Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13289 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13289 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LEGNANO il 30/03/1968 avverso l’ordinanza del 15/03/2024 del TRIB. LIBERTA’ di Milano Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 10 aprile 2024 il Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’appello cautelare ex art. 310 cod. proc. pen., in riforma dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari in sede del 26 settembre 2023, ha applicato a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di cui all’art. 416bis cod. pen.aggravato e descritto al capo 1) della rubrica, nonchØ al delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 di cui al capo 22).
Il Giudice per le indagini preliminari ha applicato, nei confronti di COGNOME, la misura della custodia cautelare in carcere per i reati di cui ai capi 8) e 12) (estorsioni aggravate dal metodo mafioso), 31), 32), 36) 40), 41), 42), 44) e 47), tutti aventi ad oggetto reati di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, previa esclusione dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, rigettando la mozione cautelare avente ad oggetto le fattispecie associative.
L’ipotesi investigativa convalidata dal Tribunale del riesame milanese, in difformità da quanto deciso dal primo giudice, Ł quella della configurabilità di un’associazione mafiosa, costituita da un, così definito, sistema mafioso lombardo strutturato secondo modalità organizzative mutuate dalle mafie ‘storiche’ alcune delle quali, da tempo, già operanti sul territorio lombardo.
Si tratta di un vero e proprio sodalizio mafioso del quale fanno parte esponenti delle organizzazioni denominate cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta.
In particolare, il ruolo di NOME COGNOME si inquadra nel contesto del gruppo COGNOME/COGNOME della componente ndranghetista dell’associazione in questione ed Ł stato descritto nell’editto imputativo ascrivendo al medesimo, ritenuto reggente della locale di ‘nndrangheta di Legnano
Lonate Pozzolo, le condotte consistite nello svolgimento di compiti organizzativi e ideativi, nell’invio e nella ricezione di comunicazioni in funzione della riapertura della predetta locale, nello svolgimento di un’attività di mediazione con altri esponenti appartenenti a organizzazioni diverse, nell’occuparsi e nel mediare per la soluzione di controversie insorte tra associati, nel versamento di somme nella cassa comune, nella direzione e organizzazione dell’attività di spaccio per conto dell’associazione, nella partecipazione a diversi incontri funzionali a pianificare le strategie del gruppo, nell’acquisizione del controllo delle attività illecite e nelle attività di reimpiego dei profitti.
Per quanto riguarda il delitto di narcotraffico, Ł attribuita a COGNOME la condotta consistita nell’avere preso parte ad un’organizzazione volta alla commissione di una pluralità di delitti di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, con particolare riguardo ad una serie di episodi puntualmente circostanziati al capo 22) della rubrica.
L’esistenza di una sorta di consorzio tra alcune famiglie ascrivibili al novero delle mafie storiche operanti nel territorio milanese e limitrofo, ha trovato significativa convalida nell’affermazione del Tribunale secondo cui Ł configurabile un accordo stabile e duraturo tra indagati legati alle diverse componenti «di un sistema di cointeressenze tra gruppi operativi tra loro disomogenei sotto il profilo dello schieramento criminale, ma associati attraverso l’apporto comune di capitali, la predisposizione di mezzi, la messa a disposizione di risorse umane, la costituzione di società, tutti elementi funzionalmente aggregati dal fine comune, ossia quello di trarre profitto attraverso molteplici attività, lecite ed illecite, che costituiscono la fonte delle entrate delle organizzazioni criminali mafiose di riferimento ed il collante tra le stesse. A detta associazione Ł apportato da taluni indagati, quale ‘capitale sociale, il legame con tali gruppi criminali di originario riferimento nelle loro terre di origine, con i quali detto legame viene mantenuto proprio per la sua valenza ‘mafiosa’».
Di particolare rilievo, in funzione della prova (quanto meno, sotto il profilo della gravità indiziaria) della natura dell’associazione, le plurime dimostrazioni del mutuo sostegno economico ai componenti del gruppo attinti da provvedimenti restrittivi della libertà personale.
Con riferimento ai settori di operatività dell’associazione, sono stati indicati gli interessi per il narcotraffico, le estorsioni, le false fatturazioni, le attività nel settore dell’edilizia e di quelle attuate con la consumazione di illeciti fiscali, il riciclaggio.
Particolarmente attivo Ł stato ritenuto il sodalizio nel settore dei servizi erogati in materia di dispositivi di protezione nel periodo della pandemia da COVID-19 e degli ecobonus ristrutturazione al 110%.
