Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4558 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 4558 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOMECOGNOME nato a REGGIO CALABRIA il 14/02/1952
avverso l’ordinanza del 20/06/2024 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso.
udito il difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME il quale ha esposto i motivi di gravame, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento emesso, in data 10 maggio 2024, dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, con il quale gli veniva applicata la misura della custodia in carcere in relazione al delitto oggetto della provvisoria imputazione di cui agli artt. 61, n. 11 quater, 416 bis, dai primo al sesto comma, e ottavo comma, cod. pen., e 71 d. Igs. del 6 settembre 2011, n. 159 (capo 1), in relazione al ruolo di promotore, dirigente e organizzatore del sodalizio `ndranghetistico operante nell’area reggina, tra l’altro svolgendo riti di affiliazione e di conferimento di nuove doti e cariche.
2. Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, per il tramite del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME affidando le proprie censure a un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., col quale si duole di violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli artt. 273, commi 1 e 1 bis, e 275, comma 4, del codice di rito.
Già nell’istanza di riesame -osserva la difesa- si era contestata la valutazione in tema di gravità indiziaria, in quanto basata su un esiguo numero di conversazioni intercettate, nel corso delle quali persone diverse dal ricorrente, ritenute intranee alla cosca COGNOMECOGNOME, facevano riferimento a tal COGNOME, induttivamente identificato dal Tribunale – sulla base di una valutazione priva di autonomia valutativa, in quanto del tutto ricalcata sulle trascrizioni della polizia giudiziaria e sull’ordinanza genetica- con l’odierno ricorrente NOME COGNOME.
Siffatta valutazione si è tradotta in una violazione non soltanto dell’art. 273, comma 1, 1 bis, cod. proc. pen., ma anche dei principi posti da questa Corte in tema di gravità, precisione e concordanza degli elementi raccolti con le intercettazioni qualora detti elementi abbiano natura meramente indiziaria.
Inoltre, il Tribunale del riesame ha trascurato l’eccezione fondata su un dato, emerso da una delle conversazioni intercettate (del 25 gennaio 2020 tra COGNOME e COGNOME) e incompatibile con l’assunto accusatorio, vale a dire il riferimento, da parte dei due interlocutori, a un soggetto che aveva riportato una condanna ad anni 15 di reclusione, laddove il ricorrente è stato condannato ad anni 8 e mesi 8 di reclusione. Si denuncia, pertanto, l’incongruenza della motivazione resa dai giudici del riesame nel minimizzare tale dato.
La difesa contesta, poi, la ritenuta intraneità del ricorrente a una cosca diversa (COGNOME/COGNOME) da quella (società di Reggio Calabria) per la quale egli ha riportato la condanna ad anni 8 e mesi 8 di reclusione, nell’ambito del nnaxiprocesso
“Crimine”. Si eccepisce, pertanto, la ritenuta partecipazione a una cosca diversa da quella per cui è intervenuta condanna e si osserva che, nelle conversazioni in cui interloquiva direttamente il ricorrente, mai è stato fatto riferimento a cariche o affiliazioni gestite dallo stesso. E, per quel che concerne le altre conversazioni tra persone diverse dal Praticò, gli eventi narrati non sono riconducibili ad azioni poste in essere per conto della cosca investigata.
Si osserva, infine, che la ritenuta partecipazione associativa con ruolo apicale è smentita dal fatto che il COGNOME è risultato ignoto a diversi collaboratori di giustizia che hanno reso dichiarazioni nel presente procedimento. Ancora con riguardo al profilo della partecipazione associativa con ruolo apicale, la motivazione è, inoltre, carente, posto che il Tribunale ha valorizzato unicamente gli esiti investigativi del maxiprocesso “Crimine”, ritenendo in modo asseverativo che il ricorrente avrebbe conservato il ruolo di “carichista” anche nel contesto della cosca COGNOME/COGNOME.
