogica, in quanto la lettura della conversazione non si coordina con le altre argomentazioni rese: se era vero che nel colloquio con il ricorrente era emerso il ruolo direttivo assunto, non si comprende perché NOME abbia dovuto attendere l’uscita del ricorrente per spiegare al COGNOME il ruolo assunto da costui.
Inoltre, la stessa creazione di una propria base logico-operativa veniva a contrastare con la ritenuta intraneità operativa. Né si può sostenere che tale base fosse riferibile al clan, posto che COGNOME fa un commento sulla circostanza , , incompatibile con tale tesi.
Il Tribunale ha ritenuto di superare tale ultima eccezione i sostenendo che era emerso che in tale concessionaria il ricorrente convocasse i sodali per trattare affari illeciti. Peraltro, tale circostanza non solo non risulta riscontrata ma è anche contraddetta dal Giudice per le indagini preliminari là dove ha indicato i luoghi di ritrovo del clan. Né può ritenersi dimostrativo degli affari illeciti svolti dal ricorr il solo fatto di non parlarne per telefono.
In ordine alla conversazione del 23 settembre 2021, il Giudice per le indagini preliminari ha tratto la circostanza che il ricorrente avesse assunto un ruolo attivo di reggenza del gruppo facendo perno sul riferimento ad NOME COGNOME nel colloquio tra il ricorrente e il COGNOME. Peraltro, questo riferimento si basa su una mera ipotesi investigativa mai accertata.
Quanto poi ai dialoghi intercettati il 13 gennaio 2022, che dimostrerebbero il perdurante ruolo attivo del ricorrente nelle attività criminale del clan, con compiti di raccordo con altri gruppi, discutendone con il COGNOME, le conclusioni tratte dai giudici della cautela sono illogiche: quanto agli incontri in scadenza che COGNOME avrebbe indicato al ricorrente, quello con NOME COGNOME (ritenuto storico esponente del clan COGNOME) che il ricorrente avrebbe ricordato al COGNOME, la conversazione dimostra che questi nulla sapeva di tale incontro; quello con COGNOME, riguardava il solo COGNOME; quanto alla sicurezza del luogo dell’incontro, il colloquio rivela che il problema riguardava il solo COGNOME, tanto che il ricorrente gli dice di stare attento; l’incontro al pozzo non aveva riguardato il ricorrente; il ricorrente non era al corrente í a differenza di altri sodalidel luogo ed orario degli incontri.
Rispetto a tali aspetti distonici, il Tribunale avrebbe dovuto chiarire come era possibile sostenere la sua intraneità.
Residuano infine le dichiarazioni del collaboratore COGNOME del clan dei Casalesi, su incontri avuti con il ricorrente nel novembre 2022, rimaste tuttavia senza riscontro e comunque relative a fatti fuori contestazione.
In definitiva, il Tribunale non ha motivato adeguatamente sulla condotta partecipativa, che deve pur sempre essere riconoscibile e non meramente teorica, risultando non dimostrati gli assunti accusatori sopra scrutinati.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al secondo comma dell’art. 416-bis cod. pen. e al ruolo direttivo assegnato.
L’ordinanza impugnata risulta gravemente carente quanto alla dimostrazione del ruolo direttivo del ricorrente, alla luce della esegesi di legittimità.
Viepiù tale ruolo non viene riconosciuto neppure all’interno del clan, come dimostrano le emergenze investigative.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, in quanto le censure declinate nel ricorso esulano in larga parte dalle critiche proponibili in questa sede e sono per il resto manifestamente infondate.
2. Quanto al primo motivo va osservato quanto segue.
Va preliminarmente rammentato che, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti c ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritt che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (tra tante, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976).
Quanto in particolare alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, è principio consolidato che l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
Non risulta neppure consentita, ai fini della configurabilità dei gravi indizi d colpevolezza necessari per l’applicazione di misure cautelari personali, la valutazione frazionata ed atomistica dei singoli dati acquisiti, dovendo invece seguire, alla verifica della gravità e precisione dei singoli elementi indiziari, il l esame globale ed unitario, che ne chiarisca l’effettiva portata dimostrativa del fatto e la congruenza rispetto al tema di indagine (per tutte, Sez. 1, n. 30415 del 25/09/2020, Rv. 279789, in una fattispecie in tema di associazione di tipo mafioso).
Inoltre, va rimarcato che il ricorrente, pur nella peculiarità del contesto decisorio del giudizio di riesame resa manifesta dall’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., ha l’onere di specificare le doglianze attinenti al merito (sul fatto, sulle fon di prova e sulla relativa valutazione) onde provocare il giudice del riesame a fornire risposte adeguate e complete, sulle quali la Corte di cassazione può essere chiamata ad esprimersi. Pertanto, in mancanza di tale devoluzione, è inammissibile il ricorso che sottoponga alla Corte di legittimità censure su tali punti, che non possono trovare risposte per carenza di cognizione in fatto,’
addebitabile alla mancata osservanza del predetto onere, in relazione ai limiti del giudizio di cassazione, ex art. 606 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 20003 del 10/01/2020, Di, Rv. 279505)-
2.1. Ebbene, il ricorrente non si è confrontato con tali principi di diritto e h invero criticato con il primo motivo la lettura delle singole evidenze (captazioni e dichiarazioni rese dal collaboratore), cercando da un lato di “recuperare” in sede di legittimità questioni di fatto non sottoposte specificatamente al giudice del Riesame, e dall’altro, attraverso la lettura frazionata del compendio investigativo, di contestarne l’intrinseca valenza dimostrativa, quando la stessa, di norma solo possibilistica, veniva in una visione unitaria a risolvere ogni incertezza inferenziale e superare ipotesi ricostruttive alternative.