Sono state valorizzate la emergenze investigative in tema di gestione di una cassa comune, della soluzione di controversie di natura economica (con l’esposizione in prima persona dei personaggi di vertice del sodalizio) e le plurime occasioni di incontro tra i diversi indagati, numerosi dei quali oggetto di registrazione audio video.
Oltre a ciò, il Tribunale si Ł ampiamente soffermato sulle attività intrinsecamente illecite quali la disponibilità di armi e le condotte estorsive per alcune delle quali anche il Giudice per le indagini preliminari ha ritenuto configurabile la gravità indiziaria.
Nella ricostruzione delle attività di narcotraffico Ł emersa la particolare destrezza dei diversi soggetti che vi hanno preso parte anche per la disponibilità, per nulla scontata, di criptotelefonini, per la significativa capacità di rifornimento e le quantità ingenti di sostanza reperita.
Peraltro, risulta dal capo di imputazione la contestazione di due delitti in materia di narcotraffico solo uno dei quali riguarda soggetti facenti parte del gruppo mafioso di cui al capo 1).
Con specifico riguardo alle estorsioni i giudici di merito si sono soffermati con riguardo specifico alla rilevanza criminale degli interlocutori e alla notorietà della circostanza nel contesto territoriale di operatività del gruppo.
Anche il costante impiego della violenza, di minacce, di vessazioni e soprusi Ł stato ritenuto
indicativo della «spendita della fama criminale» acquisita in funzione della dimostrazione della percezione, sul territorio, della natura mafiosa del sodalizio.
Con riferimento alla posizione soggettiva del ricorrente NOME COGNOME il Tribunale ha evidenziato come COGNOME abbia preso parte all’autonoma associazione di cui al capo 1) non già in conseguenza del (o in relazione al) suo contemporaneo tentativo di ricostituzione della locale di ndrangheta di Lonate Pozzolo, ma attraverso collegamenti con soggetti, anch’essi, aderenti al nuovo sodalizio, dedicandosi ad attività funzionali al perseguimento degli interessi autonomi rispetto al gruppo del quale aveva, in precedenza, aderito.
Si tratta di figura emersa, anche alla luce di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, come costantemente alla ricerca di nuove adesioni alla cosca originaria colpita da numerose operazioni di polizia e particolarmente vicina al capo del gruppo, NOME COGNOME
In relazione al capo 22) (delitto di narcotraffico di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990), il Tribunale ha ritenuto sussistente la gravità indiziaria segnalando la circostanza che NOME si occupava del traffico di stupefacenti operando dalla sede della RAGIONE_SOCIALE che, ordinariamente, era frequentata anche da NOME e dagli altri associati.
Soprattutto, sono state richiamate plurime intercettazioni dalle quali Ł emerso che gli acquisiti di sostanza dovevano essere autorizzati da NOME COGNOME il quale, anche in questo settore, aveva il ruolo di cassa (in particolare, si richiama una intercettazione del 24 settembre 2020).
Relativamente alle esigenze cautelari, il Tribunale ha richiamato la doppia presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., corroborata, nel caso specifico, anche dalle considerazioni relative alla negativa personalità dell’indagato (che annovera un recente precedente in materia di droga) siccome emergente dalle risultanze del procedimento.
Il pericolo di recidiva e di inquinamento delle prove Ł stato ritenuto alla luce della composizione e delle attività del gruppo mafioso, con specifico riferimento alla durata dello stesso, al ruolo degli indagati, alla indifferenza mostrata rispetto alle possibili azioni delle autorità di polizia, al sistematico ricorso a forme di violenza e coartazione, in uno con la disponibilità di armi e telefoni con sistemi di criptazione.
A fronte degli elementi acquisiti a livello indiziario, Ł stata segnalata la mancata emersione di circostanze indicative di un abbandono o allontanamento da parte dell’indagato dai contesti delinquenziali e reputata, peraltro, irrilevante la sottoposizione di Rosi alla misura cautelare della custodia in carcere per titoli diversi da quelli per i quali il Pubblico ministero ha proposto appello.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore fiduciario, articolando un unico motivo di seguito riassunto entro i limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Ha eccepito violazione di legge e vizi di motivazione in riferimento alla gravità indiziaria e alla scelta della misura della custodia cautelare in carcere.
