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Associazione mafiosa: il tempo non cancella il pericolo

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un individuo accusato di partecipazione ad una associazione mafiosa, confermando la sua custodia cautelare in carcere. La Corte ha stabilito che il tempo trascorso tra i fatti contestati (2020-2021) e l’arresto non è sufficiente a superare la presunzione di pericolosità sociale per i reati di mafia. È stato inoltre dichiarato inammissibile il motivo di ricorso relativo alla nullità dell’ordinanza per essere un ‘copia-incolla’ della richiesta del PM, poiché non sollevato correttamente nelle sedi precedenti e non adeguatamente documentato. La Corte ha ritenuto logica e congrua la valutazione dei giudici di merito, che hanno identificato l’indagato come ‘successore’ del suocero nella gestione delle attività illecite del clan, in particolare nel controllo delle aree di pascolo, attività fondamentale per l’egemonia territoriale dell’organizzazione.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione Mafiosa: Il Tempo Trascorso Non Annulla la Pericolosità Sociale

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 24349/2025, offre importanti chiarimenti sulla valutazione delle esigenze cautelari nei procedimenti per associazione mafiosa. La pronuncia ribadisce un principio fondamentale: per le organizzazioni criminali storicamente radicate, il semplice passare del tempo non è sufficiente a far venir meno la presunzione di pericolosità dell’indagato, a meno che non emergano prove concrete di un suo recesso dal sodalizio. Analizziamo nel dettaglio la decisione e le sue implicazioni.

I Fatti del Caso: Successione Familiare e Controllo del Territorio

Il caso riguarda un individuo sottoposto a custodia cautelare in carcere con l’accusa di far parte di un mandamento mafioso operante in un’area rurale della Sicilia. Secondo l’accusa, l’uomo avrebbe ereditato il ruolo del suocero, figura di spicco del clan, assumendo compiti cruciali per l’organizzazione. In particolare, si occupava della gestione e ripartizione delle aree di pascolo, un’attività strategica attraverso cui il sodalizio esercitava il proprio controllo egemonico sul territorio. La difesa, invece, sosteneva che l’attività fosse del tutto lecita, derivante dalla gestione dell’azienda agricola della moglie e da antichi accordi verbali per l’uso dei terreni.

L’Ordinanza “Copia-Incolla”: Un Motivo di Ricorso Inammissibile

La difesa aveva sollevato in via preliminare la nullità dell’ordinanza cautelare, sostenendo che fosse stata redatta con la tecnica del “copia-incolla” rispetto alla richiesta del Pubblico Ministero, mancando quindi di un’autonoma valutazione critica da parte del giudice.

La Cassazione ha dichiarato questo motivo inammissibile per due ragioni:
1. Processuale: L’eccezione non era stata sollevata correttamente durante l’udienza di riesame, sede naturale per tale contestazione.
2. Sostanziale: Il ricorrente ha l’onere non solo di denunciare la natura tautologica del provvedimento, ma anche di indicare specificamente quali parti della motivazione avrebbero impedito una valutazione diversa e di produrre sia l’ordinanza che la richiesta del PM per consentire un confronto. In assenza di ciò, la doglianza è stata ritenuta generica.

La Prova della Partecipazione all’Associazione Mafiosa

Nel merito, la difesa contestava la gravità degli indizi, definendo “neutri” gli elementi raccolti, come le intercettazioni telefoniche. La Cassazione ha respinto anche questa censura, qualificandola come un tentativo di rilettura dei fatti, non consentito in sede di legittimità. I giudici hanno confermato la solidità del quadro indiziario costruito dai tribunali di merito, basato su sentenze passate in giudicato, servizi di intercettazione e osservazione. La valutazione del tribunale, che ha riconosciuto lo “stabile inserimento” dell’indagato nella struttura organizzativa del clan e il suo ruolo di “successore”, è stata considerata logica, congrua ed esente da vizi.

