Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5042 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5042 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a Busto Arsizio il 06/02/1973;
avverso la ordinanza del Tribunale di Milano del 10/04/2024.
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni rassegnate ai sensi dell’art. 611, comma 1, cod. proc. pen. del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, con ordinanza in data 26 settembre 2023, pronunciando nell’ambito di un procedimento penale riguardante un elevato numero di indagati anche per il reato ex art. 416-bis cod. pen. (sodalizio, rispetto a quale il citato giudice non riteneva sussistente la gravità indiziaria) disponeva misure coercitive nei confronti di undici persone ed il sequestro di euro 225.205.697,62 in ordine ai delitti di detenzione illegale di armi, estorsione, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, reati in materia di stupefacenti e reati in materia fiscale. L’originaria richiesta di misure cautelari, avanzata dalla D.D.A. di Milano il giorno 3 aprile 2023, riguardava ben 154 indagati ed 86 capi di imputazione.
1.1. Con riferimento alla posizione di NOME COGNOME, il Giudice per le indagini preliminari non riteneva sussistenti i gravi indizi di colpevolezza rispetto ai delitti di cui al capo 1) di detta ordinanza – vale a dire il reato ex art. 416-bis cod. pen. per avere fatto parte, con altre persone allo stato non ancora individuate, di una imponente e capillarmente strutturata associazione mafiosa, operante prevalentemente nel territorio lombardo, in particolare, tra la città di Milano e la sua provincia, la città di Varese e la sua provincia, costituita da appartenenti alle tre diverse organizzazioni di stampo mafioso cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra, avente struttura confederativa orizzontale, nell’ambito della quale, i vertici di ciascuna delle tre componenti mafiose operano sullo stesso livello, contribuendo alla realizzazione di un sistema mafioso lombardo – e al capo 75) – vale a dire il reato ex artt. 110, 99, 512-bis, 416-bis.1. cod. pen., per avere, in concorso con NOME COGNOME, NOME COGNOME, Girrabet NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME avendo di fatto la titolarità, attribuito fittiziamente la titolarità formale del 100% delle quote dell società RAGIONE_SOCIALE a NOME COGNOME e NOMECOGNOME al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli artt. 648, 648-bis e 648-ter cod. pen.
Al contrario, il Giudice per le indagini preliminari, con la sopra indicata ordinanza, aveva disposto nei confronti di NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere con riferimento al solo delitto sub 9) – vale a dire il
reato di cui agli artt. 81, 56, 110, 99, 629, comma 1 e 2, in relazione all’art. 416bis.l. cod. pen. poiché, in concorso con NOME e NOME COGNOME ed altri soggetti in corso di identificazione, con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, con violenza e minaccia, consistite dapprima nell’introdursi clandestinamente all’interno del locale scavalcandone la recinzione, successivamente nel presentarsi presso il locale, minacciavano e picchiavano NOME COGNOME provocandogli la frattura del setto nasale, compivano atti diretti in modo non equivoco a costringere NOME COGNOME a cedere loro il locale ‘INDIRIZZO‘riqualificandolo in violenza privata aggravata dal metodo mafioso; con successiva ordinanza del 13 novembre 2024 la custodia cautelare in carcere era stata poi sostituita, dal medesimo Giudice, con quella degli arresti domiciliari.
1.2. Contro la sopra indicata ordinanza del Giudice per le indagini preliminari, il Pubblico ministero proponeva appello ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen. limitatamente ai capi 1) e 9) chiedendo l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME in quanto nei suoi confronti sussistevano gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari quale partecipe del sodalizio mafioso (in particolare, come componente della famiglia mafiosa gelese dei COGNOME) sopra indicato ed in quanto autore della tentata estorsione ai danni di NOME COGNOME aggravata dal metodo mafioso.
