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Associazione mafiosa: il ruolo di paciere è reato

Un soggetto in custodia cautelare per associazione mafiosa ha presentato ricorso sostenendo di aver agito solo come “paciere” per risolvere conflitti. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, affermando che chi interviene per mantenere la stabilità e la coesione di un clan criminale fornisce un contributo essenziale all’associazione stessa, configurando così il reato. La Corte ha inoltre confermato che la valutazione dei gravi indizi e delle esigenze cautelari era corretta e non illogica.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione Mafiosa: Quando il Ruolo di “Paciere” Configura il Reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12160 del 2024, ha affrontato un tema cruciale nella lotta alla criminalità organizzata, delineando i confini della partecipazione a un’associazione mafiosa. La pronuncia chiarisce che anche un ruolo apparentemente neutro come quello del “paciere”, se finalizzato a mantenere la coesione interna di un clan, costituisce a tutti gli effetti una condotta penalmente rilevante. Questa decisione rafforza gli strumenti interpretativi a disposizione della magistratura per contrastare le complesse strutture criminali.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un indagato, colpito da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di partecipazione a un’associazione mafiosa con un ruolo di vertice. La difesa sosteneva l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, argomentando che l’attività del proprio assistito, emersa dalle intercettazioni, fosse limitata a quella di “paciere” in occasione di contrasti tra affiliati. Secondo la tesi difensiva, tale condotta non proverebbe un inserimento stabile e consapevole nel sodalizio criminale. Inoltre, venivano sollevate questioni procedurali sulla presunta mancanza di autonoma valutazione da parte del giudice che aveva emesso la misura e contestata l’attualità delle esigenze cautelari.

La Partecipazione all’Associazione Mafiosa e il Ruolo del Paciere

La questione giuridica centrale sottoposta alla Corte era se l’attività di mediazione e risoluzione dei conflitti interni a un’organizzazione criminale potesse essere qualificata come partecipazione all’associazione mafiosa ai sensi dell’art. 416 bis c.p. La difesa tentava di sminuire la rilevanza di tali interventi, riconducendoli a rapporti personali e non a un contributo organico al clan. Tuttavia, la giurisprudenza consolidata tende a interpretare in modo estensivo il concetto di partecipazione, includendovi qualsiasi contributo che, anche senza manifestarsi in atti violenti o illegali, sia funzionale alla conservazione e al rafforzamento del sodalizio.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto integralmente il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi di doglianza.

In primo luogo, ha dichiarato inammissibili le censure procedurali relative alla presunta tecnica del “copia e incolla”, ribadendo il principio secondo cui il ricorrente ha l’onere di specificare come una diversa e autonoma valutazione avrebbe potuto condurre a conclusioni differenti, non bastando una contestazione generica.

Nel merito, i giudici hanno stabilito che l’attività di “paciere” svolta da un esponente di primo piano di una cosca non è affatto irrilevante. Al contrario, essa costituisce una condotta pienamente integrante il reato di partecipazione ad associazione mafiosa. La motivazione risiede nel fatto che la composizione dei contrasti interni è funzionale ad assicurare “la stabilità e la tenuta” dell’organizzazione. Un clan coeso e privo di faide interne è più forte, più efficiente e più pericoloso. Pertanto, chi opera per mantenere questa stabilità fornisce un contributo causale essenziale alla vita e al rafforzamento del sodalizio.

La Corte ha inoltre chiarito che l’interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate è di competenza esclusiva del giudice di merito e non può essere rivalutata in sede di legittimità, se non in caso di manifesta illogicità, qui non riscontrata. Infine, è stata confermata la sussistenza delle esigenze cautelari, valorizzando elementi recenti come la violazione della libertà vigilata, considerati indicatori di una perdurante e attuale pericolosità sociale.

Le Conclusioni

Con questa sentenza, la Cassazione riafferma un principio fondamentale: per essere considerati partecipi di un’associazione mafiosa, non è necessario compiere materialmente i reati-fine dell’organizzazione (estorsioni, traffico di stupefacenti, ecc.). È sufficiente fornire un contributo stabile e consapevole che sia funzionale alla vita, alla conservazione o al rafforzamento del clan. Il ruolo del “paciere”, lungi dall’essere una figura marginale, è stato qualificato come strategico per la sopravvivenza del sodalizio, poiché ne garantisce la coesione interna, presupposto indispensabile per la sua operatività criminale sul territorio. La decisione, pertanto, consolida un orientamento giuridico volto a colpire ogni forma di supporto alle organizzazioni mafiose, anche quelle che si manifestano in forme non direttamente violente.

Svolgere il ruolo di “paciere” all’interno di un clan criminale è reato?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’attività di “paciere”, se svolta per risolvere contrasti interni e assicurare la stabilità e la tenuta di un’associazione di tipo mafioso, configura la condotta di partecipazione al reato stesso.

Un’eccezione generica di “copia e incolla” contro un’ordinanza cautelare è sufficiente per annullarla?
No. Il ricorrente che denuncia la nullità di un’ordinanza per mancata autonoma valutazione da parte del giudice deve indicare specificamente quali aspetti della motivazione, se fossero stati valutati autonomamente, avrebbero portato a conclusioni diverse. Una critica generica non è ammissibile.

Come viene valutata la pericolosità attuale di un indagato per giustificare la custodia in carcere?
La pericolosità viene valutata sulla base di elementi concreti e recenti. Nel caso di specie, la violazione di una misura di sicurezza (libertà vigilata) e il conseguente giudizio di perdurante pericolosità sociale espresso dal Magistrato di Sorveglianza sono stati considerati elementi idonei a dimostrare l’attualità delle esigenze cautelari.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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