Invero, il ricorrente solo genericamente assume che il Tribunale non abbia superato talune illogicità ricostruttive dell’ordinanza genetica sollevate con le eccezioni difensive (non risultando dall’ordinanza che le abbia avanzate, se non per sostenere che le captazioni erano equivoche).
Così per i colloqui captati del 2 settembre 2021, del 6 settembre 2021, del 9 settembre 2021, del 23 settembre 2021, del 13 gennaio 2022, che il Tribunale ha esaminato con altre captazioni (neppure considerate dal ricorrente), evidenziandone i passaggi salienti (rispetto ai quali il ricorrente talvolta neppure si confronta) e dimostrando come il loro contenuto sia eloquente e non equivoco.
Generica e meramente oppositiva è la censura sulla risposta fornita dal Tribunale all’eccezione difensiva sulla base logistica (secondo la difesa si trattava di attività lavorativa), risultando viepiù aspecifica là dove il Tribunale ha riportat il contenuto di due captazioni dal quale ha tratto la dimostrazione che presso la concessionaria convergessero i sodali per incontrare il ricorrente.
Non colgono nel segno neppure le critiche sulle dichiarazioni del collaboratore COGNOME che venivano a riscontrare il ruolo partecipativo emerso dalle captazioni e l’uso dell’autosalone come luogo di incontro degli affari illeciti del clan, nonché i ruolo del COGNOME come fiduciario del ricorrente (portava le imbasciate). Il collaboratore riferisce di fatti pregressi al novembre 2022 (aveva incontrato secondo modalità convenute il ricorrente già una decina di volte).
Sulla base delle osservazioni che precedono, la valutazione sulla gravità indiziaria si sottrae a censure rilevabili in questa sede.
2.2. Il ricorrente, inoltre, con si confronta con il principio di diritto in tem associazione mafiosa, secondo cui i gravi indizi di colpevolezza in sede cautelare possono dedursi dalla precedente condanna del soggetto per l’adesione al medesimo sodalizio e dal ruolo assunto all’interno dell’organizzazione, valutati congiuntamente agli ulteriori elementi acquisiti a sostegno della perdurante
partecipazione relativamente al periodo successivo a quello cui è riferita la condanna (Sez. 6, n. 3508 del 24/10/2019, dep. 2020, Rv. 278221).
In altri termini, gli elementi di fatto, che autonomamente considerati potrebbero anche non essere sufficienti a fondare un’accusa originaria di partecipazione, acquistano invece rilevanza quando vengono a saldarsi con una pregressa condanna di partecipazione al medesimo sodalizio (Sez. 2, n. 43094 del 26/06/2013, Rv. 257427).
Nella specie, il ricorrente è stato condannato in via definitiva per la partecipazione al clan COGNOME sino al febbraio 2011.
Correttamente, pertanto, il Tribunale ha valorizzato la circostanza che il ritorno “in campo” del ricorrente si sia manifestato proprio in coincidenza con la sua uscita dal carcere (1 settembre 2021), dopo un lungo periodo di detenzione, con la ripresa dei contatti “operativi” con soggetti sodali del clan, tra i quali anch l’altro referente del sodalizio, NOME COGNOME (che viene contattato quando ancora era in carcere). Ed invero le captazioni restituiscono la partecipazione del ricorrente alla vita del sodalizio, là dove ammette lui stesso di aver ripreso le fil dell’organizzazione in attesa dell’uscita del COGNOME dal carcere; complimentandosi inoltre con il COGNOME per la fattiva collaborazione alle attività del gruppo del COGNOME, lamentandosi invece dell’operato di altri (tanto da paragonarli alla “banda bassotti”), per la poca esperienza ed improvvisazione, che gli imponeva di dover pensare lui “a tutto” s Significativo è ancora il colloquio tra COGNOME e COGNOME in cui il primo si lamentava della gestione del ricorrente, aspettando l’uscita dal carcere del secondo perché riprendesse le fila della organizzazione; rilevante è ancora la partecipazione del ricorrente agli incontri con i vertici del clan COGNOME e di altri clan operanti sul territorio, che venivano confermarne il ruolo direttivo. 3. Quanto sopra esposto dimostra altresì la manifesta infondatezza del secondo motivo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel reato di associazione per delinquere “capo” è non solo il vertice dell’organizzazione, quando questo esista, ma anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidian in relazione ai propositi delinquenziali realizzati (Sez. 2, n. 7839 del 12/02/2021, Rv. 280890).
La motivazione dell’ordinanza impugnata, come sintetizzata in precedenza, ha adeguatamente descritto, in coerenza con le evidenze investigative illustrate, il ruolo organizzativo assunto dal ricorrente non solo all’interno del gruppo, ma anche riconosciuto all’esterno del sodalizio.
4. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve,
altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
1
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 17/03/2925.