1.3. Il Tribunale di Milano, con la ordinanza indicata in epigrafe, ha accolto parzialmente l’appello della pubblica accusa e, in riforma della ordinanza impugnata, ha applicato nei confronti di NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al delitto di cui al capo 1), mentre ha respinto per il resto il gravame. In particolare, il Tribunale ha desunto gli elementi indizianti per il reato associativo dalla presenza dell’odierno ricorrente in due summit dell’associazione mafiosa sopra indicata avvenuti il 23 aprile 2021 ed il 28 aprile 2021, dal contributo che l’indagato assicurava nelle azioni di carattere estorsivo perpetrate dal gruppo e, in particolare, in quella ai danni di NOME COGNOME (capo 9), di NOME COGNOME (capo 11), dalla circostanza che il Bonvissuto si era adoperato per assicurare ad uno degli indagati documentazione falsa attestante attività lavorativa da presentare all’ufficio di sorveglianza di Pavia in relazione alla libertà vigilata applicata al carico del predetto, dall’attivismo dell’indagato nel ricercare società compiacenti da coinvolgere della gestione di
cantieri per sfruttare in vantaggi economici del cd. ‘superbonus’ del 110% e dall’acquisizione – da parte dei COGNOME e del COGNOME – di bar e ristoranti siti nell’area di Busto Arsizio.
Avverso la predetta ordinanza l’indagato, per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insistendo l’annullamento del provvedimento impugnato.
2.1. Con il primo motivo egli lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 416-bis cod. pen. ed il relativo vizio di motivazione rispetto alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa. In sostanza egli deduce la parziale, incompleta ed illogica valutazione degli elementi ritenuti di natura indiziaria da parte del Tribunale.
Al riguardo osserva che gli elementi indizianti rispetto alla sua contiguità con i fratelli COGNOME sono stati desunti dalla sentenza resa nel processo ‘Fire Off’ nella quale, però, egli era stato assolto dall’accusa ex art 416-bis cod. pen., senza spiegare in modo logico le ragioni della irrilevanza della sua assoluzione. Inoltre, la partecipazione ai due incontri tenutisi nei giorni 23 e 28 aprile 2021, secondo il ricorrente, non dimostrerebbe nulla in quanto da tali incontri non è emerso alcun elemento a conferma della sua appartenenza al sodalizio di cui al capo 1) della imputazione provvisoria, tenuto anche conto che – quanto al primo di essi – egli era stato invitato a pranzo dal padrone di casa (NOME COGNOME suo ex cognato), era arrivato dopo gli altri presenti e si era allontanato prima degli altri commensali. Il ricorrente, poi, contesta che i contatti intercorsi tra lui e gli alt sodali, accertati per un breve periodo di soli venti giorni (dall’8 al 28 aprile 2021) siano sufficienti per ritenere sussistenti gravi indizi di colpevolezza, a suo carico, per il delitto ex art. 416-bis cod. pen.
Analogamente, l’indagato contesta la sussistenza di elementi indiziari in ordine alla ritenuta acquisizione di attività di carattere economico mediante il metodo mafioso; a tal fine riproduce, tra l’altro, l’intera conversazione intercorsa tra lui e NOME COGNOME il 19 febbraio 2021, quella tra l’indagato e NOME COGNOME e tra quest’ultimo ed il fratello NOME rispetto all’acquisizione di appalti riguardanti il cd. ‘superbonus’ per smentire le conclusioni cui è pervenuto il
Tribunale di Milano che aveva esaminato solo parzialmente tali colloqui. Inoltre, il non avere parlato dell’affare relativo ai cantieri nei condomini agli altri sodali dimostra, secondo il ricorrente, la insussistenza della ipotizzata sua appartenenza alla associazione di stampo mafioso in oggetto.
L’indagato contesta anche che l’acquisizione dei locali commerciali da parte dei Nicastro sia avvenuta mediante le minacce tipiche del metodo mafioso e, a tal fine, riproduce le intercettazioni e quanto dichiarato dai titolari dei predetti esercizi a conferma della insussistenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico. Analogamente, egli lamenta una parziale ed illogica valutazione, ad opera del Tribunale, degli elementi di natura indiziaria rispetto alla estorsione ai danni del Picone considerato che, sulla base di quanto dal medesimo riferito, il COGNOME aveva esortato i COGNOME a smettere di picchiarlo, mentre con riferimento alle estorsioni ai danni di Aquilanti e Carrara non sussiste, a suo dire, alcun elemento di natura indiziaria a suo carico.
