Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26937 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26937 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Procuratore Generale della Corte di appello di Catania nei confronti di: COGNOME GaetanoCOGNOME nato il 25/02/1963 a Calatabiano
nonché da:
COGNOME NOMECOGNOME nato il 28/10/1983 a Catania
COGNOME NOMECOGNOME nata il 23/02/1969 a Catania
COGNOME NOMECOGNOME nato il 20/02/1995 a Taormina
COGNOME NOME nata il 30/04/1983 a Taormina
COGNOME GiuseppeCOGNOME nato il 14/05/1973 a Calatabiano
COGNOME GaetanoCOGNOME nato il 27/09/1960 a Catania
COGNOME NOMECOGNOME nato il 01/11/1980 a Acqui Terme
COGNOME GaetanoCOGNOME nato il 01/12/1968 a Caiania
COGNOME SalvatoreCOGNOME nato il 02/01/1968 a Castiglione di Sicilia
NOME COGNOME nato il 19/11/1989 a Taormina
Messina NOME nato il 16/02/1983 a Taormina
NOMECOGNOME nato il 20/08/1989 a Catania
NOMECOGNOME nato il 01/04/1988 a Catania
COGNOME NOMECOGNOME nato il 31/01/1981 a Messina
COGNOME nato il 03/10/1957 a Catania
Sciacca NOMECOGNOME nato il 20/10/1986 a Taormina
COGNOME SebastianoCOGNOME nato il 07/02/1953 a Calatabiano
avverso la sentenza del 07/12/2022 della Corte d’appello di Catania.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo con riferimento alla posizione di COGNOME l’annullamento con rinvio del provvedimento in merito alla valutazione della recidiva; per COGNOME, Porto e Trovato l’annullamento con rinvio alla Corte di Appello del provvedimento impugnato limitatamente alla continuazione e dichiararsi nel resto l’inammissibilità del ricorso; il rigetto dei ricorsi di COGNOME COGNOME NOME, COGNOME NOME; dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi di COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, Messina, COGNOME, Sciacca.
uditi i difensori degli imputati:
Avv. NOME COGNOME per Scalora, che ha chiesto il rigetto del ricorso del P.G. e la conferma della sentenza;
Avv. NOME COGNOME per COGNOME; Avv. NOME COGNOME per COGNOME e quale sostituto processuale dell’Avv. NOME COGNOME per Sciacca e dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME; Avv. NOME COGNOME per COGNOME, COGNOME e COGNOME, nonché quale sostituto processuale dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME; Avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME e COGNOME NOME; Avv. NOME COGNOME per COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME; Avv. NOME COGNOME per COGNOME e quale sostituto processuale dell’Avv. NOME COGNOME per Porto; Avv. NOME COGNOME anche quale sostituto processuale dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME, i quali, riportandosi ai motivi proposti, hanno insistito pe l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
P
RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Catania, con sentenza pronunciata il 10 dicembre 2020 all’esito di giudizio abbreviato, riteneva gli imputati, odierni ricorrenti, responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti – partecipazione o concorso esterno nell’associazione di tipo mafioso e armata “RAGIONE_SOCIALE“, diretta e organizzata da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (capo 1); – partecipazione ad associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti di varie tipologie, facente capo a NOME COGNOME e NOME COGNOME (capo 11); – estorsione e usura, quali plurimi reati fine del sodalizio mafioso; acquisto, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, quali plurimi reati fine della relativa associazione, condannandoli alle pene di legge.
La Corte d’appello di Catania, in disparte l’accoglimento dell’appello del P.M. nei confronti di COGNOME quanto alla ritenuta responsabilità per l’imputazione di cui al capo 19) e la favorevole rideterminazione della pena nei confronti di COGNOME COGNOME e COGNOME, confermava nel resto, con sentenza del 7 dicembre 2022, quella di primo grado.
A fondamento del giudizio di colpevolezza entrambi i giudici del merito richiamavano gli esiti della complessa attività investigativa compendiata nelle varie informative della Guardia di Finanza, del Gruppo di investigazione sulla criminalità organizzata e dei Carabinieri di Calatabiano, valorizzando in particolare i significativi e inequivoci contenuti delle numerose conversazioni telefoniche e ambientali, intercettate e trascritte in motivazione, e le propalazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia, fra le quali quelle particolarmente rilevanti di NOME COGNOME oltre le deposizioni delle persone offese.
2. La Corte territoriale ribadiva la consistenza della ricostruzione probatoria dei plurìmi fatti contestati, con riguardo alle specifiche condotte di partecipazione alle due distinte associazioni criminali e ai singoli delitti fine, richiaman analiticamente per ciascuno dei gruppi e dei singoli imputati i risultati delle indagini e dei servizi di osservazione e controllo della polizia giudiziaria, gli esi delle perquisizioni e dei sequestri, il chiaro tenore delle plurime conversazioni, telefoniche e ambientali, intercettate e analiticamente trascritte con riferimento alla posizione di ogni imputato, la cui lettura ne disvelava chiaramente il reale contenuto, e le dichiarazioni auto- ed etero – accusatorie raccolte anche in sede di rinnovazione istruttoria in appello da NOME COGNOME collocato in posizione apicale nella consorteria mafiosa, e da NOME COGNOME.
Le due consorterie erano giudicate formalmente concorrenti, stante la diversa tipologia delle prospettive strategiche e organizzative della cosca
3 GLYPH
mafiosa, diretta al controllo egemonico del territorio e delle relative attivi imprenditoriali, rispetto agli specifici e puntuali obiettivi di un gruppo crimina dedito al conseguimento dei profitti del narcotraffico, pure propiziati dal metodo mafioso e in un’ottica agevolativa dei fini dell’associazione mafiosa.
2.1. Risultava attestata l’esistenza dell’associazione mafiosa di cui al capo 1), denominata “clan COGNOME“, quale articolazione della famiglia catanese “COGNOME” collegata alla famiglia “COGNOME“, operante a Calatabiano e aree limitrofe, organizzata e diretta da NOME COGNOME benché detenuto per una condanna all’ergastolo, e da NOME COGNOME, i cui uomini di fiducia erano NOME COGNOME e NOME COGNOME (costituita altresì da COGNOME, COGNOME Antonio e NOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME). Soprattutto nel periodo di detenzione dell’anziano “NOME” NOME COGNOME rivestiva una posizione apicale di reggente della cosca NOME COGNOME, sottoposto alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno, la cui abitazione costituiva consueto luogo d’incontro dei sodali e dove venivano captati molteplici colloqui (fra COGNOME e la compagna convivente NOME COGNOME, COGNOME e COGNOME, COGNOME e COGNOME ecc.) aventi ad oggetto la programmazione di attività criminose per il controllo del territorio, l’imposizione del “pizzo” ai commercianti, gli interessi economici estesi oltre Calatabiano mediante il reimpiego dei proventi illeciti nel territorio di Giardin Naxos e Taormina, la formazione della cassa comune e la distribuzione delle somme per il mantenimento delle famiglie dei detenuti, oltre i relativi contatti del gruppo di riferimento con NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Alla luce delle propalazioni di Porto e delle conversazioni captate fra COGNOME e COGNOME e dei sequestri a riscontro delle stesse, venivano inoltre rinvenute e sequestrate in Calatabiano varie armi da sparo, riconducibili all’associazione, di guisa che tutti i partecipi erano consapevoli della forza armata del gruppo in virtù del possesso e della disponibilità delle stesse.
2.2. Risultava parimenti provata l’esistenza dell’associazione pure diretta e organizzata da NOME COGNOME (costituita da Porto, COGNOME, COGNOME, COGNOME, uomo di fiducia e braccio destro di NOME COGNOME COGNOME, cognato di Porto, COGNOME, Messina, fidato collaboratore di Porto), dedita all’attività sistematica e reiterat di acquisto, trasporto, detenzione e spaccio di notevoli partite di cocaina, marijuana e hashish (capo 11), alla stregua del ricco materiale investigativo costituito da molteplici intercettazioni telefoniche e ambientali, dai conseguenti servizi investigativi di osservazione, appostamento e videoripresa effettuati da luglio 2014 a giugno 2019, dalle propalazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia, in particolare di quelle di NOME COGNOME e dalle operazioni di sequestro di droga a riscontro delle stesse.
Restava preclusa la configurabilità della fattispecie di lieve entità, i considerazione: della sistematicità settimanale dell’approvvigionamento e dell’intensità dell’attività continuativa di cessione ad altri gruppi e di spaccio del droga sul mercato locale per un apprezzabile periodo di tempo e con turni di presenza; della non occasionalità delle condotte dei sodali, in numero superiore a dieci (donde l’aggravante ex art. 74, comma 3, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) e in ruoli tendenzialmente stabili ma fungibili e convergenti nell’obiettivo comune di acquisizione di profitti illeciti; dell’entità non irrilevante degli acquisti e cessioni, della pluralità dei destinatari delle stesse, della varietà delle sostanz cedute; dell’utilizzo in comune di mezzi di trasporto, telefoni cellulari e luoghi d custodia della droga e dei proventi in denaro (l’abitazione di Porto, la cui compagna COGNOME partecipava al conteggio e all’annotazione dei proventi, alla riscossione dei crediti, al taglio e al confezionamento dello stupefacente e al suo occultamento prima che venisse distribuita sulle piazze di spaccio, nonché l’abitazione e il garage di COGNOME, cognato di Porto); della confluenza dei proventi in una cassa comune, destinata anche al pagamento degli stipendi e all’assistenza per eventuali spese legali dei sodali; della frenetica attività d recupero crediti derivati dalle forniture e dallo spaccio; dell’elevato e ben noto spessore criminale dei vertici dell’organizzazione, insieme con la consapevole finalità di agevolare, mediante la destinazione finale dei proventi del traffico di stupefacenti, la parallela cosca mafiosa “COGNOME–COGNOME” diretta da NOME COGNOME – cui gli stessi vertici erano organicamente intranei – e con i cui sodali i coimputati del narcotraffico si rapportavano frequentemente (donde l’aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen.).
Con riguardo alle singole posizioni degli imputati, la Corte territoriale, dopo avere analiticamente ricostruito il compendio probatorio a carico di ciascuno di essi, costituito prevalentemente dagli esiti delle operazioni investigative, dal tenore inequivoco delle plurime conversazioni captate e largamente trascritte in motivazione, dalle coerenti e attendibili propalazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia, in particolare del reggente della cosca NOME COGNOME e di talune deposizioni testimoniali delle persone offese dai reati di estorsione e usura, prendeva in esame i rispettivi motivi di gravame e confermava il giudizio di colpevolezza degli imputati nei seguenti termini.
COGNOME, uomo di fiducia e stretto collaboratore di COGNOME e di NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile di partecipazione ad entrambe le associazioni criminali di cui ai capi 1) e 11), anche in merito alla disponibilità di armi da sparo da parte delle consorterie, e ai reati fine di cui ai capi 12), 23) e 24), aggravat ex art. 416-bis.1 cod. pen. Il trattamento sanzionatorio (la pena base per il
delitto più grave di partecipazione ad associazione dedita al narcotraffico, fissata nel minimo edittale, è stata congruamente aumentata per la continuazione e ridotta per il rito) e l’apprezzamento sfavorevole circa la concessione delle attenuanti generiche sono stati considerati logicamente adeguati e proporzionati alla particolare gravità delle imputazioni contestate, al ruolo e ai compiti di rilievo rivestiti all’interno dei sodalizi, all’accentuata spregiudicatezza e attitud a delinquere dimostrate con la pervicace e reiterata condotta, inserita in allarmanti contesti criminali.
– COGNOME è stato dichiarato responsabile dei reati di acquisto da COGNOME, con l’intermediazione di NOME COGNOME, trasporto e detenzione a fini di cessione nella piazza di spaccio di Giardini Naxos e Taormina di talune partite di droga, versandone il relativo prezzo (capi 23 e 24), alla luce degli incontrovertibili esit delle operazioni di captazione di colloqui, servizi di osservazione, controllo e videoripresa e delle dichiarazioni accusatorie del collaboratore COGNOME. Il trattamento sanzionatorio e l’apprezzamento sfavorevole circa la concessione delle attenuanti generiche sono stati considerati logicamente adeguati e proporzionati alla gravità della imputazione contestata, al ruolo svolto con professionalità in entrambe le transazioni e in un allarmante contesto criminale.
