Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 596 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 596 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato il 09/01/1970 a Paternò
avverso l’ordinanza del 02/05/2024 del Tribunale di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Catania confermava l’ordinanza con cui era disposta la custodia cautelare di NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 416-bis cod. pen., nonché 74 e 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso, nell’interesse di NOME COGNOME l’Avvocato NOME COGNOME deducendo i seguenti due motivi.
2.1. Violazione di legge penale sostanziale e processuale, nonché vizio di motivazione, quanto alla mancata replica alle censure espresse in sede di riesame e al difetto di adeguata gravità indiziaria in rapporto all’ipotesi di cui all’art. 41 bis cod. pen.
Il provvedimento impugnato si limita a riproporre gli elementi contenuti nella richiesta di applicazione della misura cautelare da parte del Pubblico Ministero, asetticamente riportati nell’ordinanza applicativa della stessa da parte del Giudice per le indagini preliminari.
Inoltre, si fonda non sulle emergenze processuali, ma sulle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia – che conosce solo “di vista” il ricorrente e riferisce fatt risalenti nel tempo -, nonché su intercettazioni prive di significato, dalle quali non emerge in alcun modo l’interesse del ricorrente per gli affari del gruppo.
Per contro, i Giudici del riesame non hanno risposto alle deduzioni difensive con le quali era stata prospettata una possibile lettura alternativa degli esiti investigativi.
2.2. Violazione di legge penale sostanziale e processuale, nonché vizio di motivazione, quanto alla mancata replica alle specifiche censure espresse in sede di riesame e al difetto di adeguata gravità indiziaria quanto all’ipotesi di cui all’art 74 d.P.R. n. 309 del 1990 cit.
L’ordinanza impugnata non chiarisce se ricorrono i requisiti della fattispecie in oggetto, e cioè la presenza di almeno tre persone tra loro vincolate da un patto associativo avente ad oggetto un programma criminoso nel settore degli stupefacenti. Richiama soltanto numerose intercettazioni tra il ricorrente e il nipote, nel tentativo di dimostrare che il primo fosse a capo di un gruppo di soggetti operanti nel traffico di droga. Tuttavia, da tali intercettazioni, lung dall’emergere una struttura stabile e costituita da almeno tre persone, risultano soltanto contributi sporadici ed occasionali di altri soggetti i quali avevano, quale contatto principale, se non esclusivo, il nipote dell’indagato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere, dunque, rigettato.
Per consolidato insegnamento di questa Corte in materia di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei
gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
3. Ciò precisato, quanto al primo motivo di ricorso, dopo aver premesso che l’indagato è uno storico esponente all’interno gruppo COGNOME–COGNOME, articolazione del clan COGNOME, come risulta dalle plurime condanne ad esso inflitte, e precisati, prima ancora, gli ambiti di interesse e di operatività di tale clan, ai fini dell’appartenenza dell’indagato all’associazione mafiosa dal 2019 al novembre 2022, l’ordinanza impugnata richiama le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia (Giarrizzo).
Aggiunge che tali dichiarazioni sono state riscontrate da vari elementi, quali: la frequentazione con altri componenti di spicco del medesimo consesso mafioso, tra cui NOME COGNOME e NOME COGNOME, che si recavano stabilmente a casa dell’indagato, pure in detenzione domiciliare; il rispetto E! l’autorevolezza acquisita da COGNOME nel settore degli stupefacenti e il suo potere di intervenire per comporre i contrasti tra sodali; un’intercettazione tra il ricorrente e la moglie in cui i due commentavano negativamente la condotta di NOME COGNOME il quale, senza averne l’autorità, aveva arbitrariamente tentato di abbassare l’importo della originaria richiesta formulata dall’indagato, per conto e nell’interesse dei responsabili del furto, per il riscatto di uno scooter.
Se ciò ancora non denotasse l’appartenenza di COGNOME all’associazione, il Tribunale del riesame aggiunge come dalla conversazione tra i coniugi fossero emersi vari spunti in ordine alla sottoposizione gerarchica del ricorrente a NOME COGNOME (“patrozzo”), cui COGNOME ribadiva fedeltà, oltre all’invito della donna a non esporsi oltre nell’interesse del sodalizio (tanto più che COGNOME dimostrava maggiore fiducia in COGNOME) e ad “accontentarsi” dello stipendio mensile di C 900 corrisposto dal sodalizio.