Le intercettazioni sarebbero state oggetto di interpretazione errata da parte del Tribunale atteso il loro contenuto equivoco e scarsamente intellegibile.
A tale proposito, il ricorrente ha richiamato le considerazioni svolte dal giudice adito in prima istanza sulla misura cautelare.
Di rilievo la circostanza che COGNOME non sia mai stato indagato per il delitto di cui all’art. 416bis cod. pen., per cui non poteva essere affermata la sua appartenenza ad alcun sodalizio mafioso.
La ricostituzione del clan di Lonate Pozzolo era rimasta una mera intenzione che non si era mai concretizzata, nØ quel gruppo aveva mai effettivamente operato; sul punto, sono state richiamate le considerazioni del Giudice per le indagini preliminari.
In ordine al delitto di cui al capo 22), il ricorrente ha segnalato, anche in questo caso in conformità alle considerazioni del Giudice per le indagini preliminari, la configurabilità di un concorso di persone, piuttosto che di un’associazione, per come desumibile anche dai capi di incolpazione e dal contenuto delle registrazioni.
Dalla mancanza di gravi indizi, il ricorrente ha argomentato l’esclusione anche delle esigenze cautelari.
Il Procuratore generale ha chiesto procedersi a discussione orale e ha depositato una memoria con la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile.
Risale a Sez. U, n. 11 del 23/02/2000, Audino, Rv. 215828 l’insegnamento secondo cui «in tema di misure cautelari personali, allorchØ sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie».
L’arresto costituisce, ormai, patrimonio comune della giurisprudenza di legittimità che, da ultimo lo ha ribadito, fra le molte, con Sez. 2 n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 e Sez. 1, n. 30416 del 25/09/2020, in motivazione.
Peraltro, occorre avere anche riguardo alla specificità della valutazione compiuta nella fase cautelare dovendosi sempre tenere conto della «diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato» (Sez. 2, n. 11509 del 14/12/2016, dep. 2017, P., Rv. 269683; Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014, S., Rv. 264213 e molte altre conformi precedenti).
Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965 hanno, altresì, chiarito che «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicchØ sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento».
Con l’unico composito e promiscuo motivo l’ordinanza del Tribunale di Milano viene censurata mediante l’articolazione di vizi di violazione di legge sostanziale e processuale , nonchØ di motivazione carente e illogica fermandosi ad un’analisi generica e parziale del cospicuo compendio indiziario valorizzato.
Dovendo essere svolto il giudizio entro i parametri indicati, Ł evidente l’inammissibilità del ricorso che contiene, peraltro, velate istanze rivalutative che non attingono il nucleo centrale del ragionamento del Tribunale milanese.
In relazione alla fattispecie associativa mafiosa, ponendosi in termini di serrato confronto con l’ordinanza di rigetto del giudice investito dell’originaria richiesta cautelare, il Tribunale ha preventivamente illustrato gli elementi sui quali ha insistito il ragionamento del Giudice per le indagini preliminari, con particolare riguardo alla capacità intimidatoria del sodalizio, alla sua struttura, alla prova della partecipazione al gruppo e dell’affectio societatis e alla mancata valutazione dei elementi indiziari di segno contrario rispetto all’ipotesi avanzata con la richiesta originaria.
La nuova organizzazione mutua, secondo la ricostruzione del Tribunale, la propria natura mafiosa dalle organizzazioni originarie di appartenenza dei diversi consociati: «mafiosità che costituisce proprio una parte del capitale sociale, della dote che ogni organizzazione ha apportato al nuovo sistema».
E’ stato ricostruito tale indissolubile legame con le cosche storiche anche attraverso l’analisi degli interessi dei vari soggetti appartenenti alle cosche operanti tuttora nei territori che le hanno originariamente espresse (come, ad esempio, i rapporti di cointeressenza con la cosca della quale NOME COGNOME era il massimo esponente).
I legami sono stati giudicati tali da non escludere l’autonomia del gruppo mafioso di nuova costituzione e, comunque, da non pregiudicare la nascita e l’operatività di un nuovo autonomo sodalizio frutto di una cointeressenza inedita di affari tali da consentire un mutuo scambio di profitti tra i gruppi federatori in quello che Ł stato definito dal Tribunale una sorta di «patto federatore criminale» (o «pactum sceleris trasversale»), per come risultante da alcune vicende di natura economica espressamente riportate nel provvedimento oggetto di ricorso (pagg. 102 e seguenti).