COGNOME, compagna convivente di NOME COGNOME, è stata giudicata colpevole del delitto di partecipazione associativa di cui al capo 11) e del reato fine di cui a capo 12), alla stregua delle plurime e significative conversazioni telefoniche e ambientali intercettate, degli esiti dei servizi di osservazione e controllo e dell dichiarazioni rese dal collaboratore COGNOME che ne attestavano il diretto e consapevole contributo alla gestione del traffico di stupefacenti e la piena intraneità al sodalizio organizzato gerarchicamente e guidato dal reggente COGNOME L’imputata partecipava attivamente alle riunioni dei sodali nella sua abitazione, in cui si discutevano le linee di approvvigionamento e di spaccio della droga e le iniziative del gruppo, incassava le somme ricavate dai pusher, eseguiva i conteggi e annotava i notevoli proventi del traffico illecito, coadiuvava nel taglio, confezionamento e occultamento delle dosi di stupefacenti destinati alla cessione, seguendo le istruzioni di COGNOME, dava consigli e raccomandazioni, sostituiva il compagno in caso di assenza o detenzione. In termini, quindi, non di mera convivenza non punibile, ma di apporto stabile, sistematico, rilevante e consapevole alla gestione delle attività illecite del sodalizio criminale. trattamento sanzionatorio (la pena è stata fissata nel minimo edittale) e l’apprezzamento sfavorevole circa la concessione delle attenuanti generiche sono stati considerati logicamente adeguati e proporzionati alla particolare gravità e reiterazione della condotta criminosa e al significativo ruolo fiduciario svolto, inserito in un allarmante contesto criminale.
COGNOME è stato ritenuto responsabile del delitto di partecipazione associativa di cui al capo 11) e del reato fine di cui al capo 12), alla stregua dell plurime e significative conversazioni telefoniche e ambientali intercettate, degli esiti dei servizi di osservazione, controllo e videoripresa e delle dichiarazioni rese dal coimputato e collaboratore di giustizia Porto, che ne attestavano il diretto e consapevole contributo alla gestione del traffico di stupefacenti e la piena intraneità al sodalizio organizzato gerarchicamente e guidato dal reggente, rivestendo, in particolare, lo specifico e fidato ruolo di custode nella sua abitazione e nel garage, insieme alla compagna NOME COGNOME (sorella di NOME COGNOME, compagna di Porto), delle rilevanti somme di denaro provento dell’illecito traffico di stupefacenti e delle partite di droga da tenere occultate destinate allo spaccio, che di volta in volta consegnava a Porto seguendone le direttive anche per la riscossione del provento di un’estorsione o per il recupero della droga occultata dal sodale Messina prima dell’arresto. Non si versava dunque in materia di mero favoreggiamento personale o reale, bensì di stabile e organica intraneità al gruppo mediante una serie di contributi sistematici, pregnanti e consapevoli nella gestione delle varie attività illecite del sodalizi criminale legate al traffico di stupefacenti. L’imputazione del reato fine di cui a
capo 12) era ritenuta compiutamente formulata, essendo descritte sia la tipologia delle sostanze stupefacenti che le operazioni dell’illecito traffico, oltr soggetti coinvolti e il relativo arco temporale, anche con riferimento ai dati fattuali del connesso delitto di partecipazione associativa. Esclusa la configurabilità della fattispecie di lieve entità ex art. 74, comma 6 per il delitto associativo o quella ex art. 73, comma 5, d.P.R. cit., per l’imputazione di cui al capo 12), in considerazione dei rilevanti quantitativi di droga oggetto per un lungo periodo delle attività illecite di acquisto, detenzione e spaccio da parte del sodalizio, e ritenuta sussistente l’aggravante mafiosa ex art. 416-bis.1 cod. pen., il trattamento sanzionatorio e l’apprezzamento sfavorevole circa la concessione delle attenuanti generiche sono stati considerati logicamente adeguati e proporzionati alla particolare gravità e reiterazione della condotta criminosa e al significativo ruolo fiduciario svolto, inserito in un allarmante contesto criminale.
COGNOME, uomo di fiducia e, con COGNOME, stretto collaboratore di NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile di partecipazione ad entrambe le distinte associazioni criminali di cui ai capi 1) e 11), anche in merito alla disponibilità armi da sparo da parte delle consorterie, dei reati fine di estorsione ai danni di NOME e NOME COGNOME e di usura ai danni di NOME COGNOME di cui ai capi 2), 3) e 10), dei reati fine di traffico di stupefacenti di cui ai capi 12), 23) e aggravati ex art. 416-bis.1 cod. pen. Il trattamento sanzionatorio (la pena base per il delitto più grave di partecipazione ad associazione dedita al narcotraffico, fissata nel minimo edittale, è stata congruamente aumentata per la continuazione e ridotta per il rito) e l’apprezzamento sfavorevole circa la concessione delle attenuanti generiche sono stati considerati logicamente adeguati e proporzionati alla particolare gravità delle imputazioni contestate, al ruolo e ai compiti di rilievo rivestiti all’interno dei sodalizi, all’accen spregiudicatezza e attitudine a delinquere dimostrate con la pervicace e reiterata condotta, inserita in allarmanti contesti criminali, da parte di un soggetto attint da diversi e specifici precedenti penali.
COGNOME (“Turi COGNOME“), su appello del Procuratore generale avverso la sentenza di proscioglimento di primo grado, è stato dichiarato colpevole del delitto di acquisto, detenzione e cessione di alcune partite di sostanze stupefacenti ex art. 73 d.P.R. cit. (capo 19) alla stregua delle risultanze probatorie costituite dai contenuti di plurimi colloqui captati e riscontrati d servizi di osservazione e controllo e dalle propalazioni accusatorie del collaboratore Porto circa la sistematica attività di acquirente da Porto o da altro sodali del gruppo criminale di partite di sostanze stupefacenti destinate alla cessione nell’area di spaccio, con forniture a credito di cui presentava di volta in volta il rendiconto. Esclusa la configurabilità del fatto di lieve entità ex art. 73,
comma 5 d.P.R. cit., la Corte disattendeva i motivi di gravame attinenti alla valutazione dell’entità della pena inflitta e al diniego delle attenuanti generiche, che riteneva corretti e proporzionati, tenuto conto della gravità del fatto e della pericolosità dimostrata dalla vicinanza ad organizzazioni dedite al narcotraffico e dalla reiterazione nel tempo delle medesime condotte criminose.
COGNOME, nel ruolo di intermediario nei rapporti fra COGNOME e COGNOME e d uomo di fiducia del primo a costante disposizione della cosca di riferimento, è stato ritenuto responsabile di partecipazione all’associazione mafiosa di cui al capo 1), anche in merito alla disponibilità di armi da sparo da parte della cosca. Il trattamento sanzionatorio è stato configurato con riferimento alla disciplina dettata dalla legge 25 maggio 2015, n. 69, alla luce della conversazione del 22 ottobre 2015 fra Porto e COGNOME recante la prova del persistente inserimento di COGNOME nel sodalizio anche in epoca successiva all’entrata in vigore della nuova e più sfavorevole normativa. La pena base per il delitto più grave di partecipazione ad associazione dedita al narcotraffico, fissata nel minimo edittale, è stata congruamente aumentata per la recidiva contestata, specifica, reiterata e infraquinquennale e ridotta per il rito, mentre l’apprezzamento sfavorevole circa la concessione delle attenuanti generiche è stato considerato logicamente adeguato e proporzionato alla particolare gravità dell’imputazione, al ruolo rivestito all’interno della cosca mafiosa, all’accentuata attitudine a delinquere in un allarmante contesto criminale.
COGNOME, in qualità di esponente del clan “COGNOME“, articolazione della cosca mafiosa “Santapaola-Ercolano” operante nella costa ionica-etnea di Taormina, è stato dichiarato colpevole del delitto di estorsione in danno dell’imprenditore turistico NOME COGNOME di cui al capo 4), aggravato dalla partecipazione a un’associazione di tipo mafioso e dal metodo e dalla finalità mafiosi, alla luce del chiaro contenuto di una serie di colloqui captati fra l’imputato, COGNOME, COGNOME e NOME COGNOME, padre della vittima, in posizione di contiguità rispetto alla cosca “Santapaola-Ercolano” e gestore di fatto dell’esercizio imprenditoriale, circa l’acquisizione e la ripartizione fra le cosch mafiose interessate degli illeciti proventi delle estorsioni per l’attività escursioni turistiche nel territorio, riscontrate dalle operazioni di videoripresa de protagonisti. La pena è stata congruamente determinata, mentre l’apprezzamento sfavorevole circa la concessione delle attenuanti generiche è stato considerato logicamente adeguato e proporzionato alla particolare gravità del reato e all’intensità del dolo in un allarmante contesto criminale.
COGNOME, nella veste di valido e fidato collaboratore di NOME COGNOME, reggente del sodalizio criminale, è stato ritenuto colpevole del delitto di partecipazione ad associazione dedita al narcotraffico (capo 11) e dei reati fine di
cui ai capi 12) e 23). Le acquisite risultanze probatorie, costituite dai contenuti delle conversazioni intercettate, riscontrate dai servizi di osservazione e controllo e dalle dichiarazioni del collaboratore COGNOME ne attestavano con chiarezza il coinvolgimento nel sodalizio criminale e la piena disponibilità anche nel periodo di detenzione e pur dopo avere scontato la pena, nello specifico ruolo di esercente l’attività di spaccio della droga per conto dall’associazione nelle piazze di Giardini Naxos e Taormina, partecipando agli approvvigionamenti, alle transazioni e alle cessioni i cui rilevanti proventi consegnava di volta in volta a Porto, e al recupero di eventuali crediti delle forniture eseguite, seguendo le direttive del capo. Non si versava pertanto nella fattispecie del mero favoreggiamento personale o reale. L’imputazione del reato fine di cui al capo 12) era ritenuta compiutamente formulata, essendo descritte sia la tipologia delle sostanze stupefacenti che le operazioni dell’illecito traffico, oltre i sogget coinvolti e il relativo arco temporale, anche con riferimento ai dati fattuali de connesso delitto di partecipazione associativa. Né essa costituiva mera duplicazione della autonoma e circostanziata condotta contestata nel capo 23), riguardante una particolare transazione di stupefacenti che egli aveva acquistato da COGNOME con l’intermediazione di COGNOME e COGNOME. Ritenuta sussistente l’aggravante mafiosa ex art. 416-bis.1 cod. pen. e la contestata recidiva specifica reiterata infaquinquennale (in considerazione dei recenti e analoghi precedenti in materia di stupefacenti), il trattamento sanzionatorio e l’apprezzamento sfavorevole circa la concessione delle attenuanti generiche sono stati considerati logicamente adeguati e proporzionati alla particolare gravità e reiterazione della condotta criminosa e al significativo ruolo fiduciario svolto, inserito peraltro in u allarmante contesto criminale.