Cita numerose captazioni – il cui testo è riportato per ampi stralci – da cui si desume il ruolo rivestito dal ricorrente nella composizione delle liti e comunque nella risoluzione dei problemi che insorgevano all’interno del clan, oltre alla sua primazia nell’autorizzare lo spaccio di sostanze stupefacenti.
E richiama la conversazione tra il ricorrente e COGNOME evidenziando come il primo, in ragione dell’a ffectio societatis che lo legava a COGNOME, fosse tenuto a versargli periodicamente parte degli incassi derivanti dal traffico di droga.
Del pari, riconosce significativa valenza indiziaria ad altra conversazione, relativa alla partecipazione del ricorrente agli utili delle attività dell’associazione mafiosa e nel corso della quale COGNOME informava COGNOME di aver riscosso i soldi dalla persona che avevano favorito in un’asta e di averne consegnato una parte al ricorrente.
In sintesi, il provvedimento impugnato motiva in modo completo e non illogico, premesso il carattere storico dell’associazione mafiosa in oggetto, la sussistenza di elementi gravemente indizianti l’ipotesi di appartenenza dell’indagato alla medesima, ravvisandoli nella conoscenza delle dinamiche interne al sodalizio, nella sottoposizione di COGNOME a vincoli gerarchici tipici di questo genere di fenomeno criminale, nella percezione di uno “stipendio” dal sodalizio, nella partecipazione agli utili delle attività criminose, nel suo ruolo nella composizione delle controversie del gruppo.
Il primo motivo va, pertanto, dichiarato inammissibile.
Esente da vizi è pure la motivazione dell’ordinanza impugnata quanto al secondo motivo di ricorso, con cui si revoca in dubbio la gravità del quadro indiziario quanto all’ipotesi associativa di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 cit., che i Giudici di merito ipotizzano promossa e diretta da COGNOME con l’assenso del COGNOME.
Sul punto, è opportuno ricordare che, per ormai risalente insegnamento di questa Corte, ai fini della configurabilità dell’associazione dedita al narcotraffico, è necessario: a) che almeno tre persone siano tra loro vincolate da un patte associativo (sorto anche in modo informale e non contestuale) avente ad oggetto un programma criminoso nel settore degli stupefacenti, da realizzare attraverso il coordinamento degli apporti personali; b) che il sodalizio abbia a disposizione, con sufficiente stabilità, risorse umane e materiali adeguate per una credibile attuazione del programma associativo; c) che ciascun associato, a conoscenza quantomeno dei tratti essenziali del sodalizio, si metta stabilmente a disposizione di quest’ultimo (Sez. 6, n. 7387 del 03/12/2013, dep. 2014, Pompei, Rv. 258796).
Quanto al requisito dell’organizzazione, in linea con le caratteristiche empirico-criminologiche del fenomeno oggetto di repressione, inoltre, non si richiede la presenza di una complessa e articolata organizzazione dotata ck notevoli disponibilità economiche, ma si ritiene sufficiente l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento
del fine comune, create in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli associati (Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258165. Ex multis, Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, COGNOME, Rv. 275583).
Ciò detto, e precisato che le organizzazioni volte al narcotraffico devono comunque raggiungere un livello di stabilità che, sebbene ovviamente non equiparabile a quello delle associazioni mafiose, deve essere tale da denotare il livello di pericolo espresso dal rigoroso editto sanzionatorio previsto dall’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 cit., anche in relazione a tale capo di incolpazione, l’ordinanza impugnata motiva in modo completo e non illogico.
Richiama plurime captazioni, anche tramite installazione di videocamere di fronte all’abitazione dell’indagato, arresti e sequestri, il cui contenuto riporta in modo puntuale ed analitico. E alla specifica deduzione relativa alla mancata dimostrazione dell’appartenenza al sodalizio di più di tre persone, risponde che l’associazione, dotata di basi logistiche, utilizzate per le riunioni programmatiche (tra cui la casa del ricorrente da cui questi organizzava e dirigeva le attività, oltre a risolvere conflitti e problemi e a pretendere la rendicontazione degli affari), era composta quantomeno dall’indagato, da suo nipote NOME COGNOME, da NOME COGNOME, da NOME COGNOME e da NOME Adriano.
Aggiunge, infine, che il sodalizio era dotato di una cassa comune in cui confluivano i proventi dello spaccio necessari per pagare i ragazzi stabilmente impiegati da NOME COGNOME come pusher, oltre che per acquistare le sostanze stupefacenti e per sostenere il clan COGNOME, citando a supporto di tale ipotesi le numerose conversazioni captate.
Il secondo motivo di ricorso deve essere, dunque, rigettato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ex art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 23/10/2024