Esigenze Cautelari e il Principio del “Tempo Silente” in materia di associazione mafiosa

Il punto centrale del ricorso verteva sulle esigenze cautelari. La difesa evidenziava un notevole iato temporale tra i fatti contestati (risalenti al biennio 2020/2021) e l’emissione della misura, sostenendo che ciò facesse venir meno l’attualità del pericolo di recidiva.

La Corte Suprema ha rigettato questa tesi, richiamando il consolidato orientamento secondo cui, per le associazioni mafiose storiche e stabili, vige una presunzione (relativa) di persistenza delle esigenze cautelari. Il cosiddetto “tempo silente” è considerato un fattore neutro se non accompagnato da segnali concreti di rescissione dal contesto criminale. Anche adottando un’interpretazione meno rigida, nel caso di specie il tempo trascorso è stato giudicato “recessivo” rispetto ad elementi quali:
* La radicata operatività del sodalizio sul territorio.
* La gestione di un “settore di affari” redditizio e strategico.
* Il ruolo di vertice ereditato dal ricorrente.

Le Motivazioni della Cassazione

Le motivazioni della Corte si fondano sulla distinzione tra la criminalità comune e le associazioni mafiose. Per queste ultime, la pericolosità sociale non è legata al singolo atto criminale, ma all’appartenenza stessa a una struttura permanente e organizzata. Il vincolo associativo, una volta stretto, si presume persistente fino a prova contraria. Pertanto, il solo decorso del tempo non è idoneo a dimostrare che tale vincolo si sia sciolto. La Corte ha sottolineato come la difesa non avesse fornito alcun elemento concreto per supportare l’ipotesi di un allontanamento dell’indagato dal sodalizio, rendendo così la distanza temporale ininfluente ai fini della valutazione dell’attualità del pericolo.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza consolida un principio cruciale nella lotta alla criminalità organizzata. Conferma che per smontare la presunzione di pericolosità di un affiliato a una associazione mafiosa non basta il silenzio investigativo o il tempo trascorso dai fatti. È necessario fornire elementi positivi che dimostrino un’effettiva e irreversibile rottura con il clan. Per la difesa, ciò significa che l’onere della prova in tema di esigenze cautelari è particolarmente gravoso in questi contesti, richiedendo una strategia argomentativa focalizzata non sull’assenza di nuove condotte, ma sulla prova attiva di un cambiamento di vita.

Quando un’ordinanza di custodia cautelare può essere considerata nulla per essere un ‘copia-incolla’ della richiesta del PM?
Secondo la Corte, non è sufficiente affermare che l’ordinanza sia un ‘copia-incolla’. Il ricorrente deve specificare quali parti della motivazione, prive di autonoma valutazione, avrebbero impedito una decisione diversa. Inoltre, è necessario allegare al ricorso sia il provvedimento del giudice sia la richiesta del PM per permettere un confronto diretto.

Il tempo trascorso tra i fatti contestati e l’arresto può far venir meno le esigenze cautelari in un processo per associazione mafiosa?
No, di regola non è sufficiente. Per le associazioni mafiose ‘storiche’, esiste una presunzione di persistenza della pericolosità. Il cosiddetto ‘tempo silente’ è un fattore neutro, a meno che non sia accompagnato da prove concrete che dimostrino l’effettivo allontanamento dell’indagato dal sodalizio criminale.

Come viene valutata la partecipazione di un individuo a un’associazione mafiosa quando l’attività svolta ha anche un’apparenza lecita?
La valutazione non si basa sulla singola azione, ma sul contesto complessivo. Nel caso di specie, la gestione dei pascoli, sebbene apparentemente un’attività agricola, è stata interpretata come uno strumento per l’esercizio del controllo mafioso sul territorio. La Corte ha ritenuto logica la ricostruzione dei giudici di merito che hanno visto in questa attività la continuazione del ruolo di vertice ereditato all’interno del clan, confermando lo ‘stabile inserimento’ dell’indagato nell’organizzazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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