COGNOME, nella veste di uomo di fiducia e di alter ego di NOME COGNOME, reggente del sodalizio criminale, del quale spendeva il nome, è stato ritenuto colpevole del delitto di partecipazione ad associazione dedita al narcotraffico (capo 11) e dei reati fine di acquisto, trasporto detenzione e spaccio di stupefacenti di cui ai capi 12) e 20). Le acquisite risultanze probatorie, costituite dai contenuti delle conversazioni telefoniche e ambientali intercettate, riscontrate dai servizi di osservazione e controllo e dalle dichiarazioni del collaboratore COGNOME ne attestavano con chiarezza il coinvolgimento nel sodalizio criminale e la totale messa a disposizione, nello specifico compito dell’acquisto, trasporto e detenzione a fine di cessione di notevoli quantitativi di droga per conto dall’associazione, da immettere nella piazza di spaccio di Calatabiano, partecipando anche alla raccolta e all’occultamento dei relativi proventi e al recupero di eventuali crediti delle forniture eseguite, seguendo le direttive del capo e talora provvedendo con autonomia decisionale o collaborando con la
COGNOME nei periodi di assenza del capo. Non si versava pertanto nella fattispecie del mero concorso di persone bensì in quella della piena, diretta e consapevole intraneità nel gruppo criminale. L’imputazione del reato fine di cui al capo 20) era considerata pienamente provata dai rilievi eseguiti dalla Guardia di Finanza sull’autovettura di Messina e dal rinvenimento e sequestro di una parte della droga trasportata, nonché dal tenore dei colloqui intercettati fra Porto e COGNOME circa l’arresto di Messina e la perdita di un “carico grosso” da recuperare a cura di COGNOME. Esclusa la configurabilità, quanto all’imputazione di cui al capo 12), della fattispecie di lieve entità e ritenuta sussistente l’aggravante mafiosa ex art. 416-bis.1 cod. pen., il trattamento sanzionatorio e l’apprezzamento sfavorevole circa la concessione delle attenuanti generiche sono stati considerati logicamente adeguati e proporzionati alla particolare gravità e reiterazione della condotta criminosa e al significativo ruolo fiduciario svolto con professionalità e inserito in un allarmante contesto criminale
NOME e NOME COGNOME, figli di NOME COGNOME, capo storico dell’associazione mafiosa “Cintorino”, già condannato all’ergastolo e detenuto in carcere, sono stati ritenuti responsabili, insieme con la compagna del primo NOME COGNOME, del delitto di concorso esterno in associazione mafiosa (capo 1). Le numerose conversazioni telefoniche e ambientali captate, le attività investigative di osservazione e controllo e le coerenti propalazioni dei collaboratori di giustizia, in particolare di Porto, attestavano la concreta e consapevole efficienza causale del contributo prestato dai concorrenti e il relativo dolo concorsuale, in termini non di mera relazione affettiva con il padre bensì di effettiva opera di intermediazione e collegamento, quale corrieri di messaggi e direttive del capo al referente COGNOME o ad altri membri della cosca e per converso di informazioni aggiornate al padre circa la gestione e l’andamento delle attività illecite di questa, in occasione dei colloqui in carcere o durante i permessi premio. Il trattamento sanzionatorio (la pena è stata fissata nel minimo edittale) e l’apprezzamento sfavorevole circa la concessione delle attenuanti generiche sono stati considerati logicamente adeguati e proporzionati alla particolare gravità della imputazione contestata e alla consistente e reiterata condotta concorsuale, inserita in un allarmante contesto criminale.
COGNOME è stato dichiarato colpevole, in concorso con NOME COGNOME giudicato separatamente, del reato di trasporto dalla Svizzera in Sicilia, acquisto e detenzione per fini di spaccio di una partita di 400 grammi di cocaina pura in pietra ex art. 73 d.P.R. cit. (capo 13), sulla base di accordi oggetto di vari colloqui captati e riscontrati dall’arresto in flagranza di NOME. Applicata l recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale in considerazione dei precedenti recenti anche in tema di stupefacenti, la Corte disattendeva i motivi di gravame
attinenti alla valutazione dell’entità della pena inflitta e al diniego de attenuanti generiche, che riteneva corretti, tenuto conto della gravità del fatto e della pericolosità dimostrata dalla vicinanza ad organizzazioni dedite al narcotraffico e dalla reiterazione nel tempo delle medesime condotte criminose. Parimenti priva di pregio era giudicata la richiesta di continuazione esterna con analoghi fatti commessi il 4 gennaio 2015, oggetto della sentenza irrevocabile App. Messina del 16 luglio 2018, mancando ogni indizio sintomatico dell’identità del disegno criminoso.
Porto, referente dell’organizzazione criminale operante nel territorio di Caltalabiano e affidabile collaboratore di giustizia, non è stato ritenuto meritevole della concessione delle attenuanti generiche, oltre quella applicata per la scelta collaborativa applicata nella massima estensione, in considerazione del ruolo apicale rivestito in entrambe le associazioni, della gravità delle condotte e dell’indiscusso profilo criminale. La Corte territoriale riduceva tuttavia l’enti degli aumenti per la continuazione fissati per i reati satellite, tenuto conto anche per questi dell’attenuante della collaborazione, mentre non trovava accoglimento la richiesta di applicazione della continuazione esterna con i fatti di cui alle due sentenze irrevocabili emesse dalla Corte di Assise d’appello di Catania e dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Messina, in difetto di contiguità temporale e di omogeneità delle violazioni accertate; sicché la pena complessiva era rideterminata, previa riduzione per il rito, in anni 9, mesi 1, giorni 20 d reclusione. Veniva altresì confermata la misura della libertà vigilata per la durata di un anno attesa la pericolosità sociale del condannato per reati elencati dall’art. 417 cod. pen.
COGNOME (“COGNOME“), già precedentemente condannato per la partecipazione al sodalizio mafioso “Cintorino” con contestazione “chiusa”, è stato ritenuto responsabile di una permanente partecipazione allo stesso gruppo, dotato di armi, per il successivo periodo temporale in contestazione, emergendo dall’inequivoco tenore delle plurime conversazioni captate e delle propalazioni del collaboratore COGNOME, che egli, per volontà espressa di NOME COGNOME, rivestiva il ruolo di referente, insieme a NOME COGNOME, del gruppo di Calatabiano, era presente a vari incontri con esponenti della cosca ed eseguiva le direttive di volta in volta impartite da COGNOME. La Corte, disattesa la richiesta delle attenuanti generiche e rilevata la continuazione esterna con analoghi fatti accertati con sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania del 20 dicembre 2010, escludeva peraltro la recidiva perché l’ultimo precedente risaliva a fatti commessi fino al giugno 2007, riducendo la pena ad anni 2 mesi 4 giorni 24 di reclusione.
Sciacca è stato dichiarato colpevole del delitto di detenzione e cessione di alcune partite di sostanze stupefacenti ex art. 73 d.P.R. cit. (capo 18) alla stregua delle risultanze probatorie costituite dai contenuti di plurimi colloqui captati e riscontrati dai servizi di osservazione e controllo e dalle propalazioni accusatorie del collaboratore Porto circa il consistente debito accumulato nel tempo dall’imputato per le periodiche forniture di droga a credito. Esclusa la configurabilità del fatto di lieve entità ex art. 73, comma 5, d.P.R. cit., la Corte disattendeva i motivi di gravame attinenti alla valutazione dell’entità della pena inflitta e al diniego delle attenuanti generiche, che riteneva corretti tenuto conto della gravità del fatto e della pericolosità dimostrata dalla vicinanza ad organizzazioni dedite al narcotraffico e dalla reiterazione nel tempo delle medesime condotte criminose.
COGNOME (“NOME“), già condannato in precedenza per la partecipazione alla cosca mafiosa “Cintorino” negli anni 1995-1999 con contestazione “chiusa”, è stato ritenuto responsabile di una permanente partecipazione allo stesso gruppo, dotato di armi, per il successivo periodo temporale in contestazione, e per i delitti fine di estorsione di cui ai capi 2) e 3), emergendo dall’inequivoco tenore delle plurime conversazioni captate e delle propalazioni del collaboratore Porto che egli, per volontà espressa di NOME COGNOME ha continuato a rivestire un indiscusso ruolo apicale nel gruppo di Calatabiano pur dopo una lunga detenzione in carcere e nonostante l’età avanzata, partecipando a vari incontri con esponenti della cosca per l’adozione di decisioni di comune interesse e per la ripartizione dei proventi delle illecite attività. L’imputato, cui era applicata recidiva contestata e al quale non era riconosciuta la continuazione esterna con i fatti di cui alle precedenti condanne, non era ritenuto meritevole delle attenuanti generiche in considerazione della persistente e perseverante adesione nel tempo ai modelli della criminalità mafiosa.
Hanno presentato distinti ricorsi per cassazione i difensori degli imputati.
4.1. Il difensore di COGNOME ha denunziato la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento: – all’affermazione di responsabilità in ordine al delitto associativo di cui all’art. 74 d.P.R. cit. (capo 11), trattandosi di me concorso di persone nella commissione dei due contestati episodi di spaccio di stupefacenti di cui ai capi 24) e 25) – così indicati dal difensore ma in realtà corrispondenti ai capi 23) e 24) – quanto all’attività di trasporto e consegna degli stessi; – all’immotivato diniego delle attenuanti generiche.
4.2. Il difensore di COGNOME, con plurimi ma connessi motivi, articolati in due distinti atti, ha denunziato la violazione di legge (artt. 110 cod. pen., art. 4 CDFUE, artt. 25-27-111 Cost.) e il vizio di carente o apparente motivazione con riguardo all’affermazione di responsabilità per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, in qualità di “intermediaria” o “corriere di notizie” fra i capo riconosciuto NOME COGNOME detenuto in carcere, e gli altri sodali, potendosi al più ravvisare nel caso concreto l’ipotesi di favoreggiamento personale.
La ricorrente, assistita anche da un secondo difensore di fiducia, ha ritualmente depositato una successiva memoria, recante “motivi aggiunti”, con la quale da un lato ripropone la censura attinente alla qualificazione della condotta come concorso esterno in associazione mafiosa, per difetto di efficienza causale del contributo e di dolo del concorrente, e dall’altro denunzia la mancanza di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
4.3. Il difensore di COGNOME ha denunziato: – la mancanza di motivazione del provvedimento di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello mediante l’escussione del collaboratore di giustizia Porto; – il diniego immotivato delle attenuanti generiche.
4.4. Il difensore di COGNOME ha denunziato la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo: – all’affermazione di responsabilità in ordine al delitto associativo ex art. 74 d.P.R. cit. (capo 11), che sarebbe frutto di un’erronea valutazione delle prove dichiarative e captative, atteso che il convivente e gli altri collaboratori di giustizia collocavano l’imputata fuori o ai margini de perimetro associativo, sostenendo che essa non aveva apportato alcun contributo causale, se non sporadico e occasionale, alla consorteria; – al disconoscimento della meritevolezza delle attenuanti generiche e di un più mite trattamento sanzionatorio.
4.5. Il difensore di COGNOME ha denunziato la violazione di legge e il vizio di motivazione, anche per travisamento delle prove dichiarative e intercettative, con riguardo: – all’affermazione di responsabilità per il delitto associativo di cu all’art. 74 d.P.R. cit. (capo 11), potendosi al più ravvisare, nelle operazioni di occultamento del denaro frutto di reati consumati da altri e di offerta in uso del garage, la mera ipotesi di favoreggiamento personale o reale nei confronti del cognato COGNOME con il quale soltanto aveva rapporti; – alla qualificazione del reato di cui al capo 12) sub art. 73, comma 1, anziché comma 4, d.P.R. cit., in assenza di prova circa la tipologia delle sostanze; – all’affermata sussistenza dell’aggravante di natura soggettiva del fine di agevolazione mafiosa ex art. 416-
bis.1 cod. pen.; – al mancato riconoscimento della fattispecie di lieve entità ex art. 74, comma 6 per il delitto associativo e di quella ex art. 73, comma 5 d.P.R. cit. per il reato fine di cui al capo 12).
4.6. I difensori di COGNOME hanno denunziato la violazione di legge e il vizio di motivazione, anche per travisamento delle prove dichiarative (quali le propalazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e COGNOME e NOME rimaste prive di concreti riscontri estrinseci), documentali e da intercettazioni, con riguardo all’affermazione di responsabilità: – per il delitto partecipazione all’associazione mafiosa di cui al capo 1), pure in difetto di consistenti riscontri circa l’effettivo e stabile ruolo da lui consapevolmente rivestito all’interno della stessa; – per i reati di estorsione in danno di NOME COGNOME, di cui ai capi 2) e 3), con la relativa aggravante mafiosa ex art. 416-bis.1 cod. pen.; – per il reato di usura di cui ai capi 9) e 10) in danno NOME COGNOME e NOME COGNOME, con le relative aggravanti ex rt. 416-bis.1 cod. pen. e dello stato di bisogno delle vittime; – per il delitto di partecipazion all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti ex art. 74 d.P.R. cit. (capo 11), trattandosi di un unico sodalizio criminale, e per i connessi reati fine d acquisto, trasporto e detenzione di sostanze stupefacenti, aggravati ex art. 416bis.1 cod. pen. (capi 12-13-24); nonché per l’erronea quantificazione, in eccesso rispetto ai minimi edittali, degli aumenti di pena per la continuazione interna, quindi della complessiva pena finale, e per la mancata concessione delle attenuanti generiche.
