Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2469 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2469 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a NAPOLI il 23/07/1987
avverso l’ordinanza del 12/07/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi per l’indagato l’avv. NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME che hanno
concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il provvedimento del G.i.p. del Tribunale di Napoli con il quale è stata applicata a Torino Bernardo la misura cautelare della custodia in carcere per i reati di partecipazione ad associazione mafiosa, omicidio pluriaggravato e detenzione e porto aggravati di armi comuni da sparo. In particolare il Tribunale ha ritenuto sussistere i gravi indizi del concorso del Torino nell’esecuzione dell’omicidio di COGNOME NOME quale autista della vettura servita per trasportare e poi esfiltrare gli autori materiali de delitto, commesso con armi da fuoco. Nello stesso senso il giudice del riesame ha ritenuto superata la soglia della gravità indiziaria anche in merito all’intraneità dell’indagato al sodalizio di matrice camorristica costituitosi attorno alla figura d COGNOME NOME.
2. Avverso l’ordinanza ricorre l’indagato articolando tre motivi.
2.1 Con il primo deduce violazione di legge e vizi della motivazione in merito alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dell’indagato per l’omicidio di Milano NOME. Lamenta anzitutto il ricorrente che il Tribunale avrebbe omesso di considerare come alcuno dei testimoni del fatto, né le riprese delle telecamere di sorveglianza abbiano confermato la presenza sulla scena del crimine dell’indagato. I giudici del riesame avrebbero inoltre omesso di valutare la credibilità soggettiva del collaboratore COGNOME principale fonte dell’accusa mossa al Torino, nonché l’intrinseca attendibilità delle sue dichiarazioni, mentre in maniera del tutto apodittica ed illogica avrebbe valorizzato a riscontro quelle di altro collaboratore, COGNOME, già invero emarginate per la loro aspecificità nel ragionamento probatorio sviluppato nell’ordinanza genetica. Quanto agli ulteriori riscontri evocati, inconferenti sarebbero gli esiti del tracciamento dell’utenza asseritamente utilizzata dallo stesso Torino, risultando dalle intercettazioni in atti che la stessa, pochi minuti dopo l’esecuzione dell’omicidio, fosse in uso ad altro soggetto, cui solo in maniera congetturale – e comunque illogica, visto che anche quest’ultimo viene collocato sul luogo dell’omicidio – i giudici del merito hanno ritenuto il Torino avesse temporaneamente consegnato il proprio dispositivo. Non di meno, le risultanze valorizzate come riscontro individualizzante delle dichiarazioni del COGNOME non conforterebbe il nucleo essenziale del propalato di quest’ultimo, ossia che l’indagato era stato l’autista del veicolo che aveva trasportato i sicari sul luogo del delitto.
2.2 Analoghi vizi vengono dedotti con il secondo motivo in merito alla effettiva natura mafiosa dell’associazione configurata al capo B) dell’incolpazione. In proposito viene eccepito che i giudici del merito non avrebbero dimostrato la capacità del sodalizio di
proiettare all’esterno il metodo mafioso determinando una effettiva ed attuale situazione di assoggettamento ed omertà nel contesto di riferimento e che non può rimanere confinata alle eventuali intenzioni dei suoi componenti perché possa ritenersi integrata la fattispecie contestata. Dimostrazione necessaria atteso che quello degli COGNOME è raggruppamento criminale del tutto inedito e che non può ritenersi si sia posto in rapporto di continuità con una cosca storica da cui poter mutuare la reputazione mafiosa e il conseguente condizionamento del contesto territoriale. In tal senso il Tribunale si sarebbe limitato ad elencare elementi indiziari dell’esistenza dell’associazione, senza per l’appunto compiere alcuna valutazione sull’integrazione dei connotati strutturali postulati dall’art. 416-bis c.p. Né rileverebbero in senso contrario le dichiarazioni rese dai collaboratori evocate nel provvedimento impugnato, posto che questi al più hanno potuto riferire sulla percezione che del sodalizio avevano le altre realtà criminali. Nello stesso senso inconferenti sarebbero poi alcune delle risultanze dell’attività di captazione cui il provvedimento impugnato ha