Dalla contestazione relativa alla partecipazione associativa con ruolo apicale consegue quella relativa alle ritenute esigenze cautelari di eccezionale rilevanza nei confronti di persona ultrasettantenne.
All’udienza si è svolta trattazione orale del ricorso. Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME riportandosi alle conclusioni scritte in atti, ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
L’unico, articolato motivo di ricorso è, nel suo complesso, infondato, perché genericamente formulato rispetto al quadro argomentativo – in tema tanto di gravità indiziaria quanto di partecipazione con ruolo apicale all’associazione di cui all’art. 416 bis, primo comma, cod. pen. – ampiamente delineato nella motivazione dell’ordinanza impugnata, che si appalesa esente dai dedotti vizi. A tal proposito, gioverà ribadire il consolidato principio, posto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui «in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito» (come
affermato, ex plurimis, da Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01).
Quanto all’eccezione che insiste sulla diversità di cosche (posto che, in tesi difensiva, la ritenuta partecipazione all’associazione di cui all’art. 416 bis, primo comma, cod. pen., sarebbe riferita a una cosca diversa da quella per cui è intervenuta condanna), il ricorrente non si confronta con la motivazione, nel cui incipit è compiutamente spiegato che il COGNOME, già condannato in via definitiva nel maxi processo “Crimine” con condanna a pena detentiva fino al luglio 2017, riassumeva il ruolo di referente della ‘ndrangheta nell’area meridionale della città di Reggio Calabria, rapportandosi agli altri affiliati della cosca COGNOME anche con ruoli apicali (vi vedano, sul punto, i puntuali riferimenti, alle pp. 4 e ss. dell’impugnata ordinanza, alle conversazioni tra i sodali COGNOME e COGNOME, COGNOME e COGNOME e tra COGNOME e il ricorrente stesso).
Tanto premesso, il mancato confronto con le argomentazioni del provvedimento impugnato prosegue anche sul piano della motivazione più strettamente giuridica: invero, il Tribunale ha ben individuato, e correttamente applicato al caso di specie, il prindpio di diritto, alla luce del quale «in tema di associazione mafiosa, i gravi indizi di colpevolezza in sede cautelare possono dedursi dalla precedente condanna del soggetto per l’adesione al medesimo sodalizio e dal ruolo assunto all’interno dell’organizzazione, valutati congiuntamente agli ulteriori elementi acquisiti a sostegno della perdurante partecipazione relativamente al periodo successivo a quello cui è riferita la condanna» (Sez. 6, COGNOME, n. 3508 del 24/10/2019, dep. 2020, Ammendola, Rv. 278221 – 01, enfasi aggiunta).
E, infatti, gli ulteriori elementi valorizzati dai giudici del riesame si riferiscono a colloqui intercettati, puntualmente analizzati (da p. 5 a p. 10 dell’impugnato provvedimento), successivi alla condanna del 2017, in cui è emerso 1) il ruolo persistente di “carichista” in capo al ricorrente, date le riconosciute doti di personaggio carismatico della cosca e, quindi, in grado di conferire “doti e cariche di ‘ndrangheta” (p. 5); 2) il controllo, esercitato dal COGNOME, sulle attività illecite (in particolare, estorsioni: si veda il riferimento alla conversazione tra Gullì e Praticò del 3 marzo 2021, p. 7 dell’impugnato provvedimento) e il ruolo svolto segnatamente sul quartiere Ravagnese- anche come referente, per altri membri della cosca, per il ritrovamento di beni, oggetto di furto, sottratti in quella zona (ibidem). Sulla scorta di tali risultanze investigative -qui ricordate con sintesi estrema – il Collegio del riesame ha ragionevolmente dedotto la presenta di indizi gravi, in capo al ricorrente, di persistente partecipazione associativa con ruolo apicale; la censura di mera assertività delle conclusioni così raggiunte dal giudice del riesame è, pertanto, del tutto infondata.