Con successiva memoria il ricorrente ha ribadito i motivi posti alla base del settimo motivo di ricorso, relativo alle attenuanti generiche, rimarcando l’età e le condizioni di salute critiche.
4.7. Il difensore di COGNOME ha denunziato, con i primi cinque e strettamente connessi motivi di ricorso, l’omessa declaratoria d’inammissibilità dell’appello del P.M., la conseguente erronea rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello mediante l’ulteriore escussione di NOME COGNOME e l’assenza di una motivazione rafforzata a sostegno della rivalutazione probatoria e della critica della sentenza assolutoria di primo grado, quanto alla contestata attività di pusher, addetto alla cessione a terzi di sostanze stupefacenti per conto del sodalizio diretto da Porto, pure in assenza del fine agevolatore della consorteria mafiosa. Con gli ulteriori due motivi il ricorrente ha censurato la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione quanto al disconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. cit. e al diniego delle attenuanti generiche.
4.8. Il difensore di COGNOME ha denunziato la violazione di legge e il vizio motivazione, anche per travisamento della prova intercettativa e per l’assenza di riscontri delle propalazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME con riguardo: – all’affermazione di responsabilità per il delitto di partecipazion all’associazione mafiosa di cui al capo 1), pure in difetto di consistenti riscontr circa l’effettivo e stabile ruolo da lui consapevolmente rivestito all’interno dell stessa; – alla definizione del regime sanzionatorio applicabile ratione temporis, essendo l’intraneità al più provata fino al gennaio 2015, ancor prima dell’entrata in vigore della legge n. 69 del 2015; – all’erronea applicazione dell’aggravante dell’associazione armata di cui al comma 4 dell’art. 416-bis cod. pen.; – alla mancata esclusione della contestata recidiva e al diniego delle attenuanti generiche.
4.9. Il difensore di COGNOME con i primi tre motivi strettamente connessi, ha denunziato la violazione del diritto di difesa in merito alla disposta rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello come richiesta dal P.M., a causa dell’omessa ammissione della prova difensiva contraria mediante l’audizione della persona offesa NOME COGNOMEil cui padre NOME risultava attinto, a sua volta, da ordinanza coercitiva per partecipazione alla cosca SantapaolaErcolano), nonché per l’omessa assunzione del decisivo esame (già inutilmente richiesto in prime cure) della medesima persona offesa del delitto di estorsione contestato nel capo 4). Con il quarto e il quinto motivo si censura l’erronea applicazione dell’art. 629 cod. pen., aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen. e dall’appartenenza ad un’associazione mafiosa, anche per l’utilizzo di una prova inesistente o per la mancata assunzione di una prova decisiva. Con il sesto motivo, anch’esso collegato alle deduzioni svolte con il quarto e il quinto, il ricorrente deduce la violazione del principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza di condanna per un fatto diversamente configurato quanto al soggetto passivo (COGNOME NOME e non NOME), al luogo e alla data di commissione del reato. Con l’ultimo motivo il ricorrente si duole dell’eccessività della pena e dell’ingiustificato diniego delle attenuanti generiche.
4.10. Il difensore di COGNOME ha denunziato il vizio di motivazione illogica o apparente, anche per travisamento delle prove dichiarative (quali le propalazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME) e intercettative, con riguardo: all’affermazione di responsabilità per il delitto di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti di cui al capo 11), pure in difetto consistenti riscontri circa l’effettiva intraneità all’interno della stessa, essendo relazione concernente l’acquisto e lo spaccio di droga circoscritta esclusivamente
alle persone di Porto e Macrì; – all’affermazione di responsabilità per i reati fine di cui all’art. 73 d.P.R. cit. (capi 12 e 23), attesa la genericità e il relativo d di prova per la prima imputazione, peraltro oggetto di duplicazione rispetto a quella contestata nel capo 23), nonché alla ritenuta aggravante mafiosa di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.; – al mancato riconoscimento dell’ipotesi ex art. 73, comma 5, d.P.R. cit.; – alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 99 cod. pen. e all’erronea applicazione del relativo aumento di pena, in violazione dell’ultimo comma della citata disposizione, nonché alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
4.11. Il difensore di Messina ha denunziato la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo: – all’affermazione di responsabilità in ordine al delitto associativo di cui all’art. 74 d.P.R. cit. (capo 11), trattandosi di mero concorso di persone nella commissione dei contestati episodi di spaccio di stupefacenti di cui ai capi 12) e 20), atteso il carattere esclusivo della relazione dell’imputato col COGNOME e con la sua compagna COGNOME; – alla mancata derubricazione del delitto di spaccio di cui al capo 12 nell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. cit.; – alla mancanza di prove certe in ordine all’addebito di spaccio di cui al capo 20); all’eccessività della pena per l’ingiustificato diniego delle attenuant generiche.
4.12. I difensori di NOME e NOME COGNOME hanno denunziato, con distinti ma sovrapponibili ricorsi, la violazione di legge e il vizio di motivazione, anche per travisamento delle risultanze dichiarative intercettative, con riguardo: all’affermazione di responsabilità per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa, in difetto di prova dell’efficienza causale del contributo prestato dal concorrente e di dolo, identificabili viceversa in termini di mera relazione affettiva con il padre NOME Pace e non di intermediazione o corriere di messaggi e direttive di quest’ultimo a COGNOME o ad altri membri della cosca; all’eccessività della pena anche per l’ingiustificato diniego delle attenuanti generiche.
4.13. Il difensore di COGNOME ha denunziato la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo al disconoscimento del vincolo della continuazione esterna dei fatti di spaccio di quantitativi di cocaina, contestati nell’odiern procedimento, con quelli analoghi di cui alla sentenza di condanna della Corte di Appello di Messina del 16 luglio 2018.
4.14. Il difensore di Porto, collaboratore di giustizia ammesso al programma speciale di protezione, ha dedotto la violazione di legge e il vizio motivazionale per la mancata concessione delle attenuanti generiche, per la mancata giustificazione dell’entità degli aumenti di pena fissati per i reati satellite, per mancata revoca della misura della libertà vigilata per un anno pure in difetto di una concreta pericolosità sociale, per il disconoscimento della continuazione con i fatti di cui ad altre condanne definitive per partecipazione all’associazione mafiosa “Cintorino”.
4.15. Il difensore di Sciacca ha denunziato la violazione di legge e la illogicità della motivazione anche per travisamento della prova, quanto alla mancata riqualificazione del reato contestato nel capo 18) in termini di ipotesi lieve ex art. 73, comma 5 d.P.R. cit., considerato che trattavasi di droga leggera e che i fatti di spaccio erano riconducibili a un ben confinato arco temporale. Ha inoltre censurato l’eccessività della pena anche per l’ingiustificato diniego delle attenuanti generiche.
4.16. Il difensore di COGNOME (“NOME“) ha contestato l’affermata responsabilità per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa con ruolo di promotore e organizzatore, siccome supportata da un’erronea lettura e valutazione delle conversazioni captate e delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia circa l’effettivo contributo causale prestato dall’imputato alla consorteria. Ha altresì censurato il mancato riconoscimento della continuazione esterna rispetto ai fatti di cui alle pregresse condanne definitive per il medesimo delitto associativo, che sarebbe stato commesso con condotta permanente nel tempo, fin dal 1998.
4.17. Ha proposto ricorso per cassazione anche il P.G. presso la Corte d’appello di Catania nei confronti di Scalora, limitatamente alla riduzione di pena conseguente all’esclusione da parte della Corte territoriale della recidiva contestata e ritenuta dal primo giudice, sul rilievo della persistente attualità del giudizio di pericolosità sociale dell’imputato, che risultava attinto da numerosi precedenti per i reati di tentata estorsione continuata e associazione mafiosa commessi fino al 2007.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Sono fondati il ricorso del Procuratore Generale nei confronti di NOME COGNOME e quelli di NOME COGNOME e NOME COGNOME, limitatamente al profilo
del denegato riconoscimento della continuazione esterna con i fatti di cui alle precedenti condanne definitive per il medesimo delitto associativo.
Per il resto, le censure degli imputati ricorrenti, con riguardo all’affermazione di responsabilità, si palesano per un verso prevalentemente orientate verso una prospettiva di rilettura nel merito dei fatti e delle prove, come coerentemente e conformemente valutati dai Giudici di primo grado e di appello, e per taluni aspetti aspecifiche, non misurandosi con il reale apparato argomentativo della decisione impugnata. A ben vedere, con riguardo alle specifiche posizioni dei singoli ricorrenti, i ricorsi ripropongono prevalentemente doglianze già mosse con i motivi d’appello e disattese da quel giudice in ordine al peso probatorio dei dati acquisiti, prospettando sostanzialmente una inammissibile rivisitazione da parte della Cassazione degli elementi dimostrativi posti a fondamento delle conformi decisioni di merito, assistite per contro da una ricostruzione adeguata e immune da vizi logici.
2. In linea generale, risultano invero infondati e per taluni aspetti addirittura sprovvisti di reale specificità delle ragioni che li sorreggono i motivi di ricorso co i quali i ricorrenti COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME NOME e NOME COGNOME COGNOME hanno contestato – talora nella veste di vizio di violazione della legge penale o processuale – la carenza e la contraddittorietà della motivazione, anche per travisamento della prova intercettativa e dichiarativa, di entrambe le sentenze di merito, le quali si presentano viceversa convergenti nella lettura e nell’interpretazione degli inequivoci contenuti delle plurime conversazioni telefoniche e ambientali captate ovvero del coerente e chiaro tenore delle propalazioni auto- ed etero-accusatorie del collaboratore di giustizia NOME COGNOME latore di informazioni particolarmente ricche e affidabili per il ruolo rivestito di reggente della cosca mafiosa e di capo del gruppo dedito al narcotraffico.
La Corte territoriale, nell’operazione valutativa del complessivo materiale probatorio, ha infatti argomentato in modo adeguato, lineare e immune da vizi logici circa il disvelamento del reale significato dei colloqui intercettati e del propalazioni del collaboratore di giustizia (peraltro efficacemente riscontrate dai servizi di osservazione e videosorveglianza e dai verbali di perquisizione, sequestro e arresto anche per detenzione di armi da sparo), aventi ad oggetto la dinamica delle illecite attività realizzate all’interno del territorio di competen del “clan COGNOME“, quale articolazione della famiglia catanese “COGNOME” collegata alla famiglia “COGNOME“, operante a Calatabiano e aree limitrofe.
La cosca (capo 1) risultava organizzata e diretta da NOME COGNOME benché detenuto per una condanna all’ergastolo, e da NOME COGNOME i cui uomini di
fiducia erano NOME COGNOME e NOME COGNOME; era costituita altresì da COGNOME, COGNOME Antonio e NOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME. Tenuto conto della lunga detenzione anche dell’anziano COGNOME (“Zio”), rivestiva di fatto la posizione apicale di reggente della cosca NOME COGNOME, sottoposto alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno, nella cui abitazione s’incontravano i sodali e erano intercettate numerose conversazioni (fra COGNOME e la compagna NOME COGNOME, fra Porto e COGNOME, fra Porto e Di Bella e altre ancora), aventi tutte ad oggetto, oltre i contatti del gruppo con NOME COGNOME e COGNOME, la programmazione di attività criminose per il controllo del territorio, l’imposizione del “pizzo” ai commercianti, l’allargamento delle iniziative con il reimpiego dei proventi illeciti nel territorio confinante di Giardini Naxos Taormina, la formazione della cassa comune e la distribuzione delle somme fra i sodali e per il mantenimento delle famiglie dei detenuti. Alla luce delle propalazioni di Porto e delle conversazioni captate fra COGNOME e COGNOME e dei sequestri a riscontro delle stesse, venivano pure rinvenute in Calatabiano varie armi da sparo, che, alla stregua del medesimo materiale intercettativo, erano riconducibili alla disponibilità non dei singoli ma dell’intero gruppo e dei suoi sodali, consapevoli dunque della relativa forza armata da esercitare nelle opportune evenienze.
