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Associazione mafiosa: il controllo su attività illecite

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30009/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro un’ordinanza di custodia cautelare per associazione mafiosa. La Corte ha stabilito che la natura di un’associazione mafiosa sussiste anche quando il gruppo esercita un potere intimidatorio non verso cittadini onesti, ma verso altri soggetti che svolgono attività illecite (come lo spaccio), costringendoli a versare una parte dei profitti per poter operare. Questo controllo del territorio e la prevaricazione, anche nel mondo criminale, sono elementi caratteristici del reato previsto dall’art. 416-bis c.p.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione Mafiosa: Basta il Controllo sugli Altri Criminali per la Condanna

Con la recente sentenza n. 30009 del 2024, la Corte di Cassazione torna a delineare i confini del reato di associazione mafiosa, stabilendo un principio di cruciale importanza: la natura mafiosa di un gruppo si manifesta anche quando il suo potere intimidatorio è diretto a controllare altre attività illecite sul territorio. Approfondiamo questa decisione che consolida un orientamento giurisprudenziale fondamentale per il contrasto alla criminalità organizzata.

I Fatti del Processo

Il caso nasce dal ricorso presentato dalla difesa di un indagato, colpito da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso. Inizialmente, il Giudice per le indagini preliminari aveva respinto la richiesta di misura cautelare, ritenendo che i fatti contestati si limitassero al narcotraffico. Tuttavia, il Tribunale della Libertà, accogliendo l’appello del Pubblico Ministero, aveva ribaltato la decisione, disponendo la detenzione.

La difesa sosteneva nel suo ricorso che mancassero gli elementi tipici dell’associazione mafiosa, come il controllo pervasivo del territorio a danno di cittadini e attività lecite. Secondo il ricorrente, il coinvolgimento di un soggetto già condannato per mafia e la localizzazione geografica dei fatti non erano sufficienti a qualificare il gruppo come tale, trattandosi, a suo avviso, di una semplice associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.

La Decisione della Cassazione: il Ruolo del Controllo Territoriale

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. I giudici di legittimità hanno confermato la correttezza del ragionamento del Tribunale della Libertà, sottolineando come la valutazione del quadro indiziario fosse logica e coerente con i principi di diritto.

La Corte ha ribadito che il compito in sede di legittimità non è rivalutare i fatti, ma verificare che la motivazione del giudice di merito sia adeguata e priva di vizi logici. In questo caso, il Tribunale aveva correttamente individuato non solo le attività criminali, ma anche il ruolo specifico dell’indagato in collaborazione con un noto esponente di un clan, evidenziando la ripresa delle attività delittuose dopo la sua scarcerazione.

Le Motivazioni: Quando un Gruppo è un’Associazione Mafiosa?

Il cuore della sentenza risiede nella spiegazione di cosa qualifichi un’associazione mafiosa. La Cassazione, richiamando la propria giurisprudenza consolidata, ha chiarito che la natura mafiosa emerge anche quando i membri del gruppo esercitano forme di controllo su attività economiche illecite.

Il potere intimidatorio, elemento cardine del reato, non deve necessariamente manifestarsi contro cittadini onesti. Esso si proietta all’esterno anche attraverso un’opera di prevaricazione nei confronti di chi già opera nell’illegalità. Costringere altri criminali, come gli spacciatori al dettaglio, ad aderire al sodalizio o a pagare una percentuale sui profitti illeciti per poter continuare la propria attività, è una chiara espressione di potere mafioso. Questo comportamento determina uno stato di soggezione e omertà non solo nella società civile, ma anche all’interno dello stesso mondo criminale.

Nel caso specifico, l’azione violenta posta in essere dall’indagato e dal suo sodale era finalizzata a manifestare il pieno controllo del territorio sulle attività illecite. Questo coinvolgimento attivo nel sistema di controllo e prevaricazione dell’associazione è stato giustamente valutato come una condotta significativa di partecipazione al sodalizio mafioso, punibile ai sensi dell’art. 416-bis del codice penale.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un concetto fondamentale: un’associazione mafiosa non si definisce solo per i reati-fine che commette (come estorsioni a commercianti o traffico di droga), ma soprattutto per il metodo che utilizza. L’impiego della forza intimidatrice per imporre il proprio dominio su un territorio, assicurandosi il controllo di qualsiasi attività economica – lecita o illecita che sia – e imponendo il pagamento di ‘tasse’ criminali, è l’essenza stessa del fenomeno mafioso. Questa pronuncia offre un ulteriore strumento interpretativo per contrastare le organizzazioni criminali che, pur operando principalmente in settori illeciti, utilizzano il metodo mafioso per affermare il proprio potere.

Un gruppo dedito solo al narcotraffico può essere qualificato come associazione mafiosa?
Sì, secondo la sentenza, se oltre al traffico di droga, il gruppo utilizza la forza di intimidazione per controllare il territorio, costringendo altri criminali (come piccoli spacciatori) a sottostare al suo dominio e a versare una parte dei profitti illeciti. È il ‘metodo’ mafioso a qualificare il reato, non solo il tipo di attività illecita svolta.

Qual è l’elemento decisivo che trasforma un’associazione a delinquere in una di tipo mafioso?
L’elemento decisivo è l’utilizzo della forza di intimidazione del vincolo associativo per creare uno stato di assoggettamento e di omertà. Questa forza si manifesta nel controllo del territorio e nella prevaricazione, che può essere rivolta sia verso attività lecite sia verso altre attività illecite.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la Corte di Cassazione lo ha ritenuto ‘manifestamente infondato’. I giudici hanno stabilito che la motivazione del Tribunale della Libertà era logica, coerente e corretta nell’applicare i principi di diritto esistenti, e che il ricorso non presentava validi motivi di legittimità ma tentava di ottenere un nuovo esame dei fatti, cosa non permessa in sede di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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