2.2. Con il secondo motivo l’indagato deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione rispetto alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, comma 1, lett. a) e c), del codice di rito; al riguardo osserva che il Tribunale ha confermato le esigenze cautelari omettendo di valutare la regolare condotta serbata dal Bonvissuto in libertà, il fatto che egli non ha cercato di avvicinare in alcun modo le presunte vittime delle estorsioni e che l’ultimo precedente penale a suo carico risale ormai all’anno 2008.
Il procedimento camerale è stato trattato con modalità cartolare stante la mancata richiesta, nei termini di legge, di trattazione in presenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Anzitutto va evidenziato che, secondo la valutazione di questa Corte, l’odierno ricorrente non ha specificamente censurato il capo della ordinanza del
Tribunale di Milano che ha ritenuto configurabile l’associazione di cui al capo 1) della rubrica provvisoria e che nulla ha dedotto rispetto alla appartenenza ad essa dei fratelli NOME, di talché tali profili, che il Tribunale ha ricostruito a stregua di una pluralità di elementi non contestati in termini tali da incrinare la tenuta logica del percorso argomentativo, non sono oggetto del presente procedimento.
2.1. Ciò posto, deve ricordarsi che la verifica che viene compiuta in questa sede non riguarda la ricostruzione dei fatti, né può comportare la sostituzione dell’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, dovendosi dirigere verso il controllo che il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 – 01), nel provvedimento genetico, purché le deduzioni difensive non siano potenzialmente tali da disarticolare il ragionamento probatorio proposto nell’ordinanza applicativa della misura cautelare, non potendo in tal caso la motivazione per relationem fornire una risposta implicita alle censure formulate.
2.2. Inoltre, al fine dell’adozione della misura cautelare, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità” sulla responsabilità dell’indagato» in ordine ai reati addebitati; in altri termini, in sede cautelare gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.
2.3. Non va poi dimenticato che per la configurabilità dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l’applicazione di misure cautelari personali, è illegittima una valutazione frazionata ed atomistica dei singoli dati acquisiti, dovendo invece seguire, alla verifica della gravità e precisione dei singoli elementi indiziari, il loro esame globale ed unitario, che ne chiarisca l’effettiva portata dimostrativa del fatto e la congruenza rispetto al tema di indagine (Sez. 1, n.30415 del 25/09/2020, Rv. 279789 – 01).
Passando all’esame delle censure sollevate dal ricorrente, va ricordato il condivisibile principio secondo cui in materia di associazione di tipo mafioso, sono elementi fattuali sufficienti a far ritenere integrata la condotta di partecipazione alla associazione, l’essere a conoscenza dell’organigramma e della struttura organizzativa delle cosche della zona, dell’identità dei loro capi e gregari, dei luoghi di riunione, degli argomenti trattati e l’essere stato ammesso a partecipare a degli incontri in contesti deputati all’inserimento di nuovi sodali (Sez. 1, n. 4937 del 19/12/2012, dep. 2013, Rv. 254915 – 01). Deve poi ribadirsi che egli non contesta in modo specifico le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale rispetto alla sussistenza ed alla configurabilità dell’associazione di cui al capo 1) della imputazione provvisoria, avendo dedotto la inesistenza di gravi indizi di colpevolezza rispetto alla sua partecipazione ad essa.
3.1. Con riferimento al primo motivo, si rileva che – al contrario di quanto sostenuto dall’indagato – il Tribunale di Milano, con motivazione adeguata e priva di evidenti vizi logici, ha indicato le ragioni per quali ha ritenuto l’esistenza de sopra indicati gravi indizi di colpevolezza nei confronti di NOME COGNOME. In particolare, l’ordinanza impugnata, dopo avere diffusamente argomentato circa la sussistenza dell’associazione ex art 416-bis cod. pen., (questione, come detto, non oggetto della presente impugnazione e che, quindi, non deve essere esaminata in questa sede) per poi evidenziare tutti gli elementi dai quali ha desunto il rapporto esistente tra il ricorrente e gli altri indagati.