Alla luce del ricco materiale investigativo costituito da molteplici intercettazioni telefoniche e ambientali, dai conseguenti servizi investigativi di osservazione, appostamento e videoripresa effettuati per un lungo arco temporale da luglio 2014 a giugno 2019, dalle propalazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME, dalle operazioni di sequestro di talune partite di droga a riscontro delle stesse, risultava altresì provata l’esistenza dell’associazione parimenti diretta e organizzata da NOME COGNOME (costituita da Porto e dalla sua compagna COGNOME, COGNOME COGNOME, uomo di fiducia e braccio destro di NOME COGNOME COGNOME, cognato di Porto, COGNOME, Messina, fra i più fidati collaboratori di Porto), dedita all’attività sistematica e reitera acquisto, trasporto, detenzione e spaccio di notevoli partite di cocaina, marijuana e hashish (capo 11).
Orbene, va ribadito che la lettura dei dialoghi captati e l’interpretazione del linguaggio e dei contenuti oggetto degli stessi, puntualmente trascritti in motivazione, costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, che, se – come nel caso in esame – risulta convergente in entrambi i gradi di giudizio e logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
Ciò posto circa la correttezza delle inferenze tratte dal tenore delle plurime conversazioni intercettate e trascritte nella ponderosa motivazione e dalle propalazioni del principale collaboratore di giustizia, riscontrate dagli esiti d complesse operazioni investigative di polizia giudiziaria, ne deriva come lineare e logico corollario l’infondatezza degli assunti difensivi dei ricorrenti che hanno denunziato la violazione di legge o il vizio di motivazione della sentenza impugnata in punto di prova della responsabilità per le condotte di partecipazione o di concorso esterno nell’associazione mafiosa o in quella dedita al narcotraffico, che a loro avviso non sarebbe stata affermata sulla base di seri e obiettivi elementi idonei a dimostrare l’effettiva intraneità o la contiguit penalmente rilevante al sodalizio criminale. Invero, con specifico riferimento alle diverse posizioni processuali e anche con riguardo al profilo soggettivo, entrambi i giudici di merito hanno concordemente valutato in maniera non parcellizzata i numerosi elementi di prova, non contraddetti peraltro da alcuna spiegazione alternativa.
Sicché, in linea generale, la motivazione della sentenza impugnata si presenta congruamente e logicamente argomentata nella ricostruzione probatoria delle vicende e nei relativi apprezzamenti di merito, perciò non censurabile per questo aspetto in sede di controllo di legittimità.
Vanno peraltro presi in esame analiticamente i motivi di ricorso riguardanti le posizioni dei singoli ricorrenti.
Con una ricostruzione adeguata e immune da vizi logici la Corte territoriale ha indicato gli elementi dimostrativi della condotta di concorso esterno di NOME COGNOME e dei fratelli NOME e NOME COGNOME, rispettivamente compagna e figli di NOME COGNOME – storico e indiscusso capo della cosca mafiosa “Cappello-Cintorino” – nell’associazione mafiosa di cui al capo 1), i cui motivi di ricorso il Collegio ritiene infondati.
Invero, la Corte di appello ha puntualmente evidenziato e valorizzato tutte le prove acquisite, di tipo intercettativo (le numerose conversazioni telefoniche e ambientali captate) e dichiarativo (le coerenti e riscontrate propalazioni dei collaboratori di giustizia, in particolare di Porto), insieme con gli esiti delle operazioni investigative di polizia giudiziaria, dalle quali emerge con chiarezza il ruolo di intermediazione e di collegamento da essi costantemente e ripetutamente svolto, in occasione dei colloqui in carcere o durante i permessi premio, fra NOME COGNOME detenuto in carcere per una condanna all’ergastolo, e i sodali della cosca, in particolare il suo tradizionale braccio destro COGNOME incaricandosi dei compiti di ricognizione delle varie attività, interessi e iniziativ del gruppo criminale e della conseguente informazione aggiornata del capo,
21 GLYPH
els’t
perché questi, benché detenuto, potesse continuare a dare le direttive, in particolare a COGNOME, per la gestione degli affari della cosca.
Di qui il corretto giudizio conclusivo del carattere concreto, specifico e funzionale del contributo agevolatore, prestato consapevolmente al rilevante fine della conservazione e del rafforzamento dell’associazione mafiosa nella sua strutturazione organizzativa verticistica, non già a favore del singolo componente di essa.
In linea di diritto, l’affermazione di responsabilità dei suddetti imputati appare coerente col principio giurisprudenziale per il quale “la distinzione tra la condotta di partecipazione ad associazione mafiosa e il concorso esterno non ha natura meramente quantitativa, ma è collegata alla organicità del rapporto tra il singolo e la consorteria, per cui deve essere qualificato come contributo di partecipazione quello del soggetto cui sia stato attribuito un ruolo nel sodalizio, anche se lo stesso non abbia mai avuto occasione di attivarsi, mentre, al contrario, va qualificato come contributo concorsuale esterno quello dell’extraneus, sulla cui disponibilità il sodalizio non può contare, che sia stato più volte contattato per tenere determinate condotte agevolative, concordate sulla base di autonome determinazioni” (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231673).
Di talché, attesi la stabile e sistematica disponibilità a favore del sodalizio mafioso e il rilevante contributo causale al raggiungimento dei disegni criminali dello stesso, la Corte ha correttamente ricondotto le univoche e consapevoli condotte dei ricorrenti nell’alveo della fattispecie di cui agli artt. 110 e 416-bi cod. pen., non già in termini di mera relazione affettiva con il compagno o padre, escludendo di conseguenza la configurabilità nelle descritte condotte criminose degli elementi, soggettivo e oggettivo, della meno grave ipotesi di favoreggiamento personale ex art. 378 cod. pen.
Affatto inammissibili si palesano, infine, le doglianze attinenti all’entità dell pena e al diniego delle attenuanti generiche, poiché il relativo giudizio di adeguatezza e proporzione del trattamento sanzionatorio, siccome esplicitamente e congruamente argomentato con riferimento fattuale alla particolare gravità della imputazione e alla consistente e reiterata condotta concorsuale, inserita in un allarmante contesto criminale, risulta insindacabile in sede di scrutinio di legittimità della sentenza impugnata.
Risultano privi di pregio, ad avviso del Collegio, anche i motivi dei ricorsi presentati da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (“Zio”), in punto di responsabilità per i delitti ad essi rispettivamente ascritti di partecipazione alle distinte associazioni criminali di cui
ai capi 1) e 11), la prima di stampo mafioso e la seconda dedita al narcotraffico, anche quanto alla disponibilità di armi da sparo, e per i reati fine pure ad essi rispettivamente contestati nei capi 2), 3), 9), 10), 12), 23) e 24), aggravati ex art. 416-bis.1 cod. pen.
4.1. La Corte territoriale, dopo avere analiticamente ricostruito il compendio probatorio a carico degli imputati, costituito dagli esiti delle operazion investigative di controllo e videosorveglianza, dagli espliciti contenuti dei plurimi colloqui intercettati e riportati in motivazione, dalle coerenti e attendibi propalazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia, in particolare del reggente della cosca NOME COGNOME e di talune deposizioni testimoniali delle persone offese dai reati fine, ne ha tratto, con idoneo apparato argomentativo, la lineare conclusione che:
COGNOME e COGNOME svolgevano il ruolo e i compiti di uomini di fiducia e di stretti collaboratori di NOME COGNOME capo della cosca mafiosa, delle cui direttive circa la gestione delle attività e delle iniziative della consorteria curavano la puntuale esecuzione;
COGNOME rivestiva il ruolo di intermediario nei rapporti fra COGNOME e COGNOME e d uomo di totale fiducia del primo, in una stabile e continuativa messa a disposizione della cosca di riferimento;
COGNOME (“COGNOME“), già precedentemente condannato per la partecipazione alla medesima cosca “Cintorino” con contestazione “chiusa”, per volontà espressa di NOME COGNOME rivestiva il ruolo di referente, insieme a NOME COGNOME, del gruppo di Calatabiano, essendo presente a vari incontri con esponenti della cosca ed eseguendo le direttive di volta in volta impartite da COGNOME.
Non può ritenersi condivisibile l’ipotesi prospettata dalla difesa di COGNOME di un mero concorso di persone negli episodi di trasporto e cessione di stupefacenti di cui ai capi 23) e 24), attesa la mancanza di alcun supporto probatorio a sostegno di questa che sembra profilarsi solo come un’inammissibile ricostruzione alternativa della vicenda.
Anche per il giudizio di piena intraneità di COGNOME – già precedentemente condannato per il delitto di partecipazione alla cosca “Cintorino” negli anni 1995/1999 -, in veste di dirigente e organizzatore del medesimo gruppo mafioso, la Corte ha valorizzato il compendio probatorio costituito dalle numerose conversazioni captate e dalle propalazioni del collaboratore COGNOME, dalle quali ha tratto l’obiettiva inferenza che egli, per volontà del capo NOME COGNOME, continuasse a rivestire un ruolo apicale nel gruppo di Calatabiano, pur dopo la lunga detenzione sofferta in carcere e nonostante l’età avanzata, essendo dimostrata la sua partecipazione a vari incontri con gli altri esponenti di vertice, là dove
venivano prese decisioni di comune interesse o mirate alla ripartizione dei proventi delle illecite attività.
I relativi motivi di ricorso di COGNOME, COGNOME COGNOME e COGNOME risultano pertanto infondati a fronte della motivazione in fatto della Corte territoriale, adeguatamente e logicamente argomentata, perciò insindacabile nel giudizio di legittimità.
4.2. Con particolare riguardo alla tesi già disattesa dai giudici del merito e riproposta in questa sede dal ricorrente COGNOME, per cui in ogni caso l’affermazione di responsabilità per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa (capo 1) dovrebbe ritenersi assorbente e non in concorso formale con il parallelo giudizio per la partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti ex art. 74 d.P.R. cit. (capo 11), trattandosi a suo avviso di un “unico e identico sodalizio criminale”, osserva il Collegio che l’opposta valutazione espressa dalla Corte territoriale risulta corroborata, in fatto, da una serie di elementi probatori convergenti sulla coesistenza di due distinte strutture organizzative, con una solo parziale coincidenza soggettiva e oggettiva, e, in linea di diritto, dalla consolidata lezione ermeneutica della giurisprudenza di legittimità in materia.
In fatto, è stata probatoriamente verificata, soprattutto mediante le coerenti e riscontrate propalazioni del collaboratore Porto, la consapevolezza dei soggetti specificamente addetti al narcotraffìco di contribuire, con le loro condotte caratterizzate dal metodo mafioso e riferibili anche alla struttura organizzativa mafiosa, alla realizzazione di una fra le varie e plurime finalità illecite perseguite dalla cosca “COGNOMERAGIONE_SOCIALECOGNOME” operante in Calatabiano e aree limitrofe, così rafforzandone anche dal punto di vista della ripartizione di una parte dei proventi illeciti la potenza economico-finanziaria e l’egemonia territoriale.
In diritto, può dirsi consolidato il principio giurisprudenziale per il quale i reato di associazione per delinquere, generica o di stampo mafioso, può concorrere con quello di associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti, anche quando la medesima associazione sia finalizzata alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti e di reati diversi, per i quali si avvale del contributo di sodali anche diversi dai soggetti affiliati a sodalizio mafioso, perseguendo un programma delittuoso dalla cui attuazione discende il concomitante conseguimento dell’interesse della cosca (Sez. U, n. 1149 del 25/09/2008, dep. 2009, Magistris, Rv. 241883; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258163; Sez. 1, n. 4071 del 04/05/2018, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278583; Sez. 2, n. 8790 del 06/12/2023, dep. 2024, Tengano, Rv. 286005). Sicché deve ritenersi esclusa la denunziata violazione del principio di
ne bis in idem sul rilievo dell’insussistenza, nel rapporto tra le fattispecie associative, di piena e totale coincidenza degli elementi costitutivi.