La presenza di imponenti interessi comuni di natura economica non ha escluso la configurabilità anche di una gestione comunitaria o consortile di asset piø tradizionali delle cosche mafiose quali il narcotraffico e la disponibilità delle armi.
In sostanza, Ł risultato dimostrato, a livello indiziario, un assetto organizzativo stabile, con una suddivisione di ruoli tra soggetti organizzati secondo rapporti funzionali ad una progettualità criminale con la condivisione di attività illecite svolte anche attraverso un numero rilevante di società le cui compagini, ruoli e interessi sono state oggetto di ampia disamina.
Il Tribunale si Ł soffermato sulla configurabilità, nella fattispecie dell’affectio societatis (pagg. 212 – 219) ritenendo dimostrata la stabilità dei rapporti soggettivi.
Rispetto a tale condizione, sono stati ritenuti irrilevanti eventuali contrasti interni, contrariamente a quanto precedentemente giudicato dal Giudice per le indagini preliminari.
Sono state adeguatamente valorizzate, piuttosto, le cointeressenze di esponenti apicali dei diversi gruppi criminali nella gestione della complessa contesa tra i COGNOME e NOME COGNOME
Si tratta di elemento adeguatamente valorizzato in ossequio al principio per cui «in tema di associazione per delinquere, l’esistenza di scopi personali diversi e contrapposti tra i singoli associati, operanti nell’ambito di strutture imprenditoriali autonome e concorrenti, non Ł ostativa al riconoscimento del vincolo associativo, ove tali divergenze trovino composizione in un progetto generale, da realizzare mediante le attività delittuose, finalizzato a perseguire un utile da ripartire tra le diverse imprese» (Sez. 3, n. 23335 del 28/01/2021, COGNOME Rv. 281589 – 01).
Parimenti, Ł stata valorizzata l’esistenza di una cassa comune destinata soprattutto ad assicurare l’assistenza giudiziaria ed economica ai detenuti e alle loro famiglie, sottolineando che ad essa contribuiscono tutti i gruppi, così evidenziando l’esistenza di un vincolo di mutua solidarietà, in base al quale tutti provvedono a fornire tale assistenza a prescindere dalla compagine di
provenienza del singolo (ad esempio concorrendo i Pace, i Crea e i Fidanzati a far fronte al sostentamento di NOME COGNOME e dei suoi familiari).
La motivazione dell’ordinanza impugnata, pertanto, su questo punto Ł logica e completa, tenuto conto del livello di gravità indiziaria che deve essere ritenuto sufficiente per l’emissione di una misura cautelare; lo stesso Giudice pe rle indagini preliminari, peraltro, nelle sue conclusioni dalla pag. 918 dell’ordinanza genetica, non ha radicalmente escluso la possibilità di configurare, alla luce della comune organizzazione di mezzi e di persone, l’esistenza di un’associazione semplice quanto meno tra alcuni dei soggetti indagati, pur dubitando della sussistenza, tra tutti, di una reale affectio societatis.
Deve, pertanto, ritenersi sufficientemente accertata, allo stato e nei limiti propri del giudizio cautelare, la sussistenza di gravi indizi in merito alla configurabilità di un’associazione a delinquere, con le caratteristiche evidenziate nell’ordinanza impugnata.
Ha comunque richiamato le modalità di consumazione di diverse fattispecie estorsive evidenziando come «a prescindere dalla qualificazione giuridica che si voglia dare a tali vicende e della fondatezza o meno delle contestazioni ripercorse risultano innegabili numerosi atti di violenza, condotte di pesante intimidazione, ed un profluvio di minacce, in occasioni tradottesi in atti di aggressione ed in lesioni attestante in danno di componenti della comunità».
La sussistenza del necessario utilizzo del metodo mafioso e della sua esternalizzazione viene valutata dall’ordinanza impugnata.
Il Tribunale del riesame ha approfonditamente esaminato gli indizi relativi a tale elemento, valorizzando i singoli episodi di effettivo impiego di violenza e minaccia, ma soprattutto ribadendo, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, come la capacità intimidatoria non debba necessariamente estrinsecarsi in simili atti, ma sia sufficiente la spendita della fama criminale precedentemente acquisita, o l’acquisizione dell’assoggettamento omertoso del territorio mediante piccoli soprusi, prevaricazioni o, al contrario, illeciti privilegi.