Il Tribunale dell’appello ex art. 310 cod. proc. pen. ha dato risalto alla partecipazione dell’indagato alla riunione del 23 aprile 2021, nel corso della quale era state conferite cariche e doti ai vari sodali ed a quella del 28 aprile dello stesso anno destinata a comporre una controversia di natura economica tra alcuni appartenenti al medesimo sodalizio; la suddetta partecipazione dell’indagato a tali incontri, visto a cosa essi erano destinati, non poteva essere spiegata se non con la sua appartenenza all’associazione mafiosa oggetto della imputazione provvisoria. Al riguardo si osserva che le deduzioni difensive circa il fatto che, al primo incontro, l’odierno ricorrente sia arrivato e poi andato via da solo non consentono, per la loro oggettiva irrilevanza, di far ritenere illogico quanto indicato nell’ordinanza.
Inoltre, il COGNOME si era adoperato per fare ottenere ad uno degli indagati una falsa attestazione di lavoro in vista di una udienza avanti il magistrato di sorveglianza di Pavia per l’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata; il Tribunale ha poi dato risalto alle intercettazioni dalle quali era emerso il ruolo di rilievo svolto dall’odierno ricorrente nella individuazione di imprese che potessero consentire l’ottenimento del c.d. ‘superbonus’ del 110% per le ristrutturazioni edilizie, sino ad arrivare al controllo di ben 60 cantieri, sol formalmente attribuiti ad altre società per evitare eventuali sospetti (vedi, in particolare, la conversazione tra il COGNOME ed il Laface del 19 febbraio 2021, nel corso della quale il secondo rappresentava che un appalto andava assegnato ad un soggetto terzo al fine di evitare rilievi da parte del consorzio, fermo restando che la gestione sarebbe rimasta in capo all’indagato). Infine, sempre in modo congruo e non contraddittorio, nell’ordinanza del Tribunale viene dato atto dell’attività svolta dall’indagato per l’acquisizione di attività commerciali (soprattutto bar e ristoranti) nella zona di Busto Arsizio nonché il suo coinvolgimento nella più volte citata violenza privata (aggravata dal metodo mafioso) in danno del COGNOME.
3.2. Pertanto, pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione, l’indagato sollecita a questa Corte una inammissibile valutazione alternativa degli elementi di natura indiziaria, rispetto a quella svolta coerentemente dal giudice a quo per accogliere l’appello della pubblica accusa.
Il secondo motivo è anche esso manifestamente infondato; come noto, in tema di misure cautelari personali, il disposto di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. sancisce, nei confronti degli indagati del delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, una doppia presunzione, di natura relativa per ciò che concerne la sussistenza delle esigenze cautelari e di natura assoluta con riguardo all’adeguatezza al loro contenimento della sola misura carceraria, quest’ultima superabile nei soli casi previsti dall’art. 275, commi 4 e 4-bis, del codice di rito (Sez. 2, n. 24515 del 19/01/2023, Rv. 284857 – 01).
Il giudice, quindi, non deve dimostrare la ricorrenza dei ‘pericula libertatis’ ma deve soltanto apprezzare gli eventuali segnali di rescissione del legame del soggetto con il sodalizio criminale tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto
della presunzione, in mancanza dei quali va applicata in via obbligatoria la misura della custodia in carcere.
Nel caso in esame il Tribunale, in modo non manifestamente illogico, ha dato rilievo alla operatività dell’associazione, evidenziando l’attualità dell’operatività del sodalizio, la mancanza di segni di allontanamento dal sodalizio ed i numerosi e gravi precedenti penali di NOME COGNOME (violazione della legge armi, lesioni, estorsione, associazione per delinquere ed emissione di fatture per operazioni inesistenti) ed il pericolo di inquinamento delle prove in ragione del potere intimidatorio del sodalizio (e dello stesso ricorrente) sulla comunità. Ne consegue che, anche rispetto a tali profili, l’indagato sollecita apprezzamenti di merito estranei al giudizio di legittimità.
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nella presentazione del ricorso (Corte Cost. n. 186 del 2000); la cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. es. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2025.