Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 46989 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 46989 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il 08/06/1979 avverso l’ordinanza del 28/06/2024 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le richieste del Sostituto Procuratore generale, COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso, riportandosi alla memoria in atti; udito il difensore del ricorrente, avvocato NOME COGNOME che si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale il 20/05/2024, a carico, tra gli altri, di NOME COGNOME accusato di avere il ruolo di organizzatore all’interno dell’associazione di tipo mafioso denominata clan COGNOME, operante a Napoli fino a tutto il 2023. In particolare, i COGNOME è stato ritenuto avesse il compito di gestire la cassa e la contabilità del clan, di distribuire stipendi agli affiliati e sostegni ai familiari dei detenuti, fronte alle spese di giustizia e per l’acquisto di sostanze stupefacenti.
7-77
Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’indagato, evidenziando, vizi motivazionali e violazione degli articoli 192, 273 cod. proc. pen. e 416-bis cod. pen., contestando il ruolo attribuitogli e deducendo l’insussistenza di esigenze cautelari ex articolo 275, comma 3, cod. proc. pen.
2.1. Col primo motivo sostiene che lo stesso Giudice per le indagini preliminari, nell’ordinanza genetica, avesse escluso (a pagina 349) tale ruolo, sicché il Tribunale del riesame non aveva tenuto conto di tale dato.
In ogni caso, le intercettazioni e le dichiarazioni del collaboratore, COGNOME NOME COGNOME erano inidonee a sostenere l’accusa di essere un organizzatore del clan: le prime perché relative a soli due giorni, sicché non potevano, di per sé, provare quella partecipazione continuativa necessaria a configurare il concorso nel reato associativo; le seconde (le parole del COGNOME), poiché riferite ad anni precedenti (avendo questi iniziato a collaborare sin dal 2015) e perché, comunque, descrivevano il ricorrente, non quale cassiere dell’organizzazione, bensì dedito alla gestione dell’ospedale San Giovanni Bosco, alla commissione di truffe, alla gestione delle autoambulanze, all’organizzazione di feste religiose ed eventi mondani.
Analoghe considerazioni valevano, secondo parte ricorrente, per le dichiarazioni dei collaboratori COGNOME NOME ed COGNOME NOME.
2.2. Col secondo motivo, si lamentano tutti i vizi di motivazione ex art. 606 cod. proc. pen. e la violazione dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., reputandosi essersi superata la presunzione prevista da detta norma ovvero che fossero stati acquisiti elementi dai quali desumere l’insussistenza di esigenze cautelari.
In particolare, il COGNOME, incensurato, aveva dimostrato di essersi allontanato dal territorio italiano per motivi di lavoro, ciò che rendeva incompatibile il contestuale esercizio del ruolo di cassiere e, dunque, impossibile la reiterazione del reato: su tale aspetto il Tribunale aveva omesso di pronunciarsi.
Al riguardo, lo stesso Tribunale s’era limitato a citare la storica appartenenza al sodalizio del Manetta, richiamando genericamente le affermazioni dei collaboratori di giustizia, senza specificarne i nomi e senza chiarire neppure le circostanze e i tempi della detta appartenenza, che, come detto, era comunque risalente nel tempo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, per diversi profili inammissibile, è nel complesso infondato.
In tema di misure cautelari personali, il giudice di legittimità deve limitarsi
a verificare se i giudici di merito abbiano dato adeguato conto, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, delle ragioni che hanno indotto ad affermare, a carico dell’indagato ex art. 292 cod. proc. pen., la gravità del quadro indiziario – ovvero l’esistenza di una qualificata probabilità di colpevolezza, non l’accertamento della responsabilità – e la sussistenza delle esigenze cautelari in rapporto alla pericolosità dell’interessato e alla misura adeguata a fronteggiarla (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 21582801; confronta, ex multis, Sez. 3, n. 7268 del 24/01/2019, Rv. 275851-01).
Ne consegue che è inammissibile il controllo su quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 215828-01; ex multis, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976-01). Il controllo insomma va operato, in positivo, sulla sussistenza di ragioni giuridicamente significative a sostegno della decisione presa e, in negativo, sull’assenza di illogicità evidenti o contraddittorietà o carenze motivazionali (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976-01).
2.1. Quanto al primo motivo, il Tribunale del riesame ha ritenuto provato il ruolo di cassiere e contabile dell’associazione in capo all’odierno ricorrente sulla base di argomenti logici e privi di contraddizioni.
Le affermazioni dei collaboratori di giustizia, proprio perché risalenti nel tempo, sono state correttamente ritenute grave indizio dell’appartenenza da lunga data al clan malavitoso da parte del COGNOME: il quale, come ben si evidenzia nell’ordinanza impugnata, risulta ancora, a distanza di molti anni, parte integrante della medesima, come desumibile dalle intercettazioni in essa richiamate.
Come si specificherà ulteriormente trattando del secondo motivo, non si vede per quale ragione dovrebbe ritenersi che l’affiliazione dell’odierno ricorrente sin dal 2015 (epoca in cui, come si afferma nello stesso ricorso, è incominciata la collaborazione di NOME COGNOME) e la sicura sua affiliazione in epoca recente, emergente dalle intercettazioni, dovrebbero dimostrare una sorta di “estemporaneità” attuale della partecipazione: laddove, per contro, proprio per la tendenziale stabilità di tali associazioni e dei solidissimi vincoli che ne derivano ben nota al legislatore (che, non a caso, ha emanato norme come l’attuale articolo 275, comma 3, cod. proc. pen.) e alla giurisprudenza di questa Corte (si vedano, ad esempio, Sez. 5, n. 16434 del 21/02/2024, Rv. 286267-01; Sez. 1, n. 17624 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266984-01) – deve presumersi esattamente il contrario.