Secondo il Tribunale, Ł rilevante il fatto che la spendita della fama criminale delle mafie storiche di appartenenza avvenga, talvolta, da parte di sodali affiliati, in realtà, ad una diversa associazione storica, evidentemente con il consenso degli altri associati, in quanto dimostrazione della particolarità ed autonomia dell’associazione qui contestata.
L’ordinanza ha ritenuto dimostrata l’avvenuta acquisizione della forza intimidatrice, sul territorio lombardo, da vicende come quelle illustrate da pag. 223 e seguenti, fra le quali, quella coinvolgente tale COGNOME (da pag. 228 dell’ordinanza, nella conversazione in cui COGNOME si compiace del fatto di raggiungere ‘senza spari’ lo scopo che l’associazione si Ł prefissata), quella che coinvolge la segretaria generale del Comune di Abbiategrasso che, pur non assoggettandosi ad essa, comprende facilmente la natura mafiosa della richiesta avanzatale da COGNOME, e la qualità mafiosa del soggetto o dei soggetti di cui questi avrebbe fatto il nome (da pag. 234), e in generale dall’atteggiamento omertoso di molte vittime di estorsioni, che avrebbero omesso di denunciare i fatti commessi in loro danno, o li avrebbero esposti in termini riduttivi rispetto a quanto emerge dalle intercettazioni.
L’incapacità, per gli abitanti del territorio, di individuare con precisione l’associazione criminale che sta esercitando tale forza intimidatrice non Ł stata ritenuta rilevante, ed anzi si Ł affermato che ciò potrebbe essere interpretato come una conferma della diversità e autonomia dell’associazione qui contestata, rispetto ai gruppi storici di riferimento dei vari associati.
L’ordinanza ha affermato specificamente, con motivazione logica e consequenziale alle vicende esaminate, che la forza intimidatrice promana dall’associazione stessa ed Ł ad essa «immanente», in virtø delle azioni che essa compie e dell’assoggettamento che ha realizzato nel territorio, e non deriva dai singoli associati o dalle mafie storiche a cui questi ultimi fanno riferimento.
Secondo il Tribunale del riesame, quindi, l’associazione qui delineata ha una propria ‘mafiosità’, derivante anche dalla partecipazione ad essa di soggetti dalla già accertata caratura mafiosa, ma soprattutto la manifesta all’esterno in modo autonomo, pur avvalendosi anche dell’assoggettamento già realizzato nel territorio lombardo, in passato, dalle singole mafie storiche, in quanto opera in modo distinto rispetto a queste ultime e mantiene, rispetto ad esse, una propria autonomia.
In relazione alla posizione specifica dell’indagato, il Giudice per le indagini preliminari, secondo il Tribunale di Milano, avrebbe compiuto una valutazione travisata, parzialmente omissiva, parcellizzata e caratterizzata da considerazioni sostanzialmente contraddittorie.
La partecipazione si Ł sostanziata nel compimento di attività di gestione del patrimonio e nel concorso all’adozione delle decisioni in ordine alle attività qualificanti dell’associazione anche nei momenti di criticità o fibrillazione della stessa, nella partecipazione alle intestazioni fittizie, oltre che alla gestione del traffico di droga e alle estorsioni (per le quali il Giudice per le indagini preliminari ha ritenuto la gravità indiziaria).
Si tratta di figura di spiccato rilievo nell’intera indagine che ha preso le mosse proprio dalle verifiche condotte sul suo ruolo e su quello della vittima di lupara bianca, NOME COGNOME.
COGNOME risulta essere stato assunto, mentre era in espiazione pena con misura alternativa al carcere, da NOME COGNOME (altro associato con ruolo di vertice) presso la società RAGIONE_SOCIALE una delle compagini facenti parte degli interessi dell’associazione e presso la sede della quale si svolgevano incontri per decidere questioni relative alla gestione degli affari del sodalizio.
Ha svolto attività di mediazione tra la locale originaria e le altre componenti del sistema mafioso di nuova costituzione, con particolare riferimento al clan dei COGNOME e alla cosca COGNOME, procedendo al versamento di somme nella cassa comune e occupandosi del reperimento di professionisti di fiducia nell’interesse non solo di associati al proprio gruppo di ndrangheta, ma anche di soggetti di altra provenienza territoriale tutti appartenenti al gruppo di nuova costituzione (come, ad esempio, NOME Vestiti).