fatto riferimento, tanto più che, con riguardo all’intercettazione del COGNOME, in maniera apodittica il Tribunale avrebbe concluso che questi si stesse lamentando della consistenza della “mesata” piuttosto che di altre somme di cui si riteneva creditore. Frutto di travisamento sarebbe poi la valorizzazione dei fogli manoscritti rinvenuti dagli inquirenti nel corso della perquisizione dell’abitazione di Masciolo Giovanni. Infatti, essendo questi intraneo alla cosca dei COGNOME sarebbe evidente che la lista di imprenditori sottoposti ad estorsione rinvenuta nell’occasione riguarderebbe l’attività di tale ultimo sodalizio, mentre l’elenco degli affiliati al gruppo COGNOME ovvero di coloro percepiti come tali non necessariamente sarebbe indicativa del carattere mafioso dello stesso. Infine illogicamente sarebbe stata valorizzata la vicenda relativa alla tentata estorsione contestata al capo M), che attesa la sua natura e occasionalità deve ritenersi certamente inidonea a comprovare uno stato di assoggettamento promanante dall’associazione. In definitiva il ricorrente lamenta il difetto della dimostrazione della tipicità del fatto contestato da parte dei giudici del riesame. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.3 Ancora gli stessi vizi vengono prospettati anche con il terzo motivo in merito alla sussistenza dei gravi indizi della intraneità del Torino al gruppo COGNOME. Gi elementi valorizzati in tal senso dal Tribunale non sarebbero infatti idonei a dimostrare non già una generica appartenenza dell’indagato al sodalizio, quanto, come necessario, il suo effettivo e continuativo contributo causalmente rilevante alla vita e all’operatività del medesimo. Conseguentemente l’unico fatto di qualche rilevanza cui l’ordinanza impugnata fa riferimento per avvalorare l’accusa associativa sarebbe dunque il presunto, ma per l’appunto contestato, coinvolgimento dell’indagato
nell’omicidio Milano, di per sé idoneo ad evidenziare al più la temporanea alleanza del Torino con gli COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel suo complesso infondato.
Va anzitutto ribadito il consolidato principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità per cui, allorché sia denunciato con il ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governan l’apprezzamento delle risultanze probatorie. In tal senso, premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali elencati nell’art. 292 c.p.p. ed ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, va evidenziato che la motivazione della decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 c.p.p., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza (ex multis Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
Ciò premesso le censure proposte con il primo motivo sono infondate e in larga parte manifestamente infondate o generiche.
Del tutto neutra è la circostanza che alcuno dei testimoni oculari dell’omicidio del Milano abbia riconosciuto il Torino o che lo stesso non sia stato ripreso dalle telecamere di sorveglianza. Infatti, nell’impostazione accusatoria accolta dai giudici del riesame il ruolo svolto dall’indagato nell’azione delittuosa è stato quello di autista del veicolo con la quale i sicari sono giunti sul luogo in cui la vittima è stata uccisa ed a bordo della quale si sono allontanati, talchè è del tutto logico che la sua presenza non sia stata notata da coloro che erano eventualmente presenti all’interno del bar teatro dell’omicidio o intercettata dalle telecamere, che pure hanno registrato la presenza di
una terza persona nella vettura, avendo in tal senso il Tribunale evidenziato come dalle immagini emerga che nessuno dei due esecutori materiali, una volta commesso l’omicidio, si è posto alla guida del veicolo.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici del riesame hanno ampiamente motivato sulla ritenuta credibilità del collaboratore COGNOME principale fonte dell’accusa mossa al Torino, e sull’attendibilità delle sue dichiarazioni, sia ripercorrendo la sua storia criminale nell’ambito dei clan che s,i sono avvicendati nel governo del territorio caduto sotto il contro del gruppo facente capo agli COGNOME, sia evidenziando la coerenza intrinseca del suo narrato e l’assenza di motivazioni ritorsive. Apparato argomentativo questo con il quale il ricorso sostanzialmente non si è confrontato.