4.3. In ordine ai delitti fine di estorsione in danno dei fratelli NOME e NOME COGNOME, imprenditori turistici, contestati a COGNOME nei capi 2) e 3), la Corte territoriale, oltre le dichiarazioni delle persone offese, ha preso in esame analiticamente le numerose conversazioni captate e trascritte in motivazione, traendone l’obiettiva e inequivoca inferenza del controllo egemonico da parte del clan “Cappello-Cintorino”, nella persona di COGNOME, insieme con COGNOME per il clan “COGNOME“, delle attività turistiche nell’area di Taormina, per cui, nella ripartizione degli illeciti proventi oggetto dell’accordo fra le due cosche mafiose, COGNOME era incaricato di riscuotere la quota dei profitti estorsivi destinata alla cassa del primo sodalizio o consegnata ai familiari di NOME COGNOME
4.4. Parimenti per i reati fine di usura in danno di NOME COGNOME e NOME COGNOME di cui ai capi 9) e 10), la Corte territoriale ha valorizzato, oltre le dichiarazioni delle persone offese, il chiaro tenore di una serie di colloqui intercettati e riportati in motivazione che documentavano il diretto coinvolgimento di COGNOME (in concorso con NOME COGNOME) nell’operazione autorizzatoria di prestiti di pur modeste somme a soggetti in stato di bisogno con un interesse equivalente al tasso annuo del 120%.
Sicché anche il giudizio di colpevolezza dell’imputato COGNOME per siffatti reati appare congruamente argomentato, in fatto, con un coerente apprezzamento di merito delle acquisite risultanze probatorie, perciò insindacabile in sede di legittimità.
4.5. Inammissibili si palesano le doglianze di COGNOME e COGNOME attinenti alle soluzioni di merito circa la concreta entità della pena inflitta e i disconoscimento delle attenuanti generiche. Il giudizio di adeguatezza e proporzione del trattamento sanzionatorio, siccome esplicitamente e congruamente argomentato con riferimento fattuale alla particolare gravità delle imputazioni, al ruolo sovraordinato e agli specifici compiti affidati a entrambi gli imputati all’interno dei due sodalizi criminali, all’indubbia spregiudicatezza e attitudine a delinquere dimostrate con le pervicaci e reiterate condotte, all’inserimento di esse in un allarmante contesto di criminalità organizzata e di tipo mafioso, appare infatti insindacabile in sede di scrutinio di legittimità della sentenza impugnata.
4.6. Appare viceversa fondata la specifica doglianza di Trovato circa il diniego della continuazione esterna con i fatti di cui alle precedenti condanne definitive per il medesimo delitto associativo.
La Corte, dopo avere evidenziato la genericità e l’incompletezza documentale della richiesta difensiva, ha escluso in linea di fatto la medesimezza del disegno criminoso (pag. 170).
Tuttavia, in motivazione, i Giudici di appello hanno rappresentato che il materiale probatorio raccolto è indicativo della “persistente adesione al sodalizio mafioso dell’imputato”, ribadendo che il collaboratore di giustizia Porto aveva riferito che Trovato “si era riappropriato del comando del clan” e che, peraltro, anche nel periodo di detenzione egli avanzava continue richieste di denaro (pagg. 167-169). Si rende quindi necessario un approfondimento destinato ad accertare l’adesione dell’imputato alla mera prosecuzione del preesistente pactum sceleris ovvero la discontinuità nel programma criminoso, in linea con l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ai fini della configurabilità del vincolo della continuazione tra reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, non è sufficiente il riferimento alla tipologia del reato e all’omogeneità delle condotte, ma occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, al fine di accertare l’unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni, comunque denominate, ovvero ad una medesima organizzazione (Sez. 5, n. 20900 del 26/04/2021, COGNOME, Rv. 281375).
4.7. Quanto, in particolare, al trattamento sanzionatorio applicato a COGNOME, in relazione ad uno specifico motivo di ricorso dell’imputato va rimarcato che esso è stato correttamente e insindacabilmente configurato in fatto dalla Corte con riferimento alla disciplina intertemporale dettata dalla legge 25 maggio 2015, n. 69, facendo leva sul tenore della conversazione in data 22 ottobre 2015 fra Porto e Colosi dalla quale è stata logicamente desunta la prova del persistente inserimento di COGNOME nel sodalizio mafioso anche in epoca successiva all’entrata in vigore della nuova e più sfavorevole normativa.
4.8. GLYPH Circa GLYPH la GLYPH denunziata GLYPH erronea GLYPH applicazione GLYPH dell’aggravante dell’associazione armata di cui al comma 4 dell’art. 416-bis cod. pen., è sufficiente rilevare che la Corte territoriale ha valorizzato adeguatamente sul punto le dichiarazioni accusatorie del collaboratore COGNOME, riscontrate dall’effettivo rinvenimento e sequestro di armi da sparo e dal tenore di alcune conversazioni captate fra gli esponenti di primo piano della cosca COGNOME e COGNOME quanto al loro utilizzo per eventuali rapine; sicché si è conseguentemente affermato che le armi erano obiettivamente riconducibili alla disponibilità della cosca nella consapevolezza di tutti i sodali.
4.9. Del pari, con riguardo alle censure per la mancata esclusione della recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale e per il diniego delle attenuanti
generiche, il giudizio di adeguatezza e proporzione del trattamento sanzionatorio, siccome esplicitamente e congruamente argomentato con riferimento fattuale alla particolare gravità delle imputazioni, al ruolo ed agli specifici compiti dell’imputato nella consorteria, all’indubbia e accentuata attitudine a delinquere, all’inserimento della condotta criminosa in un allarmante contesto di criminalità organizzata e di tipo mafioso, è insindacabile in sede di controllo di legittimità della sentenza impugnata.
Ribadita la correttezza della lettura non parcellizzata dei dialoghi telefonici e ambientali intercettati e trascritti in motivazione e delle coerenti propalazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia, pienamente riscontrate dagli esiti delle operazioni investigative di polizia giudiziaria, se ne inferisce come lineare e logico corollario la infondatezza degli assunti difensivi dei ricorrenti NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME giudicati responsabili – insieme a NOME COGNOME e NOME COGNOME quali promotori e organizzatori, ed a COGNOME e COGNOME nei ruoli già presi in esame – del reato di partecipazione alla distinta associazione dedita al traffico di cocaina, hashish e marijuana destinate prevalentemente alle piazze di spaccio di Calatabiano, Giardini Naxos e Taormina (art. 74 d.P.R. cit., con le aggravanti di essere l’associazione armata e di avvalersi del metodo mafioso col fine di agevolare la cosca “COGNOME–COGNOME“: capo 11), e dei connessi reati fine di acquisto, detenzione, trasporto e cessione di sostanze stupefacenti a ciascuno di essi rispettivamente ascritti.
5.1. GLYPH Entrambi i giudici di merito, alla stregua dell’imponente e significativo compendio probatorio acquisito, hanno ritenuto accertata la piena intraneità al sodalizio organizzato gerarchicamente e guidato da NOME COGNOME, compagna convivente dello stesso, per il diretto e consapevole contributo da lei prestato alla gestione del traffico di stupefacenti. La stessa partecipava attivamente alle riunioni dei sodali nella sua abitazione, in cui si discutevano le iniziative del gruppo e si approvavano le linee di approvvigionamento e spaccio della droga, provvedeva all’incasso delle somme ricavate dalle attività di spaccio dei pusher, teneva i conti ai fini della ripartizione dei proventi illeciti, coadiuvava le attività di taglio, confezionamento e occultamento delle dosi di stupefacenti destinati alla cessione, dava consigli e raccomandazioni seguendo le istruzioni di Porto o sostituendolo in caso di assenza o detenzione. Di talché risulta congruamente argomentata la logica conclusione che in tali condotte non fosse configurabile l’ipotesi della mera convivenza non punibile, bensì quella di un apporto stabile, sistematico, rilevante e consapevole alla gestione delle attività illecite del sodalizio criminale.
Il giudizio di adeguatezza e proporzione del trattamento sanzionatorio, siccome esplicitamente e congruamente argomentato con riferimento fattuale alla particolare gravità delle imputazioni, al ruolo e ai compiti svolti dall’imputata, all’inserimento delle reiterate condotte criminose in un allarmante contesto di criminalità organizzata, deve ritenersi infine insindacabile in sede di scrutinio di legittimità della sentenza impugnata.
5.2. Anche per COGNOME, legato fiduciariamente a NOME COGNOME in forza del vincolo di parentela fra la sua compagna convivente NOME COGNOME e la sorella NOME, a sua volta compagna convivente di Porto, è stato ritenuto dai giudici di merito, alla luce del descritto compendio probatorio, il suo pieno inserimento nel gruppo organizzato e diretto da Porto, in considerazione del rilevante e consapevole contributo da lui prestato alla gestione del traffico di stupefacenti.
È stato infatti accertato che COGNOME rivestiva lo specifico ruolo di custode, nella sua abitazione e nel garage, dei notevoli proventi dell’illecito traffico di stupefacenti e dei quantitativi di droga occultati e destinati allo spaccio, che di volta in volta consegnava a Porto, di cui seguiva le direttive anche in funzione delle operazioni di riscossione del provento di un’estorsione o di recupero della droga occultata dal sodale COGNOME prima dell’arresto. Sicché anche per COGNOME risulta congruamente argomentata la logica conclusione che in tali condotte non era configurabile l’ipotesi meno grave di favoreggiamento personale o reale (che si prospetta come un’inammissibile ricostruzione alternativa della vicenda), bensì la fattispecie criminosa dello stabile e organico inserimento del soggetto mediante una serie di contributi sistematici, rilevanti e consapevoli nella gestione delle varie attività illecite del sodalizio dedito al narcotraffico.
Quanto all’ulteriore contestazione a COGNOME del delitto fine di cui al capo 12), essa deve intendersi correttamente formulata, risultando descritte sia la tipologia delle sostanze stupefacenti oggetto dell’illecito traffico che le relative operazioni di acquisto, detenzione e cessione, oltre l’indicazione dei soggetti coinvolti, del territorio e dell’arco temporale, anche con riferimento alla circostanza aggravatrice del metodo mafioso e della finalità agevolativa della cosca “RAGIONE_SOCIALE“.
Né può seriamente dubitarsi dell’adeguatezza della valutazione di entrambi i giudici di merito circa la inconfigurabilità della fattispecie di lieve entità ex art. 74, comma 6, per il delitto associativo o di quella ex art. 73, comma 5, d.P.R. cit. per il reato fine di cui al capo 12), tenuto conto di quanto probatoriamente riscontrato in ordine ai notevoli quantitativi delle sostanze stupefacenti oggetto per un lungo periodo di tempo delle reiterate attività illecite di acquisto, detenzione e spaccio da parte del sodalizio.
La sentenza impugnata, dunque, ha fatto buon governo dei principi giurisprudenziali secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di lieve entità, non è sufficiente considerare la natura dei singoli episodi di cessione accertati in concreto, ma occorre valutare il momento genetico dell’associazione e le potenzialità dell’organizzazione, con riferimento ai quantitativi di sostanze che il gruppo è in grado di procurarsi (Sez. 3, n. 44837 del 06/02/2018, COGNOME, Rv. 274696); ovvero la fattispecie associativa prevista dall’art. 74, comma 6, d.P.R. cit., è configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità e che, in concreto, l’attività associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. cit. (Sez. 6, n. 1642 del 09/10/2019, dep. 2020, Degli COGNOME, Rv. 278098).
Evenienze fattuali, queste, non riscontrate nel caso di specie.