Anche da conversazioni con la moglie di COGNOME, il Tribunale ha tratto la conclusione che l’indagato «era perfettamente a conoscenza e partecipe delle dinamiche che governavano l’associazione, si relazionava con una pluralità di soggetti di diversa estrazione e provenienza, ben conoscendone l’adesione di tutti al pactum sceleris e agendo di conseguenza, con condotte dimostrative dell’adempimento del dovere di solidarietà, al contempo manifestando disagio e dissenso da quelle che invece mettevano in crisi tali condivisi valori».
Proprio la mutua solidarietà tra associati costituisce uno degli elementi caratterizzanti la struttura del sodalizio e di maggiore interesse per COGNOME per come ricostruito con il riferimento a plurime intercettazioni.
D’altronde, il ruolo dell’indagato Ł stato ritenuto di particolare rilievo proprio nella gestione delle questioni economiche (con riferimento, tra l’altro, all’amministrazione delle somme ascrivibili ad Amico, ritenuto colui che operava la gestione centrale degli introiti del gruppo) in funzione del perseguimento dell’interesse comune, anche in relazione ai rapporti interni con le diverse componenti (siciliana e campana) del sodalizio.
Il ruolo operativo di COGNOME Ł stato, invece, ricostruito attraverso i riferimenti, già presenti anche nell’ordinanza originaria del Giudice per le indagini preliminari, alla partecipazione agli episodi estorsivi ai danni di NOME COGNOME e COGNOME oltre che al diretto coinvolgimento nel recupero crediti per privati.
L’attività di risoluzione di controversie tra gli associati Ł stata giudicata supportata da gravità indiziaria all’esito della disamina di alcune intercettazioni dalle quali Ł emersa non solo la diversità
degli interessi dei quali si occupava NOMECOGNOME rispetto a quelli originari della locale di Lonate Pozzolo, ma anche il ruolo primario assolto dallo stesso, in piena collaborazione con i nuovi associati rispetto ai quali aveva piena comunanza di interessi.
Assume particolare rilievo, in tal senso, l’intervento per sanare il dissidio interno relativo ad una questione economica insorta tra NOME COGNOME e i COGNOME.
Il Tribunale ha altresì richiamato l’interessamento di COGNOME nelle questioni relative ai bonus edilizi, l’importazione di ferro/acciaio e gasolio, la partecipazione nella gestione di società aventi lo scopo di perseguire interessi riferibili all’associazione.
L’associazione dedita al narcotraffico Ł stata ricostruita, anch’essa, sulla base di un cospicuo compendio intercettativo che ha consentito di individuare l’esistenza di una struttura associativa, comunque, funzionale a garantire forme di sostentamento al sodalizio mafioso.
E’ emerso il preciso interesse di COGNOME nella gestione dei proventi dell’attività dell’associazione dedita al narcotraffico, l’esistenza di una cassa comune, la specifica suddivisione di ruoli.
A fronte di tale corposo compendio indiziario, l’unica censura si caratterizza per estrema genericità.
Da un lato, il ricorrente si limita a richiamare il contenuto di alcuni passaggi dell’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari, ampiamente superati dalla motivazione del Tribunale dell’appello cautelare, dall’altro, afferma assertivamente che la condotta di COGNOME si Ł fermata a livello embrionale, sostanziandosi nella mera progettazione della ricostituzione del locale di Lonate Pozzolo.
Si tratta di critica del tutto inidonea a cogliere l’essenza delle plurime descritte rationes deidendi che, pertanto, rimangono estranee dalle censure sollevate.
Parimenti generico il riferimento al delitto di narcotraffico essendosi predicata, anche in questo caso, solo una radicale insussistenza della gravità indiziaria alla luce di prospettazione alternativa (quella del semplice concorso in plurimi episodi di cessione di sostanze stupefacenti) priva di alcun riferimento specifico agli elementi specifici posti a fondamento della sussistenza del vincolo associativo per come ampiamente illustrati nell’ordinanza impugnata la cui motivazione, anche in punto di esigenze cautelari, Ł meramente lambita dalle considerazioni finali rassegnate nel ricorso.
Sulla base di quanto precede, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» al versamento della somma, equitativamente fissata in euro tremila, in favore della cassa delle ammende.
Va, infine, disposta la trasmissione, a cura della Cancelleria, dell’estratto del presente provvedimento al pubblico ministero competente ai sensi dell’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 17/01/2025.
Il Presidente NOME COGNOME