Motivatamente il Tribunale ha altresì identificato nelle risultanze dei tabulati telefonici relativi all’utenza in uso all’indagato un idoneo e sufficiente riscontro esterno al narrato del collaboratore, mentre il ricorrente non si è confrontato con la logica ed esauriente confutazione svolta nell’ordinanza all’obiezione difensiva relativa al fatto che successivamente all’esecuzione dell’omicidio la stessa utenza è risultata in uso ad altro soggetto. In tal senso i giudici del riesame anzitutto hanno evidenziato come la circostanza risale non già a pochi minuti dopo il delitto, bensì quasi mezz’ora dopo. In secondo luogo hanno osservato come nell’occasione a rispondere al telefono del Torino sia stato NOME NOME, ossia altro soggetto presente, a bordo di un’altra vettura, sul luogo dell’omicidio, circostanza peraltro indicata anche dal COGNOME e non contestata dalla difesa. Infine hanno sottolineato come dal tenore della risposta del Perfetto alla telefonata sia possibile evincere che egli nella medesima occasione si trovava in compagnia dell’indagata, utilizzando il suo apparecchio solo perché lo stesso si era recato al bagno. La tenuta logica di tale apparato argomentativo è indiscutibile, mentre la scia elettronica lasciata dal telefono dell’indagato, compresa la tappa presso il luogo di abituale ritrovo del clan, costituisce un riscontro individualizzante di sicur spessore circa la presenza del Torino sul luogo dell’omicidio in compagnia di altro soggetto coinvolto nella sua esecuzione. È invece irrilevante che gli elementi di riscontro non riguardino lo specifico ruolo ricoperto dall’indagato nell’azione criminosa, atteso che quello richiesto dalla difesa non è in realtà un riscontro, bensì una prova autonoma rispetto alle dichiarazioni del collaboratore della sua partecipazione all’omicidio, in totale distonia con il significato giuridico della regola di valutazione queste ultime posta dall’art. 192 comma 3 c.p.p. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto infine alle dichiarazioni de relato del Pancia, il Tribunale ne ha registrato la convergenza con quelle del COGNOME circa il ruolo del Torino, ma ha attribuito alle medesime valore solo marginale riconoscendo i dubbi nutriti nell’ordinanza genetica in
merito alla individuazione della fonte primaria delle sue conoscenze. Anche non tenendone conto, dunque, la tenuta della motivazione dell’ordinanza impugnata non ne risulta compromessa, né il ricorrente ha saputo evidenziare il contrario.
4. Venendo al secondo motivo di ricorso va certamente ribadito che l’associazione di tipo mafioso si connota rispetto alla semplice associazione per delinquere per la sua capacità di proiettarsi verso l’esterno, per il suo radicamento nel territorio in cui alligna e si espande, per l’assoggettamento e l’omertà che è in grado di determinare nella collettività insediata nell’area di operatività del sodalizio, collettività nella quale presenza associativa deve possedere la capacità di diffondere un comune sentire caratterizzato da soggezione di fronte alla forza prevaricatrice ed intimidatrice del gruppo (ex multis Sez. 1, n. 35627 del 18/04/2012, P.G. in proc. COGNOME e altri, Rv. 253457; Sez. 2, n. 18773 del 31/03/2017, COGNOME e altri, Rv. 269747). In altri termini deve ritenersi elemento strutturale del reato di cui all’art. 416 bis c.p. il fatto ch dall’associazione promani forza intimidatrice, capace d’incutere timore e d’indurre assoggettamento e, conseguentemente, omertà. Perché si abbia un’associazione mafiosa è dunque necessario che il gruppo abbia conseguito nell’ambiente circostante una reale capacità di intimidazione e che si avvalga di tale forza, nella quale consiste il metodo mafioso di realizzazione del programma criminoso del sodalizio.
È, cioè, necessario che l’associazione abbia conseguito in concreto, nell’ambiente circostante nel quale opera, sia pure limitatamente ad un determinato settore, un’effettiva capacità di intimidazione, sino ad estendere intorno a sè una generale percezione della sua efficienza nell’esercizio della forza, anche a prescindere da singoli atti di intimidazione concreti posti in essere da questo o quell’associato. Insomma, la capacità del sodalizio di sprigionare autonomamente, e per il solo fatto della sua esistenza, una carica intimidatrice capace di piegare ai propri fini la volontà di quanti vengano a contatto con gli affiliati all’organismo criminale, per quanto potenziale, deve essere comunque percepibile e percepita all’esterno, anche in assenza del suo attuale esercizio. Principi questi che certamente valgono anche e soprattutto nell’ipotesi della costituzione di una nuova struttura criminale, che è poi la fattispecie oggetto del provvedimento impugnato.
5. Degli illustrati e consolidati principi il Tribunale ha dimostrato di aver fatto buon governo, mentre le obiezioni difensive alla ritenuta natura mafiosa dell’associazione ipotizzata al capo B) dell’incolpazione risultano meramente contestative e prive di un compiuto confronto con la motivazione dell’ordinanza impugnata. Il giudice del riesame ha infatti inferito la natura camorristica del gruppo coagulatosi attorno alla
figura degli COGNOME da una serie di elementi convergenti in tal senso e valutati nella loro globalità, al contrario di quanto fatto dal ricorrente che ha invece affidato le proprie censure ad un approccio atomistico al compendio indiziario.