Ora, il ricorrente contesta anche l’utilizzo che dei ricordati elementi ulteriori acquisiti a sostegno della perdurante partecipazione (relativamente al periodo successivo a quello cui è riferita la condanna) è stato fatto dal riesame, asserendo che agli indizi valorizzati mancherebbero i caratteri della gravità, concordanza e precisione e invocando, di conseguenza, violazione di legge. Ma, anche su tale profilo, la motivazione è da ritenersi esente dai dedotti vizi, avendo il Tribunale correttamente fondato la propria valutazione alla stregua del principio posto da Sezioni Unite Sebbar, secondo cui le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714 – 01; in seguito, v. Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, COGNOME, Rv. 268414 – 01: il contenuto di intercettazioni telefoniche captate fra terzi, dalle quali emergano elementi di accusa nei confronti dell’indagato, può costituire fonte diretta di prova della sua colpevolezza senza necessità di riscontro ai sensi dell’art. 192 comma 3, cod. proc. pen., fatto salvo l’obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica).
Altresì infondato è il motivo, nella parte in cui si censura la motivazione per aver minimizzato il riferimento, da parte dei due interlocutori della conversazione 25 gennaio 2020, a un soggetto che aveva riportato una condanna ad anni 15 di reclusione, laddove il ricorrente è stato condannato ad anni 8 e mesi 8 di reclusione. Tale profilo è stato ritenuto – con motivazione affatto esente dal dedotto vizio di contraddittorietà – non decisivo, in quanto non idoneo a incrinare la logicità della motivazione: invero, come illustrato dal Collegio del riesame, una congerie di altri dati -meticolosamente esposti dal giudice del riesame (v. p. 6) convergevano nell’identificare il ricorrente come la persona cui si riferivano i conversanti nelle intercettazioni valorizzate nell’impugnata ordinanza.
In tal senso, le critiche del ricorrente collidono con il fondamentale canone valutativo che deve guidare il giudice nell’apprezzamento dei risultati probatori, attraverso l’esame di tutti e ciascuno degli elementi processualmente emersi, non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio, verificando se essi, ricostruiti in sé e posti vicendevolmente in rapporto, possano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante, che consenta, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verità processuale, ossia la verità del caso concreto (vedi già Sez. 2, n. 32619 del 24/04/2014, COGNOME, Rv. 260071 con riferimento alla valutazione probatoria, ma con logica estendibile alla valutazione degli indizi nel giudizio cautelare, dal momento che in entrambi i casi si vede in tema di idoneità dimostrativa dei dati di fatto raccolti).
Va disattesa, infine, la contestazione relativa alle ritenute esigenze cautelari di eccezionale rilevanza nei confronti di persona ultrasettantenne, che la difesa fa discendere dalla censura concernente la partecipazione associativa con ruolo apicale. Si ricorda, a tal proposito, che «in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, il necessario onere di confronto con la motivazione della sentenza impugnata impone al ricorrente, a pena di inammissibilità, di non limitare il proprio esame alla sola parte del provvedimento specificamente riferita alla questione posta, ma di considerare anche le argomentazioni contenute in altre parti comunque rilevanti rispetto al giudizio devoluto sul tema (Sez. 3, n. 3953 del 26/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282949 – 01). Impregiudicata la sufficienza di quanto replicato dal Tribunale circa l’elevatissimo e non altrimenti contenibile rischio di ulteriore recidivanza e dell’esclusiva adeguatezza, a tal fine, della misura cautelare della custodia in carcere (v. p. 10 della motivazione), si osserva che, dal complesso della motivazione, emerge con sufficiente chiarezza il ruolo di capo carismatico del ricorrente, del suo ruolo apicale all’interno dell’associazione e della cosca di appartenenza, che forniscono le ragioni della ritenuta situazione di eccezionalità cautelare.
In ragione delle considerazioni fin qui esposte, s’impone il rigetto del ricorso. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 25/10/2024
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