Ad analogo giudizio deve pervenirsi circa l’effettiva e concreta sussistenza dell’aggravante mafiosa ex art. 416-bis.1 cod. pen., essendo stata verificata, soprattutto mediante le coerenti e riscontrate propalazioni del collaboratore Porto, la consapevolezza dei soggetti coinvolti nelle attività di narcotraffico di contribuire, con una serie di condotte caratterizzate dal metodo mafioso e riferibili anche alla struttura organizzativa mafiosa, alla realizzazione di una delle varie finalità illecite perseguite dalla cosca “RAGIONE_SOCIALE“, di cui venivano implementati, anche mediante la ripartizione di una parte dei proventi, il potere economico e l’egemonia nel territorio.
Di talché, è insindacabile in sede di legittimità il giudizio di merito relativo al complessivo trattamento sanzionatorio applicato a COGNOME e al diniego delle attenuanti generiche: soluzione decisoria, questa, considerata adeguata e proporzionata alla particolare gravità e reiterazione della condotta criminosa e al significativo ruolo fiduciario svolto, con il suo inserimento in un allarmante contesto criminale.
5.3. Con riferimento al motivo di ricorso di Macrì concernente l’attribuzione di responsabilità per il delitto associativo di cui al capo 11), osserva questa Corte che l’inserimento nel sodalizio criminale dedito al narcotraffico nel ruolo di fidato ed efficiente collaboratore del capo, NOME COGNOME al quale assicurava la totale disponibilità anche nel periodo di detenzione e pur dopo avere scontato la pena, nel costante adempimento dello specifico compito di esercitare lo spaccio della droga per conto del gruppo nelle piazze di Giardini Naxos e Taormina, è stato ritenuto probatoriamente accertato dai giudici di merito con esplicito e puntuale riferimento all’inequivoco tenore dei plurimi colloqui captati e trascritti in
motivazione, riscontrati dai servizi investigativi di polizia giudiziaria e dall propalazioni accusatorie dello stesso Porto. Macrì, seguendo le direttive del capo, partecipava alle operazioni di approvvigionamento della droga, alle transazioni e alle cessioni della stessa, i cui rilevanti proventi consegnava di volta in volta a Porto, e al recupero di eventuali crediti delle forniture eseguite. Non si versa pertanto – all’evidenza – nella fattispecie, prospettata in subordine dal ricorrente, del mero concorso di persone, né nella ipotesi meno grave del favoreggiamento personale o reale.
Prive di pregio e per taluni aspetti aspecifiche appaiono le doglianze di Macrì in punto di responsabilità per i reati fine di cui all’art. 73 d.P.R. cit. (capi 12 23), rispetto ai quali si denunzia la genericità e il difetto di prova per la prima imputazione, nonché l’asserita duplicazione della stessa rispetto alla seconda contestata nel capo 23).
Come si è sopra detto per COGNOME, l’imputazione del reato fine di cui al capo 12) deve intendersi correttamente formulata, risultando descritte sia la tipologia delle sostanze stupefacenti oggetto dell’illecito traffico che le relative operazioni di acquisto, detenzione e cessione, oltre l’indicazione dei soggetti coinvolti, del territorio e dell’arco temporale, anche con riferimento alla circostanza aggravatrice del metodo mafioso e della finalità agevolativa della cosca “COGNOMERAGIONE_SOCIALECOGNOME“. Né essa può qualificarsi come mera duplicazione della autonoma e circostanziata condotta contestata nel capo 23), che riguarda una specifica operazione di transazione di sostanze stupefacenti che COGNOME aveva acquistato da COGNOME con l’intermediazione di COGNOME e COGNOME.
Anche in merito alla ulteriore doglianza circa l’effettiva sussistenza dell’aggravante mafiosa ex art. 416-6/.5.1 cod. pen., va ribadito – come si è già detto per il coimputato COGNOME – che l’apprezzamento positivo dei giudici di merito fa leva sulle coerenti e riscontrate propalazioni del collaboratore COGNOME secondo il quale i soggetti coinvolti nelle attività di narcotraffico erano consapevoli di contribuire, con una serie di condotte caratterizzate dal metodo mafioso e riferibili anche alla struttura organizzativa mafiosa, alla realizzazione di una delle varie finalità illecite perseguite dalla cosca “RAGIONE_SOCIALECintorino”, di cui venivano rafforzati anche mediante la ripartizione di una parte dei proventi il potere economico e l’egemonia nel territorio.
Sono sprovvisti del prescritto requisito di specificità, infine, gli ulterior motivi di ricorso, di spessore meramente fattuale, attinenti all’applicazione della recidiva e alla mancata concessione delle attenuanti generiche, poiché risulta congruamente e logicamente motivato – perciò insindacabile in sede di scrutinio di legittimità – il giudizio di merito relativo al trattamento sanzionatorio e a diniego delle attenuanti generiche. Invero, la recidiva specifica reiterata
infaquinquennale è stata ritenuta sussistente e applicata in considerazione dei recenti e analoghi precedenti in materia di stupefacenti e la mancata concessione delle attenuanti generiche è stata giustificata con riferimento alla particolare gravità e reiterazione della condotta criminosa e al significativo ruolo fiduciario svolto, con inserimento in un allarmante contesto criminale; mentre resta genericamente asserita, ma non documentata dal ricorrente, la pretesa violazione del criterio moderatore di cui all’ultimo comma dell’art. 99 cod. pen., che peraltro si riferisce al cumulo delle condanne.
Con adeguato e logico apparato argomentativo in fatto, perciò incensurabile in sede di legittimità, sono state considerate dai giudici di merito pienamente provate anche le imputazioni dei reati fine di cui ai capi 12) e 20), tenuto conto per quest’ultimo delle concludenti evidenze costituite dai rilievi eseguiti dalla GdF sull’autovettura condotta da Messina e dal rinvenimento e sequestro di una parte della droga trasportata, nonché dall’inequivoco tenore dei colloqui intercettati fra Porto e Colosi circa l’arresto del corriere e la perdita di un “carico grosso” che COGNOME avrebbe dovuto recuperare.
Circa la pretesa derubricazione del delitto di spaccio di cui al capo 12) nell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. cit., va confermata come per l’analogo motivo di ricorso di COGNOME – l’obiettiva e incensurabile adeguatezza della valutazione di entrambi i giudici di merito circa la inconfigurabilità della stessa, tenuto conto di quanto probatoriamente riscontrato in ordine ai notevoli quantitativi delle sostanze stupefacenti oggetto per un lungo periodo di tempo delle reiterate e sistematiche attività illecite di acquisto, detenzione e spaccio di varie tipologie di sostanze stupefacenti da parte del sodalizio criminale.
Con riguardo infine alla denunzia di eccessività della pena per l’ingiustificato diniego delle attenuanti generiche, ne va rilevata l’aspecificità e la natura meramente fattuale, atteso che la Corte territoriale ha congruamente e logicamente motivato – perciò insindacabilnnente in sede di legittimità – il giudizio di merito relativo al trattamento sanzionatorio e al diniego delle attenuanti generiche con riferimento alla particolare gravità e reiterazione della condotta criminosa e al significativo ruolo fiduciario svolto con professionalità e inserito in un allarmante contesto criminale.
6. Con riferimento ai motivi di ricorso avanzati dal difensore di NOME COGNOME, mette conto di rilevare immediatamente come l’estrema laconicità delle ragioni a sostegno degli stessi non consente neppure di apprezzare il rilievo della censura di mancanza di motivazione del provvedimento di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello mediante l’escussione del collaboratore di giustizia NOME COGNOME Quanto al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, l’apprezzamento sfavorevole dei giudici di merito va considerato logicamente adeguato e proporzionato alla gravità dei fatti contestati e accertati (una duplice transazione di partite di marijuana), eseguiti in un allarmante contesto criminale.
Non colgono nel segno le plurime e articolate censure mosse dal difensore di NOME COGNOME (“COGNOME“) nel merito della responsabilità per il reato di detenzione e cessione di alcune partite di sostanze stupefacenti del tipo marijuana e cocaina ex art. 73 d.P.R. cit. (capo 19), affermata dai giudici di appello in accoglimento del gravame del P.M. avverso la pronuncia assolutoria di primo grado. L’imputato è stato dichiarato colpevole alla stregua delle risultanze probatorie costituite dai contenuti di plurimi colloqui, telefonici e ambientali, captati e riscontrati dai servizi di osservazione e controllo di polizia giudiziaria e, soprattutto, dalle propalazioni accusatorie del collaboratore di giustizia NOME COGNOME (del quale è stata rinnovata l’escussione in appello).
Da esse è emersa, secondo il motivato apprezzamento fattuale svolto dalla Corte territoriale, perciò insindacabile in sede di legittimità, la figura di COGNOME come sistematico acquirente, da Porto o da altri sodali del gruppo criminale da questi diretto e dedito al narcotraffico, di alcune partite di droga destinata (per conto della cosca mafiosa e perciò con dolo agevolatore degli interessi della stessa ai fini dell’aggravante mafiosa ex art. 416-bis.1 cod. pen.) alla cessione a terzi nell’area di spaccio di Calatabiano e dintorni, anche mediante forniture a credito di cui egli presentava di volta in volta il rendiconto.
7.1. Orbene, a fronte del ricco, congruo e logico apparato argomentativo della pronuncia di condanna devono ritenersi all’evidenza ingiustificate e infondate le critiche racchiuse nei primi cinque e strettamente connessi motivi di ricorso, attinenti alla pretesa inammissibilità dell’appello del P.M. e alla conseguente erronea rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mediante l’escussione di Porto, ovvero all’assenza di una motivazione rafforzata a sostegno della rivalutazione in malam partem delle prove richiamate a fondamento del proscioglimento di primo grado.
A ben vedere, il ricorrente, nel censurare la forma e il peso probatorio dei dati acquisiti, prospetta sostanzialmente una inammissibile rivisitazione da parte della Cassazione degli elementi dimostrativi posti a fondamento della decisione di merito, sorretta viceversa, anche dal punto di vista procedurale, da una ricostruzione solida, adeguata e immune da vizi logici.
7.2. Parimenti privi di pregio si profilano gli ulteriori due motivi con i quali i ricorrente denunzia il vizio motivazionale quanto al disconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. cit. e al diniego delle attenuanti generiche. Con una valutazione fattuale, coerentemente motivata e perciò incensurabile in sede di legittimità, la Corte territoriale, da un lato, ha escluso la configurabilità del fatto di lieve entità ex art. 73, comma 5, d.P.R. cit., tenuto conto di quanto probatoriamente riscontrato in ordine alle varie e diverse tipologie di sostanze stupefacenti oggetto per un lungo periodo di tempo di reiterate e sistematiche attività illecite di acquisto, detenzione e spaccio, e, dall’altro, ha giustificat l’immeritevolezza delle attenuanti generiche con esplicito riferimento alla gravità e reiterazione delle condotte criminose e alla pericolosità dimostrata dalla prossimità ad organizzazioni criminali.
Parimenti infondati si palesano tutti i motivi di ricorso, pur diffusamente articolati, proposti dal difensore di NOME COGNOME (“Turi”), dichiarato colpevole del delitto di estorsione in danno dell’imprenditore turistico NOME COGNOME di cui al capo 4).
Non appare innanzitutto sindacabile in sede di legittimità, come pretende viceversa il ricorrente con i primi tre e strettamente collegati motivi, la deliberazione assunta a verbale d’udienza dalla Corte di appello di non accedere alla richiesta rinnovazione istruttoria mediante l’audizione di NOME COGNOME indicato nell’imputazione come persona offesa, alla stregua del motivato apprezzamento di merito circa la evidente superfluità della deposizione, in considerazione del già ricco ed esauriente compendio istruttorio acquisito nel giudizio abbreviato di prime cure e costituito dai plurimi, inequivoci e concludenti colloqui, intercettati e trascritti in motivazione, fra l’imputato e NOME COGNOME, padre della vittima e gestore di fatto dell’attività imprenditoriale già controllata dal clan “COGNOME“, articolazione della cosca mafiosa “SantapaolaErcolano” operante nella costa ionica-etnea di Taormina, e oggetto della condotta estorsiva, oltre che con COGNOME e COGNOME, per come riscontrate dalle operazioni investigative di videoripresa dei protagonisti.
Che poi NOME COGNOME fosse un soggetto in posizione di contiguità rispetto a detta cosca correttamente è stata ritenuta dai giudici di merito circostanza irrilevante a fronte di quanto obiettivamente accertato in fatto circa il prevalente peso e la peculiare caratura mafiosa di COGNOME, esponente di rilievo del clan “COGNOME“, che addebitava a COGNOME di avere consentito l’ingresso nell’area controllata dal clan anche della cosca “Cappello-COGNOME” e che, con minacce dirette sia a NOME che a NOME COGNOME intendeva comunque far valere la pretesa egemonica nel controllo, con l’obiettivo di conseguire il prezzo della “protezione” assicurata agli imprenditori esercenti attività turistiche nell’area interessata.
La Corte territoriale, con idoneo e diffuso apparato argomentativo, ha adeguatamente spiegato sul punto che dalle numerose conversazioni captate emergeva la effettiva situazione di assoggettamento dell’impresa COGNOME e, personalmente, di entrambi i COGNOME, il titolare formale e il gestore di fatto pure contiguo alla cosca -, nei confronti di COGNOME e del clan “COGNOME“. Donde la palese infondatezza del quarto, quinto e sesto motivo di ricorso con i quali il ricorrente insiste sulla tesi, già avanzata e disattesa dalla Corte territoriale, della erronea applicazione dell’art. 629 cod. pen. o della pretesa violazione del principio di correlazione fra imputazione e condanna, per essere il fatto diversamente configurato quanto al soggetto passivo (COGNOME NOME e non NOME) o al luogo e alla data di commissione dello stesso (fin dal 2016 sulla base dei colloqui captati), ovvero della effettiva sussistenza dell’aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen., avuto riguardo alla comprovata affiliazione di COGNOME in posizione di spicco al clan mafioso “COGNOME” (in tal senso erano anche le dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME), nonché al metodo e alla finalità
agevolativa perseguita, cioè l’acquisizione e la ripartizione fra le due cosche degli illeciti proventi delle estorsioni per l’attività di escursioni turistiche nel territo riscontrate dalle operazioni di videoripresa dei protagonisti.
Risulta infine inammissibile l’ultimo motivo con il quale il ricorrente si duole genericamente dell’eccessività della pena, senza neppure indicare le carenze del discorso giustificativo sul punto, ovvero dell’ingiustificato diniego delle attenuanti generiche, considerato che la pena è stata congruamente determinata partendo da quella minima edittale, mentre l’apprezzamento sfavorevole circa la concessione delle attenuanti generiche è stato adeguatamente spiegato con riferimento alla particolare gravità del reato e all’intensità del dolo in un allarmante contesto di criminalità mafiosa, in assenza peraltro di elementi positivi: motivazioni in fatto, queste, non certo sindacabili in sede di giudizio di legittimità.
Privo di pregio e inammissibile, siccome caratterizzato da doglianze di merito non consentite in sede di legittimità e in parte aspecifico, deve altresì ritenersi l’unico motivo di ricorso, con il quale la difesa di NOME COGNOME ha denunziato la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione esterna fra i fatti di acquisto e detenzione per fini di spaccio di una partita di 400 grammi di cocaina pura in pietra ex art. 73 d.P.R. cit. contestati nell’odierno procedimento (capo 13), e quelli analoghi commessi il 4 gennaio 2015, oggetto della sentenza irrevocabile di condanna della Corte di Appello di Messina in data 16 luglio 2018. Invero, i giudici di merito hanno evidenziato, con motivazione in fatto immune da vizi logici o giuridici – perciò insindacabile in questa sede – l’assenza di ogni indizio sintomatico dell’identità/unitarietà del disegno criminoso e viceversa la configurabilità di reiterate e contingenti condotte criminose, autonome e distinte, dimostrative solo della pervicacia criminale dell’agente in materia di stupefacenti.
Il difensore di NOME COGNOME, collaboratore di giustizia, ha denunziato con plurimi motivi, attinenti al trattamento sanzionatorio, l’immotivato diniego delle attenuanti generiche, la mancata giustificazione dell’entità degli aumenti di pena fissati per i reati satellite, il disconoscimento della continuazione esterna con i fatti di cui ad altre condanne definitive per partecipazione alla medesima associazione mafiosa “Cintorino” e l’applicazione della misura della libertà vigilata per la durata di un anno pure in difetto di una concreta pericolosità sociale.
Osserva questa Corte che il giudizio di innmeritevolezza della concessione delle attenuanti generiche, oltre quella per la scelta collaborativa applicata nella
massima estensione, è stato spiegato dalla Corte territoriale, con ampio e congruo apparato argomentativo, in relazione al ruolo apicale rivestito in entrambe le associazioni, quella mafiosa e quella dedita al narcotraffico, alla gravità e reiterazione delle condotte criminose e all’indiscusso profilo criminale di rilievo del soggetto che ne evidenziava la persistente pericolosità. Si versa dunque in tema di motivazione in fatto lobiettivamente resa in forma lineare e coerente, all’esito di una valutazione discrezionale, perciò insindacabile in sede di scrutinio di legittimità della sentenza impugnata.
Circa gli aumenti di pena fissati per i reati satellite, va sottolineato che la Corte territoriale ne ha motivatamente ed efficacemente ridotto l’entità rispetto alle determinazioni di primo grado, tenuto conto anche per questi reati dell’attenuante della collaborazione.
Deve GLYPH ritenersi GLYPH viceversa GLYPH fondato GLYPH il GLYPH motivo di GLYPH ricorso GLYPH relativo all’apprezzamento di merito, espresso sinteticamente dalla Corte territoriale, circa l’assenza degli indicatori della contiguità temporale e dell’omogeneità delle violazioni a sostegno della tesi difensiva della nnedesimezza del disegno criminoso e della relativa istanza per il riconoscimento della continuazione esterna rispetto ai fatti di cui alle sentenze irrevocabili di condanna della Corte di assise di appello di Catania e del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Messina (che a sua volta aveva determinato la pena in continuazione con la prima). Si tratta di condanne riportate dall’imputato con riguardo alla sua appartenenza alla consorteria “Cintorino”. Le contestazioni relative all’attuale procedimento sono particolarmente gravi per avere egli rivestito un ruolo apicale, dimostrativo, secondo la prospettazione difensiva, di come lo stesso fosse “un tassello importante di quella compagine mafiosa” da molti anni.
Si richiamano pertanto le considerazioni svolte sub § 4 a proposito di Trovato circa la necessità di una più approfondita indagine volta ad accertare l’eventuale adesione dell’imputato alla prosecuzione dell’originario pactum sceleris ovvero l’esistenza di una discontinuità nel programma criminoso.
Quanto alla misura della libertà vigilata per la durata di un anno ex art. 417 cod. pen., non può non condividersi, in linea di principio, il rilievo critico cir l’esclusione di ogni presunzione di pericolosità sociale del condannato a seguito della modifica introdotta dall’art. 31, comma 2, I. 10 ottobre 1986, n. 633 (da ultimo, Sez. 1, n. 2875 del 12/12/2023, dep. 2024, Chianese, Rv. 285810; Sez. 1, n. 35996 del 08/05/2019, Natale, Rv. 276813), come erroneamente la Corte territoriale sembra invece affermare nelle premesse del ragionamento. Va tuttavia rimarcato che il positivo scrutinio dell’effettiva pericolosità sociale d condannato ha trovato congrua giustificazione nella seconda parte della motivazione in fatto della sentenza impugnata (p. 157), là dove risulta esplicito il
richiamo per relationem degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., in particolare di quanto in concreto riscontrato in ordine alle legittime ragioni del diniego delle attenuanti generiche.
Il provvedimento impugnato deve pertanto essere annullato con rinvio riguardo al punto sopra evidenziato. Per gli altri profili, il ricorso di Porto va rigettato.
11. Il difensore di NOME COGNOME che è stato condannato per il reato di detenzione e cessione di numerose partite di sostanze stupefacenti ex art. 73 d.P.R. cit. (capo 18), accumulando peraltro un forte debito di 17.000 euro verso NOME COGNOME ha denunziato la violazione di legge e l’illogicità della motivazione anche per travisamento della prova, quanto alla mancata riqualificazione del fatto come ipotesi lieve ex art. 73, comma 5, d.P.R. cit., trattandosi a suo avviso di droga cd. leggera il cui spaccio era riconducibile a un ben confinato arco temporale.
Orbene, trattasi di mera ripetizione dell’analogo motivo di gravame già avanzato in sede di appello e da quei giudici disatteso con idoneo e logico apparato argonnentativo, che, alla luce dell’imponente compendio probatorio acquisito, ha fatto leva sulla diversità delle sostanze stupefacenti trafficate (marijuana e cocaina), sulla pluralità e consistenza delle forniture di droga destinata alla cessione a terzi, sulla serialità delle condotte eseguite per circa un anno e sulla frequenza dei rapporti con un soggetto al vertice di un sodalizio criminale.
Lo stesso è a dirsi per la reiterata censura di eccessività della pena ascrivibile anche al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, poiché la Corte territoriale, con motivazione in fatto ineccepibile logicamente e giuridicamente, ha disatteso il relativo gravame, richiamando gli indici fattuali della gravità e della reiterazione nel tempo delle medesime condotte criminose e della pericolosità dimostrata dalla vicinanza al contesto di un’organizzazione dedita al narcotraffico.
12. Ha proposto infine ricorso per cassazione il P.G. presso la Corte d’appello di Catania contro NOME COGNOME (“COGNOME“), limitatamente al punto dell’esclusione deliberata dalla Corte territoriale dell’aggravante della recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, come contestata e ritenuta dal primo giudice, insistendo nella valutazione di concreta e attuale pericolosità sociale dell’imputato.
Ritiene la Corte che la censura del P.G. sia fondata.
La Corte d’appello, pur dando atto dei numerosi e gravi precedenti da cui l’imputato risultava obiettivamente attinto, ha deliberato di escludere l’aggravante della recidiva nel computo della pena, perché l’ultima sentenza di condanna faceva riferimento a fatti commessi fino al giugno 2007, riducendo di conseguenza l’entità della pena della reclusione.
Tuttavia, la medesima Corte ha ritenuto che i fatti oggetto del procedimento in trattazione (associazione di stampo mafioso contestata dal luglio 2014 al giugno 2019) fossero uniti dal vincolo della continuazione con il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. commesso nel 2007, senza peraltro neppure fare menzione di un eventuale allontanamento dal sodalizio avvenuto nell’intervallo temporale.
La contraddittorietà della motivazione sul punto impone pertanto l’annullamento con rinvio della sentenza per la rivalutazione della sussistenza o meno della recidiva.
Alla luce delle suesposte considerazioni il provvedimento impugnato va annullato con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Catania riguardo alla valutazione della recidiva per NOME COGNOME La sentenza va altresì annullata, limitatamente al profilo dell’esclusione della continuazione esterna, con riguardo a NOME COGNOME e NOME COGNOME i cui ricorsi, nel resto, sono rispettivamente oggetto di rigetto e di declaratoria di inammissibilità.
Deve inoltre concludersi per l’inammissibilità dei ricorsi degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME con la conseguente condanna di questi ultimi al pagamento delle spese processuali e della somma ritenuta equa di euro 3.000 ciascuno alla Cassa delle ammende, nonché per il rigetto dei ricorsi degli altri imputati, con la conseguente condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso del Procuratore Generale, annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla recidiva e rinvia per nuovo giudizio su tale capo ad altra Sezione della Corte di appello di Catania. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Carmelo e COGNOME NOME limitatamente alla continuazione e rinvia per nuovo giudizio sui relativi punti ad altra Sezione della Corte di appello di Catania. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di COGNOME NOME e rigetta nel resto il ricorso di Porto Carmelo.
Rigetta i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME
COGNOME Giuseppe, COGNOME Gaetano, COGNOME NOME, COGNOME Gaetano, COGNOME
NOME, COGNOME NOME, Messina NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e
COGNOME NOMECOGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in
favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16/05/2024