L’espressività “mafiosa” del sodalizio, nel senso inteso dal terzo comma dell’art. 416bis c.p., è stato infatti logicamente desunto dai giudici del merito dalle plurime manifestazioni oggettive della volontà dell’associazione di imporre il proprio governo del territorio di riferimento ricorrendo ripetutamente alle c.d. “stese” (ossia scorribande armate per il centro abitato finalizzate ad affermare nei confronti dei clan concorrenti e della popolazione la propria sovranità territoriale), ad aggressioni violente, all’omicidio (emblematico quello del Milano eseguito in pieno giorno e in un esercizio pubblico) e l’estorsione. Sulla base delle risultanze esposte – che si ripete il ricorso cerca di svalutare singolarmente in maniera apodittica, senza considerare la sinergia indiziaria che dalle stesse promana – il Tribunale ha in maniera coerente in quadrato la capacità di intimidazione della collettività e non già solo di singoli individui. La percezione che le altre consorterie criminali hanno avuto dell’associazione di cui si tratta è poi elemento tutt’altro che irrilevante (ancorché di per sè non decisivo) della caratura della stessa e della sua presenza sul territorio. Il che giustifica il riferimento operato nell’ordinanza alla “lista” dei suoi appartenenti rinvenuta presso l’abitazione del Masciolo, mentre le dichiarazioni del COGNOME non possono essere semplicemente classificate, come preteso dalla difesa, come le propalazioni di un componente di un clan rivale, atteso che egli ha ammesso di aver aderito al gruppo degli COGNOME, sebbene quando questo già si era imposto. Dal suo narrato peraltro i giudici del riesame hanno coerentemente ritratto la cronistoria dell’ascesa del sodalizio, che certamente si è affermato quale raggruppamento inedito, colmando però gli spazi lasciati dalla progressiva implosione e frammentazione del clan precedentemente egemone sul territorio di riferimento. Il Tribunale ne ha dunque legittimamente inferito che la nuova associazione si sia in qualche modo sostituita a quella precedente ereditandone nei fatti il ruolo al cospetto della collettività. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Né le conclusioni cui è pervenuta l’ordinanza impugnata sono contraddette dal fatto che, allo stato, nell’ambito del procedimento sia stata contestato – ancorché non al Torino – un solo episodio estorsivo, giacché l’episodio, per come illustrato nel provvedimento, è stato logicamente interpretato come indicativo di quell’opera di conquista del territorio condotta dal sodalizio, perpetrando i metodi utilizzati da coloro che l’avevano preceduto nel governo criminale del medesimo.
Non è poi in dubbio che sia consentito al giudice, pur nell’autonomia del reato mezzo rispetto ai reati fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità
esecutive, posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione medesima (Sez. Un., n. 10 del 28/03/2001, COGNOME e altri, Rv. 218376). E’ peraltro necessario che tali reati, per la loro natura o per le peculiari modalità di consumazione per l’appunto, si rivelino effettivamente sintomatici dell’attuazione del programma di una associazione mafiosa piuttosto che di una normale associazione a delinquere.
Quanto infine alle risultanze dell’attività di intercettazione, le censure del ricorrente s limitano alla mera assertiva contestazione della interpretazione che ne ha fornito il Tribunale e che appare coerente al loro contenuto per come riportato nel provvedimento impugnato.
Inammissibili sono infine le censure proposte con il terzo motivo in merito alla ritenuta intraneità del Torino al clan COGNOME. La partecipazione dell’indagato ad una azione eclatante e certamente non marginale nell’opera di affermazione del controllo del territorio da parte del sodalizio, quale indubbiamente è l’omicidio del Milano, è stato logicamente considerato “plastica” evidenza dell’inserimento organico dell’indagato nell’organigramma associativo ed infatti il ricorrente si limita a rinviare in proposito ai rilievi svolti con il primo motivo al fine di negare il suo coinvolgimento nella vicenda e sulla cui infondatezza già si è detto. Non di meno il ricorso non si confronta con gli altri elementi addotti dall’ordinanza a sostegno dell’accusa di cui si tratta, ossia le dichiarazioni del COGNOME (che la difesa ha analizzato in maniera del tutto parziale, rimanendo peraltro irrilevante il motivo che ha portato il Torino ad aderire al clan COGNOME) e le risultanze di alcune intercettazioni, nemmeno analizzate dalla difesa, logicamente interpretate come sintomatiche della considerazione del Torino da parte degli altri affiliati.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod.
proc. pen
Così deciso il 5/11/2024