Tanto vale a maggior ragione, poi, se, come nella specie, si raccolgano
elementi da cui si desumono sia l’attualità, sia la remota insorgenza dell’affiliazione: che, pertanto, deve presumersi non sia mai venuta meno, proprio per il tipo di vincolo, come detto piuttosto stringente, insito nella partecipazione a siffatti sodalizi.
Né si vede quale contraddizione vi sarebbe nella circostanza che, in passato, il COGNOME abbia assunto diversi ruoli all’interno del clan. Correttamente, al riguardo, il Tribunale del riesame ha rilevato come dalle intercettazioni emergesse che plurime persone fossero a conoscenza del pacifico ruolo di cassiere in capo al medesimo COGNOME: il che conforta la conclusione, di cui all’ordinanza impugnata, secondo cui si trattasse di un dato assolutamente consolidato e noto, fra gli appartenenti al clan, e, dunque, niente affatto estemporaneo.
Infine, richiamato il principio secondo cui «nel reato di associazione per delinquere “capo” è non solo il vertice dell’organizzazione, quando questo esista, ma anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati» (ex multis Sez. 2, n. 7839 del 12/02/2021, Rv. 280890-01), nonché quello per cui, in sede di riesame, non subordinata al principio devolutivo, ben potrebbe esservi una riqualifica in peius per l’indagato (Sez. 4, n. 2967 del 14/11/1997, Rv. 209411-01; si veda, più recentemente, la riqualifica, in sede di riesame, in riciclaggio del fatto originariamente contestato come ricettazione, ritenuta correttamente effettuata da Sez. 2, n. 23954 del 23/04/2024, Rv. 286515-01), va qui semplicemente rimarcato come il Tribunale collegiale abbia, a ben vedere, argomentato circa i vari ruoli assunti dal COGNOME, nel corso del tempo, confermando, come sopra già detto, la sussistenza dei gravi indizi per quello emerso più di recente, di cassiere del clan: sicché non pare ravvisabile alcuna contraddizione tra quanto evidenziato a pagina 349 dell’ordinanza genetica e quanto affermato dal Tribunale del riesame.
In definitiva, le doglianze di cui al primo motivo, miranti alla rivalutazione del materiale istruttorio, sono inammissibili.
2.2. Infondate sono le censure relative all’assunta insussistenza delle esigenze cautelari.
Va rilevata, anzitutto, l’inammissibilità per genericità di quella che fa riferimento a una non meglio precisata attività lavorativa all’estero, da parte del ricorrente, che, si assume, gli renderebbe impossibile continuare a svolgere il detto ruolo. Ed infatti, nulla si sa, di specifico, su di essa, non conoscendosene la natura, la durata, se a tempo determinato o indeterminato e, infine, se continua o discontinua: sicché non si è neppure in grado, in questa sede, di valutare quali
ipotetiche carenze motivazionali avrebbe l’ordinanza impugnata sul punto.
Non è neppure vero, poi, che il Tribunale del riesame abbia omesso di indicare i collaboratori che avevano evidenziato l’appartenenza al clan camorristico in questione da parte del COGNOME: tanto che è lo stesso ricorrente a menzionare COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME Pasquale, seppur dolendosi del fatto che costoro avessero riferito circostanze oramai datate.
Al riguardo, è poi noto che, in relazione all’accusa di partecipazione ad associazioni mafiose “storiche”, il cosiddetto “tempo silente” (ovvero la datazione nel tempo degli ultimi episodi indicanti una siffatta partecipazione, rispetto al momento di applicazione della misura), da solo, ha ben scarso significato, non potendosi perciò solo ritenere che sia vinta la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.: la quale, per contro, può essere superata solo ove ricorrano ulteriori elementi indicativi nel senso detto, quali il provato recesso dell’indagato dall’associazione, l’esaurimento dell’attività associativa, l’inizio di un’attività di collaborazione, il trasferiment altra zona territoriale dell’interessato (così Sez. 5, n. 16434 del 21/02/2024, Rv. 286267-01; confronta, negli stessi termini: Sez. 2, n. 21106 del 27/04/2006, Rv. 234657-01 e Sez. 6, n. 1330 del 10/04/1998, Rv. 210537-01).
Nella specie, correttamente il giudice del merito ha valorizzato che, oltre alla provata partecipazione all’associazione mafiosa molti anni prima, vi fossero prove tangibili dell’attiva appartenenza al sodalizio criminale da parte del COGNOME anche in epoca molto più recente, con il ruolo di cassiere, sicché, piuttosto che di una presunzione non vinta, si deve nella specie parlare di una prova positiva correttamente valorizzata a carico dello stesso COGNOME: essendosi logicamente ritenuto che costui abbia fatto parte dell’associazione nel lungo periodo intercorrente tra l’epoca dei fatti narrati dai collaboratori e quella dei fatti emers dalle intercettazioni.
Al rigetto segue la condanna del COGNOME al pagamento delle spese del procedimento. Trattandosi di provvedimento da cui non consegue la rimessione in libertà del detenuto, una sua copia va trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario perché provveda a quanto stabilito dal comma 1-bis dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen. (ai sensi del comma 1-ter del medesimo articolo).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
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att. cod. proc. pen. Così deciso in data 30/10/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente