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Associazione mafiosa: il ruolo della cooperativa schermo

La Corte di Cassazione ha confermato la misura degli arresti domiciliari per un soggetto accusato di partecipazione in un’associazione mafiosa dedita al controllo del settore della pesca. La Corte ha ritenuto che il ruolo di presidente di una cooperativa fosse in realtà una copertura per le attività illecite del clan. Il ricorso, basato su una diversa interpretazione dei fatti, è stato respinto in quanto i gravi indizi di colpevolezza sono stati ritenuti solidi e ben motivati dal tribunale di merito.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione Mafiosa: Quando una Cooperativa Diventa lo Schermo del Clan

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico di associazione mafiosa, confermando una misura cautelare nei confronti di un individuo accusato di far parte di un clan che controllava il settore della pesca. La decisione mette in luce come strutture apparentemente legali, come una cooperativa, possano essere utilizzate come facciata per attività criminali complesse, e ribadisce i confini del sindacato di legittimità sui gravi indizi di colpevolezza.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un uomo, presidente di una cooperativa di pescatori, sottoposto alla misura degli arresti domiciliari con l’accusa di partecipazione a un’associazione mafiosa e altri reati connessi. Secondo l’accusa, il clan esercitava un controllo monopolistico sulle zone di pesca e sulla rivendita del pescato, imponendo le proprie regole attraverso la forza intimidatrice. L’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. La sua difesa argomentava che le sue azioni fossero state fraintese: le denunce contro altri pescatori non erano pretestuose ma legittime, e il suo ruolo nella cooperativa era trasparente e legale, senza alcun collegamento con le dinamiche criminali del clan.

L’Analisi della Corte sull’Associazione Mafiosa e il Ruolo dell’Indagato

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente il ricorso, definendolo generico e volto a ottenere una nuova e inammissibile valutazione dei fatti. I giudici hanno sottolineato come il Tribunale del riesame avesse già condotto un’analisi articolata e logica degli elementi a carico dell’indagato. In particolare, la Corte ha confermato la visione del Tribunale secondo cui la cooperativa presieduta dall’indagato non era altro che una “veste formale” dell’illecito programma del gruppo mafioso. Lungi dall’essere un’entità economica autonoma, la cooperativa risultava essere uno strumento per l’imposizione monopolistica del clan, ricevendo persino direttive sulla sua gestione e sulle strategie difensive da adottare in caso di procedimenti penali da parte di un esponente di spicco detenuto in carcere.

Un elemento ritenuto cruciale è stata la partecipazione dell’indagato a un incontro strategico presso il molo con altri membri dei gruppi criminali, un fatto che ne dimostrava il pieno inserimento nelle dinamiche operative del clan. La difesa non è riuscita a smontare questa costruzione accusatoria, limitandosi a proporre una lettura alternativa degli eventi che la Cassazione non ha potuto prendere in considerazione.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione centrale della sentenza risiede nella natura stessa del giudizio di Cassazione. La Corte non è un terzo grado di merito e non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella dei giudici precedenti. Il suo compito è verificare la correttezza giuridica e la coerenza logica della motivazione del provvedimento impugnato. Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale è stata giudicata completa, coerente e priva di vizi logici evidenti. Gli elementi indiziari a carico dell’indagato – il suo ruolo attivo nella cooperativa-schermo, i rapporti con i vertici del clan, la partecipazione a incontri operativi – sono stati considerati convergenti nel delineare un quadro di grave colpevolezza, sufficiente a giustificare la misura cautelare.

Conclusioni

Questa pronuncia offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, ribadisce la solidità del principio secondo cui la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza in fase cautelare, se logicamente motivata e priva di errori di diritto, non è sindacabile in sede di legittimità. In secondo luogo, evidenzia la capacità delle organizzazioni criminali di infiltrare l’economia legale attraverso strutture societarie o cooperative, utilizzandole come strumenti per perseguire i propri fini illeciti. La sentenza dimostra come la giustizia possa guardare oltre la forma, analizzando la sostanza dei rapporti economici e personali per smascherare la reale natura di un’associazione mafiosa.

Può una cooperativa apparentemente legale essere considerata parte di un’associazione mafiosa?
Sì. La Corte ha stabilito che, al di là della sua veste formale, la cooperativa era di fatto uno strumento del gruppo mafioso, utilizzato per perseguire un programma illecito di controllo monopolistico sulla pesca e sulla rivendita del pescato.

È sufficiente proporre una versione alternativa dei fatti per annullare una misura cautelare in Cassazione?
No. La Corte di Cassazione non può riesaminare le prove. Un ricorso che si limita a proporre una lettura diversa degli elementi indiziari, senza dimostrare un errore di diritto o un’illogicità manifesta nella motivazione del giudice precedente, viene respinto.

Quali elementi sono stati decisivi per confermare la gravità indiziaria a carico dell’indagato?
Sono stati considerati decisivi la sua piena integrazione nel sistema impositivo del clan, il ruolo attivo come Presidente della cooperativa usata come copertura, il rapporto diretto con l’esponente apicale del gruppo e la sua partecipazione a riunioni strategiche con altri affiliati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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